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Basso medioevo - Wikipedia

Basso medioevo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il porticato interno del castello della Manta, presso Saluzzo (Piemonte), al tempo feudo dei Marchesi di Saluzzo, tipico esempio di architettura del basso medioevo
Il porticato interno del castello della Manta, presso Saluzzo (Piemonte), al tempo feudo dei Marchesi di Saluzzo, tipico esempio di architettura del basso medioevo

Con basso medioevo si intende il periodo della storia europea e del bacino del Mediterraneo compreso circa tra l'anno 1000 e la scoperta dell'America nel 1492.

Dal XIII secolo si formarono i primi stati nazionali (Portogallo, Francia, Inghilterra, Russia, Spagna) mentre in Italia, dove le condizioni storiche (in gran parte determinate dal papato) non permisero il formarsi di uno stato unitario, fiorì l'epoca dei Comuni, che tra il Trecento e Quattrocento si evolvettero nelle Signorie. In seguito alcune di queste si ingrandirono in veri e propri stati regionali.

Nel basso medioevo i poteri universali del papato e del Sacro Romano Impero, dopo aver raggiunto il proprio apogeo, decaddero inesorabilmente a favore delle monarchie nazionali, che ormai si affermavano dando all'Europa quel carattere, tutt'ora vivo, di mosaico di Stati e popoli, magari affini, ma diversi tra loro. L'impero entrò in crisi con la morte di Federico II (1250), il papato con i conflitti col re di Francia che portarono allo scisma d'Occidente (1378).

Durante il Trecento e nei primi decenni del Quattrocento, guerre, carestie, epidemie causarono profondi mutamenti sociali ed economici nella società europea, cambiando anche la mentalità degli intellettuali e dei ceti più elevati che attribuirono una nuova importanza all'individuo, gettando le basi della civiltà umanistico-rinascimentale.

Per la storia nel periodo medievale di paesi non europei si veda la voce medioevo extraeuropeo.

Indice

[modifica] L'attesa dell'anno Mille

Per approfondire, vedi la voce Rinascita dell'anno Mille.
Foglio dell'Apocalisse di San Severo, manoscritto francese dell'XI secolo (Parigi, Bibliothèque Nationale, MS lat. 8878, 148v)
Foglio dell'Apocalisse di San Severo, manoscritto francese dell'XI secolo (Parigi, Bibliothèque Nationale, MS lat. 8878, 148v)
« Allora il mondo si scosse la polvere dalle sue vecchie vesti e la terra si ricoprì di un candido manto di chiese »
(Rodolfo il Glabro, monaco di Saint-Bénigne a Digione, a proposito dell'arrivo del nuovo millennio.)

La storiografia ottocentesca di matrice romantica enfatizzò la connessione tra l'attesa della Fine dei Tempi e la sorta di rinascita registrata nel continente europeo dopo l'XI secolo: l'anno Mille veniva usato come spartiacque tra la cosiddetta "età oscura", barbarica, oscurantista e superstiziosa (quella biasimata dagli umanisti e illuministi) e l'epoca splendida delle cattedrali, delle università, della cavalleria e dell'amor cortese (cara ai romantici). Secondo quella visione - oggi definitivamente abbandonata dagli storici, sebbene se ne trovino ancora tracce nella manualistica scolastica - gli europei si sarebbero stretti tremanti attorno a chiese e monasteri alla vigilia dell'inizio del nuovo millennio, per poi tornare alle proprie case ricolmi di nuova energia e di gioia di vivere quando si accorsero che niente era accaduto.

In verità il processo di "rinascita", intesa come ripresa demografica, tecnologica ed economica, fu un fenomeno di lungo periodo, che iniziò nell'VIII secolo e che ebbe il culmine nel XIII secolo, causata molto probabilmente innanzitutto da un miglioramento climatico.

Per varie ragioni non è credibile una paura da nuovo millennio, sebbene non mancassero in quell'epoca predicatori e mistici che punteggiassero la società di paure della Fine dei Tempi rifacendosi a testi profetici e sibillini del IV-VI secolo o a movimenti come il chialismo ebraico.

Si consideri, innanzitutto, che la datazione del Millennio dalla nascita di Cristo (secondo il calendario del siriano Dionigi il Piccolo che fissò la data di nascita di Cristo il 25 dicembre del 753 ab Urbe condita) si era affermata in alcune zone europee solo tra l'VIII e il IX secolo; ne erano rimaste escluse altre come la Penisola iberica (che adottò il nuovo calendario solo nel tardo medioevo) o le zone di influenza bizantina, compresa Venezia e l'Italia del Sud, la Russia e l'Europa orientale, dove si contavano gli anni secondo il principio del mondo, calcolato seguendo le età convenzionali dei patriarchi biblici al 5008.

Inoltre la data di inizio-anno variava da regione a regione: il primo gennaio (secondo lo stile romano delle calende di gennaio) si affermò infatti solo in età moderna, salvo poche eccezioni.

[modifica] La società intorno all'anno Mille

I tre stati: religiosi, guerrieri e contadini (British Library: manoscritto Sloane 2435, f.85)
I tre stati: religiosi, guerrieri e contadini (British Library: manoscritto Sloane 2435, f.85)

Oratores, bellatores e laboratores erano tradizionalmente le tre funzioni nelle quali si dividevano gli individui nella società attorno all'anno Mille, come testimoniato per esempio da Adalberone di Laon. I primi pregavano per la stabilità e la sicurezza del mondo cristiano, i secondi combattevano, mentre i terzi, attraverso il lavoro manuale, provvedevano al sostentamento di tutta la società. Questa ripartizione di doveri corrispondeva anche a una diversa distribuzione della ricchezza. Erano tagliati fuori da questa classificazione alcuni settori "commerciali", che venivano guardati con sospetto dalla Chiesa (si pensi alle dure condanne contro l'usura, intesa a quel tempo come semplice guadagno dal denaro indipendentemente dal tasso di interesse), contrapponendoli a coloro che guadagnavano dal lavoro manuale. Gli oratores (gli ordini religiosi), essendo i più istruiti, avevano anche il compito di tramandare le memorie della propria civiltà, sia a livello storico che mitico-religioso, per cui la funzione della preghiera era quella più importante e sacra. Lo storico George Dumézil, nella seconda metà del Novecento, estese questa tripartizione a tutte le società indoeuropee, anche se le sue tesi non sono accettate universalmente.

A partire dal XII secolo questa organizzazione tripartita venne sempre più scompaginata: per esempio gli ordini religiosi prendevano sempre più spesso funzioni anche di laboratores (si pensi ai cistercensi) o di bellatores (si pensi agli ordini religioso-militari dei cavalieri). Inoltre le città avevano ampliato considerevolmente la gamma di attività dei laboratores, ormai non solo in stragrande maggioranza contadini, ma anche artigiani, mercanti e banchieri, con la nascita di nuovi ceti di importanza via via crescente che mal si inserivano nell'antica tripartizione. Il definitivo tramonto di questo sistema, con la presa di coscienza del sempre più numeroso "terzo stato", si ebbe solo col tramonto del feudalesimo alla fine del Settecento.

Una distinzione più aderente alla realtà effettiva era quella tra chierici e laici: i primi rispondevano solo alla giustizia ecclesiastica, i secondi anche a quella ordinaria. A sua volta i chierici erano divisi in clero secolare (che vive nel secolum, cioè i sacerdoti) e clero regolare (che segue una regola, cioè i monaci). Infine il clero regolare si allargò tra XII e XIII secolo con la nascita di altri due fenomeni: gli ordini monastico-cavallereschi e gli ordini mendicanti.

Il sigillo dei cavalieri templari
Il sigillo dei cavalieri templari

La vita monastica nell'Europa occidentale era quasi tutta dedicata alla regola benedettina, nonostante qualche sporadica sopravvivenza di monachesimo celtico in Irlanda e di monachesimo orientale in Italia del Sud. Si diffusero in questo periodo le regole "riformate", cioè basate sulla regola benedettina alla quale venivano aggiunte alcune clausole specifiche: cluniacensi, cistercensi, camaldolesi (e avellaniti), vallombrosani, certosini e premostratensi.

Il mondo laico invece era diversificato secondo la condizione giuridica e l'ordine di appartenenza: nel mondo germanico si avevano liberi e servi, che esistettero fino all'epoca carolingia, quando ci fu un raffinamento delle tecniche militari e una smilitarizzazione dei liberi di più bassa estrazione, con le armi che ormai rappresentavano la base dei loro diritti civili.

Dal secolo X all'XI si intensificò l'inurbamento dei ceti servili, che portò a una rinascita delle città e delle attività professionali. Tra i sistemi più usati per sottrarsi alla dipendenza dei signori e affrancarsi in città c'era la commendatio a un signore simbolico, come il santo patrono locale, al quale offrivano un "servizio" pecuniario, spesso abbastanza modesto. Nelle città fu possibile aumentare il livello di istruzione generale, con le necessità di leggere, scrivere e far di conto ormai imprescindibili per le attività mercantili. Sorse così una sorta di scuola primaria privata, alla quale poteva seguire la scuola di "abaco" dove si insegnavano ai ragazzi più grandi nozioni di matematica e di ragioneria. Fu in quel periodo che nacque una cronachistica urbana indipendente dal contributo religioso: tra i primi ci fu il genovese Caffaro che tra il 1099 e il 1162 redasse gli Annali e poi li presentò al governo cittadino per essere approvati e ufficializzati.

Stavano nascendo i prodromi di "borghesia" urbana, anche se il termina va usato con cautela perché non esisteva ancora la piena coscienza di sé di un ceto del "borgo" contrapposto a quello di altri ordini e categorie sociali.

[modifica] Economia e commerci verso l'anno Mille

Calendario (l'aratura), 1000 circa, miniatura, Cotton ms. Tiberius B. V., f. 3r., Londra, British Library
Calendario (l'aratura), 1000 circa, miniatura, Cotton ms. Tiberius B. V., f. 3r., Londra, British Library

Non si deve pensare che nei secoli dell'Alto medioevo gli scambi si fossero arrestati: furono frequenti gli insediamenti di mercanti orientali, detti genericamente "siriani", inoltre esistevano i negociatores, venditori itineranti liberi di fatto, che portavano merci di lusso alle corti signorili ed ecclesiastiche. Tendenze positive in economia si registrarono a partire dall'VIII secolo, quando cessarono le successive ondate epidemiche della peste di Giustiniano. Migliorò la rete commerciale, si fecero campagne di bonifica e disboscamento per dare nuove terre alle colture.

Sul piano agricolo si ebbero alcuni miglioramenti con la rotazione triennale, l'introduzione del mulino ad acqua, dell'aratro pesante con versoio, che lavorava più a fondo dell'antico aratro romano, e del giogo, che attaccava di spalla i carichi agli animali da traino senza provocarne la sensazione di soffocamento durante gli sforzi. Inoltre il miglioramento climatico, quello che sciolse le acque dei mari del Nord permettendo ai vichinghi di arrivare in Islanda e Groenlandia, si manifestò dall'inizio del X secolo, significando raccolti più abbondanti e diminuzione delle malattie caratteristiche del clima freddo che colpiscono soprattutto i bambini. L'incremento demografico è testimoniato in varie parti d'Europa dall'XI secolo e fu più forte nell'Ile-de-France, nel bacino del Reno, nella pianura padana e in Toscana.

La circolazione monetaria era ancora ridotta e l'oro era quasi introvabile nell'Europa occidentale, ormai usato solo per alcuni oggetti sacri. Le fiere locali si evolvettero in grandi fiere (come nella Champagne), dove si scambiavano prodotti orientali con quelli europei; poi la circolazione delle merci si smistava nei nascenti mercati cittadini.

Vennero migliorate le vie di comunicazione esistenti e ne vennero fatte di nuove: la strada medievale, a differenza di quella romana, non era lastricata ma sterrata, tortuosa (per assecondare la conformazione del terreno) ed era più che altro una mulattiera difficilmente carrozzabile. Strade e ponti versavano comunque in uno stato disastroso, aggravato dai continui dazi che i signori locali esigevano per il transito. Divennero di vitale importanza quindi i traffici marittimi e fluviali: le chiatte che servivano le città dell'interno offrivano un trasporto meno costoso, più sicuro e di maggiore portata. Tra i fiumi più navigati c'erano il Reno, il Danubio, il Rodano, il Po, ai quali vanno aggiunti i collegamenti con i corsi minori. Spesso si usavano sistemi misti, in parte fluviali in parte terrestri, come quelli che varcavano i passi di montagna a dorso di mulo prima di ricaricare le merci sulle imbarcazioni a valle.

Importanti erano anche le vie dei pellegrini: il cammino di Santiago, la via Francigena e la via che portava in Terrasanta, che spesso passava dai porti pugliesi per varcare il canale d'Otranto e poi si riconnetteva con la via Egnazia che portava a Costantinopoli e il Vicino Oriente.

[modifica] La riforma della Chiesa

Per approfondire, vedi la voce riforma gregoriana.

[modifica] Verso una riforma

Statua di papa Silvestro II nella città francese di Aurillac
Statua di papa Silvestro II nella città francese di Aurillac

Tra X e XI secolo la Chiesa occidentale viveva un periodo problematico, causato da molteplici fattori. Le funzioni amministrative affidate a vescovi e abati, fin dall'epoca di Carlo Magno, avevano attratto le aristocrazie locali che ormai controllavano queste cariche. Erano diffuse le chiese fondate dai grandi signori feudali (ecclesie propriae o Eigenkirchen nel mondo germanico). In questo contesto erano frequenti pratiche come la simonia (vendita delle cariche) e il nicolaismo (trasmissione delle cariche a parenti prossimi) o, soprattutto tra i vescovi, pratiche come la mondanità, la superficialità religiosa e l'uso di considerare l'investitura episcopale come una lucrosa rendita; non mancavano frequenti episodi di concubinato, anche se il celibato del clero non era ancora stato rigorosamente disciplinato.

Il papato non aveva nessuna forza per imporre una riforma, anzi faceva spesso da cattivo esempio con la carica pontificale contesa tra le famiglie nobili romane come i Conti di Tuscolo o i Crescenzi: frequenti erano la morte violenta dei pontefici e il concubinato dei medesimi, in un regime che venne detto della pornocrazia.

Ottone I Imperatore del Sacro Romano Impero.
Ottone I Imperatore del Sacro Romano Impero.

Tale situazione aveva richiesto l'intervento diretto degli imperatori germanici, come nel caso di Ottone I, che impose il Privilegium Othonis (secondo il quale nessun papa poteva essere eletto senza il beneplacito del sovrano), o Ottone III, che fece eleggere un uomo di sua fiducia, Gerberto d'Aurillac, al soglio pontificio. L'attività di questi imperatori non va però inquadrata come un'ingerenza, ma piuttosto come una forma di tutela (una sorta di Munt, che nella tradizione germanica indicava il concetto di protezione). Un primo risultato concreto dell'egemonia degli imperatori sulla Chiesa latina fu intanto il miglioramento del livello culturale ed etico di vescovi e papi: lo stesso Gerberto, salito al soglio pontificio come Silvestro II, fu uno degli uomini più colti dell'epoca.

I monasteri dell'Europa occidentale, oltre ai problemi sopra citati, essendo centri di ricchezza vennero pesantemente saccheggiati dalle nuove incursioni tra IX e X secolo: i Danesi colpirono a morte tutte le abbazie benedettine d'Inghilterra, gli Ungari e i Normanni saccheggiarono più volte le abbazie di Germania e Francia, mentre in Italia i Saraceni si spinsero fino a Roma (846) e Montecassino. Nella confusione e incertezza si allentarono i rapporti tra Chiesa centrale romana e periferia, mentre si stringevano quelli con i laici locali e le istituzioni religiose vicine, oltre ai collegamenti tra monasteri appartenenti alle medesime congregazioni. Nonostante i timori di saccheggio i monasteri si aprirono maggiormente verso i contatti esterni, rinsaldando la loro preminenza sul piano culturale ed economico.

Una prima riforma della regola benedettina fu quella di san Benedetto d'Aniane, applicata ampiamente grazie al sostegno di Ludovico il Pio.

Nacquero allora le prime perplessità circa le ingerenze laiche nella Chiesa, la cosiddetta questione della libertas Ecclesiae. Le voci di protesta vennero incanalate verso la fondazione di nuovi ordini, come i camaldolesi di san Romualdo, un ravennate permeato dai modelli bizantini. Si spinse ancora più in là il monastero di Cluny: fondato nel 910 da Guglielmo I di Aquitania, era stato liberato fin dall'inizio dalle influenze laiche e secolari, grazie alla rinuncia del patronato del fondatore ed all'espediente di affidarla direttamente alle dipendenze della santa Sede, onde evitare un possibile controllo da parte dei vescovi della zona. Inoltre a Cluny venne posto l'accento più sull'"ora" che il "labora" della regola benedettina, affidando alla preghiera un ruolo di primo piano, mentre il lavoro veniva delegato in larga parte a laici.

Cluny fece da modello in Europa per numerosi monasteri, che aderirono al suo esempio affidandosi direttamente alla Santa Sede (la cosiddetta congregazione cluniacense). Cluny ebbe numerosi avversari, come l'Imperatore Enrico II che preferiva la riforma dell'abbazia di Gorze, la quale non rinunciava al collegamento coi vescovi della zona. Cluny seppe però dare origine anche a considerevoli movimenti laicali, come i pellegrinaggi a Santiago de Compostela (che aiutarono la Reconquista) e le leghe di pace (pax Dei) come strumento militare che proteggesse i deboli: si delimitò la guerra ai giorni non festivi, si indicarono luoghi franchi (adiacenze di monasteri, ospizi, santuari, luoghi di mercato...) e categorie da lasciare indenni (donne, chierici, pellegrini) pena la scomunica.

[modifica] Lo Scisma d'Oriente

Per approfondire, vedi la voce scisma d'Oriente-Occidente.
Michele Cerulario, miniatura del XII secolo
Michele Cerulario, miniatura del XII secolo
Leone X
Leone X

Se intanto gli imperatori (Enrico II, Enrico III) continuavano a intervenire nella nomina di vescovi e papi, Enrico III, sceso in Italia per la formale incoronazione nel 1046, arrivò a indicare durante l'elezione papale un suo candidato (il vescovo di Bamberga, poi Clemente II) deponendo gli altri candidati e andando così oltre il più semplice diritto di veto del Privilegium Othonis. Fu anche da questi atti che si manifestò più forte la necessità di riforma: Leone IX, già vescovo di Toul scelto al soglio proprio da Enrico III, ripristinò l'elezione canonica (tramite il clero e l'acclamazione popolare) circondandosi di collaboratori fortemente motivati alla riforma più radicale, come Umberto di Silvacandida. Cosciente di instradarsi verso un futuro conflitto con l'Imperatore, Leone IX cercò nuovi alleati: prima si rivolse ai bizantini, che faticosamente tenevano la Puglia; poi si convinse che la nuova forza era quella dei Normanni (dai quali era anche stato sconfitto e catturato nel 1053), per questo legittimò le loro conquiste nel Meridione d'Italia in cambio dello smantellamento la Chiesa greca dal Sud-Italia, sostituita da un'organizzazione diocesana latina.

Ma una rottura del genere contro i bizantini necessitava di un pretesto, che venne offerto dalle contese tra Umberto di Silvacandida, forse il vero regista di tutta la vicenda, e il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario. Dalle fitte polemiche su questioni puramente teologiche e dottrinali (come la questione del pane azzimo/pane lievitato nell'eucarestia, o quella del credo niceno alla quale i latini avevano aggiunto che lo Spirito Santo procede non solo dal Padre, ma anche dal Figlio), all'elaborazione del papa del primato di Pietro, cioè l'egemonia del papa sulle altre chiese, comprese quelle patriarcali di Costantinopoli, Gerusalemme, Alessandria d'Egitto e Antiochia, fino alle differenti vedute sul celibato sacerdotale, portarono alla reciproca scomunica che instaurò il cosiddetto scisma d'Oriente del 1054.

[modifica] Gregorio VII e Enrico IV

Per approfondire, vedi la voce lotta per le investiture.
« Che solo al Papa tutti i principi devono baciare i piedi. »
(Dictatus papae, 9° enunciazione)

Enrico III aveva dunque cercato di ascoltare le voci di riforma, nominando vescovi scelti non più nei ranghi della nobiltà ed ascoltando voci più intransigenti come quella di Pier Damiani. Il suo sopruso con l'imposizione della nomina di Clemente II innescò una reazione interna alla Chiesa, che dopo essersi alleata ai Normanni, lo lasciò isolato, sganciato sia dalla Chiesa che aveva cercato di riformare, sia dai vescovi fautori della vecchia Chiesa infeudata che lo osteggiavano per le sue posizioni rigoriste. Morì nel 1056 lasciando la reggenza alla moglie con un figlio ancora bambino, con un vuoto di potere che permise ai riformatori, capeggiati da Ildebrando di Soana di eleggere un nuovo papa, Federico di Lorena, fratello di Goffredo di Toscana, che salì al soglio come Stefano X e che fece cardinale il radicale Pier Damiani. Gli successe Niccolò II, che indisse il sinodo laterano nel 1059, dove finalmente venne messo per iscritto uno statuto che fu alla base della Chiesa riformata: l'elezione pontificia da allora si sarebbe svolta durante un sinodo dei preti delle chiese di Roma e dintorni, i cosiddetti cardinali, e nessun religioso avrebbe mai più potuto accettare cariche da un laico pena la scomunica; inoltre venne stabilità rigidamente l'obbligatorietà del celibato del clero. Il secondo punto gettava ombre scure sugli imperatori e sulle loro ingerenze e fu dibattuto se dovesse essere applicato retrospettivamente o no. Alla fine prevalse la linea più morbida di Pier Damiani. Nonostante ciò i vescovi non riformati guardavano con inquietudine ai riformisti romani e, con l'elezione di Alessandro II, addirittura un patarino, l'Imperatrice Agnese (reggente per Enrico IV) indisse un sinodo a Basilea che elesse l'Antipapa Onorio II: si era giunti a uno scisma.

Alessandro II non applicò un linea dura, anzi cercò di rafforzare la sua immagine con atti simbolici, come la concessione del vessillo di San Pietro ai regnanti che si offrivano come suoi vassalli in cambio della sua benedizione: Guglielmo il Conquistatore, che prese l'Inghilterra, Sancho d'Aragona, impegnato contro i mori, i re normanni impegnati nella conquista della Sicilia. Un vessillo o bandiera era dopotutto usato nelle cerimonie di investitura al livello più alto, dove veniva concesso anche il potere giurisdizionale, quindi il papa divenne formalmente il padrone delle corone europee. La stessa parola "bandiera" derivava infatti da ban, cioè il potere giurisdizionale nel mondo germanico.

Matilde di Canossa, miniatura della Vita Mathildis (Cod. Vat. lat. 4922), Biblioteca Vaticana, Roma (1115)
Matilde di Canossa, miniatura della Vita Mathildis (Cod. Vat. lat. 4922), Biblioteca Vaticana, Roma (1115)

Alla morte di Alessandro II il suo programma venne perfezionato da Ildebrando di Soana, salito al soglio come Gregorio VII (1073), che aveva capito come i tempi fossero maturi per un'ulteriore passo: nel 1075 ribadì il divieto per i laici di investire gli ecclesiastici e 1078 formulò il dictatus papae (redatto una seconda volta nel 1078), 27 proposizioni che dichiaravano il pontefice detentore di un potere assoluto sulla terra che gli dava anche la facoltà di deporre i sovrani laici.

Il contrattacco del giovane Enrico IV (al potere dal 1066) fu la scomunica e deposizione di Gregorio VII nel sinodo di Worms (1076). A sua volta Gregorio scomunicò e depose l'Imperatore sciogliendo i suoi sudditi dall'obbedirgli. Questo atto ebbe un effetto epocale, il primo del genere nella storia, essendo gli imperatori ammantati di quell'aurea di sacralità dovuta al rito dell'incoronazione. Gregorio sapeva che le rivalità in Germania erano così accese che presto i grandi feudatari si ribellarono all'imperatore, mettendolo in grave difficoltà.

Allora Enrico IV fece una mossa "teatrale", incontrando il papa alla rocca di Canossa, sotto la supervisione della contessa Matilde nell'inverno del 1077, umiliandosi ("andare a Canossa" è rimasta una frase proverbiale) e chiedendogli perdono inginocchiato nella neve. Questa azione glorificò sia il papa (e la sua autorità), sia l'imperatore, che nell'atto di umiltà aveva seguito l'esempio del Cristo. Gregorio non poté negare il perdono ed Enrico ottenne il reintegro dei suoi poteri, disorientando i suoi avversari, che avevano già eletto un anti-imperatore, Rodolfo di Svevia.

Ma Enrico IV tornò presto sulle sue posizioni precedenti, ottenendo una nuova scomunica nel 1080, al quale rispose facendo eleggere un nuovo antipapa, Clemente III. Il pontefice era momentaneamente isolato (né i Normanni né la Contessa Matilde potevano aiutarlo), così Enrico poté entrare a Roma, far consacrare Clemente III e venire da esso incoronato. Gregorio fu salvato all'ultimo momento dai Normanni e si dovette ritirare a Salerno dove trascorse malinconicamente il resto della sua vita.

[modifica] Il concordato di Worms

Per approfondire, vedi la voce concordato di Worms .
La cattedrale di Worms, consacrata nel 1110
La cattedrale di Worms, consacrata nel 1110

Lo scontro frontale tra riformatori e laici aveva portato a estremismi che avevano stancato le parti, rendendo necessaria un'azione di riassestamento e pacificazione, che venne garantita dal successore di Gregorio VII, papa Urbano II (1088-1099). Mentre la necessità di riforma aveva ampliato la propria base d'appoggio, con un progressivo assottigliarsi delle file di Enrico IV, si cercò un compromesso. Vennero reinsediati alcuni vescovi "enriciani" (non riformati), mentre ormai si era consolidata l'esclusione dei laici dall'elezione dei religiosi. Restavano aperti i problemi su a chi affidare i poteri feudali e amministrativi già appartenuti ai vescovi, ma per giungere alla soluzione si dovette aspettare un cambio generazionale. Urbano II distolse la nobiltà europea indicendo la prima crociata (1099), mentre il suo successore, Pasquale II, fallì nel tentativo di tornare al rigore di Gregorio VII. Alla fine il nuovo papa Callisto II e il nuovo imperatore Enrico V firmarono il concordato di Worms, che riconosceva ai vescovi una duplice funzione, spirituale e temporale, e ne fissava l'elezione sotto l'esclusivo controllo "del clero e del popolo", anche se in Germania venne stabilito il diritto imperiale a presenziare l'elezione, dando il suo assenso o il veto ai nuovi eletti: così l'imperatore poteva avere uomini di fiducia da investire con incarichi temporali. In Italia e Borgogna invece l'imperatore non aveva questo tipo di controllo, ma l'investitura feudale avrebbe seguito la consacrazione vescovile, per cui l'imperatore avrebbe potuto anche negarla a personaggi a lui graditi.

Nel 1123 si tenne il primo concilio della Chiesa occidentale, il concilio Lateranense I, dove venne ribadita l'organizzazione della Chiesa attorno alla figura del papa, gerarchicamente superiore a tutti i vescovi e quindi detentore di un primato anche su tutte le altre Chiese locali: il primato di Pietro.

Nel concilio si mise anche un freno agli ordini monastici, mai come allora impegnati in un'attività pastorale al di fuori dei monasteri (si pensi solo a Pier Damiani), vietando loro di celebrare liturgie e fare omelie, stando sottoposti ai rispettivi vescovi. Vennero a mancare figure di mediazione verso i ceti più bassi, dove esistevano forme di cristianesimo popolari dove rivivevano talvolta tradizioni pagane mai dimenticate. Inoltre la Chiesa, con la riforma, sembrava aver tagliato fuori i laici. Ne furono conseguenza la formazione di movimenti come quello patarino (a Milano a metà dell'XI secolo) e la nascita di nuove eresie. Una prima risposta fu la creazione delle istituzioni "canonicali", formate dai canonici, il clero gravitante attorno a una cattedrale o una basilica maggiore. Essi vivevano in una casa comune (la canonica), avevano come capo l'arcidiacono e seguivano una regola risalente a sant'Agostino riformata da san Grodegango di Metz.

[modifica] L'impero bizantino: crisi e dinastia dei Comneni

L'impero bizantino, all'ascesa al trono di Alessio I Comneno, nel 1081.
L'impero bizantino, all'ascesa al trono di Alessio I Comneno, nel 1081.
L'impero bizantino, alla morte di Manuele I Comneno, nel (1180).
L'impero bizantino, alla morte di Manuele I Comneno, nel (1180).

Nel 1059 l'impero bizantino vedeva la fine della gloriosa dinastia macedone, che aveva regnato con il pugno di ferro aumentando la centralizzazione e la militarizzazione dell'impero, minacciato su più fronti da arabi, bulgari e principi di Kiev. Anche Roma era minacciosa dal punto di vista religioso, per le sue ormai chiare pretese di egemonia sulle altre sedi patriarcali compresa Costantinopoli. Costantino IX Monomaco e sua moglie la basilissa Zoe appoggiarono l'azione del patriarca Michele Cerulario che portò nel 1054 allo scisma d'Oriente. Quando la dinastia dei macedoni si estinse, il trono fu conteso tra le due più potenti famiglie bizantine del tempo, i Comneni, che avano il potere militare e i Ducas, che avevano il potere politico. Mentre ciò accadeva, l'esercito bizantino fu sconfitto dai turchi selgiuchidi, nella battaglia di Manzicerta, nel 1071, dopo questa battaglia, in breve tempo, l'impero bizantino perse tutta l'Asia Minore. Intanto la contesa tra le due famiglie continuava, per interrompersi nel 1081, anno in cui Niceforo III Botaniate spodestò Michele VII Ducas dal trono. Le due famiglie che non volevano perdere il potere si allearono, infatti il rappresentante dei Comneni, il generale Alessio I Comneno (1081-1118), sposò Irene Ducaena, con l'appoggio dell'esercito, Alessio I spodestò dal trono Niceforo III, nel 1081. I Comneni continuarono la politica dei macedoni tesa a rafforzare militarmente l'impero e riuscirono a risollevare le sorti dell'impero, che sembravano segnate. Alessio I Comneno subì lo smacco sia del nascente regno normanno in Italia Meridionale, sia del regno Franco di Gerusalemme in Terrasanta, entrambi sorti senza il suo assenso su terre formalmente di sua proprietà. Oltre a ledere i suoi diritti ciò poteva compromettere la supremazia bizantina nel Mediterraneo orientale. Nonostante ciò Alessio riuscì a farsi consegnare dai crociati i territori in Asia Minore, quindi riconquistrane tutte le zone costiere. L'impero sotto Alessio Comneno, poi anche dei suoi successori, visse una fase di rinascita, Alessio salvò l'impero dal crollo, visto che riuscì a sconfiggere l'invasione normanna in Grecia e nei Balcani.

Ad Alessio nel 1118, successe il figlio Giovanni II Comneno, egli intervenne più volte nei Balcani, sconfiggendo i peceneghi, e tenendo a bada i regni avversari di Serbia e Ungheria. Cercò di favorire i commerci dei pisani e dei genovesi, per affrancarsi il più possibile da Venezia. Con una serie di interventi militari ma soprattutto diplomatici, riuscì a continuare l'opera del padre, recuperando una parte dei domini dell'impero in Asia Minore sottraendoli ai turchi.

Miniatura di Manuele I Comneno.
Miniatura di Manuele I Comneno.

Gli successe nel 1143 il figlio Manuele I Comneno, egli arrivò alla rottura con la storica alleata Venezia. Fu il primo imperatore bizantino ad allearsi col papa e con l'imperatore germanico, contro i Normanni, un'intesa che svanì con l'arrivo al potere di Federico Barbarossa, che nella sua conflittualità con la Chiesa impose ai bizantini di scegliere l'uno o l'altro alleato: e si scelse la Chiesa romana, perché il programma di Federico era troppo sovrapposto agli interessi bizantini, a partire dalla rivalutazione del titolo e della funzione imperiale germanica. Avere rapporti col pontefice significava per Bisanzio anche accettare i suoi alleati, cioè la monarchia normanna di Sicilia, usurpatori dei territori bizantini da lunga data. Manuele, fu profondamente attratto dal rinato Occidente, stipulò una serie di alleanze che comprendevano il papa, i normanni, Venezia, i comuni italiani, alcuni grandi feudatari del centro Italia e i principi franchi in Terrasanta. Manuele voleva sia rovesciare il Barbarossa, sia avviare una politica occidentale nel solco di Giustiniano I: il suo sogno sarebbe stato riconquistare la Sicilia e il Mediterraneo, ma la sua invasione nel sud Italia non ebbe molto fortuna, nonostante i buoni inizi, però non riuscì a reimporre la sovranità bizantina in Italia. Per un obiettivo del genere egli avrebbe dovuto avere il fronte orientale pacifico e alleato, ma ciò non avvenne. Manuele attuò una grande politica militare, grazie a ciò conquistò il Regno di Serbia, sconfisse gli ungheresi, impose la sua sovranità su Antiochia e continuò la riconquista dell'Asia Minore. Purtroppo non riuscì a riconquistare l'entroterra dell'Asia Minore, vista la sconfitta nella battaglia di Miriocefalo nel 1176. Nel 1180 Manuele morì, dopo la sua scomparsa l'impero vacillò tra lotte intestine, congiure, intrighi e i soprusi dei latini (soprattutto i veneziani) che ormai avevano in pugno i commerci con Bisanzio. La successiva dinastia degli Angeli non poté evitare l'accordo tra i normanni (gli Altavilla di Sicilia) e gli imperatori germanici, che tornarono così uniti nella politica ostile contro Bisanzio: nel 1185 essi conquistarono Tessalonica. Ulteriormente indeboliti dai musulmani e dagli occidentali, i bizantini sembravano ormai stretti un una dura tenaglia, che si allentò solo con la scomparsa del Barbarossa (1190) e di suo figlio Enrico VI (1197), i quali, unita la propria corona a quella siciliana, tramavano ormai di una possibile conquista della capitale dell'impero.

[modifica] La nascita dei Comuni

Per approfondire, vedi la voce Comune (storia).
Torri medievali a San Gimignano, sorte in epoca comunale
Torri medievali a San Gimignano, sorte in epoca comunale

Nel corso del X secolo il mondo euro-mediterraneo uscì dalla lunga crisi climatica, demografica e sociale che persisteva dal almeno V secolo, ridando vita ai centri urbani. La domanda di maggior sicurezza dovuta alle pericolose invasioni di Ungari, Saraceni e Normanni portarono ripopolare e fortificare le città, che in quel periodo erano spesso guidate dai loro vescovi. Attorno al vescovo esisteva un'aristocrazia dei maggiori proprietari di beni immobili e mobili, spesso dotati anche di capacità militari e difensive. Nacquero così delle oligarchie che tenevano in mano il governo cittadino, in una sorta di autogoverno che si diffuse su larga scala in Europa occidentale e centrale tra i secoli XI e XIV, con il maggiore sviluppo a livello civile e di autocoscienza politica nell'Italia centro-settentrionale (soprattutto Pianura Padana, Veneto occidentale e Toscana). Le aree italiane, pur diventando di fatto indipendenti, rimasero a lungo "di fatto" assoggettate al Sacro Romano Impero, e mentre nel resto d'Europa le autonomie di stampo comunali venivano inquadrate ormai nelle varie monarchie assolute, solo in Italia (sebbene in un periodo prossimo al tramonto in favore dell'evoluzione verso le signorie principesche) esse presero una piena coscienza di autonomia. Ne sono un tipico esempio gli scritti del fiorentino Coluccio Salutati che rivendicava per la Repubblica di Firenze la dignità di Stato superiorem non reconoscens, rinunciando alla tutela dell'Impero in cambio della propria libertas.

Il comune ebbe una periodizzazione molto varia da zona a zona. Sebbene si identifichi un "periodo comunale" tra XI e XIV secolo, si deve considerare che contemporaneamente ai comuni propriamente detti coesistevano ancora istituzioni feudali di grande rilievo. Inoltre il comune non fu esclusivamente un fenomeno cittadino: non mancarono esempi anche di "comuni rurali".

Nel corso dell'XI secolo, durante la lotta per le investiture, la classe vescovile si vide messa in dubbio, con il graduale emergere di quei ceti di laici che l'avevano fino ad allora affiancata nel governo cittadino: aristocratici inurbati dal contado, detentori anche del potere militare, e una "proto-borghesia", composta dagli addetti alle professioni più qualificate (i ceti intellettuali come notai, giudici, medici) e redditizie (mercanti, cambiavalute, artigiani e, nelle città portuali, armatori). Le città godettero di un maggior sviluppo tra i secoli XI e XII, contemporaneamente allo svilupparsi di un sistema di governo cittadino proprio. Nacquero così una serie di magistrature collegiali dove si riunivano i ceti più importanti della città, variamente riconosciute o dai vescovi o dall'autorità regia o, nello Stato della Chiesa, dal papa. Queste magistrature avevano in deroga alcuni poteri locali. Espressione tipica dell'autogoverno dell'epoca furono i consules, scelti tra le famiglie più ricche e potenti.

La nascita vera e propria di un Comune varia da città a città e spesso, a causa della documentazione assente o perduta, è ignota. Le città di Lucca e Pisa avevano consoli già nel 1085, mentre altre se ne dotarono entro i due decenni successivi; a Genova fu dal 1099, a Milano dal 1117.

I problemi fondamentali che occuparono i comuni dell'epoca erano essenzialmente due: l'indipendenza dai ceti feudali dei dintorni (tramite l'assoggettamento del contado e l'inglobamento degli stessi feudatari nella vita cittadina) e il riconoscimento formale da parte delle autorità pubbliche superiori, innanzitutto l'imperatore romano-germanico. Dall'assoggettamento dei contadi tramite una serie di conflitti con i vari castelli e borghi fortificati della zona, si sfociò abbastanza presto anche in conflitti tra città e città riguardo ad aree diventate di confine. I rapporti con l'impero vennero definiti soprattutto dopo le trentennali lotte contro l'imperatore Federico Barbarossa, che portarono infine alla pace di Costanza ed al riconoscimento delle autorità comunali nel loro complesso come vassalli imperiali in ciascuna città; i consoli dovevano così giurare fedeltà al sovrano facendo rientrare i comuni, nati come eversione al sistema feudale, nella scala feudale stessa. A parte la formale concessione di autorità siglata nei solenni diplomi imperiali (profumatamente pagati nonostante riconoscessero un'autorità ormai di fatto indiscutibile), la sottomissione all'impero nel Tre-Quattrocento si concretizzava solo in periodici esborsi alla cancelleria imperiali per la promulgazione o conferma di vari privilegi, sollecitati dalle classi dirigenti comunali stesse.

[modifica] Organizzazione del governo consolare

I ceti che avevano in appannaggio le cariche consolari spesso non coincidevano con quelli che dominavano la vita cittadina dal punto di vista economici e culturale: non solo mancava l'espressione della volontà popolare, ma spesso nemmeno i ceti mercantili avevano accesso alla politica, saldamente tenuta dai ceti militari e aristocratici di origine feudale. Gradualmente ai consoli vennero ad affiancarsi nuove articolazioni, prime fra tutte le assemblee: dall'arengo di origine germanica (assemblea di tutti i liberi) nacquero, con nomi che possono variare da città a città, i parlamenti, i consigli maggiori e i più ristretti consigli minori. Tra i membri di questi due consigli venivano scelti i consoli.

Il regime consolare era strettamente quindi elitario: l'espressione libertas, che spesso campeggia nei motti comunali, non va intesa come sinonimo di libertà individuale nell'accezione moderna, ma sottintendeva la libertà cittadina rispetto a influenze esterne.

[modifica] Il governo podestarile

Interno del palazzo del Bargello di Firenze, edificato come palazzo del podestà
Interno del palazzo del Bargello di Firenze, edificato come palazzo del podestà

Il governo consolare stimolò le accese rivalità tra le famiglie aristocratiche cittadine, fomentate da inimicizie, rancori, ostilità e la mai dimenticata consuetudine, tipica dei popoli germanici, del diritto-dovere della vendetta. Per porre freno, per quanto possibile, a queste lotte interne a partire dalla seconda metà del XII secolo in quasi tutte le città comunali i consoli vennero sostituiti da un solo funzionario, il podestà, scelto di solito tra i forestieri per essere al di sopra delle fazioni cittadine.

Il regime podestarile non bastò comunque a risolvere problemi interni, aggravati anche da una tendenza all'incremento degli scontri con le città rivali, dovuto al completo assoggettamento dei territori liberi attorno alle città stesse ed all'inizio dei conflitti per la conquista i territori di altre città per interessi mercantili e politici, legati alla supremazia regionale. Alcune rivalità tra città sono rimaste proverbiali e tutt'oggi vive nel campanilismo cittadino: Firenze contro Pisa, Firenze contro Siena, Bologna contro Modena, Padova contro Verona, ecc... nel dominio dei mari si scontravano invece Genova contro Pisa e Venezia contro Genova.

[modifica] Le città non comunali

In Francia, in Fiandra o in Germania, sebbene anche lì si assistette a una ripresa della vita cittadina, non si può parlare di comuni. In quei casi le aristocrazie militari del contado non misero quasi mai piede nelle mura cittadine e la libertà di governo dei vari borghi era strettamente circoscritta da apposite concessioni dei principi o dei prelati della zona.

L'aristocrazia tedesca diffidava dei centri urbani, per questo vi si svilupparono più che altrove i ceti imprenditoriali e mercantili, con le stratificazioni della società (maiores, mediocres e minores) e la nascita delle gilde commerciali, le corporazioni di arti e mestieri. Nelle città venivano strappate al sovrano concessioni sulla politica locale talvolta tramite salati pagamenti, talvolta tramite vere e proprie spedizioni. In Germania più che altrove, si assistette alla compresenza contemporanea di più forme di governo e di autonomia, dalle città vescovile, a quelle rette da prìncipi, ai centri urbani più indipendenti, posti direttamente sotto l'autorità regia.

In Fiandra alla classe artigiana delle gilde ed all'autorità signorile (laica o ecclesiastica) ebbero importanza anche le Hanse, letteralmente le "carovane" di mercanti, con la creazione di una sorta di dicotomia: ancora oggi nelle città è spesso presente una città "alta", fortificata e dedicata alla classe dirigente, ed una città "bassa", dedicata alle attività commerciali. La formalizzazione dell'autorità nelle città si ebbe a partire dal decennio del 1070. In Francia del Nord alcune città ebbero un'autonomia che si evolse sul modello delle Fiandre (Le Mans, Cambrai, Beauvais). I governatori della città (gli "scabini") non provenivano però dai cittadini ma dall'entourage del signore feudale. Peculiare di quelle zone fu la coniuratio, un'associazione giurata riconosciuta dalle autorità con un diploma (la charte de commune), che veniva concessa alle città più importanti, mentre le altre usufruivano della "carta di franchigia", con la quale ottenevano alcune esenzioni per i commerci.

La Francia del Sud invece, sebbene conobbe inizialmente una situazione urbana simile a quella italiana, venne maggiormente controllata dalla monarchia, che limitò lo sviluppo delle villes de consulat (città consolari).

Il Sud-Italia invece vide l'annullamento delle spinte autonomistiche (nonostante il precoce sviluppo di alcune città costiere a partire dal X secolo) a causa della nascita dell'unitario regno normanno nel XII secolo.

[modifica] Le repubbliche marinare

Rilievo sulla torre di Pisa che mostra l'antico porto pisano
Rilievo sulla torre di Pisa che mostra l'antico porto pisano
Canaletto, Veduta dell'entrata dell'Arsenale di Venezia (1732)
Canaletto, Veduta dell'entrata dell'Arsenale di Venezia (1732)
La Torre di Galata, costruita dai genovesi a Costantinopoli
La Torre di Galata, costruita dai genovesi a Costantinopoli

Un particolare sviluppo ebbero le cosiddette repubbliche marinare. Alcune di esse (Venezia, Amalfi) godevano già di una fiorente economia e di un'autonomia politica considerevole nell'alto medioevo. L'esaurirsi delle razzie corsare musulmane dopo il X secolo permise il prosperare di nuovi porti, che però in alcuni casi erano frenati dal punto di vista della dinamica socio-economica da un forte potere centrale, come a Salerno, Napoli, a Bari o a Messina. Le città tirreniche come Genova e Pisa invece avevano potuto decollare quando il potere regale (formalmente esse erano sotto la corona del Regno d'Italia che apparteneva all'Imperatore germanico) era venuto meno, nell'XI secolo. Ai centri italiani si aggiunsero anche alcuni centri provenzali, come Marsiglia, e catalani (soprattutto Barcellona).

Già all'inizio del IX secolo i porti campani avevano una moneta propria, derivata dal tarì arabo (a testimoniare come il mondo musulmano fosse il mercato al quale essi guardavano). Ma fu a Venezia che poterono svilupparsi traffici di grande portata, grazie a una rete finanziaria, produttiva e commerciale che seppe instaurare in un vero e proprio impero economico. La navigazione sull'Adriatico fu sicura fin dal IX secolo e permise lo sfruttamento di rotte che andavano da Costantinopoli, alla Siria e la Palestina, al Nordafrica e alla Sicilia. I veneziani, nonostante i reiterati divieti, commerciavano con gli Arabi, comprese quelle merci proibite quali armi, legname, ferro e schiavi (provenienti soprattutto dalle popolazioni salve di Istria, Croazia e Dalmazia, tanto che da "slavo" derivò poi la parola "schiavo"). Contemporaneamente Genova e Pisa iniziavano a emergere con politiche autonome.

Durante il XII secolo maturò un profondo mutamento, che portò la navigazione ad essere il metodo di spostamento più comodo e usato: ne è prova il fatto che dalla Terza e dalla Quarta crociata in poi le truppe si mossero solo via mare, non perché le vie terrestri fossero diventate più insicure o lunghe (lo erano anche prima), ma perché ormai la nave era il mezzo più diffuso.

I numerosi conflitti che sorsero tra le città marinare scaturivano spesso da questioni commerciali in oltremare. Per esempio Pisa e Genova furono inizialmente alleate contro i saraceni, ma la rivalità su chi dovesse avere l'egemonia in Corsica e in Sardegna compromise inevitabilmente i rapporti.

Nelle città più importanti queste città avevano dei veri e propri quartieri con empori, fondachi, cantieri navali e arsenali, dove convergevano le piste carovaniere e da dove partivano le navi con i preziosi carichi per l'Europa. Le città marinare italiane spesso diressero le crociate dirottando gli sforzi verso l'apertura di rotte commerciali ad esse propizie: emblematico è il caso della conquista di Costantinopoli del 1204, attuata dai veneziani sfruttando le forze della quarta crociata, ma anche con la quinta crociata pisani e genovesi fecero puntare sui ricchi porti egiziani di Alessandria e Damietta per fondarvi colonie commerciali. Genova riuscì anche, grazie all'appoggio della dinastia bizantina dei Paleologi a estendere le proprie rotte oltre il Bosforo, nel Mar Nero dove entravano in contatto con i mongola dell'Orda d'oro e con i principati russi, verso i quali convergevano vie fluviali e carovaniere dal Baltico e dall'Asia centrale. Laggiù inoltre potevano acquistare il grano ucraino che riforniva l'Occidente. Alle fine del Duecento, con la battaglia della Meloria (1284) e quella di Curzola (1298) i genovesi batterono rispettivamente i pisani e i veneziani, assicurandosi, almeno apparentemente, un dominio mediterraneo.

[modifica] Il mondo musulmano tra XI e XII secolo

Il mondo islamico si estendeva ormai dalla Spagna all'India settentrionale e, sebbene fosse percepito dagli europei come un unico blocco compatto e ostile, esso era frammentato in molteplici realtà, senza alcuna finalità politica tra loro, anzi spesso in lotta l'uno contro l'altro. I califfati esistenti erano tre:

  1. il califfato sunnita abbaside di Baghdad era in teoria il più principale, che avevano un potere sulla carta dalla ]Siria settentrionale all'Asia centrale; nella pratica le varie dinastie locali, sottomesse solo formalmente al califfo, avevano il potere in ampie zone; accanto al califfo aveva ben più peso il Sultano selgiuchide, che lo controllava e ne dirigeva le mosse
  2. il califfato omayyade sunnita di Cordova dominava la Spagna e il Maghreb, ma si avviava a una breve, seppur splendida, vita;
  3. l'Imamato sciita del Cairo della dinastia fatimide, dove ben maggior potere del califfo avevano i loro vizir.
Una pagina dall'Algebra di al-Khwārizmī
Una pagina dall'Algebra di al-Khwārizmī

Sebbene indebolito dal punto di vista politico-militare, il mondo musulmano ebbe uno straordinario ruolo culturale, vero e proprio mediatore e rielaboratore tra grandi culture come quella greca, persiana, indiana, ecc. Oltre i centri dei califfati esistevano una serie di città-emirato con un'intensa vita culturale, quali Bukhara, Marrakesh, Samarcanda o Qayrawan. Nel X secolo gli arabi diffusero dalla Cina la carta, veicolo fondamentale per la cultura scritta, che all'epoca era un pilastro della conoscenza per lo studio necessario del Corano, all'epoca redatto nella sola lingua sacra dell'arabo. La letteratura musulmana era soprattutto scientifica, con straordinari trattati di storia, geografia, astronomia, geografia e architettura. I geografi musulmani viaggiavano dalla Cina al Circolo Polare Artico all'Africa ed erano i migliori conoscitori del mondo nel suo complesso, con opere ormai classiche della storia delle esplorazioni. Grandi personalità di tutti i tempi furono Avicenna, Averroè, Geber (padre dell'alchimia) o al-Khwarizmi (da cui deriva la parola algoritmo). Inoltre esisteva una notevole letteratura dei romanzieri, spesso anche a carattere popolare.

La cultura arabo-islamica arrivò in Occidente soprattutto grazie alla scuola dei traduttori di Toledo, nata nel corso del XII secolo sotto l'egida dei re di Castiglia, dove collaboravano in libertà dotti cristiani, ebrei e musulmani. Essa sta all'origine della rivoluzione scolastica, della nascita delle università e del successivo sviluppo scientifico-tecnologico occidentale.

[modifica] La comparsa dei turchi

La battaglia di Manzicerta in una miniatura: si vede in alto l'esercito di Romano IV Diogene mentre viene massacrato, e sotto il capo dei selgiuchidi Alp Arslan che usa l'Imperatore per salire a cavallo.
La battaglia di Manzicerta in una miniatura: si vede in alto l'esercito di Romano IV Diogene mentre viene massacrato, e sotto il capo dei selgiuchidi Alp Arslan che usa l'Imperatore per salire a cavallo.

Nel mondo islamico, oltre al gruppo etnico degli Arabi (semiti), in seno ai quali era nato l'Islam e la cui lingua era la lingua sacra del Corano, era importante la componente persiana (indoeuropea), dalla cui fusione e assimilazione era nata una cultura bilingue definibile arabo-persiana, che caratterizzò l'Islam mediorientale. A partire dai secoli X-XI si aggiunse nello scacchiere musulmano anche la popolazione turca, di ceppo uralo-altaico e lingua della famiglia ugro-finnica. Essi, dopo un periodo di migrazioni dall'Asia nord-orientale, si erano insediati nel X secolo in un'ampia zona che confinava con India, Persia e Cina. Essi erano strutturati come una confederazione di tribù con a capo dei khagan (poi contratto in khan). Nell'XI secolo la tribù selgiuchide, di origine turkmena, recentemente convertita e dotata di una notevole forza militare (con cavalieri e arcieri formidabili), prestò il suo supporto al califfo abbaside di Baghdad, che allora era minacciato da più fronti. Accettata la loro offerta il khan divenne sultano ed affiancò in una specie di diarchia il califfo, fondando una sorta di impero politico-militare dall'Anatolia alla Persia centrale. Agli ordini del sultano c'erano i capi militari (agha) e i governatori locali (beg o atabeg), i quali si scontravano spesso con potentati più antichi di vari emiri, sceicchi e wali locali. Nel 1071 i turchi divennero famosi per aver battuto l'impero bizantino nella battaglia di Manzicerta, fondando in Anatolia il sultanato di Rum (la "nuova Roma") con capitale Iconio (attuale Konya).

[modifica] Spagna e Maghreb

Il dominio almoravide alla massima estensione (in verde)
Il dominio almoravide alla massima estensione (in verde)

I regni delle Asturie e di Navarra nel X secolo erano riusciti a riorganizzarsi ed a coordinare le proprie forze verso un attacco per riprendere il terreno dai musulmani che passò alla storia col nome di Reconquista e che terminò solo nel 1492. Anche gli arabo-berberi lottarono duramente per mantenere il controllo nella penisola iberica. Nel 996-997 il gran visir Ibn Abi Amir al-Mansur (detto dalla storiografia europea Almanzor) ordinò una spedizione dimostrativa che saccheggiò devastò la città meta di pellegrinaggi di Santiago di Compostela, sebbene non profanò le reliquie dell'apostolo Giacomo. La sortita, che doveva avere un effetto simbolico e intimidatorio, ebbe effetti del tutto opposti: la Cristianità, sentendosi minacciata in uno dei suoi luoghi simbolo, secondo una devozione che tramite l'abbazia di Cluny si era ormai già radicata in tutta Europa, rispose con indignazione ed entusiasmo per vendicare dell'affronto. Da allora pellegrinaggio e Reconquista furono le due facce di una stessa medaglia.

Dopo la scomparsa di Almanzor la compagine musulmana di sfaldò, perdendo unitarietà e quindi incisività, dilaniata dai conflitti tra famiglie arabe e famiglie berbere. Gradualmente le truppe castigliane-leonesi ed aragonesi ripresero la valle del Duero, le città di Coimbra e di Barbastro (1064). Alfonso VI di Castiglia, con l'aiuto del leggendario El Cid, conquistò Toledo nel 1085, una delle più splendide e colte dell'epoca, con l'appoggio di alcuni dissidenti tra i musulmani, tra i quali al-Qadir malik di Badajoz al quale fu promessa Valencia. L'assassinio dell'alleato al-Qadir fece ribellare il Cid, che assediò Valencia conquistandola nel 1094 e, riconciliatosi con Alfonso VI, insediandovisi come signore fino alla morte (1099).

Statua di El Cid in un parco a San Diego, California
Statua di El Cid in un parco a San Diego, California

Il ceto dirigente di Cordova era preoccupato dall'avanzata cristiana e decise di rivolgersi alla più forte potenza nell'Islam occidentale, la confraternita rigorista degli Almoravidi capeggiati da Yusuf Ibn Tashfin. Essi si erano formati sulle rive del Senegal e del Niger, nei conventi-fortezza detti ribat, e si erano impadroniti del Marocco e dell'Algeria. Giunti in Spagna si scontrarono con i castigliani a Zallaqa (oggi Sagrajas) il 23 ottobre 1086, dove imposero ai cristiani una delle più gravi sconfitte mai subite, con il re Alfonso che si salvò a stento con pochi altri cavalieri. Gli Almoravidi imposero la loro egemonia su tutti i signori locali islamici (i reyes de tarifas, talora con la forza, imponendo un dominio rigorista, che però portò a un periodo di prosperità e serenità, con una leggera pressione fiscale tanto sui musulmani quanto sugli ebrei e cristiani (i dhimmi). Il loro dominio si estendeva dall'Africa nord-occidentale alla Spagna, con prospere città quali Marrakesh, Fez, Tlemcen, Sigilmassa e Almeria. Coniarono monete d'oro (i marabottini) apprezzate e ricercate in tutto il Mediterraneo. Straordinario fu lo sviluppo del dibattito teologico e filosofico, con le madrase e la biblioteca di Cordova attive più che mai.

La riscossa militare dei cristiani e la nuova corrente degli "Unitari" (al-Muwahhidun ), nata in Nordafrica, segnarono la fine degli Almoravidi. Nel 1147 gli Almohadi (rigoristi seguaci dell'autoproclamato mahdi Ibn Tumart) conquistarono Marrakesh, mentre i cristiani, sfruttando la crisi, presero poco dopo Almeria e Lisbona. Gli Almohadi cacciarono i Normanni dalla costa africana e in seguito, chiamati dall'emiro di Valencia e di Murcia, sbarcarono in Spagna nel 1162, occupando Siviglia, che venne scelta come capitale. Il nuovo califfo almohade Abu Yusuf Ya'qub lanciò una controffensiva verso nord, sconfiggendo nella battaglia di Alarcos re Alfonso VIII di Castiglia (10 luglio 1195) Gli Almohadi furono molto più duri dei loro predecessori Almoravidi, costringendo all'esilio grandi pensatori del tempo come Maimonide e Averroè (il primo trovò rifugio nella tollerante corte cairota del Saladino). Alarcos aveva preceduto di poco il trionfale ingresso del Saladino a Gerusalemme (1187), per cui in quel periodo sembrò che l'Islam stesse trionfando stringendo in una morsa la cristianità, spingendo papa Innocenzo III a indire una grande nuova crociata (1198), anche se le due vittorie erano episodi completamente indipendente, per certi aspetti solo una coincidenza.

[modifica] Le crociate

Per approfondire, vedi la voce crociata.

[modifica] Prima crociata

Grazie a una serie di condizioni favorevoli (la crescita demografica ed economica, l'ampia disponibilità di nobili armati esclusi dalla successione ereditaria, la voglia di trovare un modo per riabilitarsi dell'aristocrazia fortemente compromessa contro la riforma gregoriana, la riconquista dello spazio mediterraneo da parte delle città marinare e il successo di alcune spedizioni contro i mussulmani in Spagna e Sicilia) e prendendo come pretesto le difficoltà dei bizantini contro i turchi selgiuchidi ed alcune, isolate, vessazione sui cristiani da parte di alcuni poteri musulmani in Terra Santa, l'Europa iniziò, senza be sapere a cosa andasse incontro, quella che poi venne chiamata l'avventura della crociata. All'appello di Clermont (1095) di papa Urbano II risposero sia la nobiltà europea, sia un'ampia fetta di gente comune animata dall'entusiasmo inculcato da alcuni predicatori come Pietro l'Eremita.

Partiti verso Costantinopoli senza una strategia precisa, in una sorta di originale pellegrinaggio armato, le truppe superstiti (tragicamente annientate erano state quelle della cosiddetta crociata dei poveri) si ritrovarono nella capitale bizantina nel 1096. Avvalendosi di un innegabile effetto sorpresa sul frammentato mondo musulmano, i crociati conquistarono in poco tempo l'Anatolia e tutta la costa del Mar di Levante compresa la Palestina: nel 1099 conquistarono Gerusalemme, creando un Regno che sarebbe sopravvissuto per quasi due secoli. Il primo sovrano fu Goffredo da Buglione, ma solo suo fratello Baldovino prese il titolo di re. Le conquiste vennero spartite tra i nobili partecipanti all'impresa creando gli Stati crociati e alcuni feudi minori, tutti sottoposti, almeno formalmente, alla corona di Gerusalemme.

[modifica] Seconda crociata

Bernardo di Chiaravalle predica la seconda crociata
Bernardo di Chiaravalle predica la seconda crociata

La Seconda crociata (1145-1147), fu causata dalla caduta di Edessa nel 1144.

Il teologo San Bernardo di Chiaravalle teorizzò, in risposta alla difficoltà per un cristiano di conciliare la guerra non difensiva con la parola di Dio, la teoria del malicidio: chi uccide un uomo intrinsecamente cattivo, quale è chi si oppone a Cristo, non uccide in realtà un uomo, ma il male che è in lui; dunque egli non è un omicida bensì un malicida.

Questa episodica giustificazione, in risposta a un espresso quesito dei Cavalieri Templari, non assunse tuttavia il carattere di giustificazione generalizzata di quella che fu, in effetti, una campagna per la ripresa di Antiochia.

La seconda crociata venne condotta con un'eccessiva spavalderia dal re di Francia Luigi VII, alleato al solo Corrado III del Sacro Romano Impero, ignorando le possibili alleanze con alcuni potentati musulmani che avrebbero permesso di riprendere la contea di Edessa. Egli, ascoltando le perorazioni di alcuni cattivi consiglieri abbagliati dalle ricchezze di Damasco, cinse di assedio la capitale siriana senza nemmeno cercare l'aiuto del re normanno di Sicilia né del basileus bizantino, riportando una disastrosa sconfitta nel 1148.

[modifica] Terza crociata

La terza crociata (1189-1192), detta anche la "crociata dei Re", fu un tentativo, da parte di vari sovrani europei, di strappare Gerusalemme e quanto perduto della Terrasanta, al Saladino. Vi parteciparono Federico Barbarossa, che morì in Anatolia pare per un arresto cardiaco, Filippo II Augusto, re di Francia e Riccardo Cuor di Leone, re d'Inghilterra.

Grazie agli sforzi di Riccardo d'Inghilterra, fu ottenuto almeno un risultato positivo, la riconquista di San Giovanni d'Acri, che divenne la nuova capitale del Regno. Dopo la battaglia di Arsuf fu siglata col Saladino la pace di Ramla del 1192.

[modifica] L'impero latino di Costantinopoli (quarta crociata)

Per approfondire, vedi la voce Impero latino di Costantinopoli.
Enrico Dandolo invoca la crociata, illustrazione di Gustave Doré.
Enrico Dandolo invoca la crociata, illustrazione di Gustave Doré.

L'impero bizantino alla fine del XII si era gradualmente indebolito, perdendo in sequenza la Serbia, la Croazia e la Dalmazia. Le lotte tra Alessio IV Angelo, figlio di Isacco II Angelo, e suo zio Alessio III Angelo innescarono conseguenze allora imprevedibili. Dopo essere stato imprigionato col padre, Alessio IV riuscì a fuggire rivolgendosi a Venezia. In questa città si trovavano concentrate le forze della quarta crociata in attesa di imbarcarsi per la Terrasanta ma prive dei soldi necessari a pagare le navi veneziane per il trasporto (1202). Il doge Enrico Dandolo ebbe allora una brillante idea, quella di offrire loro il trasporto in cambio della conquista da parte dei crociati della città ribelle di Zara, che era uno degli scali verso la meta. Essi accettarono, ma il saccheggio e la conquista di una città cattolica suscitò in seguito un'ondata di scandalo nella Cristianità. Innocenzo III scomunicò i veneziani, ma non arrivò a una paradossale scomunica dei crociati, formalmente suoi inviati. A Zara Dandolo incontrò Alessio IV, figlio del detronizzato Isacco, che gli chiese aiuto per usurpare lo zio usurpatore. La posta era molto allettante e Alessio IV aggiunse sul piatto una forte ricompensa in denaro e la ricomposizione della Scisma d'Oriente. Fu così che nel 1203 i veneziani e i crociati giunsero a Costantinopoli, la conquistarono, rovesciando Alessio III, restaurando Isacco II e Alessio IV. Ma i bizantini non avevano intenzione di ripagrare i crociati, come aveva promesso Alessio IV, infatti i due imperatori furono assassinati da Alessio V Ducas, che si proclamò imperatore, ed annullò tutte le promesse ai crociati. I crociati in risposta, assediarono la città e la conquistarono nuovamente nel 1204, saccheggiandola, rovesciando così l'impero bizantino, spartendo poi le sue terre, che furono divise tra Baldovino conte di Fiandra, eletto dai crociati "imperatore latino di Costantinopoli", che prese un terzo; un altro terzo andò ai vari nobili che avevano preso parte all'impresa; l'ultima fetta venne presa dai veneziani, che si appropriarono così delle isole greche e dei principali scali navali, assicurandosi il monopolio dei traffici nel Mediterraneo orientale a discapito dei rivali genovesi.

La frammentazione dell'impero bizantino dopo il 1204: l'impero latino (rosso), l'impero di Nicea (blu), l'impero di Trebisonda (viola) e il despotato d'Epiro (verde scuro); i confini sono molto incerti, in più è anche rappresentata l'impero bulgaro (verde chiaro).
La frammentazione dell'impero bizantino dopo il 1204: l'impero latino (rosso), l'impero di Nicea (blu), l'impero di Trebisonda (viola) e il despotato d'Epiro (verde scuro); i confini sono molto incerti, in più è anche rappresentata l'impero bulgaro (verde chiaro).

I crociati non erano né interessati né in grado di metter su una vera e propria compagine statale, ma neanche uno stato sul modello feudale. I nobili bizantini si erano rifugiati ai confini dell'ex-impero, dove si organizzarono in piccoli stati che meditavano la rivincita (Nicea, Trebisonda...). Innocenzo III fu imbarazzato dal prezzo che era costato la ricomposizione dello scisma e ben presto ci si dovette accorgere che in realtà la frattura tra latini e ortodossi era invece affossata più che mai. Dopo pochi decenni Giovanni III Vatatze si alleò con i genovesi per fare piazza pulita dei rivali, arrivando a impadronirsi di tutte le province orientali e poi di Tessalonica (1246). Nel 1261 Michele VIII Paleologo sconfisse Baldovino II grazie all'appoggio di Genova, che guadagnò una posizione di preminenza nel Levante. La nuova dinastia tentò di ricucire i rapporti diplomatici tra Oriente e Occidente, ma l'impero era ormai duramente provato dalla rapace dominazione latina.

[modifica] Nuovi movimenti religiosi

[modifica] Patarini

La Pataria fu un movimento originatosi a Milano verso il 1045, che si scagliava duramente contro il clero corrotto, dedito alla simonia ed al nicolaismo. Nonostante i disordini che causarono con papa Gregorio VII essi vennero visti come alleati nel periodo della riforma. Nonostante ciò gli obiettivi di fondo di patarini e dei riformatori non coincidevano: se i primi volevano una Chiesa povera di puri ed uguali, i secondi miravano solo a escludere i poteri laici dalla vita ecclesiastica. Ci fu delusione e disorientamento nel movimento allorché, concluso il processo di riforma, ci si accorse che le tesi del movimento non avrebbero più potuto essere applicate, per questo alcuni iniziarono ad accusare la gerarchia ecclesiastica avvicinandosi ai catari e entrando nell'eresia. Furono perseguitati da papa Lucio III nel 1185.

[modifica] Catarismo

I Catari espulsi da Carcassonne nel 1209
I Catari espulsi da Carcassonne nel 1209

Se la pataria era un movimento religioso, il catarismo era una vera e propria eresia. Avvalendosi di idee dei manichei e degli gnostici (giunte in Italia probabilmente attraverso i Balcani o attraverso i pellegrinaggi in terra Santa) essi elaborarono un dualismo basato sulle parole di Cristo nei Vangeli dove predica un Regno Celeste opposto al Regno mondano sulla terra. Essi formularono così delle antitesi tra Bene e Male, Luce e Tenebra, Spirito e Materia che, portate a conseguenze estreme, giunsero a rifiutare drasticamente tutto quello che rappresentava la vita terrena, compresa la riproduzione, l'atto sessuale, l'alimentazione con alimenti derivati da tali atti sessuali (carni, uova, latte), ecc. Per il cataro "perfetto" (secondo la distinzione tra simpatizzanti, detti "credenti", e praticanti veri e propri) il fine ultimo era il lasciarsi morire di fame (endura) liberando così il suo spirito dalla coercizione della Materia, voluta da l'anti-Dio, cioè Satana, che corrispondeva anche al Dio-creatore del Vecchio testamento.

La presa che la dottrina catara fece su ampie fette di popolazione, soprattutto dei ceti più umili, fu preoccupante per la Chiesa cristiana, con zone ad alta densità come la Lombardia, la Toscana e soprattutto la Provenza e Linguadoca. Essi venivano detti anche "albigesi", dalla città di Albi divenuta loro enclave. I catari disprezzavano il clero cristiano, che ritenevano corrotto e compromesso, per questo avevano una propria struttura gerarchica con vescovi itineranti. Contro i catari venne istituito il tribunale dell'Inquisizione e si arrivò ad indire una crociata contro di loro (tra il 1209 e il 1229).

[modifica] Congregazioni benedettine

Ricostruzione dell'entrata dell'abbazia di Cluny al suo massimo splendore nel XII secolo
Ricostruzione dell'entrata dell'abbazia di Cluny al suo massimo splendore nel XII secolo

Oltre a movimenti "scomodi", fiorirono dalle idee del periodo della riforma anche alcuni movimenti monastici in seno alla Chiesa, che partendo dalla Regola benedettina la modificarono e aggiornarono secondo nuove esigenze. Fu il caso degli ordini caratterizzati da una rinnovata carica contemplativa come i certosini e i camaldolesi, che riportarono in Occidente il monachesimo di stampo eremitico, all'epoca diffuso solo in ambito orientale. La "fuga" dal mondo di queste nuove congregazioni non era però da intendersi come diserzione dalla Chiesa, anzi, era un percorso soprattutto interiore contro le spinte personali verso i beni terreni e i piaceri della vita. Essi vivevano in povertà in monasteri disadorni di statue, dipinti o vetrate, con una dura attività lavorativa di dissodamento dei terreni, costruzione di mulini ad acqua, ecc. Il più importante promotore dell'ordine cistercense fu Bernardo di Chiaravalle. Una parte dell'insegnamento cistercense venne ripreso dal calabrese Gioacchino da Fiore, che istituì la comunità detta "florense" sulla Sila e scrisse alcune opere di carattere mistico e apocalittico, nelle quali metteva in guardia verso l'attesa della terza era, quella dello Spirito Santo, caratterizzata dal perfezionamento della legge dell'amore derivata dal Vangelo.

Un'altra congregazione nata dai benedettini era anche quella dei cluniacensi, ma questo movimento, nato dalla ricca e potente abbazia di Cluny, privilegiava, alla vita spirituale e frugale dei monaci, un apparato liturgico più fastoso, una ricchezza che era sinonimo del prestigio della congregazione.

[modifica] Valdesi e Umiliati

Nella Chiesa del medioevo erano rare le occasione per la catechesi e la lettura diretta delle Sacre Scritture da parte dei fedeli era scoraggiata. Gli ordini monastici non erano a contatto con la gente e mancava la possibilità per un buon cristiano per vivere secondo le norme del Vangelo senza però entrare nel clero. In questo contesto poterono nascere e svilupparsi i movimenti ereticali, con esperienze di vita comuni, secondo i dettami del Vangelo e degli Atti degli apostoli, in assenza di gerarchia e con la comunione dei beni: un esempio fu la comunità dei pauperes Lugdunensen, fondata a Lione nel 1173 da Pietro Valdo e condannata come eretica perché prescindeva dai chierici per la predicazione. L'esempio di Valdo venne comunque seguito soprattutto in Lombardia e Toscana dove erano ancora vivi i ricordi della pataria. Ne nacquero alcuni sodalizi come i Poveri di Lombardia e gli Umiliati. Quest'ultimi erano composti dai lavoratori salariati della lana nelle grandi città, che solo più tardi vennero accettati dalla gerarchia ecclesiastica come vero e proprio ordine monastico.

Innocenzo III, seguendo la linea dei suoi predecessori, guardava con molta diffidenza a questi movimenti nati spontaneamente, che rivendicavano un'autonomia rispetto all'autorità ecclesiastica che li condannava all'eresia.

[modifica] Gli Ordini mendicanti

Nel 1210 Innocenzo III cambiò la sua politica di diffidenza approvando l'iniziativa di un cittadino assisate poco più che trentenne, Francesco di Pietro Bernardone, che si era dato, con alcuni compagni, ad una vita povera e pura ma votata alla guida della Chiesa verso la quale egli si dirigeva costantemente per ricevere direzione e insegnamento. Il futuro san Francesco d'Assisi era la personalità ideale per Innocenzo, che poteva finalmente incanalare le inquietudini e il bisogno di partecipazione dei ceti più umili nel seno della Chiesa, senza porsi come antagonista ad essa scivolando nell'eresia.

Inizialmente Francesco non cercava di fondare un vero e proprio Ordine, né Innocenzo desiderava qualcosa di nuovo: si limitò a dare un assenso verbale alla sua condotta di vita concedendogli la tonsura che segnalava esteriormente la sua appartenenza al clero. All'esempio di Francesco si rifece anche Chiara Scifi, che fondò una comunità analoga ma femminile, il "secondo ordine", mentre i laici poterono entrare in una confraternita che seguiva i precetti francescani senza però abbandonare le proprie attività e famiglie: il "terzo ordine".

Grazie alla notevole popolarità di Francesco e dei suoi seguaci, la fraternitas divenne presto un vero e proprio ordine monastico, con una regola, redatta nel 1221 e corretta nel 1223 da Francesco stesso, che venne finalmente approvata ufficialmente da papa Onorio III. Francesco era forse ammalato e probabilmente amareggiato (la doppia stesura della regola a distanza ravvicinata testimonia un ripensamento a fronte di difficoltà nel progetto), si ritirò dunque in disparte deferendo l'Ordine ad alcuni suoi discepoli, e morì nel 1226 venendo canonizzato appena due anni dopo.

La più antica immagine di san Domenico, basilica di San Domenico, Bologna (XIV secolo)
La più antica immagine di san Domenico, basilica di San Domenico, Bologna (XIV secolo)

Parallela all'esperienza di Francesco fu quella del chierico spagnolo Domenico di Guzman, canonico nella cattedrale di Huesca. Egli fondò i frati predicatori, ispirandosi forse all'efficacia della predicazione dei movimenti ereticali, dei quali voleva contrastare la propaganda tramite la parola e la povertà di vita. Essi erano per questo preparati teologicamente molto bene, essendo votati alla confessione ed alla predicazione. La confraternita di Domenico divenne Ordine nel 1215. Morì nel 1221 quando i domenicani erano ormai già una forza sparsa in tutta Europa.

Francescani e domenicani vennero detti ordini mendicanti, in quanto professavano la povertà non solo a livello personale, ma anche di tutto l'ordine. Si chiamavano tra di loro "fratelli" (fratres da cui la parola frate) ed abitavano nelle città a contatto con le persone nei conventi, più semplici dei monasteri e con un carattere inizialmente di punti d'appoggio temporanei. Essi organizzavano continuamente opere assistenziali e si mostravano vicini ai poveri e i diseredati, dimostrando come si potesse vivere in povertà restando nella perfetta ortodossia della Chiesa. Gli Ordini mendicanti dipendevano direttamente dalla Santa Sede ed erano per questo un ottimo strumento di controllo pontificio nelle varie città. Questo inquadramento venne vissuto con contrasti tra i francescani, che si divisero nelle fazioni dei "conventuali" (più moderati) e degli "spirituali" (più rigorosi circa il messaggio del fondatore). Alla fine prevalse la linea morbida rispetto ala papato dei conventuali.

Il successo di questi nuovi ordini spinse alla fondazione di numerosi nuovi Ordini, che nel concilio di Lione del 1274 vennero limitati ai carmelitani e gli agostiniani: altri, come l'Ordo apostolorum del parmigiano Gherardo Segalelli vennero perseguitati. Ma ormai i nuovi gruppi avevano come antagonisti ben preparati ad affrontarli li stessi domenicani e francescani, per cui si può dire che le folle fossero ormai al sicuro sotto l'ala dell'ortodossia romana.

[modifica] La dinastia sveva

Corrado III da una miniatura del XIII secolo
Corrado III da una miniatura del XIII secolo

Con Enrico V si era estinta nel Sacro Romano Impero la dinastia salica. I nobili tedeschi non riuscivano a trovare un accordo sulla successione e si delinearono due fazioni principali opposte: una favorevole ai duchi di Baviera detta dei guelfi (da un Welf capostipite della dinastia bavarese) e una favorevole ai duchi di Svevia detta "ghibellina" da Weiblingen, un castello degli Hohenstaufen che avevano il ducato di Svevia grazie al favore di Enrico IV. In un primo momento prevalsero i bavaresi, con l'assegnazione della corona a Lotario di Supplimburgo, duca di Sassonia, che regnò dal 1125 al 1137. I tedeschi però non approvarono la sua politica troppo arrendevole nei confronti di Innocenzo III al quale cedette i diritti sull'eredità di Matilde di Canossa, che essa aveva illegittimamente lasciato alla Chiesa, essendo essa feudataria e quindi inabilitata a trasmettere i feudi ereditariamente.

Nel 1137 quindi i nobili tedeschi appoggiarono l'ex avversario di Lotario, Corrado di Svevia, il quale non fu giudicato all'altezza dell'incarico dopo il disastro della seconda crociata. Alla sua scomparsa (1152) venne dunque scelto il suo giovane nipote, Federico, duca di Svevia, poi noto in Italia come il "Barbarossa". Egli sembrava essere il candidato ideale anche perché imparentato da parte di madre con i duchi di Baviera, quindi legato a entrambe le fazioni.

[modifica] Federico I

Per approfondire, vedi la voce Federico I del Sacro Romano Impero.
Miniatura del Barbarossa, da manoscritto del 1188
Miniatura del Barbarossa, da manoscritto del 1188

Federico iniziò infatti una politica conciliante, lasciando un ampio spazio alla nobiltà e avvalendosi dell'appoggio del suo cugino Enrico il Leone, il quale aveva riunito nelle sue mani i due ducati di Baviera e di Sassonia. I primi provvedimenti di Federico (1152-1154) furono tutti rivolti alla Germania, la cui nobiltà laica ed ecclesiastica venne spesso convocata in assemblee (le diete). Egli iniziò a piegare le forze a lui avverse, confiscando terreni che dava ad amministratori di origine servile, i quali, grati dell'appoggio dimostrato dal sovrano, ottennero prestigio e potere e divennero una nuova aristocrazia ministeriale a lui fedelissima.

Dopo il 1154 decise di scendere in Italia per essere incoronato, arrivando a Roma nel 1155. Qui represse su richiesta del papa il nascente comune e ne consegnò l'animatore, Arnaldo da Brescia, al pontefice, che lo fece ardere al rogo. Dopo l'incoronazione Federico decise di iniziare a imporre la propria volontà ai comuni italiani, convocando due diete a Roncaglia (1154) e a Piacenza (1158). Durante la seconda emise la consitutio de regalibus, dove stabiliva quali erano i diritti del Re d'Italia (titolo che faceva parte della sua corona) che i comuni avevano usurpato (soprattutto diritti di esazione di imposte, pedaggi, dazi sui ponti, sui mulini, sulle strade, diritti di tener tribunale e di batter moneta). I fondamenti giuridici di tali rivendicazioni vennero offerti dalla recente ma già importante scuola giuridica dell'Università di Bologna (ricompensata dall'Imperatore con la sua protezione), che attinse, riportandolo in Europa, al diritto romano nella codificazione voluta da Giustiniano I. Questa politica procurò a Federico l'inimicizia dei comuni dell'Italia settentrionale, che capeggiati da Milano. Inoltre era salito al soglio pontificio di Alessandro III, che si era alleato con l'imperatore bizantino Manuele Comneno in funzione anti-germanica. Federico aveva cercato di ostacolare questa elezione ed era arrivato a far eleggere un antipapa, cosa che alla fine gravò sul suo prestigio futuro.

La morte di Federico Barbarossa, illustrazione ottocentesca di Gustave Doré
La morte di Federico Barbarossa, illustrazione ottocentesca di Gustave Doré

I Comuni italiani, che ormai si erano spinti molto avanti in quanto a indipendenza dall'impero, non gradirono l'invio di podestà scelti dall'imperatore, né atti di forza come la distruzione di Milano del 1162 e iniziarono le prime ribellioni: la lega veronese del 1163 diventata poi lega lombarda, appoggiata anche da Venezia, nel 1167. Poiché l'equilibrio in Germania si stava incrinando per il perdurare dello scisma dell'antipapa Vittore IV e per la politica eccessivamente indipendente di Enrico il Leone, il Barbarossa non poteva concentrarsi sull'Italia e quando vi scese riportò una sonora sconfitta nella battaglia di Legnano del 1176. In quel momento l'Imperatore sembrava avere nemici su tutti i fronti (i Comuni, il papa, alcuni principi tedeschi, l'Imperatore bizantino e il normanno re di Sicilia), per questo egli capì di doversi dedicare intanto a rompere il fronte troppo compatto degli avversari. Si accordò allora col papa a Venezia (1177), ponendo fine allo scisma. I Comuni, privati dell'appoggio pontificio, cercarono allora una tregua, che poi divenne la pace di Costanza del 1183: essi ottennero l'autonomia sostanziale, ma formalmente essi dovettero accettare la sottomissione all'Impero. In seguito Federico si accordò col re di Sicilia combinando il matrimonio tra suo figlio Enrico e la figlia di re Ruggero, Costanza d'Altavilla, celebrato nel 1186.

A questo punto Federico si dedicò di nuovo alla Germania, dove Enrico il Leone faceva una politica del tutto indipendente da lui e lo aveva tradito negandogli l'aiuto a Legnano. Nel 1180 Federico lo mise al bando, con una doppia condanna sia da un tribunale feudale che dalla dieta. Enrico si sottomise nel 1181, recuperò alcuni beni allodiali, ma Federico da allora si rifiutò di reintegrarlo nella scala feudale.

Il passo successivo del Barbarossa sarebbe stato a rigor di logica diretto a Bisanzio, ed infatti partì nella terza crociata, ma morì per cause pare naturali in Anatolia durante la marcia verso Gerusalemme.

[modifica] Enrico VI

Enrico VI e Costanza, dal Liber ad honorem Augusti, Pietro da Eboli, 1196
Enrico VI e Costanza, dal Liber ad honorem Augusti, Pietro da Eboli, 1196

Per la felice politica matrimoniale, il figlio di Federico, Enrico VI aveva ottenuto anche la corona di Sicilia. Ma se da parte germanica non vi furono contestazioni alla sua elezione, nel Meridione d'Italia egli fu conteso da duca normanno Tancredi di Lecce. Ma, con la morte di Tancredi e anche di un altro pretendente, Riccardo Cuor di Leone (che vantava parentele sia con Enrico il Leone sia con i normanni, dopo il matrimonio di sua sorella con Guglielmo II di Sicilia) la situazione sembrò quietarsi. Nel Natale del 1194 Enrico venne incoronato a Palermo e il giorno dopo, a Iesi, veniva alla luce il suo erede Federico Ruggero, che nel nome aveva già il ricordo dei monarchi dei due regni.

Fu fin da allora chiaro come Enrico stesse cercando di trasformare la corona imperiale in un titolo ereditario per la dinastia sveva, sollevando le proteste dei nobili tedeschi, dei comuni e del papa. Enrico morì a soli trent'anni per un banale incidente lasciando il figlio di appena tre anni.

Dopo la parentesi di Ottone IV Federico fu eletto.

[modifica] Federico II

Per approfondire, vedi la voce Federico II del Sacro Romano Impero.

Alla morte di Enrico VI, il figlio Federico, a soli quattro anni, fu proclamato re di Sicilia (1198) sotto la reggenza della madre, Costanza d'Altavilla. Costanza, vedova di Enrico VI, riconobbe la signoria feudale del papa, con il quale concluse un concordato rinunziando all'impero per conto di Federico ed affidando al papa la reggenza per il figlio e poco dopo morì.

Federico ritratto con un falco (dal De arte venandi cum avibus)
Federico ritratto con un falco (dal De arte venandi cum avibus)

Appoggiato dal papa, che per arginare l'eccessiva potenza del regno di Germania si era fatto promettere che egli non avrebbe mai riunito le corone di Germania e di Sicilia, nel 1212 Federico fu eletto re di Germania e, nel 1220, fu consacrato imperatore da papa Onorio III, dopo aver promesso di tenere fede agli impegni assunti con il suo predecessore.

Avendo poi disatteso le promesse di partecipazione alle crociate, fu scomunicato dal nuovo papa Gregorio IX, ma nel 1228 guidò una spedizione in Terrasanta e con un accordo diplomatico ottenne la restituzione di Gerusalemme (quinta crociata).

Raffinato e moderno uomo di cultura, oltre che abile politico e esperto diplomatico, lasciò in Germania larga autonomia ai grandi feudatari, rivolgendo il suo interesse soprattutto all'Italia meridionale. Valendosi di validi collaboratori e di una solida e rinnovata burocrazia, diede al regno di Sicilia un nuovo assetto amministrativo ed economico, combatté le autonomie dei vescovi, dei baroni e delle città, fondò una importante università a Napoli (1224) e stabilì la sua corte, ricca e raffinata, a Palermo. Qui, luogo di incontro di tradizioni culturali arabe, ebraiche e greche, nacque la prima scuola poetica in lingua volgare, detta scuola siciliana, della quale lo stesso imperatore fece parte.

Nel 1231, con le Costituzioni di Melfi, raccolta di leggi in parte da lui emanate, gettò le basi in Sicilia di uno stato accentrato, permeato dalle idee dell'assolutismo regio. Sostenitore dei ghibellini, tentò di ricondurre all'obbedienza i comuni del nord Italia, e nel 1237 sconfisse a Cortenuova una seconda lega lombarda, annullando poi le disposizioni della pace di Costanza siglata dal nonno Federico Barbarossa e sottomettendo i comuni dell'Italia centrale e settentrionale al controllo di funzionari imperiali.

Nuovamente scomunicato (1239) e poi deposto (1245) da papa Innocenzo IV, fu duramente sconfitto dai comuni a Parma nel 1248 e a Fossalta nel 1249. Morì dopo aver designato come erede il figlio Corrado IV re dei Romani.

[modifica] Manfredi

Manfredi incoronato (da una Cronica del Villani)
Manfredi incoronato (da una Cronica del Villani)

Manfredi (1232-1266), principe di Taranto, figlio naturale di Federico II, alla morte del padre (1250) divenne reggente sul trono di Sicilia per il fratellastro Corrado IV, che si trovava in Germania. La sua reggenza fu osteggiata da papa Innocenzo IV, che aveva scomunicato Federico II e si era battuto per l'affermazione del potere temporale della Chiesa sull'impero. Alla morte di Corrado, nel 1254, Manfredi accettò la reggenza della Sicilia per il nipote Corradino, ma il nuovo pontefice Alessandro IV lo scomunicò e Manfredi, dalla Puglia, con l'aiuto di truppe saracene, dichiarò guerra al papa.

Nel 1257 sconfisse l'esercito del papa e il 10 agosto 1258, dopo aver diffuso la falsa notizia che Corradino era morto, fu incoronato a Palermo re di Sicilia (1258-1266). Insediatosi sul trono proseguì la politica del padre e cercò di tessere alleanze prendendo posizione all'interno di ogni faida cittadina o nobiliare. Dopo essere stato scomunicato da papa Alessandro una seconda volta, si schierò in Toscana con i ghibellini e prese parte alla battaglia di Montaperti (1260) che si concluse con una grave sconfitta per i guelfi. Per rafforzare la propria posizione combinò il matrimonio tra la figlia Costanza e l'infante Pietro d'Aragona. La scomunica gli fu rinnovata dal nuovo papa, Urbano IV, il quale si appellò al conte Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX, e forte del suo sostegno bandì una crociata contro Manfredi. Il conte scese in Italia e nella battaglia di Benevento (1266) Manfredi fu sconfitto e ucciso.

Manfredi, uomo di non comuni doti intellettuali e poeta, fu un generoso mecenate e accolse alla sua corte scienziati, poeti e artisti. Fece tradurre numerosi testi dall'arabo e dal greco e scrisse versi in volgare.

[modifica] L'apogeo del medioevo

Per approfondire, vedi la voce Rinascita dell'anno Mille.

[modifica] Le città e la rivoluzione politica

Una scure, simbolo dell'Arte dei Maestri di Pietra e Legname a Firenze

La vita cittadina in Europa raggiunse il suo apogeo tra il XIII e la prima metà del XIV secolo. In particolare le città italiane riuscirono ad avere il primato nel settore manifatturiero e in particolare nel commercio. Il grande slancio economico si tradusse anche nella reintroduzione in Europa della moneta aurea.

L'Italia fu una delle zone di maggiore fioritura economica, culturale ed artistica, sebbene da un punto di vista politico ci fu un continuo stato di lotta, interna ed esterna. I problemi tra papato e impero al tempo di Federico I e soprattutto di Federico II divisero i comuni italiani in guelfi e ghibellini, due fazioni nelle quali confluivano tutta una serie di scelte politiche locali (spesso si diventava guelfi o ghibellini in funzione di lotta ai propri avversari che appartenevano alla fazione opposta) che solo a livello teorico venivano ricollegati alle lotte sovranazionali tra papato e impero. Molti storici hanno sottolineato come dietro l'alibi di "guelfismo" e "ghibellinismo" si nascondesse un'insanabile spirale di violenza e vendetta.

A causa di questa elevata conflittualità si diffuse il sistema podestarile al posto di quello consolare, con la differenza che il podestà era un forestiero, quindi al di fuori delle lotte interne cittadine e teoricamente in grado di mediare tra le fazioni. Nel corso del secolo XII si erano andati formando nuovi ceti, che inizialmente venivano tenuti fuori dalla vita politica in quanto non "aristocratici". La "gente nova" (per citare la stessa espressione usata da Dante Alighieri) erano signori del contado inurbati in città, arricchiti dalla richiesta di derrate alimentari causata dalla crescita demografica, i banchieri, i mercanti, i professionisti di arti liberali (giuristi e medici), gli artigiani e, nelle città di mare, gli armatori che si erano arricchiti con i commerci con gli stati crociati.

La nuova carrucola di sollevamento carichi
La nuova carrucola di sollevamento carichi

Questi ceti emergenti si riunirono in corporazioni di arti e mestieri che tutelavano i loro interessi, controllavano la qualità dei prodotti, i prezzi e la formazione dei nuovi addetti. Queste "Arti" già a partire dalla prima metà del XIII secolo iniziarono ad avere un potere politico sempre più rilevante, con la costituzione dei cosiddetti "Popoli" (dal nome del ceto populares in antitesi a quello dei potentes, gli aristocratici di origine feudale), con a capo il capitano del Popolo. Verso la fine del XIII secolo un po' dappertutto il ceto dei magnati venne cacciato, almeno formalmente, dal governo cittadino, talvolta con vere e proprie leggi antimagnatizie. I rapporti tra magnati e popolani furono spesso conflittuali, ma si assisteva anche ad alleanze reciproche, spesso matrimoniali, che fondevano le famiglie più ricche a quelle più nobili, portando vantaggi reciproci e permettendo di eludere la legislazione anti-popolana (prima) ed anti-magnatizia (poi).

A partire dal Trecento infatti la distinzione tra Popolo e nobili divenne sempre meno rintracciabile, per la fusione dei due ceti, nascendo così un "Popolo Grasso", di cittadini abbienti e potenti, contrapposto al "Popolo Magro", un ceto medio di attività soprattutto artigianali. Esisteva poi il ceto più basso il "Popolo minuto", dei salariati e dei piccolissimi commercianti che non aveva nessuna rappresentanza politica e che iniziò a farsi sentire solo dopo il brusco peggioramento delle condizioni di vita dopo la crisi del XIV secolo. Durante i periodi di crisi si iniziò ad appoggiarsi su un unico personaggio, magari esterno alla città, che tenesse la "balìa", ovvero il potere assoluto, in un momento di crisi. Questi "signori" permisero di superare alcune impasse politiche, ma spesso essi cercarono di consolidare il loro potere e magari trasformarlo in ereditario: fu la nascita delle signorie dal 1240 in poi (Torriani e poi Visconti a Milano, Gonzaga a Mantova, Este a Ferrara, Scaligeri a Verona, Da Carrara a Padova, Ordelaffi a Forlì, Malatesta a Rimini, Da Polenta a Ravenna, Montefeltro a Urbino, Da Varano a Camerino, ecc.). Questo accadde con tempi molto più lunghi o non accadde mai nelle città marinare o in Toscana, dove i ceti imprenditoriali erano più attivi e forti e riuscirono a impedire che un gruppo primeggiasse.

[modifica] La nascita della logica e della scolastica

« Siamo come nani sulle spalle dei giganti, sì che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non per l'acutezza della nostra vista, ma perché sostenuti e portati in alto dalla statura dei giganti »
(Bernardo di Chartres)
Abelardo e Eloisa in una miniatura del XIV secolo
Abelardo e Eloisa in una miniatura del XIV secolo

A Chartres nacque nel XII secolo una scuola cattedrale dove per la prima volta si iniziò a guardare allo studio della natura, delle scienze (fino ad allora considerate secondarie, se non dannose) e, senza tralasciare lo studio delle Scritture e il culto per le auctoritates, ci si ispirava alla tradizione neoplatonica. Questo rinnovamento, dovuto a varie ragioni tra cui i rinnovati contatti col colto Oriente e lo slancio della vita cittadina che poneva nuove esigenze e problemi, fu alla base della convinzione che la scienza moderna potesse superare quella antica, non tanto perché migliore, ma perché suscettibile di ampliarsi ed approfondirsi, mediante la critica, e quindi di procedere, anziché cristallizzarsi nei tradizionali commenti sterili.

Andava nascendo un nuovo approccio allo studio, quello della logica, che offriva un metodo innovativo con in quale affrontare lo scibile: invece di commentare letteralmente le Sacre Scritture si andava alla ricerca dei criteri per poter comprendere, al di là della fede, quello che era giusto e quello che non lo era. Il fondatore di questa scuola di pensiero viene considerato Pietro Abelardo, con il suo Sic et Non, che venne tuttavia duramente avversato dai tradizionalisti. Ma la sua eredità fu raccolta dal monaco camaldolese Graziano, che redasse una raccolta completa di diritto canonico (il Decretum), servendosi proprio della logica abelardiana; da allora la logica fu alla base del rinnovamento nella teologia e filosofia che va sotto il nome di scolastica. I grandi maestri della scolastica furono Alberto Magno, Tommaso d'Aquino e Duns Scoto, che applicarono il metodo abelardiano, arricchito anche dalle traduzioni di Averroé che permise la riscoperta di Aristotele in Occidente, alla ricerca teologica, indagata come una vera e propria scienza, usando quindi le facoltà intellettuali umane.

[modifica] Le Università

Per approfondire, vedi la voce Nascita delle Università nel XII secolo.
Rappresentazione di un lezione universitaria verso il 1350
Rappresentazione di un lezione universitaria verso il 1350

Il rinnovamento culturale dei secoli XII e XIII non si può comprendere appieno senza lo sviluppo delle scuole cattedrali e la nascita delle Università. Le prime furono delle scuole dove si potevano studiare le quattro discipline matematiche del Quadrivium e le tre filosofico-letterarie del Trivium, oltre allo studio della storia naturale tramite Plinio il Vecchio. Le seconde per la prima volta invece presentarono dei programmi ben definiti, con una divisione in facoltà e con esami di laurea.

Nel XII secolo le Università nacquero come associazioni private di studenti, che subito mirarono a un riconoscimento ufficiale e alla concessione di benefici di carattere giuridico e economico. Un precedente per le università fu la scuola medica salernitana, dove si studiavano la medicina e la filosofia, traducendo testi dal greco e dall'arabo. Le prime sedi universitarie nacquero collegate alle scuole cattedrali o in maniera autonoma in un po' tutta Europa tra XII e XIII secolo. Il centro di maggior fervore culturale era Parigi, ma la più antica documentazione di un'Università si ha per Bologna (1088), dove si istituzionalizzò una scuola di diritto gestita da laici già esistente. Seguirono a breve distanza Padova (1222), Napoli (1224) e, al di fuori dell'Italia Oxford, Cambridge, Salamanca (1218) e la stessa Parigi. Nel XIV secolo le istituzioni universitarie fecero la loro comparsa in Germania e nell'Europa centro-orientale con Praga (1348), Vienna (1365), Heidelberg (1382) e Colonia (1388). Dovettero attendere il secolo successivo i paesi scandinavi (Uppsala nel 1477 e Copenhagen nel 1479).

Le Università posero la richiesta di testi a buon prezzo per lo studio, cosa impensabile per i preziosi e lunghi da realizzare codici in pergamena. per questo si diffusero le peciae, ovvero dei fascicoli venduti da appositi librai (gli stationarii) dove fece la comparsa la carta, materiale più economico la cui tecnica fu portata in Occidente dagli arabi, che l'avevano appresa dai cinesi.

[modifica] La rinascita scientifica

Una pagina del Liber abaci (MS Biblioteca Nazionale di Firenze, Codice Magliabechiano cs cI 2616, fol. 124r)
Una pagina del Liber abaci (MS Biblioteca Nazionale di Firenze, Codice Magliabechiano cs cI 2616, fol. 124r)

Grazie ai rinnovati contatti col mondo bizantino e islamico si ebbe un rifiorire del sapere scientifico in Europa, che era caduto nell'oblio. A metà del XII secolo una équipe di dotti guidati da Pietro il Venerabile, abate di Cluny tradusse il Corano. Verso il 1187 iniziò a circolare Aristotele, grazie alla singolare figura di Gerardo da Cremona, che aveva imparato l'arabo a Toledo per poter tradurre una grande quantità di trattati là presenti. I testi latini e greci, filtrati dal mondo arabo, contenevano anche cognizioni provenienti da Persia, India e perfino (in maniera mediata) Cina, soprattutto riguardo alla medicina, all'astronomia ed alla matematica.

Arrivarono anche discipline orientali che, sebbene avessero interessato in mondo ellenistico e tardo-antico, erano ormai sconosciute in occidente, come l'astrologia, che studiava le intelligenze spirituali che soprintendevano agli asti e, per analogia, ai componenti dell'essere umano, e la magia, che ebbe un più tardo sviluppo nel Rinascimento. La Chiesa condannava queste pseudo-scienze poiché esse investigavano le intelligenze cosmiche che venivano assimilate agli angeli ribelli, cioè ai demoni.

La conquista più duratura di quel periodo storico fu l'introduzione dei numeri arabi posizionali e dello zero, entrambe scoperte di origine indiana. Questo nuovo sistema di numerazione fu introdotto in Occidente dal pisano Leonardo Fibonacci, con il Liber abaci del 1202. Il suo però non poteva ancora essere un interesse scientifico puro: era un figlio del suo tempo e piegava le conquiste matematiche e geometriche a situazioni pratiche, del commercio, del cambio, della compravendita.

[modifica] La rivoluzione culturale

Una pagina del Il Tesoretto di Brunetto Latini, libro I
Una pagina del Il Tesoretto di Brunetto Latini, libro I

Nelle città del tardo medioevo si andava sviluppando una cultura "laica", determinata dalla grande sete di risposte a questioni pratiche e concrete, in campo sociale, economico e politico. Senza metter in discussione la fede o l'importanza della teologia o del latino, i ceti dirigenti cittadini amavano la cultura detta "cortese", con i poemi epici, le poesie finemente erotiche, i romanzi cavallereschi. In zone come la Toscana, le signorie venete e romagnole o le corti sicule di Federico II o catalane di Alfonso X il Saggio si erano creati dei circoli poetici, derivati dalle composizioni provenzali dei trovatori, dove nacquero talvolta anche forme espressive nuove, come il dolce stil novo.

Nel corso del Duecento inoltre si diffuse in Italia l'uso del volgare, adoperato in poesia sin dal Cantico delle creature di san Francesco, datato 1224. Il volgare era l'espressione di un ceto emergente di banchieri, mercanti, imprenditori, ecc., che guardavano con diffidenza ai lunghi tempi necessari per apprendere il latino ed alle materie più astratte.

La richiesta di sapere scientifico alla portata del cittadino medio fece nascere i sunti o le "volgarizzazioni" di opere e trattati di scienze e altro, come il Trésor di Brunetto Latini, le Composizioni dal mondo di Ristoro d'Arezzo o il Convivio di Dante Alighieri.

Nel XII secolo nacque anche l'uso di registrare cronache cittadine e anche familiari, che fissavano la memoria storica in maniera più agevole e più snella dell'antica cronachistica ecumenica in latino.

Tra Duecento e Quattrocento si arrivò quindi, almeno in Italia, ad avere un ceto medio largamente alfabetizzato, capace di scrivere e talvolta anche comporre opere letterarie. Per riottenere un condizione simile si dovrà aspettare fino alla fine del XVIII o l'inizio del XIX secolo.

[modifica] La rivoluzione commerciale

Fiorino del 1332-1348
Fiorino del 1332-1348

Dal Duecento la bilancia commerciale tra Oriente o Occidente divenne positiva per il secondo dopo secoli di assoluto predominio commerciale dell'Europa sud-orientale. La larga circolazione di merci anche non preziose permise un vorticoso impennarsi degli scambi economici e l'aumento di ricchezza. Merci orientali e occidentali, nordiche e mediterranee circolavano velocemente via mare e via terre, ed assieme ad esse si spostavano gli uomini e i capitali. I mercanti seppero presto dotarsi di strumenti giuridici e tecnologici in grado di soddisfare la domanda crescente di loro: nacquero nuovi tipi di contratto commerciale, più flessibili e omologati dappertutto; nacquero le società di persone e di capitali, le compagnie commerciali (a scadenza annuale, rinnovabili) e le commende (tra imprenditori con capitali e commercianti che li facevano fruttare). Nacquero le prime banche in senso moderno (in grado di far fruttare i capitali) e le prime forme di assicurazione. Per evitare di trasportare fisicamente il denaro nacquero strumenti creditizi che permettevano la riscossione di somme precedentemente versate in altre città mostrando lettere bollate della banca. L'attività bancaria prosperò nonostante i divieti ecclesiastici di guadagnare denaro "dal denaro".

Dal XII secolo alcune città italiane avevano ricevuto l'autorizzazione imperiale di battere il "denaro", la moneta argentea carolingia (Pavia, Cremona, Piacenza, Milano, Lucca e Pisa), anche questa valuta tendeva a svalutarsi col tempo. Il miglioramento economico stimolò il conio di monete più pregiate, con un maggiore contenuto argenteo, detti "grossi" o "bianchi". La moneta aurea fece la sua ricomparsa in Europa occidentale nella seconda metà del Duecento in alcune città italiane, se si escludono alcune coniazioni di breve durata come l'augustale di Federico II, l'écu di Luigi IX di Francia o il genoino di Genova.

Nel 1252 Firenze coniò il fiorino e nel 1284 Venezia il ducato o zecchino: queste due monete, dal quantitativo aureo straordinariamente stabile, divennero i mezzi principali dei grandi scambi internazionali.

Telaio a pedale
Telaio a pedale

Ma anche il settore produttivo venne rivoluzionato, con una passaggio da un sistema artigianale (dove si produceva su richiesta) a un sistema manifatturiero (dove si produceva per vendere) che ebbe luogo tra l'XI e il XIII secolo, con variazioni da luogo a luogo e da merce a merce. La filiera di produzione dei tessuti e del cuoio produsse la necessità di ricorrere ai ceti subalterni per alcune procedure particolarmente malsane, creando per la prima volta il problema dei rapporti con questi ceti e dell'inquinamento. Spesso nelle città si creò un sistema di manifattura diffusa, con le varie fasi della lavorazione delle stoffe affidate a vari lavoratori specializzati. Tra questi i tintori emersero perché lavoravano strumenti complessi e materie prime costose.

Notevoli furono le innovazioni tecnologiche, tra le quali il filatoio a mano, il telaio orizzontale e la gualchiera, ma anche la riscoperta del vetro e la rinnovata produzione ceramica grazie alla ruota a pedale. La produzione di armi raggiunse l'apice in zone minerarie come la Germania renana, ma anche la Lombardia, mentre nel mondo musulmano si importavano sia spade "franche", che metalli grezzi lavorati poi in Spagna o in Siria. La lavorazione dei metalli fece grandi progressi, con forni più efficienti che permisero la lavorazione dell'acciaio e le opere di grandi dimensioni quali le campane o le canne d'organo.

Un'altra novità del medioevo fu la nascita delle "compagnie", società mercantili-imprenditoriali che sostituirono il commercio un tempo basato sui mercanti itineranti. Le compagnie avevano succursali nelle più importanti piazzeforti ed erano organizzate in maniera tale da poter far muovere merci e capitali senza bisogno di far muovere i suoi dirigenti (che così non dovevano vagare, ma anzi restavano ben ancorati alle città dove iniziavano ad avere un peso anche politico, oltre che economico) né il denaro, che grazie alle lettere di cambio si poteva riscuotere in qualsiasi filiale della compagnia. Un esempio tardo ma efficace di come funzionassero queste specie di "holding" può essere offerto dalla compagnia fiorentina dei Bardi, che nel 1336 ricevette dalla filiale di Avignone l'incarico da parte di papa Benedetto XII di inviare agli armeni, assaliti dalle popolazioni turche, il corrispettivo di diecimila fiorini d'oro in grano: detto fatto, il 10 aprile, arrivò l'ordine, poche settimane dopo gli agenti italiani dei Bardi comprarono il grano sulle piazze di Napoli e Bari tramite le loro filiali e prima della fine del mese navi cariche delle vettovaglie erano già salpate verso il Mar Nero.

Le merci che attraversavano le vie del medioevo erano essenzialmente divise in "sottili", più pregiate e costose come metalli preziosi, spezie e tessuti di lusso, o "grosse" (legname, sale, allume, ecc.).

Oltre all'Italia, l'altra grande zona commerciale europea era l'area del Mar Baltico e il Mare del Nord, con le attivissime città portuali anseatiche. Il punto di incontro tra le merci italiane e nordiche era soprattutto il porto di Bruges. Altre zone, come l'Inghilterra o il regno di Napoli, ebbero un ruolo più passivo nello sviluppo economico, venendo monopolizzate da mercanti stranieri che le spogliavano delle materie prime sottocosto e vi rivendevano a prezzi molto alti i prodotti finiti.

[modifica] Il medioevo delle cattedrali

Per approfondire, vedi le voci architettura romanica e architettura gotica.
« Allora il mondo si scosse la polvere dalle sue vecchie vesti e la terra si ricoprì di un candido manto di chiese »
(Rodolfo il Glabro, monaco di Saint-Bénigne a Digione, a proposito dell'arrivo del nuovo millennio.)
Il coro della Cattedrale di Aquisgrana

Il progresso nella società si accompagnò anche a un rinnovamento artistico ed a un rinnovato slancio architettonico verso edifici di grandi dimensioni, soprattutto edifici religiosi: era infatti dall'epoca romana che in Europa occidentale non si costruivano opere monumentali su larga scala e diffusamente.

Tra XI e XII secolo si diffuse lo stile "romanico" (termine coniato solo nel XIX secolo), caratterizzato da una ritrovata monumentalità e da una maggiore complessità negli edifici. Esso assorbì, da regione a regione, le più svariate influenze (arabe, paleocristiane, classiche, bizantine...), con alcune caratteristiche comuni come l'uso diffuso (ma non esclusivo, perché restò a lungo l'alternativa delle capriate) di volte a botte e volte a crociera, le spesse murature, le complesse forme, l'uso di apparati scultorei per decorare.

L'edificio simbolo di questa epoca fu la cattedrale, che iniziò a simboleggiare la ricchezza e il prestigio dell'intera comunità cittadina, con gare tra città vicine per avere l'edificio più grande, bello e maestoso. Già dalla metà del XII secolo si diffuse in Francia un nuovo stile, detto poi gotico (un termine coniato nel Rinascimento con risvolti negativi), che gradualmente conquistò tutta l'Europa. L'architettura gotica fu rivoluzionaria per il modo innovativo di concepire la struttura degli edifici: il peso non veniva più sorretto dalle pesanti pareti, ma da una serie di elementi (colonne, archi, volte, contrafforti, pinnacoli, ecc.) che permettevano di svuotare le pareti riempiendole di grandi e luminose vetrate, e di raggiungere altezze in verticale inimmaginabili. Grandi diffusori del gotico furono i cistercensi, che lo portarono in Italia dove però non ebbe mai una forte presa, almeno secondo le forme transalpine, che vennero mediate in edifici più legati alla tradizione romanica. Durante il XIII secolo gli ordini mendicanti furono responsabili del rinnovamento artistico. Davanti alle loro chiese nacquero vaste piazze per accogliere la popolazione che attendeva con trepidazione gli infuocati sermoni; inoltre iniziò l'uso di dare cappelle a famiglie e personalità, affinché con la creazione di abbellimenti essi potessero espiare i propri peccati.

Ma l'edilizia non riguardò solo le chiese, anzi con l'affermazione dei Comuni i ceti dirigenti locali spesso si affidarono all'architettura per dimostrare, anche visualmente, il loro potere e prestigio. I vari palazzi comunali o del podestà erano nelle città italiane il polo laico, complementare a quello religioso; questi palazzi dovevano superare in altezza e in bellezza tutte le altre architetture laiche della città. Entro il XIV secolo molte città avevano provveduto a cingersi di almeno una nuova cerchia di mura (rispetto alle mura romane che spesso erano state continuativamente usate) che inglobasse le zone esterne ormai densamente popolate per l'arrivo ingente di immigrati dalle campagne.

Da un punto di vista urbanistico gli ampliamenti delle città e le nuove fondazioni seguivano un andamento casuale, ben riconoscibile tutt'oggi nelle piante di molte città, anche perché opposto al reticolo regolare di quei nuclei più antichi di epoca romana. Una delle eccezioni fu Firenze, dove ad Arnolfo di Cambio è tradizionalmente attribuito un progetto urbanistico con la riorganizzazione delle piazze e il tracciato di nuove strade rettilinee che vennero inglobate nella nuova cinta muraria, triplicata rispetto alla precedente in area racchiusa.

[modifica] Il consolidamento delle monarchie nazionali

[modifica] Francia e Inghilterra

[modifica] La battaglia di Bouvines

Horace Vernet, Il re Filippo II di Francia a Bouvines
Horace Vernet, Il re Filippo II di Francia a Bouvines

Luigi VII di Francia e soprattutto Filippo II Augusto avevano consolidato il potere della monarchia francese, riformando la cancelleria e avvicinandosi ai ceti mercantili emergenti. Era però latente il problema del conflitto poteri con il monarca inglese, che era parigrado al sovrano francese al di là della manica, e suo vassallo al di qua, per una larga fetta di territorio francese (Normandia, Maine, Aquitania, Guascona e Poitou). Al re inglese guardavano tutti gli aristocratici francesi che intendevano fare una politica autonoma rispetto a quella del loro re.

In Inghilterra, al tempo di Enrico II si erano avute varie lotte, compresa la ribellione dei suoi due figli, Riccardo Cuordileone e Giovanni Senzaterra, al padre stesso, senza però unirsi vista la loro forte discordia. Riccardo, di ritorno dalla terza crociata, si era ritrovato re per la morte del padre (1189) ed aveva subito dovuto domare una lotta dei feudatari capitanata da suo fratello. Quando Riccardo morì gli successe Giovanni (1199), che iniziò una politica prudente che scontentò tutti, sia laici che ecclesiastici. Quando confiscò i beni dei secondi Innocenzo III lo scomunicò e solo un suo rinnovato omaggio feudale al pontefice poté annullare il provvedimento.

Sfruttando il momento di debolezza degli inglesi, il francese re Filippo Augusto dichiarò l'avversario "fellone" (cioè vassallo infedele), privandolo di tutti i feudi francesi tranne l'Aquitania: solo con la capitolazione di Rouen il re inglese fu costretto ad accettare la privazione (1204). Ma non si arrese subito; dopo essere intervenuto nelle dispute per la corona imperiale di Germania, a causa delle sue parentele, si preparò per una battaglia, che ebbe luogo a Bouvines il 24 luglio 1204. Vi presero parte anche i sostenitori tedeschi dell'uno e l'altro re (le cui lotte con i rispettivi candidati al trono si erano fuse con la contesa Francia/Inghilterra) e vinse la parte francese, permettendo al suo monarca di avviare un vero e proprio consolidamento dei territori della corona a dispetto dei suoi feudatari troppo indipendentisti.

[modifica] L'Inghilterra nel XIII secolo

Copia della Magna Carta del 1215
Copia della Magna Carta del 1215

Giovanni nel frattempo subiva in Inghilterra pesanti critiche, che gli piovevano da tutti i ceti: gli ecclesiastici erano scontenti per le confische, come si è detto poco sopra, gli aristocratici per la politica oppressiva e per le promesse non mantenute per le quali avevano lottato al fianco del re, le città per le loro inascoltate richieste di maggior attenzione. Si arrivò dopo la sconfitta in battaglia a una vera e propria rivolta dei baroni inglesi, che riuscirono ad avere la meglio obbligando il sovrano a riconoscere i loro antichi diritti consuetudinari (dovere di consultarsi prima di imporre nuovi tributi, tribunali composti da loro pari, ecc.). Questi diritti vennero sanciti per iscritto, nella Magna Charta (1215), diventata celebre come prima carta "costituzionale", dove un sovrano limitava alcuni suoi poteri per dare stabilità al proprio regno. Il Magnum Consilium dei nobili venne istituito inoltre per assistere il sovrano a alcune funzioni governative e in particolar modo per controllare la politica fiscale: nel 1242 questa istituzione prese il nome di parlamento, una delle istituzioni che diventeranno universalmente fondamentali nella civiltà moderna. A quell'epoca però non si trattò di una rivoluzione, né una modernizzazione: era solo una riaffermazione di diritti tradizionali da sempre rivendicati alla corona.

Una nuova rivolta si ebbe nel 1258 contro Enrico III, per il suo rigore fiscale e per il privilegio accordato ai suoi nobili favoriti provenienti dal Poitou. Il risultato fu l'emanazione delle provvisioni di Oxford (1259), che lo obbligavano ad ascoltare una commissione di baroni per le questioni amministrative. Ma le contese continuarono fino al 1265, quando venne finalmente istituito un consiglio di reggenza e un parlamento formato da due cavalieri per ciascuna contea e due rappresentanti per ciascuna città, con la prima comparsa dei ceti cittadini nella vita politica inglese.

Tensioni tra nobiltà e corona continuarono per tutto il secolo anche se non si giunse a nuovi scontri. Con la cacciata degli ebrei del 1290 si ebbe in risposta un massiccio afflusso di stranieri per interessi economici (soprattutto banchieri e mercanti anseatici e fiorentini). Si cercò anche di sfruttare le guerre civili della Scozia per estendervi il dominio inglese. In questo senso Edoardo I intervenne nelle contese facendo assegnare la corona scozzese a John Balliol, ma il suo successivo tentativo di impadronirsi del regno vide la rivolta popolare capeggiata dagli eroi nazionalisti William Wallace e Robert Bruce, i quali fondarono poi la dinastia Stuart (1371).

[modifica] La Francia

Incoronazione di Luigi VIII e della regina Bianca di Castiglia nel 1223, miniatura dalle Grandes Chroniques de France, Parigi, Bibliothèque nationale de France, XV sec.
Incoronazione di Luigi VIII e della regina Bianca di Castiglia nel 1223, miniatura dalle Grandes Chroniques de France, Parigi, Bibliothèque nationale de France, XV sec.

Filippo Augusto, oltre alla vittoria di Bouvines, ebbe anche l'imperdibile occasione di allargare il suo dominio nelle ricche regioni del sud della Francia grazie alla crociata contro gli albigesi bandita da Innocenzo III nel 1209: in particolare poté abbattere il conte di Tolosa Raimondo VII, che gli si opponeva spregiudicatamente forte del possesso dei trafficati porti sul Mediterraneo e dell'alleanza coi re di Aragona.

La lotta contro gli albigesi proseguì anche sotto Luigi VIII e Luigi IX. Luigi IX salì al trono dopo la reggenza di sua madre Bianca di Castiglia, al quale aveva combinato un'efficace politica matrimoniale dei suoi figli che permise l'alleanza con l'Aragona e la Provenza. Egli dovette sottomettere alcuni feudatari diventati troppo forti, come Tebaldo, conte di Champagne, e Raimondo, conte di Tolosa, oltre a scontrarsi nuovamente col re inglese (Enrico II d'Inghilterra) vincendolo nelle battaglie di Taillebourgh e di Saintes (entrambe nel 1242).

Una lunga tregua si ebbe nel paese dopo tali episodi, dando la possibilità al sovrano di dedicarsi alla settima crociata (1249-1250), che si risolse in una catastrofe, venendo addirittura imprigionato dai musulmani. Venne liberato col pagamento di un forte riscatto e il re si spostò a San Giovanni d'Acri, dove trascorse quattro anni cercando di riorganizzare quello che restava del Regno di Gerusalemme, senza riuscirci. La notizia della morte della madre, che stava facendo la reggente in Francia, lo fece ripartire.

Al suo ritorno si trovò coinvolto nelle dispute tra papato e regno svevo di Sicilia, dove ebbe un ruolo chiave suo fratello Carlo d'Angiò. Nel 1258 fece un trattato con il re inglese e nel 1259 diede al re aragonese la regione del Roussillon in cambio della rinuncia a qualsiasi pretesa sulla Provenza e la Linguadoca.

A quel punto Luigi si dedicò alla riforma giuridica del paese ed all'economia, con il conio di una moneta aurea e la fondazione del porto di Aigues-Mortes in Provenza.

Nel 1267 venne coinvolto dal fratello Carlo, ormai re di Napoli, a lottare di nuovo contro i musulmani, in particolare contro quelli dell'Africa settentrionale che erano così vicini al suo regno del sud-Italia. Partito per Tunisi, Luigi morì durante un'epidemia nel 1270. Fu canonizzato da Bonifacio VIII nel 1297.

Suo figlio Filippo l'Ardito non aveva la forza del padre, ma seppe aggiungere ai possedimenti della corona le ricche contee della Champagne e di Tolosa. Egli venne coinvolto nelle lotte tra angioini e aragonesi dopo i Vespri siciliani e perì in battaglia nel 1285. Gli successe il figlio Filippo IV il Bello, che iniziò una politica di rigore finanziario, obbligando i feudatari a pagargli un tributo al posto delle prestazioni militari, ed istituì un supremo tribunale del regno chiamato "parlamento". Diede inoltre autonomia alle città, ma pretese l'indispensabile professione di fedeltà al sovrano per non ritrovarsi come il re tedesco con i Comuni italiani. Nel 1307 fece sopprimere l'ordine templare incamerandone le ingenti ricchezze.

Da un punto di vista di politica di allargamento Filippo guardò alle Fiandre, dove aveva interessi anche il re inglese, ma si dovette scontrare contro i Comuni fiamminghi che lo batterono nella battaglia di Courtrai del 1302. Ma l'accordo tra re inglese e francese lasciò isolati i fiamminghi, che si dovettero sottomettere spontaneamente alla Francia nel 1305.

[modifica] La Castiglia, l'Aragona-Catalogna e il Portogallo

Ferdinando III di Castiglia e León, detto il Santo, miniatura del XIII secolo presa dall'Índice de los privilegios reales, Archivi della Cattedrale di Santiago di Compostela
Ferdinando III di Castiglia e León, detto il Santo, miniatura del XIII secolo presa dall'Índice de los privilegios reales, Archivi della Cattedrale di Santiago di Compostela

La battaglia di Alarcos del 1195 aveva segnato una battuta d'arresto nella Reconquista, aggravato dalla contemporanea presa di Gerusalemme da parte del Saladino che aveva allarmato Papa Innocenzo III, nonostante si trattasse di due vittorie dei musulmani in nessun modo collegate se non dalla coincidenza, che si decise a tenere saldamente in mano almeno la situazione nella penisola iberica. Gli aquitani che avevano fatto voto per partire per la crociata vennero infatti autorizzati a commutare il voto per impegnarsi nella loro patria. La nuova spedizione in Spagna, dove parteciparono anche nobili francesi, si risolse con la grande vittoria alla battaglia di Las Navas de Tolosa del 1212: si aprivano così ai cristiani le porte del ricco sud andaluso. La capitale del califfato almohade, Cordova, cadde nel 1236 con la spedizione guidata da Ferdinando III il Santo. La Reconquista poteva dirsi conclusa, nonostante restasse il piccolo e civilissimo emirato di Granada.

Mappa politica della Penisola iberica nel 1360
Mappa politica della Penisola iberica nel 1360

Il Portogallo venne riconosciuto come regno autonomo dal papa nel 1139. La Reconquista però segnò un arretramento economico e sociale per la Spagna: i re di Castiglia non avevano alcun interesse a continuare e mantenere i sistemi di irrigazione e le variegate coltivazioni volute dagli arabi (agrumi, cereali e canna da zucchero), per cui le terre tornarono presto alla loro natura desertica. Inoltre scomparse l'armoniosa convivenza nelle città tra comunità ebraiche, musulmane e cristiane (mozarabi), con la cacciata dei primi due e la recessione per la scomparsa del ceto mercantile e artigianale ormai non più incoraggiati dall'autorità.

Il regno di Aragona si unì alla contea di Catalogna nel 1137, dove la forza delle città costiere non produsse un degrado come nel regno di Castiglia. Tra 1229 e 1235 furono assoggettate le isole Baleari e da allora si iniziò a configurare quella sorta di impero mediterraneo che avrebbe incluso la Sicilia dal 1302 e la Sardegna dal 1328, tramite sovrani suoi congiunti o direttamente. L'assegnazione pontificia della Sardegna agli Aragonesi segnò la fine dell'alleanza con Genova. Inoltre nel 1311 alcuni mercanti catalani conquistarono il ducato di Atene (1311), già dei Brienne, che venne offerto in feudo al re aragonese. Queste conquiste portarono la straordinaria espansione delle rotte dei mercanti catalani, a discapito delle rivali come Montpellier, Genova e Pisa.

[modifica] La Germania e l'Impero

Il figlio di Federico II, Corrado IV, venne destinato a cingere la corona imperiale fin dal 1237, che si aggiunse alla corona ereditaria di Sicilia. Il meridione d'Italia comunque non era governabile dallo stesso Corrado, che lo cedette a suo fratellastro Manfredi. La situazione tedesca viveva un periodo di caos, con le potenti città mercantili del Reno (Magonza, Treviri, Colonia) avverse a Corrado e strette nella lega renana (dal 1247). La lega renana era in rapporti stretti con la vicina contea d'Olanda ed aveva offerto la corona di Germania al conte Guglielmo d'Olanda fin dal 1248. Ci fu uno scontro tra i fautori di Guglielmo e quelli di Corrado (soprattutto le città tedesche meridionali), che fu vinto dai primi e fece sì che Corrado fosse costretto a lasciare il campo libero pur senza concedere le prerogative regie formali.

Allora Corrado si dedicò al Regno d'Italia, che gli spettava come "Re dei Romani" (la carica era inclusa a quella di Re di Germania), ma morì nel 1254 lasciando il figlio Corradino di due anni sotto la tutela di papa Innocenzo IV.

In Germani Guglielmo fu assassinato nel 1256 e l'anno successivo i fautori degli svevi (la parte "ghibellina"), scelsero come candidato Alfonso X di Castiglia, imparentato con gli Hohenstaufen, mentre i "guelfi" scelsero il fratello Enrico III d'Inghilterra, Riccardo III di Cornovaglia, imparentato con la casa di Sassonia. È chiaro come il livello degli scontri tra i tedeschi fosse arrivato a un livello tale da dover guardare a candidati stranieri per il trono, certi che il fascino e il prestigio della corona imperiale fosse stato un irrinunciabile richiamo per i pretendenti. Nella pratica non era ormai più così, anzi era chiaro che il titolo imperiale era solo una formalità che non dava alcun peso politico, a meno di non essere sovrano così forti da riuscire a piegare le altre numerose autorità di Germania e Italia centro-settentrionale.

Si aprì quindi un periodo di interregno (1256-1272), che vide l'emergere di una casata del sud (feudataria nell'odierna Svizzera), i conti di Asburgo. A Rodolfo d'Asburgo, grazie all'intervento del papa, venne offerta la corona imperiale nel 1273, che accettò e si insediò, dal 1278, a Vienna. Qui istituì il ducato d'Austria che rese ereditario e ad appannaggio della sua famiglia. Dopo la parentesi di Adolfo di Nassau (1292-1292) gli Asburgo, forti del loro ducato, poterono tornare al trono con Alberto I. Fu una saggia intuizione quella di non intavolare più alcuna politica in Italia, avendo il sovrano già notevoli difficoltà in Germania, sull'esempio di Enrico il Leone.

Nel XIII secolo la Germania colonizzò un'ampia fetta di territorio verso est (fino all'Oder), grazie soprattutto ai marchesi di Brandeburgo ed all'ordine dei cavalieri Teutonici. Inoltre risale a quel periodo la fondazione della lega anseatica, una federazione commerciale-militare tra città portuali affacciate sul mare del Nord e sul mar Baltico: la lega riuscì a monopolizzare il ricchissimo commercio nordico, gestendo i traffici tra la Russia, la penisola scandinava e l'Europa.

[modifica] Italia meridionale: dal Regno di Sicilia al Regno di Napoli

Corrado V  quattordicenne nel Codex Manesse
Corrado V quattordicenne nel Codex Manesse

Manfredi regnò nel Regno di Sicilia, nonostante con la morte di Corrado IV il suo incarico fosse automaticamente sollevato tornando al legittimo erede, Corradino. In un primo momento Manfredi arrivò a spargere la falsa notizia della morte di Corradino, ma quando trapelò la sua malafede Alessandro IV lo scomunicò, preoccupato anche per la politica minacciosa verso lo Stato della Chiesa. Manfredi allora si alleò con alcune città comunali (Pisa, Genova e Siena) secondo uno scopo molto ambizioso: senza voler entrare nelle dispute per la corona tedesca, cercava, oltre che di legittimare il suo potere nel Regno di Sicilia, di assicurarsi tutto il Regno d'Italia e un'egemonia nel Mediterraneo. Manfredi aveva infatti gli attivi porti pugliesi, era alleato con i principati greci e con Genova aveva fatto cadere l'Impero latino di Costantinopoli; inoltre si alleò con Giacomo I d'Aragona tramite il matrimonio dei loro discendenti, tessendo le fila di un'alleanza siculo-pisano-genoano-aragonese, che rendeva il Mediterraneo occidentale un "lago ghibellino".

Nel 1260 i ghibellini senesi, aiutati dalle truppe di Manfredi, batterono i guelfi fiorentini nella battaglia di Montaperti, segnando un nuovo traguardo sul fronte di Manfredi: Siena diventava allora il principale centro finanziario d'Italia dopo la battuta d'arresto a Firenze per la sconfitta. L'unico avversario sul fronte ghibellino era Ezzelino da Romano, signore di varie città venete, contrario alla politica di Manfredi e fedele a Corradino, il quale fu però eliminato da una crociata antighibellina lanciata dal papa nel 1259.

L'ascesa politica di Manfredi sembrava inarrestabile, con l'entrata nell'alleanza anche dell'aristocrazia romana (Manfredi era stato eletto "senatore", ovvero "capo" del Comune di Roma, minacciando da vicino l'autorità del pontefice stesso. Fu la goccia che fece traboccare il vaso, che spinse papa Urbano IV ad avvalersi di un antico diritto (esistito dall'XI al XVIII secolo), quello di signore del Regno di Sicilia del quale il re era solo vassallo: in virtù di questo depose Manfredi e diede l'incarico di governare il regno a Carlo d'Angiò, fratello del re francese Luigi IX.

Carlo, feudatario di città portuali nel sud della Francia penalizzate dall'alleanza ghibellina, arrivò in Italia e sconfisse Manfredi nella battaglia di Benevento del 1260, poi anche Corradino nella battaglia di Tagliacozzo (1262), che venne decapitato a Napoli estinguendo la casata sveva. Nel frattempo Carlo si era fatto incoronare ed aveva spostato la sua corte a Napoli, diffidente dell'aristocrazia palermitana ancora fedele agli Svevi. Carlo sostituì gran parte della nobiltà sveva con feudatari francesi ("baroni") a lui fedeli, smantellando l'ordinato apparato burocratico normanno. Si vennero così a configurare quei problemi, in parte già in atto, tipici del meridione d'Italia, quali le tendenze centrifughe della nobiltà, le prepotenze dei feudatari nelle campagne, l'impoverimento dei contadini e una stentata affermazione dei ceti medi produttori nelle città. Nacque una sorta di anarchia nobiliare in più parti del regno, con un decadimento della Sicilia che si vedeva privata della corte regale.

Riguardo alla politica esterna Carlo seguì le mire egemoniche di Manfredi, aiutando il fratello Luigi IX nella settima crociata, con la quale sperava di assoggettare il nord-Africa più vicino al suo regno, ma l'impresa si rivelò un fallimento. Creò quindi un fronte guelfo di alleanze con il papato, Firenze (ritornata da allora guelfa, dopo il 1260) e Venezia, che possedeva di fatto l'Adriatico e i Balcani. Inoltre si alleò con l'Ungheria facendo sposare sua figlio Carlo II a alla figlia di re Stefano V. Cercando più o meno inconsciamente di eguagliare Federico II, Carlo arrivò a proporsi come candidato per l'Impero e il regno di Gerusalemme.

Il pontefice arrivò ad accorgersi che la "tutela" di Carlo aveva mire di egemonia ben più minacciose del vicinato di Manfredi: lo Stato della Chiesa temeva soprattutto di trovarsi come striscia tra un unico enorme Stato, come ai tempi di Federico II, che avrebbe potuto minacciare i suoi territori alla ricerca di una continuità territoriale. Gregorio X e Niccolò III cercarono di intralciare i piani di Carlo d'Angiò, sia evitando che venisse eletto imperatore (fu il papa infatti a suggerire il nome di Rodolfo d'Asburgo), sia cercando strenuamente una pacificazione con la Chiesa ortodossa affinché Carlo non si arrogasse il titolo di difensore dell'Impero latino tentando di riconquistarlo. Con Martino IV però le cose cambiarono, essendo il pontefice (francese) incondizionatamente favorevole a Carlo. Allora l'angioino stava predisponendo indisturbato la riconquista di Costantinopoli, quando fu bruscamente interrotto dalla rivolta dei "Vespri siciliani", iniziata a Palermo il 29 marzo 1282, la sera dei vespri pasquali, dilagando velocemente in tutta l'isola.

Pietro III d'Aragona sbarca a Trapani, manoscritto, Biblioteca Vaticana
Pietro III d'Aragona sbarca a Trapani, manoscritto, Biblioteca Vaticana

I siciliani, che non amavano Carlo, anzi non gli avevano mai perdonato il trasferimento della corte a Napoli, chiamarono Pietro III d'Aragona, genero di Manfredi, a rivendicare il trono siciliano, che accorse cingendosi della corona nel settembre di quell'anno. La rivolta non fu un avvenimento improvvisato, anzi era stata ben preparata da Pietro II stesso, dall'Imperatore bizantino Michele VIII di Costantinopoli e dagli esuli ghibellini del Regno di Sicilia. Martino IV scomunicò l'aragonese, scatenandogli contro una crociata capeggiata da Filippo l'Ardito, figlio di san Luigi e nipote quindi di Carlo d'Angiò. Ma un'inattesa coincidenza impedì la guerra, con la morte nel giro dello stesso anno (1285 di papa Martino, di Carlo, di Pietro e di Filippo.

La nuova generazione non poté che rendersi conto che non c'era più la possibilità né di un'egemonia nel Mediterraneo, né della riconquista angioina della Sicilia, per cui si giunse alla pace di Anagni (1295), che sancì la pacificazione tra papa, Carlo II d'Angiò e Giacomo II d'Aragona. Il trattato prevedeva per la verità la restituzione della Sicilia agli angioini (gli aragonesi non avevano infatti interesse a procrastinare la pericolosa intromissione che aveva fruttato loro varie inimicizie), anche se i siciliani si opposero duramente a questa clausola, appellandosi al fratello di Giacomo, Federico, che riuscì a far firmare un nuovo accordo, la pace di Caltabellotta (1302), che lo riconosceva re "di Trinacria", cioè della Sicilia stessa, anche se il titolo di "re di Sicilia" restò formalmente a Carlo II. L'accordo prevedeva che il titolo di Federico fosse strettamente personale, non trasmissibile a eredi; ma nel 1372 la Regina Giovanna I accettò la perdita ormai di fatto della Sicilia, rinunciando alla sovranità e cambiando ufficialmente il nome del regno e della corona: sebbene il nome fosse ormai radicato nell'uso, solo allora nacque il Regno di Napoli.

[modifica] La Bulgaria e la Serbia

Stefan Dušan, imperatore della Serbia (1346-1355)
Stefan Dušan, imperatore della Serbia (1346-1355)

Il Regno di Bulgaria, nato nel VII secolo con le componenti etniche slave e bulgare (quest'ultima di origine mongola), aveva riacquistato l'autonomia da Costantinopoli nel XII secolo e con la formazione dell'Impero latino aveva approfittato della debolezza bizantina per iniziare una politica di ampliamento territoriale nei Balcani. Il Regno di Serbia si rese però indipendente dai bulgari nel 1271 e si estese gradualmente fino comprendere Epiro, Macedonia e Albania, la cosiddetta "Grande Serbia" di Stefano Dushan. Nel XIV secolo però sia Bulgaria che Serbia vennero conquistate dall'avanzata turca.

[modifica] l'Ungheria

Gli Arpad erano riusciti ad ampliare il regno ben oltre i confini dell'attuale Ungheria. Bela III (1173-1196) aveva annesso la Croazia, la Dalmazia e la Bosnia a scapito di Bisanzio. Nel 1222 Andrea II emise la Bolla d'Oro, simile per datazione e per contenuto alla Magna Charta, con la quale l'alta nobiltà e il clero ottenevano la messa per iscritto dei propri diritti e l'istituzione di una dieta che controllava l'operato del sovrano; inoltre nascevano delle assemblee locali che potevano esercitare la lagnanza contro il re. Nel 1241 però la Turchia venne rovesciata dall'avanzata mongola, con la ricostituzione del potere solo diversi decenni dopo tramite la casata d'Angiò, nel 1307.

[modifica] La Boemia

I possedimenti di Ottocaro II
I possedimenti di Ottocaro II

La Boemia seguì le sorti della Germania, della quale era vassalla dal X secolo. La dinastia dei Przemyslidi conobbe una notevole espansione nel XIII secolo sotto Ottocaro II (1253-1278), che aprì le frontiere all'Ordine teutonico e si annetté varie regioni circostanti (Carinzia, Austria, Stiria, Carniola e parte della Slovacchia). Nel 1273 Ottocaro puntò all'elezione imperiale, ma prevalse Rodolfo d'Asburgo che pretese la restituzione dei territori usurpati, compresa l'Austria che divenne il feudo familiare degli Asburgo stessi dopo la vittoria a Marchfeld dove Ottocaro morì. La dinastia przemyslide restò al potere con minor slancio fino al 1310 quando venne sostituita dal casato di Lussemburgo.

[modifica] La Polonia

Il Regno di Polonia era nato nel corso del X secolo sotto la dinastia dei Piasti, vicina non solo geograficamente, ma anche politicamente, alla Germania. I Piasti si espansero a nord-est verso le tribù slave ancora pagane, arrivando a occupare, nella prima metà del XII secolo, la Pomerania e i territori tra Elba e Oder. Nel 1138 il regno venne diviso tra gli eredi alla corona in piccoli ducati: la Piccola Polonia (con Cracovia), la Masovia, la Cuiavia, la Grande Polonia, la Slesia e la Pomerania. I vari ducati, in lotta talvolta tra loro, subirono gravi colpi con l'avanzata mongola del 1241 e con l'espansione tedesca sul Baltico. Solo con Casimiro III il Grande (1333-1370) il regno venne riunito.

[modifica] Il Baltico

Per approfondire, vedi la voce Crociate del Nord.
Cavalieri Teutonici a Pskov nel 1240. Screenshot dal film di Sergei Eisenstein Alexander Nevsky.
Cavalieri Teutonici a Pskov nel 1240. Screenshot dal film di Sergei Eisenstein Alexander Nevsky.

I cavalieri teutonici avanzarono, contrastando l'espansione polacca, verso l'Europa nord-orientale, verso le popolazione slave non ancora cristianizzate. Le crociate antipagane proseguirono con rigida determinazione. Se le popolazioni rifiutavano la conversione al posto dei missionari sarebbero presto arrivati gli eserciti; le la accettavano diventavano preda della colonizzazione sassone e dei mercanti, venendo rapidamente assimilati. Per tutto il Duecento si ebbe una sentita resistenza. Per ciascuno dei tre principali raggruppamenti etnico tribali della zona si ebbero esiti diversi:

  1. I Lettoni accettarono al conversione per primi, ma la loro resistenza si protrasse per tutto il XIII secolo, prima di venire sconfitti e cedere alla dominazione tedesca.
  2. I Prutheni (prussiani) si opposero più tenacemente, e vennero violentemente attaccati dall'ordine nel 1230 circa. Nel 1234 il territorio prussiano venne posto sotto la protezione della Santa Sede, dopo essere stato affidato all'Ordine, e nel 1249 i Balti furono costretti a firmare un trattato per l'abbandono dei costumi tradizionali. Dal 1250 le tribù baltiche ancora libere si coalizzarono e lottarono finché furono costrette ad arrendersi quando rasentarono la totale distruzione.
  3. I Lituani riuscirono a mantenere più a lungo la propria indipendenza, approfittando dei contrasti tra tedeschi e polacchi nella regione. Nel Trecento si confederarono ai polacchi e accettarono la conversione; nel 1370 entrò nell'Hansa grazie agli empori fondati dai tedeschi. Nel 1386 la Lituania diventò un granducato sotto la sovranità polacca.

[modifica] La Russia

Il granprincipato di Kiev era entrato in decadenza dalla metà del XII secolo, mentre contemporaneamente cresceva di importanza la città di Mosca. L'invasione mongola diede origine all'Impero dell'Orda d'Oro e Kiev passò alla Polonia. Ivan I (1325-1341) riuscì a sottrarre Mosca alle dipendenze dai tartari, pur continuando a pagare loro dei contributi. Nel successivo secolo e mezzo ebbe luogo la riunificazione delle terre russe.

[modifica] La Scandinavia

La Scandinavia dopo le crociate del Nord
La Scandinavia dopo le crociate del Nord

Dal X secolo in Scandinavia si erano distinte tre corone: di Danimarca, di Norvegia e di Svezia.

La Danimarca si era espansa notevolmente sia verso l'Inghilterra, sia verso i balti e gli slavi dell'est, assoggettando temporaneamente anche la Norvegia. L'ascesa tedesca nel Baltico però aveva ridimensionato la potenza danese, tanto che il sovrano Erik V (1259-1268) era stato costretto a creare un'assemblea legislativa dell'alto clero e dell'aristocrazia, il danehof. La crisi perdurò fino al Trecento inoltrato.

La Norvegia era scossa nel XII secolo dalle lotte tra alto clero e aristocratici per l'elezione dei sovrani. Nonostante l'appoggio di Innocenzo III, fu l'aristocrazia ad avere la meglio, e fece eleggere re Sverre (1184-1202), che fece diventare la monarchia ereditaria. Nel Duecento i marinai norvegesi furono i protagonisti di notevoli esplorazioni e colonizzazioni, come in Islanda, in Groenlandia ed alle Ebridi.

In Svezia si ebbe una dinastia stabile dal 1130 al 1250, gli Sverker, sebbene con alterne fortune. Il conte Birger in seguito instaurò rapporti amichevoli con la Norvegia e la Danimarca, dando anche privilegi alle città anseatiche e completando l'annessione della Finlandia. Nella seconda metà del XIII secolo nacque con lo statuto di Alsnö una cavalleria nobile ereditaria e esente dalle imposte, che tenne per circa un secolo i sovrani in scacco.

[modifica] L'ultima migrazione: i mongoli

[modifica] I contatti tra Asia e Europa

Spezie indiane
Spezie indiane

Fino al XIII secolo l'Asia "profonda", ovvero tutto ciò che stava al di là del Vicino e di gran parte del Medio Oriente, fu per l'Europa un oggetto sconosciuto, trattato solo nelle leggende geografiche, nonostante i numerosi e secolari traffici di lungo raggio che da India, Cina e persino Giappone facevano giungere in Europa merci preziose e ricercatissime. Le rotte carovaniere della "via dell'incenso" o della "via della seta" si basavano infatti sugli scambi da carovaniere a carovaniere su brevi tratte, con numerosi passaggi prima di arrivare a destinazione: i convogli viaggiavano poco, ma le merci, e con esse le idee e i culti, facevano invece lunghi tragitti. Fondamentale era la mediazione dei musulmani, in particolare delle metropoli arabo-iraniche (Shiraz, Isfahan, Baghdad) e delle oasi turkmene. Inoltre molte merci arrivavano via mare alla penisola arabica tramite il Golfo Persico, grazie ai venti periodici dei monsoni.

Dalla Malesia, da Sumatra e dalla Corea provenivano oro e argento; da Ceylon e dall'India arrivavano le preziose spezie (pepe, chiodi di garofano, noce moscata e cinnamomo), indispensabili per la cucina e la conservazione degli alimenti, il sandalo, il bambù, l'albero della canfora, le essenze profumate (muschio, incenso, ecc.) e infine le pietre preziose; da Cina e Giappone arrivavano stoffe preziose e suppellettili in porcellana; altre derrate di minor pregio, ma scambiate in maggiori quantità, erano il riso, lo zucchero di canna e i cereali, le quali viaggiavano di solito per mare.

Tra le leggende medievali sui luoghi di origine delle merci più pregiate, circolavano quelle che parlavano di un Paradiso terrestre in estremo oriente oltre leggende arabe o bizantine, molte delle quali sono confluite in raccolte come le Mille e una notte. Tra i luoghi più prodigiosi descritti c'era il Monte della Calamita, che attirava nell'Oceano Indiano tutti i metalli, per cui rendeva necessario per quelle misteriose popolazioni costruire navi senza chiodi; oppure si descrivevano popolazioni fantastiche come i cinocefali (dalla testa canina), gli sciapodi (con un unico piede), i blemmii (con la faccia sul ventre), eccetera. Un esempio della fascinazione esercitata da queste zone fu la misteriosa lettera del Prete Gianni, che arrivò a metà del Duecento a papa Alessandro III tramite l'imperatore bizantino, nella quale si descriveva un favoloso regno cristiano, con alcuni spunti storici reali, quali la presenza di comunità nestoriane, che effettivamente esistevano sulla "via della seta" tra Iran e Cina, o la realtà di regni turco-mongoli in Asia centrale.

[modifica] Il risveglio dei mongoli

Per approfondire, vedi la voce Impero mongolo.
Il supremo Dio dei mongoli, Tengri
Il supremo Dio dei mongoli, Tengri

[modifica] Le popolazioni mongole prima dell'unificazione

Spesso alcuni fenomeni di vasta portata, come le invasioni barbariche del V e VI secolo o le migrazioni dell'inizio dell'XI secolo, furono innescati dalla spinta di popolazioni nomadi dell'Asia. I mongoli erano una popolazione nomade che abitava più o meno nell'odierna Mongolia orientale, a sud-ovest della Manciuria. Erano chiamati dagli arabi tatar e tale nome - grazie anche all'eloquente assonanza con il Tartaro pagano, cioè l'inferno per gli antichi - venne usato in Occidente, ma trasformato in Tartari, per definire questa popolazione. Il vastissimo territorio tra la Grande muraglia cinese e i grandi fiumi siberiani era popolato da numerose tribù, spesso in lotta tra loro, che avevano dato parecchi problemi all'Impero cinese e agli stati europei più orientali come i principati di Novgorod e di Kiev. Tra queste popolazioni erano venute in contatto con l'Europa dall'VIII secolo i khazari (convertitisi all'ebraismo), i peceneghi (che vennero sconfitti dai bizantini nel 1122), i cumani o polovzi, o le popolazioni dell'impero del Qara-Khitai (a sud del lago Balkash).

[modifica] Gengis Khan e la fondazione dell'impero

L'avanzata mongola in Eurasia
L'avanzata mongola in Eurasia

Ma finché queste popolazioni erano in competizione tra loro la situazione poté essere tenuta sotto controllo sia dagli europei che dai cinesi, finché, nel XIII secoli, esse non trovarono un capo (un khan) in grado di riunificarle: Gengis Khan, uno dei più grandi conquistatori di tutti tempi, accostabile forse solo ad Alessandro Magno. Nato come Temujin tra il 1155 e il 1167 da un capotribù di un popolo stanziato nell'alto corso dell'Onon, entrò a servizio del khan dei keraiti, una tribù turco-mongola cristianizzata secondo il credo nestoriano. Dopo aver sposato la figlia del khan (Borte) iniziò ad ampliare i propri domini battendo e assimilando le tribù vicine. Nel 1206 poteva controllare già tutta l'area del Gobi; durante un grande kuryltai (la dieta tribale) tenutasi alle sorgenti dell'Onon, venne proclamato Gran Khan, cioè khan di tutti i mongoli, che sotto di lui avevano trovato un'unità nazionale. Da allora fu noto come "Genghiz Khan" ovvero "Signore Universale". Egli si diede a conquistare e organizzare i popoli, secondo un 'organizzazione politico-militare basata sulla mobilità e fortemente gerarchizzata: ogni tribù (ulus, che indicava anche il patrimonio collettivo) era indipendente, ma tutte erano sottomesse alla famiglia imperiale, il cosiddetto "casato della stirpe aurea", sacro poiché mitologicamente derivato dal Dio del cielo, Tengri, divinità suprema dei mongoli. L'impero nel suo insieme era l'ulus della famiglia imperiale. Tutti khan offrivano fedeltà e rispetto al Gran Khan, che li sorvegliava con un rapido ed organizzato sistema di intendenti e corrieri.

Ma l'aspetto più straordinario della sua personalità fu il genio in campo militare, dalla formidabile tattica: le armate mongole, forti di arcieri a cavallo, attaccavano nel più completo silenzio, guidate solo da bandiere di diverso colore, compiendo manovre complesse in assoluta simmetria e coordinazione, che incuteva una soprannaturale paura nel nemico. Gengis Khan curò anche la sua fama (l'"immagine") con calcolate azioni di straordinaria ferocia nel punire i nemici o di grande magnanimità verso gli alleati. La fama di inflessibile e invincibile fu un'ottima propaganda contro i suoi avversari politici, i quali sapevano che non sottomettersi equivaleva allo sterminio.

Nel 1211 le genti mongole erano unificate, quindi Gengis Khan guardò alla Cina; più o meno contemporaneamente i mongoli prendevano il regno irano-persiano di Kwarezm (Corasmia), con città come Samarcanda e Bukhara, dirigendosi poi a nord dove venne conquistato il regno della Grande Bulgaria, la cui popolazione fu deportata. Nel 1227 il grande leader morì lasciando un impero che si estendeva dalla Siberia al Kashmir, al Tibet, al Mar Caspio, al Mar del Giappone. Nonostante i genocidi, le deportazioni di massa e le città rase al suolo e ricostruite da zero, l'Impero mongolo era solido, pacifico, con genti diverse per stirpe, lingua e religione che convivevano armoniosamente sotto l'equa e inflessibile pax mongolica.

[modifica] Dopo Gengis Khan

Distruzione di Suzdal da parte dell'esercito mongolo, dagli Annali della Russia
Distruzione di Suzdal da parte dell'esercito mongolo, dagli Annali della Russia

Alla morte di Gengis Khan i capi tribù, secondo la tradizione, si riunirono in un kuryltai presso Karakorum, nel cuore della Mongolia, per scegliere all'interno della famiglia imperiale un nuovo Gran Khan, che fu indicato in suo figlio Ogödäi (1229). Subito venne ripreso il programma di conquista.

Ogödäi si diede a completare la conquista della Cina settentrionale e della Persia, mentre suo cugino Batu, nipote di Gengis Khan, lanciò una spedizione contro l'Europa, arrivando nel 1238 sui ducati russi confederati, che già nel 1222 avevano conosciuto la furia delle orde tartare. Quando Kiev cadde nel 1240 la Cristianità entrò in un momento di crisi e terrore. Non conoscendo né la lingua né le origini dei mongoli essi apparivano come un'entità sovrannaturale, terribili, dall'aspetto più ferino che umano, come li descrivono gli Annali di Novgorod. Molti crederono che fosse arrivata la punizione divina ai peccati del mondo, collegandosi al mito cristiano delle popolazioni bibliche infernali di Gog e Magog quali araldi dell'Anticristo.

Nel 1241 i cavalieri di Batu Khan si erano impadroniti di un vasto territorio tra il Volga e il Mar Nero, futuro nucleo dell'Impero dell'Orda d'Oro, e poterono riversarsi più a ovest, dove attaccarono la Polonia, la Boemia e l'Ungheria. A niente servì la difesa della migliore cavalleria cristiana, compresi i cavalieri Teutonici che vennero decimati a Liegnitz. Federico II si appellò allora a tutti i sovrani cristiani per bandire una crociata e anche papa Gregorio IX parve incline a tale soluzione. Ma fu lo stesso Batu a ritirarsi dai territori europei conquistati perché il suo esercito aveva subito gravi perdite e perché la conquista poteva trasformarsi in una folle avanzata senza appoggi logistici. Inoltre l'elemento che rese imminente una ritirata fu la morte di Ogödäi e la riunione di un nuovo kuryltai.

Nel 1241 venne scelto come nuovo Gran Khan Guyuk, che non riprese la campagna contro l'Europa, anzi da lui in poi i mongoli si dedicarono all'assoggettamento della Cina, dove crollò la dinastia Sung nel 1249 e venne instaurata la prima dinastia non-cinese dell'Impero, quella mongola degli Yuan, con il primo imperatore mongolo-cinese di Khubilai. Da allora la famiglia imperiale e l'aristocrazia mongola iniziarono un profondo processo di sinizzazione, come se volesse fare il possibile per far dimenticare le proprie origini ai colti cinesi. L'imperatore degli Yuan era di fatto il Gran Khan, ma dalla seconda metà del XIII secolo ormai l'impero mongolo era diviso in quattro stati federati, che formalmente riconoscevano la suprema autorità del Gran Khan, ma di fatto ebbero vita indipendente. Questi quattro imperi erano

  1. Quello cinese, con capitale a Pechino, che durò fino al 1368 quando salì al potere la dinastia Ming.
  2. Il Khanato dell'Orda d'Oro, nel sud dell'attuale Russia
  3. Il Qara-Khitai, tra lago d'Aral, Tibet e Cina
  4. Il Khanato di Persia, ottenuto dopo la sconfitta dell'ultimo califfo abbaside e la presa di Baghdad nel 1258.

[modifica] Missionari e mercanti alla scoperta dell'Asia

Il beato Giovanni da Montecorvino in una stampa cinese novecentesca
Il beato Giovanni da Montecorvino in una stampa cinese novecentesca
Lettera del Khan Güyük a papa Innocenzo IV del 1246
Lettera del Khan Güyük a papa Innocenzo IV del 1246

La comparsa sulla scena europea dei mongoli, oltre al terrore, aveva anche riacceso l'interesse per i misteriosi popoli orientali protagonisti di leggende come quella del Prete Gianni. Alcuni avevano spiegato la decisa avanzata dell'esercito di Batu Khan verso il Danubio e il Reno come la rivendicazioni di quelle popolazioni a riconquistare le reliquie dei re Magi, loro antenati regali, conservate a Colonia. Queste leggende, oltre al contenuto in sé, testimoniano le speranze di intendersi e mediare con queste genti, sfruttando dei presunti legami in comune nella fede cristiana. Innocenzo IV, pur incitando a volte la crociata contro di essi, era anche attratto da una soluzione pacifica e diplomatica, con un certo ottimismo riguardo alle notizie che i mongoli tenessero in gran credito i membri della Chiesa nestoriana, secondo notizie esagerate riportate dai nestoriani stessi. La Chiesa romana sembrava incline a voler convertire i mongoli e attrarli come difensori del papato, senza poter comprendere la più veritiera visione sincretica e magico-superstiziosa dei mongoli rispetto a tutte le religioni.

Vennero indette due principali spedizioni diplomatico-missionarie dirette ai mongoli, una via Persia ed una via Russia e le steppe asiatiche, con l'incarico di saggiare la potenza dei mongoli. Il compito era affidato a frati francescani e domenicani, che tornarono e scrissero le loro esperienze in vari diari di viaggio, come nella Historia mongalorum del francescano Giovanni del Pian del Carpine.

Anche Luigi IX di Francia era interessato ai popoli asiatici, soprattutto ai mongoli di Persia dai quali sperava di ricevere aiuto contro i musulmani nella crociata da lui organizzata nel 1248. Inviò due francescani come messi al Gran Khan, Guglielmo di Rubruck e Bartolomeo da Cremona, cha partirono da Acri, in Palestina, nel 1253 e tornarono nel 1256, con lettere del Mongka Khan per il re. Il Khan si era dimostrato molto interessato ai regni di origine di quegli ambasciatori e il successo della loro missione testimonia come i viaggi fossero relativamente sicuri e veloci grazie alla pax mongolica.

Interessati all'Asia erano anche i veneziani, soprattutto per motivi commerciali. Nel 1260 i due mercanti Matteo e Nicolò Polo partirono da Costantinopoli verso l'Orda d'Oro, poi arrivarono a Bukhara fino alla residenza estiva del Khubilai Khan, a nord della Grande Muraglia, dove rimasero circa un anno visitando anche la splendida Pechino. Tornati a Venezia nel 1269 rivelarono come fossero rimasti in buoni rapporti col Khan, promettendo di tornare con notizie e regali dall'Europa. Nel 1271 ripartirono alla volta dell'Estremo oriente e il viaggio si protrasse più a lungo, con il figlio di Nicolò, il celebre Marco Polo, che rimase in Cina al servizio del Gran Khan fino al 1292, narrando poi le sue esperienze ne Il Milione, uno dei capolavori della letteratura europea di viaggio.

La strada verso l'oriente era ormai aperta e fu percorsa da molti, tra i quali i missionari papali che cercavano di portare i mongoli alla propria causa. Nel 1285 Onorio IV aveva ricevuto un'incoraggiante missiva dal Khan di Persia Arghun che rilanciava l'idea di un attacco congiunto contro il nemico comune dei mamelucchi. Arghun infatti, sebbene educato al buddhismo, era in buoni rapporti con il nestoriano Mar Yabahllah, che lo incoraggiava a rapporti amichevoli con gli occidentali. Purtroppo le offerte di Arghun giungevano in un momento di crisi generale a seguito dei Vespri siciliani e nel 1291 sarebbe caduta San Giovanni d'Acri, lo stesso anno della morte del Khan. L'occasione era ormai persa, infatti alla fine del XIII secolo i mongoli dell'Orda d'Oro e del Khanato di Persia si convertirono all'Islam.

Restava una possibile alleanza con il Gran Khan cinese, che venne percorsa dai missionari, come il francescano Giovanni da Montecorvino che nel 1294 fondò il primo vescovado latino nell'Impero cinese. Ai primi del Trecento erano numerosi i francescani in Cina, dove compivano un'ampia attività missionaria. Il Codex comanicus è la testimonianza di tale opera e la summa linguistica delle conoscenza dell'Asia, quale grande dizionario dal latino al persiano (la lingua internazionale dell'Asia) e al mongolo letterario. Altri resoconti, che andavano confermando o ridimensionando le antiche leggende sui popoli asiatici, furono, tra gli altri, la Relatio orientalium partium di Odorico da Pordenone, o il fantastico racconto di Giovanni di Mandeville.

Nel 1368 però cadde la dinastia mongola, odiata dai cinesi, i quali per reazione al dominio straniero si chiusero su sé stessi, bandendo con fermezza tutti gli occidentali, favoriti dai nemici Yuan. La via di terra verso l'Estremo Oriente fu quindi preclusa agli europei, ma restava la via di mare, che venne continuamente cercata, con la circumnavigazione dell'Africa e dell'Asia per raggiungere di nuovo le straordinarie "Indie". Lo stesso Cristoforo Colombo, a fine del Quattrocento, partì sperando di mettersi in contatto con il Gran Khan.

[modifica] Tamerlano

Monumento di Timur a Shahrisabz, Uzbekistan, sullo sfondo i giganteschi resti del suo palazzo reale
Monumento di Timur a Shahrisabz, Uzbekistan, sullo sfondo i giganteschi resti del suo palazzo reale

Mentre il Khanato dell'Orda d'Ora acquistava forza arrivando a rendere suoi vassalli i principi russi di Mosca, quello di Persia si indebolì, venendo gradualmente eroso dai vicini arabi, turchi, persiani e georgiani. Un'analoga sorte avversa stava toccando al khanato del Ciaghtay, tra l'Amu Darya e la Mongolia, ma qui la cultura non era stata islamizzata come nelle regioni occidentali.

Nel 1336 nacque in un villaggio vicino a Samarcanda Timur ("Ferro"), più noto come Tamerlano, in una tribù che faceva parte dei disprezzati karaunas (i "mezzosangue"). Egli era figlio del capo dell' ulus (tribù), che comprendeva genti mongole e musulmane fortemente turchizzate. Tamerlano sfruttò le rivalità tra le vicine tribù e le debolezze dei vari khan e grazie ad un'accorta politica guerriera egli seppe conquistare tutta la Transoxiana nel 1369. Un anno dopo assunse il titolo di "grande" emiro, a voler sottolineare le pretese di supremazia su tutti gli emiri della regione. Grazie al matrimonio con la principessa Saray Malik Katun, discendente di Genghis Khan, prese il titolo di "kürgen", genero imperiale. Scelse Samarcanda come sua capitale, una città di incontro tra mondo greco e indiano, già abitata da Alessandro Magno, ed emporio tra i più importanti sulla via della Seta. Vennero formalizzate una serie di istituzioni statali, come i periodici kuryltai che avrebbero dovuto legittimare il suo governo, in realtà dispotico, e la zona (dell'attuale Uzbekistan) divenne un centro di grande crescita culturale e artistica.

Durante i tre decenni successivi Tamerlano condusse campagne militari in tutte le direzioni, con metodi travolgenti e spesso spietati. All'inizio del XV secolo possedeva un impero che andava dal Mar Caspio al Caucaso, al lago d'Aral e tutta l'area tra il Syr-Darja e l'Indo.

Sembrava solo che gli ottomani fossero in grado di resistergli, anzi gli occidentali iniziarono a pensare che i loro interessi potessero coincidere con quelli di Tamerlano, contrapponendosi congiuntamente all'avanzata turca. Gli europei vedevano in lui molte analogie con i mongoli di un secolo e mezzo prima, anche se egli era ormai islamico, ed una nuova pax mongolica avrebbe aiutato molto le vicende dei mercanti occidentali. Il principe bizantino Giovanni, si accordò allora col podestà genovese di Galata per inviare ambasciatori al Khan. I bizantini infatti erano già costretti a pagare un tributo al sultano turco, ed essi proposero a Tamerlano di versarlo a lui in cambio di un'alleanza per sconfiggere i turchi stessi. Un'ambasceria parallela venne condotta anche dal re di Francia tramite alcuni domenicani.

Tamerlano, che stava effettivamente preparandosi ad attaccare i turchi, accettò le proposte, sperando anche che tramite Venezia e Genova egli avrebbe potuto ottenere quella flotta che non possedeva, e nel 1402 i mongoli batterono gli ottomani presso Ankara. Tamerlano divenne padrone dell'Anatolia, ma si rivelò presto un'arma a doppio taglio per gli occidentali, in quanto non era disposto ad accettare alcuna sottomissione. Rivendicando la discendenza da Gengis Khan e pretendendo la restaurazione dell'Impero mongolo attaccò a Smirne gli Ospitalieri di Rodi, cacciandoli e sottomettendo le due città chiamate Focea e Chio. Gli europei erano molto indecisi sul da farsi e molti continuavano a sperare, come Enrico III di Castiglia che spedì più ambascerie a Tamerlano. In definitiva era più appetibile per Tamerlano l'Impero cinese, ma le sue aspettative furono interrotte dalla morte nel 1405. L'immenso impero venne frammentato tra più potentati ostili tra loro e l'avanzata ottomana su Bisanzio poté riprendere.

[modifica] Il khanato dell'Orda d'Oro

Per approfondire, vedi la voce khanato dell'Orda d'Oro.

L'unica traccia delle invasioni mongoliche del XIII e XIV secolo in Europa restò il khanato dell'Orda d'Oro, che prendeva il nome dalla "Dinastia d'Oro" di Batu, con capitale a Saraj, sul Volga. Durante il suo apogeo arrivò ad assoggettare i territori dalla Finlandia al Mar Nero. Gli stessi prìncipi di Mosca gli pagarono a lungo dei tributi. L'impero subì duri colpi durante l'espansione di Tamerlano e durante il Quattrocento subì la riscossa dei russi con Ivan III il Grande. Alla fine del XIV secolo si frammentò in più khanati che sparirono gradualmente.

[modifica] Il papato dal XIII e XV secolo

Le grandi istituzioni sovranazionali, papato e impero, all'inizio del Trecento erano profondamente ridimensionate: il secondo era entrato in crisi nel XIII secolo, con la fine delle sue pretese universalistiche in favore di realtà emergenti come le monarchie nazionali e i Comuni; il papato invece era uscito vincitore dallo scontro con Federico II, ma presto avrebbe subito un duro colpo proprio dalle forze che lo avevano aiutato nella vittoria, in particolare il regno di Francia.

La protezione angioina di Carlo I di Napoli si era infatti rivelata un'arma a doppio taglio, per le invadenti pretese del sovrano che in nome della lotta al pericolo "ghibellino" si tramutarono negli anni settanta del Trecento in ricatti per portare avanti i propri disegni politici.

Mentre l'impero viveva un lungo interregno, con lotte interne, e quindi nessuna minaccia "ghibellina" incorreva sul papato, si alternarono dal 1266 al 1294 sul soglio pontificio una serie di papi "filo" o "anti" angioini.

[modifica] Bonifacio VIII

Una svolta si ebbe con l'elezione di Benedetto Caetani, Bonifacio VIII, che era stato scelto dopo la dubbia rinuncia di Celestino V, un severo asceta abruzzese che avrebbe dovuto iniziare un rinnovamento morale della Chiesa, tanto avocato dagli spirituali francescani e da vari predicatori apocalittici. Celestino V fu un esperimento che si rivelò fallimentare, in quanto la sua leva morale e spirituale non bastò a compensare le lacune nella preparazione teologica, giuridica e politica, mettendolo in balia dei cardinali fedeli a Carlo II d'Angiò prima e a quelli avversi poi, che lo costrinsero ad abbandonare la tiara. Salì allora al soglio Bonifacio VIII (dicembre 1294), aristocratico, giurista e canonista di grande cultura, sulla cui figura pesarono fin da allora (fomentati dopotutto dai suoi avversari) dubbi circa il comportamento avuto verso papa Celestino, che venne confinato nel castello di Fumone dove si spense nel 1296.

Una delle prime situazioni da risolvere per il nuovo papa era quella di rinsaldare il suo controllo sulla stessa Roma, dove gli si ribellarono i potenti Colonna dichiarandone nulla l'elezione. Contro di essi il papa bandì una vera e propria crociata, facendo espugnare nel 1298 la rocca di Palestrina. Nel frattempo anche i francescani spirituali, troppo estremisti, vennero perseguitati. Nel 1295 cercò di sistemare le lotte tra angioini ed aragonesi in Sicilia, affidandola tramite il trattato di Anagni ai francesi, ma i siciliani si ribellarono nuovamente. Lo smacco rese necessario un riavvicinamento con i regni di Francia e di Napoli, ed un sostegno economico dei banchieri fiorentini. A Firenze però si lottavano le fazioni dei guelfi bianchi e neri, i primi più moderati, i secondi più intransigentemente filo-papali, per questo Bonifacio chiamò il fratello del re di Francia, Carlo di Valois, che intervenne sia a Firenze, scacciando i guelfi bianchi, tra i quali lo stesso Dante Alighieri (1301), sia nel regno di Sicilia.

La politica papale aveva favorito l'accentramento regale che Filippo IV di Francia aveva messo in atto. Ma Bonifacio non era una pedina in mano al re francese, anzi, nel 1296 egli condannò la penalizzazione del clero che i re di Francia e Inghilterra, in guerra tra loro, avevano attuato. Filippo IV rispose in maniera drastica, vietando che le decime uscissero dalla Francia per essere incamerate a Roma. Nel 1298 i due re sospesero gli scontri sulla base di un arbitrato del papa, ma accettarono il suo intervento solo come persona, non come pontefice: quest'inedita rivendicazione era un gravissimo simbolo di come l'autorità universale del pontefice fosse in chiaro pericolo. Nel 1301 la situazione si aggravò, quando Filippo amplificò le pretese di accentramento regale a dispetto della Chiesa francese, che venne per la prima volta tassata, minacciando il principio della libertas Ecclesiae. Il sovrano destituì alcuni vescovi più riluttanti ad accettare le sue imposizioni, come il vescovo di Pamiers Bernardo Saiset. Bonifacio rispose con la bolla Ausculta fili, che ribadiva le prerogative speciali della Chiesa, e con la Unam Sanctam (1302), che rifondava il primato dei pontefici su qualunque potere temporale perseguendo la linea di papi come Innocenzo III e Gregorio VII. Secondo questo documento il papa era il vicario di Cristo sulla Terra, al quale spettano di diritto le due spade: quella spirituale, usata in maniera diretta, e quella temporale, che lui concederebbe in delega ai vari sovrani. La rivendicazione di papa Bonifacio era però alquanto anacronistica e, a differenza dei suoi illustri predecessori del secolo precedente, egli non aveva ormai più una forza politica e contrattuale concreta, essendo venuta a mancare quella rete di alleanze che proprio nella Francia aveva un tradizionale sostegno. Gli mancava inoltre il sostegno di movimenti riformatori, come erano stati i patarini per Innocenzo, anzi egli se li era inimicati in seguito alla sua elezione.

Nel giugno del 1303 infatti il re di Francia, per niente intimidito, riunì un'assemblea di nemici del papa e lo dichiarò destituito, accusandolo di eresia, simonia, scismatismo e sottolineando le circostanze poco chiare della sua elezione. Guglielmo di Nogaret, consigliere del re, fu inviato in Italia per catturare il "falso papa" e grazie all'appoggio dei nobili romani avversi a Bonifacio, come Sciarra Colonna, riuscì a catturarle farlo imprigionare ad Anagni, umiliandolo gravemente. Solo il popolo di Anagni riuscì a salvare il papa, insorgendo e facendolo liberare, ma la prova era stata troppo dura per il settantenne pontefice, che, tornato a Roma, morì poco dopo.

[modifica] La cattività avignonese

Facciata del palazzo dei Papi ad Avignone
Facciata del palazzo dei Papi ad Avignone

La forza della monarchia francese e lo stato confusionale dei territori della Chiesa fecero sì che, dopo il breve pontificato di papa Benedetto XI, il nuovo pontefice Clemente V, consacrato a Lione, si fermasse ad Avignone (1305), da dove non aveva alcuna intenzione di tornare a Roma. La cittadina nella Linguadoca sarebbe diventata la nuova sede dei pontefici, in virtù della quale divenne un centro economico, finanziario ed artistico di primaria importanza.

L'espressione storiografica tradizionale per indicare questo periodo è nota come "cattività avignonese", che venne desunta dalla Bibbia ed è caratterizzata da connotati negativi. I papi avignonesi furono tutti francesi, ma solo nei primi anni essi furono effettivamente soggetti al re di Francia; con l'inizio della Guerra dei Cent'Anni la monarchia francese entrò in un periodo di grave crisi, che sollevò il papato dalla sua influenza effettiva. Il prestigio dei papi avignonesi fu anzi molto forte e seppe irradiare in tutta Europa le sue decisioni politiche, teologiche e fiscali. Lo Stato della Chiesa venne curato da energici legati pontifici, come Egidio Albornoz o Bertrando del Poggetto, mentre ad Avignone convergevano artisti di fama internazionale (come Simone Martini o Francesco Petrarca), grazie al cospicuo mecenatismo papale, assieme i maggiori banchieri del tempo. Si andavano rarefacendo invece i contenuti ecumenici del papato, ma ciò seguì una tendenza generale del tempo, riscontrabile in tutta la società, a causa della crisi dei poteri un tempo universali (il papato stesso e l'Impero): ormai tra i cittadini e questi grandi poteri generali si erano definitivamente interposte le monarchie nazionali, le quali volevano ormai controllare anche gli ecclesiastici. I cardinali iniziavano ad essere espressioni delle esigenze e delle nuove corti, scelti dai rispettivi sovrani piuttosto che dal papa: da un lato c'era il beneficio che essi diventavano i portavoce privilegiati del monarca presso la Santa Sede e che il collegio cardinalizio divenne una sorta di parlamento sovranazionale europeo. Dall'altro la Chiesa perdeva indipendenza e perdeva anche rilievo morale, con una decadenza spirituale che avrebbe portato nei secoli successivi a gravi conseguenze (come lo scisma protestante). La stessa dipendenza ai vari sovrani avveniva anche nei tribunali inquisitori, dove i monarchi potevano imporre le loro decisioni (come nel caso di Giovanna d'Arco, che la corona inglese volle condannare mentre gli ecclesiastici avrebbero voluto salvarla).

[modifica] Il "grande scisma d'Occidente" (1378-1417)

Per approfondire, vedi la voce Scisma d'Occidente.
Jean Froissart, La Chiesa divisa in due obbedienze
Jean Froissart, La Chiesa divisa in due obbedienze
Ulrich Richental, Vescovi che discutono al Concilio di Costanza con Giovanni XXIII, stampa colorizzata (1460-65)
Ulrich Richental, Vescovi che discutono al Concilio di Costanza con Giovanni XXIII, stampa colorizzata (1460-65)

Il ritorno a Roma era visto come obiettivo da vari pontefici, ed era promosso a gran voce da grandi personalità mistiche quali Giovanni di Rupescissa, Venturino da Bergamo, Brigida di Svezia e Caterina da Siena. Il ritorno alla naturale sede del pontefice era vista come il primo passo verso una rifondazione della Chiesa secondo le prerogative delle origini e verso la pacificazione della Cristianità.

I cardinali francesi, portatori di notevoli interessi ad Avignone, erano contrari al rientro e le notizie provenienti da Roma non erano confortanti; nonostante ciò la riorganizzazione del cardinale Albornoz o episodi come quello di Cola di Rienzo fecero propendere per un ritorno prossimo. Nel 1367 papa Urbano V rientrò a Roma, ma la situazione instabile della città e la pressione dei francesi fecero tornare il papa ad Avignone nel 1370. Gregorio XI riprovò a tornare nel 1371, ma morì poco dopo. Il conclave si riunì a Roma, e poteva essere l'occasione di formalizzare uno spostamento definitivo ad Avignone, essendo anche i cardinali in maggioranza francesi, ma il popolo romano insorse perché intendeva tenere il pontefice in città, quale garante dell'ordine e della sicurezza. Intimoriti dal tumulto i cardinali scelsero un italiano, Urbano VI (1378). Alcuni però giudicarono l'elezione non valida per via delle pressioni, inoltre le posizioni intransigenti del nuovo pontefice irritarono i cardinali francesi, che si ritirarono a Fondi, dichiararono l'elezione di Urbano nulla ed elessero un nuovo papa, Clemente VII, che si ritirò ad Avignone riaprendo la curia pontificia.

Si era arrivati al cosiddetto grande scisma d'Occidente, che durò circa cinquant'anni, fino al 1417. C'erano due pontefici, uno romano ed uno avignonese, ciascuno con il suo collegio cardinalizio, che si lottavano scomunicandosi a vicenda e cercando di far valere la propria posizione sulla cristianità. In Europa maturarono presto due fazioni:

  • Col pontefice di Roma erano alleati i tedeschi, gli inglesi, i fiamminghi e gli italiani del centro e del nord;
  • Col papa avignonese erano schierati i francesi e i naturali avversari dei precedenti, ovvero Austria, Brabante, regno di Napoli, Aragona e Castiglia.

Il disagio in Europa per la situazione non tardò a manifestarsi. Vi furono importanti sostenitori da entrambe le parti, come Caterina da Siena per il papa di Roma e san Vincenzo Ferrer per quello di Avignone. Nel 1409 la situazione peggiorò quando un grande numero di prelati, intendendo sanare la situazione, si riunì nel concilio di Pisa scegliendo un terzo pontefice, Alessandro V, che avrebbe dovuto regnare a seguito della rinuncia volontaria degli altri due papi, che però non si uniformarono affatto alle decisioni del concilio: si avevano così adesso tre papi.

Il papa del concilio di Pisa, in particolare il successore di Alessandro, Giovanni XXIII, riuscì ad avere la fiducia della maggior parte dei sovrani europei, grazie anche all'appoggio finanziario dei banchieri fiorentini (in particolare dei Medici), promotori dello stesso concilio pisano, svoltosi dopotutto in una città conquistata da Firenze tre anni prima. All'inizio del Quattrocento però il papa romano poteva ancora contare sull'appoggio della Baviera, della repubblica di Venezia e del re di Napoli Ladislao d'Angiò-Durazzo, mentre quello avignonese aveva ancora dalla sua parte Francia, Aragona e Castiglia. Ogni papa dispensò grandi favori ai suoi sostenitori, e i monarchi sembravano avviarsi verso un controllo totale della Chiesa nel proprio territorio.

Una soluzione al problema sembrò il ricorso a un nuovo strumento, il conciliarismo, cioè la convocazione di un'assemblea di vescovi frequente, indispensabile per la scelta di questioni teologiche e disciplinari più importanti e addirittura superiore alla volontà del singolo pontefice nei casi più decisi. Rilanciarono le tesi conciliaristiche Pierre d'Ailly e Jean Gerson, cancellieri dell'Università della Sorbona. Nel 1414 il re di Germania Sigismondo di Lussemburgo-Boemia ("re dei romani", cioè imperatore non ancora consacrato) convocò un concilio a Costanza, per discutere la ricomposizione dello scisma, la riforma della gerarchia e dei costume della Chiesa e l'organizzazione di una crociata contro la minaccia turca contro Costantinopoli. Il concilio venne appoggiato da un po' tutti i governi europei ed alla sua autorità si rimisero tutti e tre i papi in carica. Nel 1417 lo scisma venne ricomposto con la deposizione dei tre papi e l'elezione di Martino V, un nobile cardinale romano. Con il documento dell' Haec Santa si stabilì inoltre che un concilio sarebbe dovuto essere indetto ogni 5 anni e fu stabilita la superiorità del concilio sul papa stesso.

Il conciliarismo, che toglieva potere al pontefice, non era visto dai prelati più vicini alla curia romana, né dal nuovo papa stesso, anche se il peso del successo di Costanza impediva qualsiasi deroga al nuovo principio, nonostante anche le difficoltà obiettive che tali grandi riunioni comportavano, considerando anche le vie di comunicazione e le condizioni di viaggio dell'epoca, sommate alla lunghezza dei lavori conciliari che mancavano della tempestività necessaria per certe decisioni.

Nel 1423 fu indetto un primo concilio a Pavia, ma i lavori lenti e disordinati fecero propendere per un trasferimento a Siena, dove si concluse nel 1424. Il concilio oggi non è riconosciuto come ecumenico ed alcune sue conclusioni sono state tacciate di eresia. Dopo sette anni si aprì un nuovo concilio a Basilea, ma papa Eugenio IV tentò prima di scioglierlo, poi ne ottenne il trasferimento a Ferrara (1437) e poi a Firenze (1439). Vi venne discusso il pericolo subito dall'Impero bizantino, vicino alla capitolazione, alla presenza dell'imperatore d'Oriente stesso e del patriarca di Costantinopoli: in cambio della ricomposizione dello scisma del 1054 i bizantini chiedevano la convocazione di una crociata contro gli ottomani. Lì per lì, in vista del pericolo imminente, gli orientali accettarono, sottomettendosi anche alla superiorità del papa, ma non mancò un'ondata di indignazione a Costantinopoli e nelle comunità cristiane del Vicino Oriente e della Grecia, che vedevano la scelta obbligata come un ricatto dell'Occidente. A conti fatti la riunificazione si rivelò effimera, poiché nel 1453 Costantinopoli cadeva definitivamente in mano ai turchi, senza che nessuna crociata venisse in aiuto.

[modifica] Il "piccolo scisma" e i concordati

Amedeo VIII, divenuto antipapa, prese il nome di Felice V
Amedeo VIII, divenuto antipapa, prese il nome di Felice V

Una parte dei cardinali già riuniti a Basilea si rifiutò di trasferirsi a Ferrara, ed aveva avviato un nuovo scisma, il piccolo scisma d'Occidente con l'elezione di Amedeo VIII di Savoia, che fu l'ultimo antipapa della storia. Nonostante non fosse nemmeno un sacerdote, tenne la tiara fino al 1449, quando la depose spontaneamente deluso dallo scarso seguito ottenuto.

Le tesi conciliari, con il fallimento dell'ultimo concilio, persero di credibilità e venuto a mancare il sostegno dei sovrani europei, si iniziò a ricorrere a un nuovo strumento per la negoziazione tra monarchie nazionali e Santa Sede: il concordato. Tramite questo istituto giuridico ciascun sovrano si poteva accordare per ottenere una certa libertà nella gestione delle Chiese nazionali, come la proposta di vescovi, la richiesta di un giuramento di fedeltà, o alcuni diritti sul controllo dei beni ecclesiastici nei rispettivi paesi. Nacquero così vere e proprie "sezioni" della Chiesa come quella "gallicana" o quella "anglicana" (non ancora separate, come sarebbe accaduto nel XVI secolo), con una notevole autonomia in materia gerarchica, finanziaria e giuridica, ma fortemente controllate dai rispettivi sovrani.

[modifica] Nuovi dissensi religiosi: lollardi e hussiti

Jan Hus
Jan Hus

Le richieste di ritorno della gerarchia ecclesiastica alla povertà ed all'umiltà delle origini non erano mai tramontate dal periodo della riforma del XII secolo. Il malcontento generale chiedeva la rinuncia del potere temporale della Chiesa, l'avvicinamento ai ceti più umili, l'adozione dei volgari nella liturgia, l'accesso della sacre scritture da parte di chiunque. Inoltre rinascevano, durante la crisi dello scisma, le paure legate alla fine dei tempi, diffuse da molti predicatori popolari. Tra i movimenti sorti in quel periodo c'erano quelli che propugnavano una libertà assoluta di ciascun cristiano (i Fratelli dello Spirito Santo) e le aggregazioni spontanee di penitenti, come i flagellanti o i pellegrini della devozione dei Bianchi (del 1399).

La condotta poco edificante del papato durante il Grande Scisma fece sorgere alcuni movimenti di critica, come quello del sacerdote inglese John Wyclif, professore dell'Università di Oxford, che predicava la libera lettura delle Sacre Scritture da parte ci ciascun fedele, all'epoca vietata espressamente e subordinata all'interposizione del commento dei prelati. Wyclif dichiarava inoltre che il destino di ciascuno era già stato decisa da Dio, che non esisteva il libero arbitrio e che quindi qualsiasi azione volta a guadagnarsi il regno dei Cieli, compresi i sacramenti, era inutile. La Chiesa, secondo la sua dottrina, non aveva quindi nessun ruolo di mediazione tra Dio e i fedeli, e che la divisione della società in laici ed ecclesiastiche era indebita. Egli rispettava solo il sacramento dell'eucarestia, ma negava la transustanziazione (la trasformazione di pane e vino in corpo e sangue di Cristo), riconoscendo una permanenza di vecchie nuove caratteristiche dopo la benedizione (consustanziazione). Ebbe molti seguaci in Inghilterra, chiamati lollardi, che vivevano in gruppi in comunione di beni.

Le idee di Wyclif vennero riprese dal professore dell'Università di Praga Jan Hus, che pure rivendicava la lettura diretta delle Scritture e il rigetto della gerarchia ecclesiastica in favore del ritorno a una Chiesa di pari e umili. Alle idee di Hus si fusero le rivendicazioni nazionali della Boemia contro le ingerenze della Germania. Con la promessa di un salvacondotto, Jan Hus venne attirato al concilio di Costanza per illustrare le sue ragioni, ma qui venne arrestato, processato e condannato al rogo come eretico (1415). Il movimento però sopravvisse e portò ad una guerra civile capeggiata da Jan Ziska, fautore della fazione più intransigente degli hussiti, i taboriti, che chiedevano anche la secolarizzazione dei beni della Chiesa. L'aristocrazia e l'alto clero tedesco allora decisero di venire a patti con gli hussiti moderati (gli utraquisti o calixtini, che chiedevano di ricevere la comunione utraque specie, cioè col pane e col vino - quindi con il "calice" anche - come i sacerdoti), isolando i taboriti. Con l'accordo della Compacta di Praga (1436) gli utraquisti poterono organizzare una Chiesa nazionale boema, con proprie consuetudini ma fedele al papato.

Nel XV secolo, in risposta alla crescente ricchezza, mondanità e fastosità della curia romana, a discapito dello spirito religioso (pur con le dovute eccezioni), nacquero altri movimenti di riforma, anche se questi guardavano ormai al proprio interno e non si curavano di influenzare i papi, come la devotio moderna, popolare nei Paesi Bassi e nella Germania sud-occidentale, o il movimento delle osservanze francescana e domenicana, che chiedevano un ritorno al rigore e si impegnavano alla predicazione in volgare per rievangelizzare città e campagne. A partire da queste istanze, più o meno eterodosse, prese le mosse nel Quattrocento la Riforma luterana.

[modifica] La crisi del Trecento

Dopo due secoli di grande sviluppo e prosperità nel continente europeo, il Trecento fu un secolo di rottura, con l'interruzione di fenomeni in crescita come lo sviluppo demografico, l'ampliamento e la creazione di nuove città, lo straordinario aumento dei traffici in quantità e in qualità.

Oggi si inizia a considerare che il regresso possa essere stato causato innanzitutto da una variazione del clima, con la fine del cosiddetto periodo caldo medioevale, che aveva permesso lo scioglimento dei ghiacci (si pensi alla navigazione dei vichinghi), la coltivazione della vita fin sopra Londra, abbondanti raccolti facilitati dalla piogge scarse e regolari e le tiepide primavere.

[modifica] La carestia del 1315-1317 e il ristagno economico

Dall'Apocalisse di un Biblia Pauperum miniato a Erfurt: La morte (Mors) siede a cavalcioni di un leone la cui lunga coda finisce con una palla di fuoco (Inferno); la carestia (Fames) indica la sua bocca affamata.
Dall'Apocalisse di un Biblia Pauperum miniato a Erfurt: La morte (Mors) siede a cavalcioni di un leone la cui lunga coda finisce con una palla di fuoco (Inferno); la carestia (Fames) indica la sua bocca affamata.

La crisi del Trecento si manifestò innanzitutto con la fame, prima ancora che con la tristemente celebre ondata di peste. Molti storici hanno iniziato a supporre un eccessivo aumento della popolazione rispetto alle risorse producibili: nei secoli precedenti l'aumento delle derrate prodotte si era avuto grazie alla coltivazione di nuovi terreni, che verso la fine del Duecento erano giunti alla saturazione. Né è una prova la presenza di insediamenti anche in zone disagiate (montagne, zone paludose, ecc.) dove si produceva con grosse difficoltà, ma anche quel contributo era necessario (tutti insediamenti che vennero poi abbandonati nel corso del secolo con la diminuzione demografica dando origine al fenomeno dei villaggi abbandonati). Il clima più freddo e più umido peggiorò i raccolti e esponeva la popolazione, soprattutto i bambini, alle malattie da raffreddamento.

Si manifestava così, nei ceti subalterni, una fetta di popolazione denutrita, abituata da generazioni a nutrirsi quasi esclusivamente di cereali, che dovette soccombere al primo prolungato rialzo dei prezzi dovuto ai cattivi raccolti degli anni 1315-1317. La "Grande carestia" fu il primo sintomo di una situazione in peggioramento, della quale, naturalmente, i contemporanei non potevano avere consapevolezza.

La ricca Europa duecentesca secolo non era già stata immune dalle carestie, solo che esse avevano coinvolto alcune zone circoscritte, ai cui bisogni si era potuto provvedere facendo affluire derrate alimentari da altre aree non colpite. Nel 1315-17 la carestia invece si manifestò in maniera disastrosa in quasi tutto il continente e in contemporanea. Si erano infatti susseguite delle condizioni climatiche negative (inverni rigidi e prolungati, estati eccessivamente piovose, alluvioni e grandinate), danneggiando ripetutamente i raccolti. I prezzi dei cereali aumentarono vorticosamente, provocando la morte per denutrizione di molte persone e di parecchio bestiame. È stato calcolato che nella città di Ypres, tra il maggio e il novembre 1316, morirono quasi tremila persone su una popolazione di 20-25.000 unità[1].

Una nuova ondata di carestia si abbatté sull'Europa nel decennio 1340-1350.

Nelle città la crisi si manifestò con il ristagno della produzione e dello smercio di alcuni prodotti (soprattutto tessili), e con uno stallo dei rapporti tra moneta aurea e d'argento, che aveva visto un minor richiesta dell'oro, segno della cattiva salute dei traffici internazionali. Un grave collasso finanziario si ebbe a Firenze, il maggiore centro finanziario della penisola, quando nel 1342-1346 fallirono a catena alcune grandi compagnie commerciali (dei Bardi, dei Peruzzi, degli Acciaiuoli) a causa dell'insolvenza di re Edoardo III d'Inghilterra, sconfitto nella Guerra dei Cent'Anni.

[modifica] La peste nera

Trionfo della Morte, 1446 circa Palazzo Abatellis, Palermo
Trionfo della Morte, 1446 circa Palazzo Abatellis, Palermo

Il vero e proprio tracollo europeo si ebbe con l'arrivo di una durissima ondata di pestilenza, pare proveniente dalla Cina (dove c'era stata una grave pandemia nel 1333), che nel 1347 arrivò in Europa tramite le rotte commerciali, in particolare, pare, tramite le navi genovesi che facevano la spola tra Mar Nero e Mediterraneo per il commercio del grano. La pandemia si diffuse nelle zone portuali, arrivando a Messina e poi nelle città sul Tirreno, per poi spargersi ovunque.

L'epidemia era arrivata in Italia e nel Mediterraneo occidentale nell'autunno del 1347 per poi "congelarsi" durante i mesi invernali. Da marzo a maggio il contagio divenne allucinante[2], con le città che assistevano al progredire verso di esse del contagio terrorizzate di scoprire da un momento all'altro i segni della comparsa del male. Per tre lunghi anni la pandemia falciò il continente, fino all'estate del 1350 compresa.

Diffusione della peste nera dal 1347 (marroncino) al 1351 (giallo)
Diffusione della peste nera dal 1347 (marroncino) al 1351 (giallo)

Le cause dirette della pestilenza furono investigate solo nel XIX secolo, individuando almeno tre tipi di infezioni (polmonare, setticemia e ghiandolare o "bubbonica", che forse infierirono contemporaneamente. Quella bubbonica in particolare dava segni evidenti (i "bubboni") e si trasmetteva tramite i parassiti veicolati dai ratti all'uomo. L'epidemia fu particolarmente violenta per la debolezza endemica di larghe fette di popolazione denutrite e con il sistema immunitario depresso, e per le precarie condizioni igieniche di molti centri urbani sovraffollati. La comparsa dei sintomi (bubboni nella zona ascellare e inguinale, macchie nere, fino all'espettorazione di sangue), gettavano la popolazione nel terrore quali segni di sicura morte[3].

Gli studi parlano di una mortalità media del 25% della popolazione, con picchi (in Germania, in Francia e in Italia), del 30-35% e oltre. Alcune aree vennero anche inspiegabilmente risparmiate, come il milanese.

La pandemia terminò la fase acuta tra il 1350 e il 1351, permanendo però allo stato endemico e ricomparendo in successive ondate fino alla successiva pandemia del 1630. La popolazione europea non si riprese dal tracollo fino almeno al Settecento. Tra le conseguenze vi furono lo spopolamento delle aree impervie, con i contadini migrati a riempire gli spazi vuoti nelle aree più fertili in pianura e in collina, e la crisi dei piccoli proprietari terrieri, che vendendo i loro terreni favorirono la concentrazione delle proprietà in un minor numero di mani. I ceti dirigenti, in alcune zone, si allontanarono dal controllo diretto della terra, preferendo affidarla in affitto o secondo altri contratti (come la mezzadria in Toscana) e vivendo di rendita. Le condizioni di vita del ceto rurale peggiorarono comunque notevolmente e si andò formando una specie di "proletariato" rurale.

[modifica] Conseguenze devozionali

Buonamico Buffalmacco, L'incontro tra vivi e morti, dettaglio del Trionfo della Morte, Pisa, Camposanto Monumentale
Buonamico Buffalmacco, L'incontro tra vivi e morti, dettaglio del Trionfo della Morte, Pisa, Camposanto Monumentale

La disordinata religiosità che fu animata dalla sensazione di terrore e di disorientamento a fronte dell'inspiegabile susseguirsi di calamità e sciagure (carestie, epidemie, guerre, l'avanzata dei Turchi o dei Tartari), fu permeata da elementi apocalittici e irrazionali, che credevano in un'azione diabolica congiunta e particolarmente efficace. La fine del mondo e la venuta dell'Anticristo sembravano più vicine che mai e si cercarono dei nemici da combattere, che erano, oltre ai cattivi cristiani, gli ebrei e le streghe, contro le quali si scatenò una vera e propria "caccia".

Della sensibilità religiosa imbevuta di paura si approfittarono i predicatori popolari, che fecero incrementare le donazioni alla Chiesa e l'acquisto di indulgenze. La paura per la morte, visibile nei frequenti dipinti di "trionfi della morte", "danze macabre" e "incontro dei tre vivi e dei tre morti", era un sentimento nuovo ed era drammatizzata dal confronto con i prosperi secoli immediatamente precedenti. proliferavano gruppi e confraternite di penitenti, più o meno eterodosse, mentre in Italia e in Fiandra nacque la devotio moderna, con rappresentanti come Brigida di Svezia, Caterina da Siena, Enrico Suso e Tommaso da Kemps. Essa promuoveva un'adesione religiosa meno formale e più legata ad aspetti intimi e personali, intesa come un valore essenzialmente umano. L'opera più importante di questa corrente fu l'Imitazione di Cristo, tra i più celebri trattati di meditazione cristiana di tutti i tempi.

[modifica] Le rivolte

Per approfondire, vedi la voce Rivolte popolari del XIV secolo.
La fine della rivolta dei contadini in Inghilterra: Wat Tyler ucciso da Walworth sotto gli occhi di Riccardo II
La fine della rivolta dei contadini in Inghilterra: Wat Tyler ucciso da Walworth sotto gli occhi di Riccardo II

Alle carestie, le epidemie, la riduzione degli spazi a coltura cerealicola in favore di coltivazioni più redditizie, le vessazioni del ceto fondiario, vanno aggiunte le guerre che erano frequenti in tutta Europa e che si tramutavano talvolta in razzie, saccheggi e assedi a lungo termine con una destabilizzazione della società.

L'aggravarsi delle condizioni di vita dei ceti subalterni nelle campagne produsse inizialmente un flusso di persone verso le città, dove erano almeno presenti alcune istituzioni caritatevoli che gli assicuravano un minimo di sostentamento giornaliero. Ciò causò un sovrappiù di manodopera che minacciò i ceti subalterni cittadini. Il malessere verso una situazione divenuta ormai insostenibile fu all'origine di rivolte un po' in tutta Europa, sia nelle campagne che nelle città, a partire dai ceti più umili che talvolta riuscivano a coinvolgere anche frange più agiate, come i piccoli artigiani o i produttori subalterni.

In Fiandra si erano registrate rivolte già nel primo trentennio del Trecento, mentre le campagne francesi vennero battute tra 1315 e 1360 dalle folle dei pastoureaux ("pastorelli") e, tra il 1356 e il 1358, dalla jacquerie, dove i contadini inferociti misero al rogo parecchi castelli ed aggravarono la situazione già difficile durate la guerra dei Cent'Anni. Nel 1356 dilagò a Parigi una rivolta capeggiata dal "prevosto" dei mercanti Etienne Marcel.

Tra il 1351 e il 1378 si ebbero le rivolte dei Ciompi a Perugia, a Siena e a Firenze. In Inghilterra si ebbe una dura rivolta cristiano-popolare nel 1381, capeggiata da Wat Tyler e John Ball, che si ribellarono al duro regime fiscale imposto dal re a causa della lunga guerra contro la Francia.

[modifica] Le compagnie di ventura

Giacomo (Muzio) Attendolo Sforza in una miniatura quattrocentesca
Giacomo (Muzio) Attendolo Sforza in una miniatura quattrocentesca

Lo spopolamento ebbe come conseguenza anche l'impossibilità di tenere milizie cittadine e cavallerie feudali permanenti, rendendo necessario ricorrere a guerrieri di mestiere, che fossero ben addestrate e mobili. Nacquero così le compagnie di ventura, istituzioni militari composte da armati che di mestiere si prestavano a chi ne facesse richiesta in cambio di soldi. Erano delle vere e proprie "imprese" commerciali, che si offrivano ai vari governi dome mercenari. Il contratto che essi stipulavano si chiamava "condotta", da cui il termine condottiero.

Inizialmente le compagnie di ventura, che tanto peso ebbero nelle vicende italiane, erano straniere (Francesco Petrarca le chiamò "pellegrine spade"), come la Compagnia Bretone di Giovanni da Montréal, la Grande Compagnia di Werner von Urslingen o la Compagnia Inglese di Giovanni Acuto. Presto si formarono anche compagnie italiane, come la Compagnia di San Giorgio di Alberico da Barbiano, nella quale si formarono i condottieri Braccio da Montone e Muzio Attendolo Sforza, i quali furono all'origine delle due principali tattiche militari del tempo: quella braccesca, basata sull'assalto impetuoso, e quella sforzesca, che focalizzava sulla tattica e le manovre.

Le compagnie di ventura vendevano un servizio, quello militare, e non avevano nessun interesse a distruggersi a vicenda, né erano particolarmente interessati alla causa per la quale lottavano. Per questo vennero spesso accusate di non combattere sul serio e di essere inclini al tradimento favorendo chi offriva loro più soldi.

Ma il più grave difetto di queste compagnie, che si rivelò solo nei secoli successivi, era quello di trarre profitto dalla guerra, quindi di impedire l'instaurarsi di una qualsiasi pace duratura: in tempi tranquilli esse di davano al saccheggio costringendo i governi a pagr loro una sorta di tassa per impedire che si dessero a eccessi.

Alcuni condottieri riuscirono a fare una politica personale che nel migliore dei così fruttò loro una signoria e, magari più tardi, anche un principato.

[modifica] La ripresa

Masolino da Panicale, scena dagli affreschi della Cappella Brancacci, Firenze
Masolino da Panicale, scena dagli affreschi della Cappella Brancacci, Firenze

La crisi generale del Trecento riuscì ad innescare anche un riassetto economico e produttivo da parte dei ceti dirigenti, che gradualmente risalirono la china verso una nuova prosperità.

Per esempio le compagnie commerciali divennero, dopo i fallimenti a catena del 1342-1346, più flessibili, in modo che l'eventuale fallimento di una filiale non si ripercuotesse sull'intera compagnia. Inoltre venne meno il monopolio tessile delle Fiandre in favore di altre zone, come l'Olanda, l'Inghilterra e l'Italia. Si svilupparono inoltre le attività manifatturiere nelle campagne, dove la manodopera era più docile di quella cittadina, come quelle tessili, metallurgiche e cartarie. Si diffuse, oltre alla lana, l'uso di fibre vegetali come la canapa e il lino, aiutate dal nuovo uso di vestire camicie e sottovesti. Aumentò la domanda della seta e del vetro.

Nonostante i problemi quindi, sembrò che dopo la metà del Trecento la popolazione europea tornasse a consumare e lo facesse in maniera più diversificata. Aumentò il volume dei commerci soprattutto grazie al movimento delle merci "povere" (vini, alimenti, stoffe), che resero necessarie navi più ampie e capienti, come la cocca. Vennero sviluppati strumenti per il commercio come la partita doppia e la lettera di cambio.

Si fece strada un nuovo ceto imprenditoriale e capitalistico, che si imparentò con famiglie di antica nobiltà feudale, rispolverando tradizioni nobiliari in grande pompa.

Con questi dati alcuni storici hanno modificato la valutazione complessiva dell'età fra Tre e Quattrocento, sostenendo che il brusco calo demografico riequilibrò il rapporto tra risorse e individui, portando un miglioramento complessivo. A sostegno di questa ipotesi ci sarebbe anche il grande sviluppo artistico dell'Umanesimo e del Rinascimento. Altri, come Roberto Sabatino Lopez, hanno sostenuto invece che l'impossibilità di reinvestire i capitali durante un'epoca di depressione portò a "tesaurizzarli" nelle opere d'arte, finanziando cicli pittorici e opere monumentali.

[modifica] Verso l'Europa degli Stati (XIV-XV secolo)

[modifica] Filippo il Bello e il regalismo

Filippo IV di Francia, detto il Bello
Filippo IV di Francia, detto il Bello

Filippo il Bello, re di Francia dal 1285 al 1314, fu il sovrano europeo che meglio comprese lo sfaldamento del potere ecumenico e del sistema feudale, a vantaggio delle nuove borghesia cittadine, che detenevano considerevoli capitali liquidi. Egli era già entrato in contrasto con Bonifacio VIII riguardo al controllo della Chiesa di Francia, mentre nel 1307 fece iniziare il processo che avrebbe visto l'annientamento dell'Ordine templare. I Templari, dopo la caduta di San Giovanni d'Acri nel 1291, non avevano più ruolo in Terrasanta, ma gestivano una grande quantità di terre e di denaro, grazie alle donazioni di molti nobili e sovrani europei. Filippo vide in loro una risorsa per la sua politica dispendiosa, e dopo aver messo in circolazione gravi dicerie sediziose sull'Ordine (eresia, magia, combutta coi nemici musulmani, sodomia), ottenne da Clemente V l'autorizzazione a procedere contro di essi. Nel 1312 l'Ordine veniva sciolto, i suoi beni in parte incamerati dalla corona francese (quelli all'estero vennero ceduti dalla Santa Sede ai cavalieri ospitalieri di San Giovanni. Nel 1314 il Gran Maestro Jacques de Molay e i vertici dell'ordine vennero messi al rogo a Parigi.

Le politiche spregiudicate di Filippo erano saldamente fondate nelle elaborazioni di celebri giuristi che erano nella cerchia del re, come Pietro Dubois e Guglielmo di Nogaret, i quali misero su una dottrina politica fortemente regalistica, che fondarono il concetto moderno di politica e di Stato. L'essenza di queste teorie era il principio secondo il quale Rex superiorem non reconoscit, et imperator est rex in territorio suo, cioè che qualsiasi sovrano aveva il potere di essere fonte del diritto e della plenitudo potestatis, senza dover sottostare in alcun modo a potenze superiori, nemmeno quella del papa né tanto meno quella del sacro romano imperatore.

Per facilitare le sue pretese Filippo allontanò la nobiltà feudale, diffidente alla sua politica accentratrice, circondandosi di una nuova nobiltà da lui creata tra giuristi e funzionari di estrazione borghese, la cosiddetta noblesse de robe ("nobiltà di toga"), priva di lignaggio ma fedelissima al sovrano al quale doveva la sua fortuna.

[modifica] Gli ultimi fautori dell'universalismo

Il sepolcro di Arrigo VII (Enrico del Lussemburgo) nel Duomo di Pisa
Il sepolcro di Arrigo VII (Enrico del Lussemburgo) nel Duomo di Pisa

Ma il panorama delle scienze politiche del XIV secolo non era dominato solo dal regalismo, venendo ancora ribaditi i concetti dell'universalismo (cioè del concetto basato sul diritto romano secondo la quale esisteva un'unica Cristianità riunita in un solo corpo socio-politico ai cui vertici c'erano il papa e il sacro romano imperatore), coerenti con la bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII. Tra questi c'erano Egidio Colonna, autore del De ecclesiastica potestate (che ribadiva, basandosi su scritti di sant'Agostino, come il potere temporale fosse sempre subordinato a quello spirituale), o Dante Alighieri con il De Monarchia, dove si tentava una conciliazione tra papato e Impero, vigorosa ma già all'epoca inattuale. Dante, ormai simpatizzante verso il ghibellinismo, teorizzava la separazione tra potere temporale e spirituale, con il primo prerogativa solo dell'Imperatore, controllato direttamente da Dio. Riprendendo da Tommaso d'Aquino egli dimostrava come il concetto di monarchia fosse necessario e come impero e papato fossero due "lune", che non brillavano di luce propria e che non illuminavano l'altra, ma entrambe ricevevano luce dall'unico sole rappresentato da Dio.

Dante, affresco di Andrea del Castagno
Dante, affresco di Andrea del Castagno

La discesa di Enrico di Lussemburgo in Italia sembrò avverare le speranze di Dante. Il sovrano, scelto nel 1308 al posto di Carlo di Valois, temuto per la parentela troppo stretta col re di Francia, si diresse verso Roma per farsi incoronare imperatore e fece sapere ai signori ed alle città italiane che sarebbe disceso non come capo dei ghibellini, ma come pacificatore (rex pacificus). Le buone intenzioni però non erano surrogate da una sufficiente forza militare, così il sovrano dovette ricorrere all'aiuto dei ghibellini italiani i quali lo usarono per i propri fini, come i Visconti a Milano che approfittarono per cacciare i Torriani guelfi. Si creò quindi fin da subito un fronte guelfo contro l'Imperatore, capeggiato da Firenze e da Roberto d'Angiò, re di Napoli. Anche a Roma l'imperatore trovò ostacoli, dovendo essere incoronato in San Giovanni in Laterano perché San Pietro era occupata dai guelfi Orsini e alleati. Risalendo Enrico cinse d'assedio Firenze (1312), senza successo nonostante la durissima lettera inviata da Dante ai fiorentini. Si spostò poi nella fedelissima Pisa, dove organizzò una spedizione contro Napoli. Dopo essere partito morì poco dopo, a Buonconvento, presso Siena, forse per un attacco di malaria (1313).

Alla sua morte la Germania ricadde nell'anarchia delle elezioni e solo nel 1322 si poté incoronare Ludovico il Bavaro (perché conte di Baviera). Ludovico non richiese mai la ratifica papale e scese in Italia per aiutare i Visconti di Milano, suscitando l'ira del papa che lo scomunicò (1324). L'imperatore rispose accusando il papa stesso di abuso di potere, eresia e magia. Un ulteriore schiaffo al pontefice fu l'incoronazione a Roma non nelle mani del papa o di un suo vicario, ma dal senatore Sciarra Colonna, lo stesso che aveva insultato Bonifacio VIII ad Anagni. Inoltre riunì un conclave che nominò un antipapa, Niccolò V, capo dei fraticelli. Nel 1330 Ludovico lasciava l'Italia, senza abbandonare la lotta contro il pontefice. Nel 1388 ottenne dai principi tedeschi la dichiarazione che l'elezione imperiale non aveva bisogno di alcuna ratifica papale, e che il potere dell'imperatore derivava direttamente da Dio ed era legittimato dal procedimento di elezione principesca. Questi principi di laicità dell'Impero erano maturati grazie al contributo di numerosi studiosi e giuristi, tra i quali spiccavano Marsilio da Padova e Guglielmo d'Ockham.

[modifica] La Bolla d'Oro e l'ascesa degli Asburgo

La Bolla d'oro dell'imperatore Carlo IV
La Bolla d'oro dell'imperatore Carlo IV

L'imperatore tedesco era il simbolo che garantiva l'unità di una grande quantità di Stati feudali, retti da principi laici o ecclesiastici, e città mercantili che spesso entravano in federazione tra di loro. Egli non aveva un potere politico effettivo, ma piuttosto rappresentava un collante culturale e spirituale. C'erano stati tentativi di rendere questo titolo da elettivo a ereditario (come con la dinastia sveva), e dal XIV alla metà del XV secolo si delineò una tendenza a scegliere l'imperatore tra due sole famiglie: gli Asburgo e i Lussemburgo.

Alla scomparsa di Ludovico il bavaro (1346) divenne re di Germania Carlo IV di Lussemburgo, che avendo sposato Elisabetta Přemyslovna, erede del trono boemo, era diventato anche re di Boemia. Carlo si preoccupò soprattutto della Germania, rendendosi conto che quello era il territorio che poteva dargli un po' di potere effettivo e che per procurarselo doveva avere un appoggio territoriale più ampio possibile. Per questo iniziò a rafforzarsi in Boemia, dove fece di Praga una splendida capitale dotata di Università. Inoltre incoraggiò l'uso del tedesco al posto del latino nella sua cancelleria.

Carlo individuò tra le ragioni della cronica debolezza imperiale quella relativa all'incertezza di chi fossero gli elettori aventi diritto di decidere il re. Per questo emanò la cosiddetta "Bolla d'Oro" (1356) dove elencava sette principi elettori, quattro laici e tre ecclesiastici. essi erano:

  1. Il re di Boemia
  2. Il margravio del Brandeburgo
  3. Il duca di Sassonia
  4. Il conte del Palatinato
  5. L'arcivescovo di Magonza
  6. L'arcivescovo di Colonia
  7. L'arcivescovo di Treviri

L'elezione si sarebbe d'ora in poi tenuta a Francoforte e l'incoronazione del re di Germania a Aquisgrana. La Bolla d'Oro inoltre proibiva le leghe di città, anche se il fenomeno non vide la fine, poiché era l'unico modo per i centri mercantili per affrancarsi dall'egemonia dei nobili. La lega sveva si fuse con la lega renana nel 1381 e con la confederazione elvetica nel 1385. Inoltre restava più potente che mai la lega anseatica, fondata nel 1358 con città quali Lubecca, Amburgo e Rostock, che dominava il commercio nel Mare del Nord e nel Mar Baltico.

Bandiera della Casa d'Asburgo
Bandiera della Casa d'Asburgo

Nel 1353 Carlo acquistò il Palatinato Superiore e nel 1373 si assicurò il Brandeburgo. Con la sua morte però la casa boema non si dimostrò all'altezza e regnarono alcuni sovrani poco forti finché non salì al trono Sigismondo (1410-1437), che aveva ottenuto anche la corona di re d'Ungheria dal 1387. Egli dovette venire a patti con i principi tedeschi e con la Chiesa accettando alcuni concordati, ma seppe guadagnare molto prestigio per aver indetto il concilio di Costanza che sanò il grande scisma d'Occidente. Egli inoltre capì la debolezza del sovrano per l'assetto elettivo della corona e, senza modificarlo, capì come dominarlo creando un'alleanza interfamiliare, che venne stipulata con gli Asburgo, duchi d'Austria. La figlia di Sigismondo, sposò il rampollo di casa Asburgo, che infatti divenne imperatore con il titolo di Alberto II del Sacro Romano Impero, di Boemia e d'Ungheria. Di nuovo venne poi eletto un Asburgo, Federico III, che si fece incoronare imperatore a Roma nel 1452. Da allora fino al 1806 la corona sarebbe rimasta sempre nelle mani degli Asburgo, nonostante permanesse la finzione giuridica dell'elezione.

Gli Asburgo non tennero una politica strettamente tedesca, anzi cercarono di allearsi con altre case regnanti europee, come quella di Borgogna, i "re cattolici" di Spagna o il papato, che guardava soprattutto a loro nella causa contro i turchi. Si avvantaggiarono della situazione in Germania nuovi poteri, come le leghe cittadine, le casate territoriali, come gli Hohenzollern nel Brandeburgo, e i cavalieri Teutonici, che crearono un proprio Stato di fatto indipendente nei territori orientali tra Prussia e Polonia.

[modifica] La Guerra dei Cent'Anni

Territori controllati da Francia e Inghilterra nel 1346 ██ Principali battaglie della prima fase della guerra --- Itinerario dell'esercito di Edoardo III nel 1346 --- Itinerario del Principe Nero nel 1356
Territori controllati da Francia e Inghilterra nel 1346

██ Principali battaglie della prima fase della guerra

--- Itinerario dell'esercito di Edoardo III nel 1346
--- Itinerario del Principe Nero nel 1356
Situazione nel 1429 ██ Territori controllati da Enrico V ██ Territori controllati dal duca di Borgogna ██ Territori controllati dal delfino Carlo ██ Principali battaglie --- Attacchi inglesi nel 1415 --- Viaggio di Giovanna d'Arco verso Reims nel 1429
Situazione nel 1429

██ Territori controllati da Enrico V

██ Territori controllati dal duca di Borgogna

██ Territori controllati dal delfino Carlo

██ Principali battaglie

--- Attacchi inglesi nel 1415
--- Viaggio di Giovanna d'Arco verso Reims nel 1429

La guerra detta dei Cent'Anni fu un conflitto per alcuni versi inevitabile, che doveva chiarire molte questioni aperte tra re di Francia e re d'Inghilterra. Il secondo infatti, sin dalla conquista normanna della Britannia del 1066, si era trovato a possedere vasti territori francesi in posizione di subordinato feudale al re francese, mentre oltre lo stretto della Manica i due re erano parigrado. Il re inglese, dopo aver perso la Normandia (1204), possedeva ancora la prospera Aquitania (dal matrimonio di Enrico II d'Inghilterra con Eleonora d'Aquitania) e c'erano stati degli screzi anche a proposito della ricca contea di Fiandra, che doveva la sua ricchezza in parte grazie ai commerci con l'Inghilterra, dalla quale importava la lana che usava nelle manifatture tessili, le più importanti d'Europa.

La questione fiamminga venne giocata dal re francese isolando i fiamminghi dall'Inghilterra, che era in una situazione difficile a causa delle lotte con la Scozia e che si accontentò di prendere il ducato di Guienna in cambio dell'impegno a non appoggiare i Comuni fiamminghi.

In Scozia infatti la situazione rea incandescente, dopo che Edoardo I d'Inghilterra aveva deposto John Balliol (1296) per occupare direttamente il paese, scatenando la rivolta popolare (guidata dagli eroi nazionali William Wallace e Robert Bruce) che portò alla fondazione di un regno di Scozia indipendente. Nel frattempo il parlamento inglese (dal 1297 composto da una Camera dei Lords e una Camera dei Comuni) approfittò della debolezza regia per strappargli sempre più concessioni, come il diritto di approvare o meno qualunque tassa. Nonostante ciò, l'appoggio del parlamento fu la forza del re inglese, che poté presto tornare ad occuparsi dei suoi territori continentali. Il matrimonio tra Edoardo I d'Inghilterra e Margherita di Francia, sorella di Filippo IV, invece di rafforzare i legami tra le due case regnanti, diede origine ad ancora maggiori ingerenze inglesi in terra di Francia, tanto che Edoardo II d'Inghilterra, nato dall'unione tra Edoardo I e Margherita, aveva per nascita dei diritti sulla corona francese, che vennero ulteriormente rafforzati dal suo matrimonio con Isabella di Francia, sorella di Carlo IV di Francia. Carlo IV infatti morì senza eredi maschi, estinguendosi la casata dei Capetingi, con i diritti di successione passati alla sorella Isabella ed ai suoi discendenti. Ma un'assemblea di baroni e prelati inglesi si appellò alla legge salica (che escludeva secondo il diritto consuetudinario le donne dalla successione regia) per impedire che Edoardo III d'Inghilterra unisse le corone inglesi e francesi. La corona francese venne assegnata a Filippo VI di Francia, figlio di Carlo di Valois. Edoardo inizialmente fu preso dai problemi interni ai suoi possedimenti e solo in seguito si alleò di nuovo con i Comuni fiamminghi. Questo spinse Filippo a dichiarare la sua infedeltà, al quale il re inglese rispose rivendicando i suoi diritti sulla corona di Francia. Scoppiava così la guerra dei Cent'Anni, che durò dal 1339 al 1453.

Inizialmente l'Inghilterra disponeva di forze superiori e meglio organizzate, con compagnie di arcieri e le prime "bombarde", cioè i cannoni a pietra, mentre i francesi avevano una poco disciplinata cavalleria di origine feudale e qualche reparto mercenario (come i balestrieri genovesi). Le prime battaglie videro tutte la vittoria degli inglesi (Crécy nel 1346, Calais nel 1347, Poitiers nel 1356 dove accadde prigioniero anche il re Giovanni II il Buono), aggravate dalle rivolte della jacquerie e della borghesia parigina del 1358 per gli effetti della pesta nera e il disordine durante la prigionia del re a Londra. Nel 1360 Edoardo III rinunciò ai diritti sulla corona francese in cambio della sovranità feudale di un'ampia parte della Francia, corrispondente a quasi tutta la fascia sud-occidentale tra la Loira e i Pirenei. Nonostante ciò la guerra riprese nel 1369 con operazioni endemiche di razzia, guerriglia e assedi che ridussero la Francia alla miseria e alla disperazione[4].

Edoardo III e Carlo V morirono rispettivamente nel 1377 e nel 1380, lasciando i entrambi i paesi in balia a eredi minorenni tutelati dai feudatari loro parenti. In Inghilterra prese poi il potere Enrico IV del casato dei Lancaster, che represse la guerra civile di Watt Tyler e John Ball, e poi Enrico V; in Francia Carlo VI diede segni di squilibrio mentale, permettendo al divisione del paese in più ducati controllati dai suoi numerosi zii. Nel 1382 prevalse il ducato di Borgogna, che represse una rivolta nella contea di Fiandra annettendola. Al duca di Borgogna, sovrano forte e illuminato, guardavano le forze cittadine, mentre il suo avversario era Bernardo d'Armagnac, protettore degli interessi della nobiltà.

Miniatura di Giovanna d'Arco, Centre Historique des Archives Nationales, Parigi, AE II 2490 (1450-1500)
Miniatura di Giovanna d'Arco, Centre Historique des Archives Nationales, Parigi, AE II 2490 (1450-1500)

All'inizio del XV secolo quindi l'Inghilterra normalizzata, mentre la Francia viveva una profonda spaccatura. Giovanni senza Paura, duca di Borgogna, era di fatto l'uomo più importante del regno e fu lui a chiamare il re inglese in Francia per indebolire il re francese. Enrico V d'Inghilterra, dopo essersi reimpossessato dei suoi feudi storici di Normandia e di Guienna (nome da allora diffuso dell'Aquitania), dopo la vittoria di Azincourt (1415) tornò a rivendicare i suoi diritti sulla corona francese. Si arrivò così al trattato di Troyes, firmato da Enrico V e dal nuovo conte di Borgogna Filippo il Buono (in nome di re Carlo VI), dove si stabiliva che il re inglese avrebbe sposato Caterina di Valois, figlia del re francese, che gli avrebbe portato in dote il regno di Francia alla morte del sovrano. Venne escluso il "delfino" di Francia Carlo, rifugiato all'epoca a Bourges e per questo beffardamente chiamato "re di Bourges" dagli inglesi. Carlo riuscì ad affermare il suo potere nel sud della Francia fino alla Loira. Con la morte di Carlo VI e di Enrico V (1422), prese il potere Enrico VI d'Inghilterra, figlio di Enrico e Caterina, al quale gli si contrappose il delfino nominato a Bourges Carlo VII di Francia.

Nonostante sulla carta fosse più forte Enrico VI, durante un disastroso assedio di Orléans, Carlo VII sconfisse le truppe inglesi e borgognone (1429), facendosi poi incoronare re a Reims. La riscossa francese pare che fosse aiutata dall'eroina nazionale Giovanna d'Arco, che coalizzava volontari da ogni ceto sociale. Catturata però dagli assedianti fu venduta agli inglesi (1430), che la processarono per eresia, venendo bruciata la rogo per le pressioni inglesi, nonostante la volontà degli ecclesiastici di salvarla, nella piazza del mercato di Rouen il 30 maggio 1431. Con la riconquista di Rouen del 1456 Giovanna venne riabilitata e santificata solo nel 1920. Carlo VII poté trionfare anche per il trattato di Arras col duca di Borgogna (1435) e la tregua col re inglese siglata a Tours nel 1444. Una volta riorganizzatosi riprese l'offensiva nel 1448, obbligando gli inglesi a sgombrare i feudi da essi occupati del Maine, della Guienna e della Normandia. Restava inglese solo Calais. Dopo il 1453 la guerra andò spegnendosi senza un vero trattato di pace.

[modifica] La Francia dopo la guerra

Il primo ostacolo che il nuovo re di Francia Luigi XI si trovò ad affrontare fu l'abbattimento della potenza dei grandi principi di Borgogna e di Bretagna che gli impedivano di impostare una politica unitaria nel regno. I nobili, venuti al corrente delle sue iniziative, gli si opposero con la lega del pubblico bene, ma Luigi seppe rompere il fronte degli avversari con le trattative. Tra 1475 e 1480 assorbì i possedimenti della casa d'Angiò, poi, aiutato dall'imperatore e dagli svizzeri, debellò la potenza borgognona (1477) e ne incamerò i beni; la Bretagna venne infine associata alla corona tramite il matrimonio tra Carlo VIII e la duchessa Anna di Bretagna. Si può dire allora che era già nata la Francia "moderna"[5].

Nella Francia di allora le questioni ecclesiastiche erano regolate dalla prammatica sanzione di Bourges del 1438, che creò una Chiesa "Gallicana" formalmente soggetta ala papa ma politicamente dipendente da re; il sovrano era affiancato da un parlamento e le prerogative feudali vennero riformate tra il 1446 e il 1454 in senso statale. Gli Stati Generali (assemblea del clero, della nobiltà e del "terzo stato") venivano convocati sempre meno, ma dal 1497 nacque il Gran Consiglio. Lo stato venne diviso dal punto di vista fiscale in quattro "generalità" (macro-aree) e il gettito permetteva di mantenere un esercito permanente.

[modifica] L'Inghilterra e la guerra delle due rose

La rosa rossa dei Lancaster
La rosa rossa dei Lancaster
La rosa bianca degli York
La rosa bianca degli York

La dinastia dei Lancaster uscì molto screditata dalla sconfitta nella Guerra dei Cent'Anni e lo stesso Enrico VI era un sovrano debole e probabilmente con problemi psichici. La moglie Margherita d'Angiò si era allora alleata con una altro casato, quello dei Beaufort, scatenando le proteste del duca Riccardo di York, che additò i Lancaster dando origine nel 1455 alla guerra delle due rose, dagli emblemi della casato di York (una rosa bianca) e di Lancaster (una rosa rossa).

Il figlio di Riccardo, dopo la morte del padre, riuscì a battere i Lancaster ed a farsi incoronare re come Edoardo IV d'Inghilterra (1461). Anche il re di Francia e il duca di Borgogna si intromisero allora nella guerra sostenendo ciascuno uno degli schieramenti contrapposti. Alla fine venne incoronato Riccardo III di York, ma i gravi crimini che aveva compiuti gli alienarono fin da subito gran parte del clero. Stanchi delle lotte gli inglesi scelsero allora un sovrano capace di porre fine alle discordie, Enrico Tudor, discendente dei Lancaster ma maritato a una York. Dopo aver vinto la battaglia di Bosworth (1485), appoggiato dai francesi, si fece incoronare come Enrico VII.

La pace permise di iniziare anche in Inghilterra il processo di modernizzazione e accentramento del potere. Smorzò il ceto feudale e governò aiutato da due consigli, il Consiglio Privato e la Camera Stellata, che lo aiutavano a trovare gli strumenti giuridici e amministrativi per ridurre al minimo i poteri feudatari. In questo senso aumentò i terreni soggetti direttamente alla corona e sostenne lo sviluppo di una nuova nobiltà di origine borghese (la gentry). Fu promossa anche l'attività cantieristica e la pratica di mare, un'innovazione per la rurale e pastorale Inghilterra di allora, che avrebbe permesso la successiva fortuna del paese con la creazione di un impero tra Cinque e Novecento.

[modifica] La Borgogna

Filippo II, detto l'Ardito
Filippo II, detto l'Ardito
Giovanni Senza paura
Giovanni Senza paura

Il ducato di Borgogna era nato in un momento di disgregazione del regno di Francia, quando Giovanni II di Francia aveva concesso quella florida terra al figlio Filippo l'Ardito. Tramite una politica accurata di acquisti e matrimoni Filippo e suo figlio Giovanni senza Paura riuscirono a ingrandire i confini del ducato arrivando a comprendere la Franca Contea, la Fiandra, l'Olanda, lo Hainaut, il Brabante, il Lussemburgo e Namur. Successivamente Filippo il Buono e Carlo il Temerario avevano aggiunto l'Alta Alsazia, la Gheldria e la Lorena. Queste dipendevano formalmente sia dal re francese che dall'impero, per questo la Borgogna si presentava nel tardo Quattrocento come uno Stato federale, che controllava una fascia tra le più attive in Europa che andava dalle Alpi al Mare del Nord, con grandi centri manifatturieri, portuali e commerciali come Bruges e Anversa.

I duchi di Borgogna furono tra i sovrani più apprezzato dell'epoca, gli unici in Europa ad essere dotati di un consenso pressoché unanime: i ceti mercantili e imprenditoriali erano favoriti dalla loro politica; i nobili vedevano nel duca, impregnato della cultura cavalleresca, il loro primo cavaliere e il protettore delle consuetudini feudali; i ceti subalterni veneravano l'indole generosa manifestata dalle frequenti elargizioni, rese possibili dal buon andamento dell'economia nel ducato.

Il programma politico dei duchi di Borgogna era molto ambizioso ed aveva, tra i fini ultimi, una crociata che riconquistasse Costantinopoli dove essi si sarebbero potuti fare incoronare imperatori; Carlo il temerario arrivò anche a proporsi come candidato per il Sacro Romano Impero. Quando il duca scese in campo contro il re di Francia si coalizzò contro di lui una federazione di nemici (come i cantoni svizzeri, che si sentivano minacciati), che lo sconfisse ripetutamente fino alla sua morte durante l'assedio di Nancy (1477). I territori borgognoni vennero così spartiti tra Francia e Germania con il trattato di Arras del 1483.

[modifica] La Svizzera

La battaglia di Sempach
La battaglia di Sempach

Più o meno mentre la Borgogna tracollava una nuova entità stava salendo alla ribalta, la confederazione della Svizzera. Nata a metà del Trecento dalla crisi dell'Impero romano-germanico, aveva una struttura federale e prendeva il suo nome dalla cittadina di Schwyz, che sentendosi minacciata dal ducato d'Austria degli Asburgo, si alleò con le popolazione di altre aree, quali Uri e Unterwalden. Così nel 1315 i contadini e i montanari svizzeri riuscirono a respingere le truppe degli Asburgo (battaglia di Morgarten) e nel 1386 riportarono una vittoria definitiva nella battaglia di Sempach.

Nel Quattrocento essi fronteggiarono le mire espansionistiche della Borgogna, che contribuirono a sconfiggere militarmente nel 1477. Nel 1499, con la pace di Basilea, la Confederazione riceveva definitivamente l'indipendenza.

[modifica] La penisola iberica

La penisola iberica era divisa nel XV secolo in quattro regni:

  1. Il regno del Portogallo, indipendente dal 1139;
  2. Il regno di Castiglia y León , esteso dall'Atlantico alla sierra Morena, che incamerava gran parte dei territori della Reconquista;
  3. Il regno d'Aragona, proteso verso il mare e esercitante un'egemonia sulle isole del mediterraneo occidentale e sull'Italia del sud;
  4. L'emirato di Granada, ultimo baluardo musulmano.

I sovrani di Castiglia avevano impoverito i terreni un tempo musulmani, vessando le colte comunità dei musulmani assoggettati (moriscos) ed ebrei, promuovendo la coltivazione estensiva e il pascolo in terre un tempo già fertili dall'ormai dismessa irrigazione moresca.

Tomás de Torquemada
Tomás de Torquemada

Gli ordini militari che avevano combattuto i mori ebbero in gestioni ampie parti di territorio, creando uno scenario spesso economicamente desolato, ma ancora volto all'attività guerriera ed a una religiosità ascetica. Per ricristianizzare i territori a lungo tenuti dai musulmani venne creata una severa Inquisizione guidata dal domenicano Tommaso di Torquemada, che perseguitò inflessibilmente ogni forma di eresia e di concessione agli altri culti.

Una svolta si ebbe con il matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando II d'Aragona (1469), che una volta ereditari i rispettivi regni li tennero formalmente separati, ma li controllarono unitamente.

Nel 1462 cadde anche Granada e la Reconquista venne completata, con ebrei e musulmani obbligati alla conversione o all'esilio.

Il Portogallo era sempre più interessato alle nuove vie marittime verso l'Africa e l'Oriente, con la presa di Ceuta, in africa, nel 1415.

[modifica] La Polonia e l'Ungheria

Stemma della casata polacco-lituana
Stemma della casata polacco-lituana

La Polonia era stata riunificata da re Ladislao I nella prima metà del XIV secolo, grazia anche al sostegno della Santa Sede. La capitale venne posta a Cracovia. Casimiro III il Grande consolidò la nazione alleandosi con i vicini (Boemia e Cavalieri Teutonici) ai quali fece delle concessioni territoriali (rispettivamente la Slesia e la Pomerania) in cambio del diritto a governare in pace il suo paese. Nel 1364 fondò l'Università di Cracovia sul modello di quelle italiane e si dedicò anche a frenare lo strapotere della nobiltà. Gli successe il nipote Luigi I d'Angiò, già re d'Ungheria, che unì finché restò in vita le due corone.

Mentre l'Ungheria si univa alla Boemia, col suo re Sigismondo che divenne sacro romano imperatore, la Polonia si fuse alla Lituania tramite il matrimonio tra Edvige di Polonia e Ladislao Jagellone (1386). Nacque così la dinastia degli Jagelloni, che avrebbe sconfitto i tartari delle basse pianure russe e che nella battaglia di Tannerburg batterono i cavalieri Teutonici. Nel 1466, con la pace di Thorn, la Prussia divenne feudo polacco. Una nuova unione dei paesi orientali sembrò profilarsi con la salita al trono di Ladislao III, re di Polonia, Lituania e Ungheria, ma la sua morte nella battaglia di Varna contro turchi infranse l'unione. La "Grande Polonia", estesa dal Baltico al Mar Nero, venne rifondata da re Casimiro IV (1447-1492).

Le federazioni di stati dell'Europa orientale erano volte spesso a combattere il nemico comune rappresentato sia dall'espansione degli Asburgo, sia dai Turchi. Nel 1485 la Polonia scese in campo dichiarando guerra ai Turchi per via della questione della Moldavia.

[modifica] Il principato di Mosca

Ivan III riduce in pezzi l'intimazione del Khan
Ivan III riduce in pezzi l'intimazione del Khan

Il principato di Mosca, nato nella metà dela XII secolo e religiosamente cristiano-ortodosso, ascese con Ivan I Kalita (1325-1341), che riuscì a impadronirsi delle terre tra Dvjna e Volga, venendo approvato anche dai tartari del vicino khanato dell'Orda d'Oro. Nel 1439 i principi di Mosca si rifiutarono di riconoscere la breve riunione tra cattolici latini e ortodossi, e si misero a capo di una Chiesa nazionale russo-ortodossa. Con la caduta dell'Impero bizantino nel 1453, i principi russi iniziarono ad atteggiarsi come suoi eredi, scegliendo come capitale Mosca che, abbellita da architetti italiani, venne proclamata la "Terza Roma". Nel 1462 Ivan III sposò la principessa Zoe di Bisanzio e si proclamò imperatore "di tutte le Russie", usando il termine di czar, deformazione fonetica di Caesar.

Grazie all'appoggio della nobiltà russa (i boiardi), Ivan III denunciò ufficialmente nel 1480 il suo vassallaggio nei confronti del tartari dell'Orda d'Oro.

[modifica] La Scandinavia

In risposta al crescente potere economico commerciale dell'Hansa le città scandinave promossro l'unione dei regni di Svezia, Norvegia e Danimarca con la cosiddetta unione di Kalmar. Resse l'unione Margherita di Danimarca, che era figlia del re danese e sposa di quello norvegese, finché nel 1389 fu chiamata dai nobili svedesi per sostituire il sovrano Alberto che essi stessi avevano imprigionato.

I regni vennero uniti anche formalmente dal nipote Erik di Pomerania, che suggellò l'unione, appunto, a Kalmar nel 1397. L'unione venne rotta una prima volta nel 1434 ed ebbe vita difficile fina ala completa dissoluzione del 1523.

[modifica] La situazione italiana (XIV-XV secolo)

L'Italia nel 1494
L'Italia nel 1494

La crisi del XIV secolo colse le istituzioni comunali italiane, soprattutto nel settentrione, in piena crisi istituzionale, con molte di esse che avevano già delegato il governo a un "signore" (diventando quindi delle signorie). Le conseguenze delle crisi furono particolarmente gravi nella Penisola, con un crescente malessere che portò a rivolte sociali. Queste rivolte però ottennero spesso l'effetto opposto a quanto rivendicato, con i governi cittadini che, presa la consapevolezza della mutata situazione, invece di allargarsi, si restrinsero ulteriormente in vere e proprie oligarchie.

Stati comunali minori sparivano aggregandosi ad altri più grandi, per conquiste o per trattative diplomatiche. Si avviarono così in Italia settentrionale e centrale degli Stati territoriali, dove alle istituzioni comunali si sostituivano i governi dei "signori", presi con la forza o chiamati dagli stessi cittadini che rinunciavano a una parte del loro peso politico in cambio di un po' di pace e stabilità, logorati dalle lotte tra guelfi e ghibellini. Il loro potere era comunque vincolato all'appoggio popolare o aristocratico, legandosi a questa o quella fazione cittadina che li sosteneva.

Un successivo passaggio fu quello dalle signorie ai principati, dove i "signori", non più soddisfatti della sola autorità conferita dai cittadini ("dal basso") cercarono una legittimazione anche "dall'alto", facendosi proclamare dall'imperatore o dal papa suoi vicari o feudatari, ottenendo così anche un titolo che gli fregiava del potere giurisdizionale per delega regia.

Ma non tutte le repubbliche comunali divennero principati. Le eccezioni più illustri furono Firenze, Venezia e, in parte, Genova, alle quali vanno aggiunte realtà minori quali Lucca e Siena. Anche se in queste città ci furono periodi di dittatura signorile, ciò non si tradusse in qualcosa di stabile, né ci fu la forza per fondare un principato. Venezia poi era un'eccezione nelle eccezioni, con il duplice sistema del doge e dei consigli che fondevano le forme della monarchia e della repubblica.

Il "policentrismo" italiano fu la caratteristica peculiare della politica nella Penisola mentre nel resto d'Europa si affermavano le monarchie nazionali. Naturalmente il discorso cambiava dallo Stato della Chiesa in giù, dove erano presenti solide compagini statali, in particolare i regni angioino di Napoli e aragonese di Sicilia.

Nonostante i tentativi di riunificazione italiana, tutti falliti come quello di Giovanni di Lussemburgo, quello di Alberto e Mastino della Scala o quello dei Visconti di Milano. Le potenze repubblicane e mercantili di Firenze e Venezia si sarebbero sempre opposte a tali progetti. La situazione nel XIV secolo si stabilizzò quindi così:

A questi Stati più influenti vanno aggiunti poi altri stati minori:

[modifica] Milano

Per approfondire, vedi la voce Storia di Milano.
Giovanni Ambrogio de Predis (attr.), presunto ritratto di Giangaleazzo Visconti
Giovanni Ambrogio de Predis (attr.), presunto ritratto di Giangaleazzo Visconti

La città di Milano era riuscita ad imporre un'egemonia in Lombardia a partire dal XII secolo, grazie alle manifatture metallurgiche e tessili che la rendevano uno dei centri produttori e mercantili più importanti d'Europa. La politica era dominata da due fazioni: i Della Torre, guelfi, e i Visconti, ghibellini. I secondi ebbero la meglio e Matteo Visconti ottenne anche il titolo di vicario imperiale da Enrico VII. Con tale titolo egli si trovò legittimato per ampliare i suoi possessi verso le zone circostanti, dai valichi alpini all'Emilia, dal Piemonte alla Liguria. Il suo programma venne continuato dall'arcivescovo Giovanni, che si impadronì di Genova e Bologna (1352-1353) e si circondò di uomini di cultura come Francesco Petrarca. Egli aspirava a ricomporre il regno d'Italia, e sperava che con la sua politica magnanima e lungimirante il suo principato sarebbe divenuto un polo d'aggregazione per altri stati minori. Egli fu avversato da una lega fiorentino-veneta, che non lo batté, ma comunque si avvantaggiò della sua scomparsa nel 1354 e della divisione del suo regno tra i tre nipoti. Il figlio di uno di questi, Giangaleazzo Visconti, fu all'origine della fortuna familiare. Dopo aver fatto eliminare lo zio, iniziò un'ambiziosa politica di espansione verso la pianura Padana, la Romagna, la Toscana e il resto dell'Italia centrale. Nel 1387 occupò Verona e Vicenza, approfittando del declino della dinastia scaligera e dell'appoggio dei Da Carrara di Padova. Occupò quindi Novara, Parma, Bologna e Pisa, mentre gli si aggregarono Siena, Perugia, Assisi e Spoleto. Inoltre, sposandosi con Isabella di Valois, ottenne la contea di Vertus (da cui l'appellativo "Conte di Virtù") ed aveva potuto legarsi con uno dei più potenti signori del suo tempo, il duca d'Orleans, al quale diede in sposa la figlia Valentina che portò in dote Vertus, Asti e il diritto di successione al ducato di Milano in caso di assenza di eredi maschi.

Nel 1395 l'imperatore concesse a Giangaleazzo la corona ducale di Milano, che dominava ormai un'ampia federazione di città. Alla sua morte però (1402) il figlio minorenne Giovanni Maria non sembrò all'altezza ed i territori lombardi si ribellarono presto ritornando indipendenti. Teneva la regia della zona il condottiero mercenario Facino Cane, che governava varie città, tra le quali la stessa Milano dal 1410 al 1412. Ma nel 1412 morirono lo stesso giorno Facino e Giovanni Maria (quest'ultimo ucciso da una congiura, l'altro per malattia), così la signoria passò al fratello di Giovanni Maria, Filippo Maria Visconti. Sposò prima la vedova di Facino Cane, poi una figlia di Amedeo VIII di Savoia. In seguito riaffermò la signoria sulla repubblica di Genova (che si era data al re di Francia), poi si assicurò i valichi alpini e le città di Parma e Piacenza, che gli valsero l'egemonia nella pianura Padana.

Di nuovo Venezia e Firenze si allearono preoccupate per l'espansionismo visconteo e nel 1433 si arrivò alla pace di Ferrara. Ancora il conflitto riprese quando Filippo Maria si inserì nelle lotte tra angioini e aragonesi nel regno di Napoli, che portò a una nuova tregua, la pace di Cremona (1441). Alla sua morte (1447) alcuni aristocratici milanesi tentarono un colpo di mano, instaurando un regime comunale-aristocratico, l'Aurea Repubblica Ambrosiana, che durò tre anni. Mentre Venezia sembrava voler approfittare della debolezza milanese, Francesco Sforza venne assoldato come difensore della città. Con la sua vittoria e grazie al fatto di aver sposato una figlia naturale di Filippo Maria, si fece poi incoronare come duca di Milano nel marzo 1450 raccogliendo l'eredità viscontea. Lo Sforza seppe ribaltare le alleanze alleandosi con Firenze, in particolare con Cosimo de' Medici, e isolando così Venezia.

[modifica] Venezia

Per approfondire, vedi la voce Storia di Venezia.
Lazzaro Bastiani, Ritratto del doge Francesco Foscari
Lazzaro Bastiani, Ritratto del doge Francesco Foscari

I veneziani uscirono dal XIII secolo in difficoltà, dopo la battaglia di Curzola che li aveva visti sconfitti dai genovesi. Ma la riforma del Maggior Consiglio in senso oligarchico (1297) aveva garantito la stabilità. Contro le rivolte e le sovversioni vennero anche istituiti il Consiglio dei Dieci e i Tre Inquisitori di Stato. La crisi economica si fece sentire, per questo le famiglie veneziane iniziarono a cautelarsi cercando forme di rendita più sicure del commercio, come le rendite fondiarie, per questo la Repubblica iniziò un'inedita espansione verso l'entroterra. Inizialmente vennero prese le terre verso l'arco alpino e le pianure tra Adige e Po, fino a venire a confinare con i Visconti, con i quali ebbero ripetuti scontri. Nei mari invece la nemica principale restava Genova, contro la quale vennero compiute due guerre (1351-1355 e 1378-1381), la seconda delle quali, la cosiddetta guerra di Chioggia, vide il formarsi di un ampio fronte anti-veneto di nemici, con il re d'Ungheria, quello di Napoli, i genovesi e i padovani. Nel 1381 Venezia cedette su tutti i fronti, ma la sua forza interna permise di riprendere gradualmente tutte le posizioni perse, grazie anche al sostegno dei fiorentini. Nel 1405 Venezia possedeva Verona, Padova e quasi tutto il Veneto, gran parte della Dalmazia e l'isola di Corfù e le coste meridionali greche.

Il doge Francesco Foscari iniziò una nuova politica di espansione sulla terraferma, aiutato anche dalla temporanea debolezza di Milano dopo la scomparsa dei Visconti. Capeggiando i vari eserciti anti-milanesi, alle successive trattative di pace si fece consegnare le città di Brescia, Bergamo e Ravenna, riuscendo a far pesare solo sulle spalle dei suoi alleati le spese dello sforzo bellico. L'eccessiva espansione preoccupò i fiorentini, i quali in seguito preferirono allearsi agli Sforza ribaltando la tradizionale alleanza.

[modifica] Firenze

Per approfondire, vedi la voce Storia di Firenze.
Pontormo, Ritratto di Cosimo de' Medici (1518-1519)
Pontormo, Ritratto di Cosimo de' Medici (1518-1519)

A inizio del Trecento avevano trionfato a Firenze i sostenitori del partito guelfo nero, un'oligarchia di grandi imprenditori intransigenti, espressioni delle Arti "Maggiori", cioè più ricche e potenti, quali quella di Calimala (importatori di panni di lana da raffinare), della Lana (produttori di panni di lana) e del Cambio (banchieri). La classe dirigente tendeva a chiudersi importando un'oligarchia, grazie anche allo strumento dell'"ammonizione", che poteva far dichiarare qualcuno "ghibellino" facendolo escludere dalla vita politica.

Le sconfitte contro Pisa, Lucca e Pistoia avevano costretto i fiorentini a dare la propria città in signoria (in "balìa") a un signore esterno, che fu scelto in Roberto d'Angiò e suo figlio Carlo di Calabria. In seguito la signoria venne di nuovo affidata a un altro straniero, il nobile francese Gualtieri di Brienne, che si rivelò un pericolo per la classe dirigente a causa delle sue strizzate d'occhio ai ceti subalterni e della sua politica dispotica, venendo cacciato pochi mesi dopo (1343). Momenti durissimi furono il crack finanziario del 1343-1346, la peste nera e la rivolta dei Ciompi; una volta passati le famiglie dell'oligarchia ripresero il potere, ma una nuova divisione si profilò all'orizzonte. Da una parte c'erano gli intransigenti Albizzi, con la potente Arte della Lana e la roccaforte aristocratica riunita della Parte Guelfa; dall'altra vi erano alcune famiglie rivali quali i Ricci, gli Alberti e poi i Medici. Questi ultimi in particolare seppero attrarre le simpatie dei ceti medi e popolari, mentre la città stava estendendo il suo dominio nel territorio toscano attuando il passaggio verso un vero e proprio Stato regionale, con la conquista di Prato, Pistoia, Arezzo, Pisa, Cortona. Restavano indipendenti in Toscana solo la Repubblica di Lucca, la Lunigiana-Garfagnana dei Malaspina, la repubblica di Siena (corrispondente grosso modo alle attuali pronince di Siena e di Grosseto) e qualche piccola signoria locale.

Il palazzo di Cosimo il Vecchio
Il palazzo di Cosimo il Vecchio

La guerra contro i Visconti (dal 1425), sommata alla lunga guerra contro Lucca, esasperò l'opinione pubblica, e il bisogno costante di denaro rese necessarie alcune misure fiscali molto rigorose, come l'organizzazione del prima catasto della storia occidentale, utile per valutare i possedimenti di ciascuna famiglia e tassarla di conseguenza (1427). Le lotte cittadine si inasprirono, anche perché molti capirono che la ricchezza familiare poteva essere intaccata dal governo se non protetta direttamente, e in un primo momento ebbero la meglio gli Albizzi, che esiliarono il capo della fazione avversaria, Cosimo de' Medici (1433). Ma l'astuto banchiere visse un esilio dorato a Venezia che gli permise di riorganizzare le forze a lui favorevoli, tanto che nel 1434 poteva già tornare a Firenze richiamato dalla città, mentre i suoi avversari prendevano a loro volta la via dell'esilio. Iniziò così il periodo della "criptosignoria", dove Cosimo era il signore di fatto della città senza ricoprire alcuna carica. Egli si definiva un "consigliere privato" della Repubblica e, con la discrezione che gli era propria, si guardò bene dall'assumere un comportamento troppo appariscente, limitandosi ad ottenere la prerogativa di rivedere le liste elettorali,. cosa che gli permetteva di avere uomini di sua fiducia nei posti chiave del governo cittadino.

Ma la tradizionale non-rivalità tra Firenze e Venezia venne compromessa dai nuovi interessi delle due città: la prima si affacciava per la prima volta sui mari dopo la conquista di Pisa, la seconda iniziava invece a interessarsi dell'entroterra. Per questo nacque una nuova alleanza tra Firenze e Milano, che si scontrò presto contro il fronte veneziano-aragonese.

[modifica] Lo Stato della Chiesa

Statua di Cola di Rienzo a Roma
Statua di Cola di Rienzo a Roma

Lo Stato della Chiesa comprendeva ormai territori di varia provenienza, dagli ex Esarcato di Ravenna e Pentapoli, dall'eredità matildina e dal patrimonio di san Pietro, con le varie annessioni. Questa vasta area era molto disuguale e si andava dalle floride città della Romagna, alle aree marchigiane e laziali dedite soprattutto alla pastorizia. Il primo Giubileo del 1300 aveva richiamato a Roma, una città relativamente piccola abitata da potenti signori armati e da un popolo di pastori e mandriani, folle di pellegrini che avevano nuovamente iniziato a far circolare vorticosamente il denaro in città. Stava nascendo un ceto medio di artigiani, asinai, barcaioli, osti, oltre alla tradizionale corte pontificia di prelati, giuristi e notai. Il Senato cittadino era dominato dalle lotte tra le famiglie degli Orsini e dei Colonna.

Con l'abbandono della città del papa, per Avignone, il territorio della Chiesa era ulteriormente finito nella povertà e nel disordine, nonostante i legati papali che tenevano lo Stato e cercavano di riorganizzarlo per il ritorno del pontefice. Tra questi Egidio Albornoz dominò energicamente la situazione romana e nel 1357 emanò lo statuto generale delle Constitutiones aegidianae, che ridefinirono i poteri pubblici. Pochi anni prima aveva cercato di riorganizzare la vita cittadina anche Cola di Rienzo, una figura controversa a metà strada tra l'intellettuale e il demagogo. Egli fu il primo ad utilizzare le glorie passate di Roma imperiale come strumento demagogico di massa, venendo anche appoggiato dai papi avignonesi. Ma le sue violenze gli scatenarono contro la rivolta popolare che gli costò la vita.

Dopo il ritorno del papa e la ricomposizione dello scisma d'Occidente, il pontefice si trovò a dover riorganizzare lo Stato, incontrando però dure resistenza da parte dell'indisciplinata nobiltà romana. Bonifacio IX trovò come prezioso alleato Ladislao I d'Angiò-Durazzo, re di Napoli, che fu il vero moderatore della vita politica romana fino alla sua morte, riuscendo a mediare tra il papa, l'aristocrazia e le altre forze cittadine.

In seguito la città fu contesa dai condottieri Braccio da Montone e Muzio Attendolo Sforza. Quando Braccio sembrò vincere, venne tuttavia eletto al soglio papale Martino V (1420), che iniziò una politica accentratrice che costrinse Braccio a restituire al papa tutte le terre conquistate. Martino inaugurò anche la pratica del nepotismo, che in un primo momento fu tutto sommato un modo di risolvere il disordine cittadino, facendo coincidere gli interessi pubblici con quelli della famiglia del papa e del collegio cardinalizio. I papi del XV secolo cercarono di ridurre il potere dei signori delle varie città emiliane, romagnole, umbre e marchigiane, ma il più delle volte poterono solo ottenere un'obbedienza formale a fronte della concessione del titolo di vicario pontificio.

[modifica] Il Mezzogiorno

Giovanna I d'Angiò, regina di Napoli
Giovanna I d'Angiò, regina di Napoli

Dopo la guerra del Vespro angioini e aragonesi si erano divisi il Regno di Sicilia, prendendo rispettivamente l'Italia Meridionale (il futuro Regno di Napoli) i primi, e la Sicilia i secondi. Qui entrambi avevano dovuto venire a compormessi, tra l'ordinata e centralizzata amministrazione, ereditata dagli svevi e dai normanni, e le richieste della nobiltà che aveva sostenuto le conquiste, che domandava una maggiore autonomia feudale. La formazione di un ceto medio di produttori e mercanti, già ostacolato dagli svevi, ebbe una vera e propria battuta d'arresto, per via della pesante politica fiscale e la tendenza a privilegiare l'aristocrazia feudale, tramutata spesso in signoria fondiaria. I riflessi della crisi europea del Trecento non fecero altro che aggravare un ristagno già in atto.

Roberto d'Angiò, re di Napoli, ebbe un grande prestigio al suo tempo, riconosciuto dal papa come capo del partito guelfo in Italia; egli favorì i banchieri fiorentini, che numerosi si insediarono a Napoli. Roberto aveva anche giurisdizione sulla Provenza, secondo i suoi antichi possedimenti familiari, e su parte del Piemonte; inoltre poteva fregiarsi del titolo (nominale) di re di Gerusalemme. Nella pratica comunque la sua potenza era solo sulla carta, coi domini provenzali e piemontesi minacciati dalle forze centrifughe, e il regno di Napoli in preda ai poteri feudali per la politica ed ai fiorentini per l'economia, determinando una certa debolezza endemica. Ad eccezione della florida capitale di Napoli e di alcune città pugliesi, lo sviluppo urbano nel regno era molto basso.

Mino da Fiesole, Ritratto di Alfonso V d'Aragona, Parigi, Louvre
Mino da Fiesole, Ritratto di Alfonso V d'Aragona, Parigi, Louvre

Quando scomparse Roberto i numerosi rami degli angioini (che governavano dall'Ungheria all'Adriatico) iniziarono a contendersi la successione partenopea, finché non andò a sua nipote Giovanna I. La Regina Giovanna compì l'errore di lasciarsi coinvolgere in una serie di intrighi e di scandali che compromisero irrimediabilmente la sua autorità: venne scomunicata e dovette affidare il regno al suo parente Luigi I d'Angiò, fratello del re di Francia; però il pontefice decise di dare la corono a Carlo III d'Angiò-Durazzo, cugino di Giovanna, che iniziò una lunga guerra civile con Giovanna stessa, dove entrambi perirono. Alla fine prevalse Ladislao I, figlio di Carlo, che poté iniziare un programma espansionistico. Sua sorella Giovanna II d'Angiò governò il paese dopo di lui in maniera incerta. Avendo adottato come figlio il re d'Aragona Alfonso V il Magnanimo, alla sua morte si scatenarono le contese sul regno tra angioini e aragonesi, che alla fine vide il trionfo di Alfonso sul re Renato (angioino), grazie anche all'aiuto dei Visconti.

A questo punto gli aragonesi disponevano di un vero e proprio impero nel Mediterraneo occidentale, che preoccupava le altre città marinare come Genova e Venezia. Si compattarono due schieramenti, uno filo-angioino e filo-francese (con Firenze, Genova e Venezia), ed uno anti-francese (con i Visconti, che si sentivano minacciati dai francesi) e i duchi di Borgogna. Con la scomparsa dei Visconti Alfonso d'Aragona avanzò pretese sul ducato di Milano, spingendo Firenze a opporsi per non sentirsi schiacciata nei domini aragonesi, mentre Alfonso guadagnò l'appoggio di Venezia, isolata da milanesi e fiorentini.

[modifica] La pace di Lodi

Si arrivò così verso il 1450 ad avere due schieramenti che si fronteggiavano su più questioni: il trono di Napoli, la successione al ducato di Milano, l'egemonia nel Mediterraneo occidentale e la questione tra re di Francia e duca di Borgogna. Sembrò chiaro agli schieramenti che nessuno dei principali Stati italiani avrebbe potuto prevalere sull'altro e che il portare avanti una guerra avrebbe danneggiato tutte le parti. Alfonso d'Aragona si rassegnò a non impadronirsi del ducato di Milano, come Firenze non avrebbe mai permesso. Inoltre la Francia sembrò un pericolo comune sia sul re aragonese che sullo Sforza, per questo si preferì patteggiare piuttosto che richiamare l'attenzione sul paese straniero che poteva vantare diritti ereditari su entrambi i contendenti.

Inoltre la caduta di Costantinopoli del 1453 aveva imposto un ripensamento su tutta la politica italiana, nell'eventuale organizzazione di una crociata invocata dal papa. Nel 1454 si arrivò quindi alla pace di Lodi, dove si fissava il confine tra Milano e Venezia sull'Adda e si creava un'intesa implicita tra i cinque Stati maggiori d'Italia (Milano, Venezia, Firenze, Stato della Chiesa e Napoli) a mantenere la situazione attuale com'era.

Questa politica dell'equilibrio venne forse sopravvalutata nel secolo successivo (come da Francesco Guicciardini), quando l'Italia era in preda agli eserciti stranieri, e venne interpretata anche come un patto a tenere fuori dalla penisola i non-italiani. In realtà questa intesa parteciparono anche numerosi Stati non italiani, lo stesso re di Francia, il duca di Borgogna o il sultano turco, al quale tutti guardavano con circospezione cercando di farsene un interlocutore diplomatico e commerciale.

Per quarant'anni, dal 1454 al 1494, la pace resse, nonostante qualche colpo di mano e qualche guerra che il sistema delle alleanze riuscì sempre a circoscrivere. Per esempio alla morte di Alfonso V di Napoli si riaprì la contesa con gli angioini, che non ebbe comunque successo. Altri problemi furono causati dalla politica nepotista di Sisto IV, che avrebbe voluto insediare suo nipote Girolamo Riario a Firenze, per questo sostenne la congiura dei Pazzi tesa ad eliminare i Medici, ma fallì con la cattura e l'uccisione dei responsabili in città, tra i quali il religioso Francesco Salviati. La sua morte fu il pretesto del papa per interdire la città, ma Lorenzo de' Medici seppe infrangere il blocco dei nemici che gli si ponevano contro andando personalmente a Napoli e convincendo il re, dichiaratosi alleato del papa, all'inopportunità della guerra.

Bertoldo di Giovanni, medaglia che celebra la vittoria di Lorenzo il magnifico sulla congiura dei Pazzi
Bertoldo di Giovanni, medaglia che celebra la vittoria di Lorenzo il magnifico sulla congiura dei Pazzi

Anche Venezia tentò un colpo di mano, cercando di conquistare Ferrara, ma contro di lei si schierarono Firenze, Milano e Napoli che la costrinsero a firmare la pace di Bagnolo, che fruttò ai veneti comunque il Polesine. Nel 1485 poi papa Innocenzo VIII Cybo sostenne una congiura dei baroni contro Ferdinando I d'Aragona, ma l'interposizione di Firenze e Milano ricompose il conflitto. A un certo punto sembrò che l'attività di Lorenzo il Magnifico fosse l'"ago della bilancia" della politica italiana. Che fosse vero o no, dopo la sua morte (1492) l'equilibrio venne per la prima volta sconvolto, con la morte di Ferdinando II di Napoli e la successione di suo figlio Alfonso II nel 1494: i baroni napoletani della congiura fallita del 1485, rifugiatisi in Francia, convinsero allora re Carlo VIII a far valere i suoi diritti sulla corona napoletana scendendo in Italia. Invitò il re francese anche il reggente del ducato di Milano, Ludovico il Moro, che avrebbe voluto sostituirsi al nipote minorenne come duca titolare della città, Gian Galeazzo Sforza. Egli però aveva sposato la figlia di Ferdinando I di Napoli e ne aveva avuto un figlio che aveva fatto tramontare tutte le speranze del Moro sul titolo: per questo una sconfitta degli aragonesi avrebbe potuto cambiare le sorti del ducato.

Con la discesa di Carlo VIII si chiuse la fase dell'equilibrio e iniziò il duro periodo della contesa fra potenze straniere per l'egemonia in Italia.

[modifica] L'avanzata turca

Nel XIV secolo si fece strada in Anatolia la potenza ottomana, destinata a diventare protagonista della storia musulmana, prendendo il posto di prima potenza islamica nel Mediterraneo al posto dell'Egitto, che proprio in quel periodo stava affrontando una progressiva decadenza economica che avrebbe portato a un vero tracollo nella seconda metà del Quattrocento: Alessandria e Damietta persero infatti il ruolo di porti chiave per il commercio delle spezie quando i portoghesi circumnavigarono l'Africa importando le preziose merci direttamente, mentre il declino delle manifatture egiziane e l'eccessivo lusso del ceto dirigente mamelucco con le ingenti spese militari avrebbero condotto a un vero collasso economico.

I turchi ottomani erano un tribù turca che si era spostata verso il 1230 dall'Asia centrale verso ovest, incalzati dai mongoli. Si erano messi al servizio del sultano selgiuchide di Konya (Iconio), ottenendo un piccolo territorio non lontano da Costantinopoli, il Sultanato di Osman. Alla fine del Duecento il khan Othman si era approfittato della debolezza del sultano di Konya, incalzato dai mongoli e dai mamelucchi, per ingrandire il proprio territorio. Poi erano riusciti a strappare ai bizantini la Bitinia, Iznik, Nicomedia e la preziosa Gallipoli, dalla quale si poteva controllare il Dardanelli e accedere alla penisola balcanica. Ciò era stato possibile per l'accondiscendenza di alcuni imperatori che si fecero aiutare dai turchi proprio per risolvere le loro diatribe dinastiche, ma presto Giovanni VI Cantacuzeno si rese conto della pericolosità dell'alleato, che stava circondando la capitale come a strangolarla. Nei Balcani, con la morte di Stefano Dushan (1355), il fondatore dello Stato serbo edificato sulle rovine dell'impero, i turchi approfittarono per conquistare Adrianopoli (1361), che divenne la capitale del sultanato nel 1366, facendo chiaramente intuire le mire di espansione sui Balcani.

La corte del sultano ottomano stava diventando un centro di cultura, con l'incoraggiamento di una letteratura epica in turco, che da allora divenne, con l'arabo e il persiano, la terza lingua letteraria dell'Islam. Una delle chiavi del successo ottomano fu l'organizzazione militare, con la formazione di truppe basate non sui turcomanni (che potevano sempre fomentare rivolte), ma su schiavi cristiani rapiti in giovane età, convertiti all'Islam e istruiti alla guerra in monasteri-caserme con ferrea disciplina e frugalità. La "Nuova Milizia" (in turco yeni ceri) venne conosciuta in Europa come i giannizzeri, dalla fama temibile e leggendaria.

[modifica] La debole risposta cristiana

Adam Stefanović, La Battaglia del Kosovo del 1389, olio su tela (1870)
Adam Stefanović, La Battaglia del Kosovo del 1389, olio su tela (1870)

L'impero bizantino nel frattempo si era ridotto a poco più della sua capitale e l'area circostante, con i pirati turchi che scorrazzavano per l'Egeo danneggiando i traffici di genovesi e veneziani. Inoltre l'avanzata nei Balcani, con i turchi a poca distanza ormai dal Danubio, iniziò a far preoccupare seriamente gli europei, anche se non si riusciva a prendere iniziative concrete. Una conferenza indetta ad Avignone da Innocenzo IV riuscì solo a creare la solita lega tra chi aveva interessi imminenti nell'area, cioè Venezia, Cipro e i Cavalieri di Rodi, che cercarono di attaccare il Dardanelli senza alcun successo (l'unico effetto notevole fu che diede il pretesto di una nuova crociata che fece stipulare la pace di Brétigny tra inglesi e francesi).

Nel 1361 gli Ottomani indisturbati arrivarono alle mura di Costantinopoli, mentre il re di Cipro riteneva ancora che il nemico da combattere fosse il sultanato del Cairo, sferzando un inutile assalto al porto di Alessandria (1365). Ancora Amedeo VI di Savoia con una modesta flotta conquistò Gallipoli (1366), ma appena se ne andò i turchi la ripresero. Nei Balcani l'avanzata turca sembrava inarrestabile: il sultano Bajazet sconfisse i serbi nella battaglia di Kosovo (1389) ed arrivò a dominare a vario titolo la Valacchia, la Bulgaria, la Macedonia e la Tessaglia.

A quel punto il basileus Manuele II era arrivato al punto di essere disposto a viaggiare personalmente in Europa in cerca d'aiuto, ma essendo a corto di denaro propose a Venezia la vendita dell'isola di Lemnos. I veneziani però, desiderosi ormai di allearsi con i nuovi padroni risposero all'imperatore di tenere ancora pazienza.

[modifica] La crociata

Jean Froissart, miniatura della battaglia di Nicopoli, Chroniquesb Flandre di Bruges, Bibliothèque nationale de France, FR 2646 fol. 220 (XV secolo)
Jean Froissart, miniatura della battaglia di Nicopoli, Chroniquesb Flandre di Bruges, Bibliothèque nationale de France, FR 2646 fol. 220 (XV secolo)

Un altro sovrano preoccupato dell'avanzata turca era Sigismondo d'Ungheria, che faceva pressione sui due papi in carica (avignonese e romano) per ottenere il bando di una nuova crociata, alla quale aderì controvoglia Venezia, mentre Francia e Inghilterra stipulavano un'apposita tregua per aderire. Più entusiasta fu il duca di Borgogna Filippo II l'Ardito, che donò una forte somma di denaro ed un esercito capeggiato dal suo stesso figlio, che partì con cavalieri di molte nazionalità da Digione il 20 aprile 1396. A fine luglio si aggiunse all'esercito le truppe del vojvoda di Valacchia, vassallo del re d'Ungheria, e una flotta veneziana, genovese e dei cavalieri di Rodi, che stazionò alla foce del Danubio. Alcuni storici sono arrivati a parlare di centomila combattenti, forse nemmeno senza troppa esagerazione[6]. L'eccessiva irruenza dei cavalieri occidentali e la scarsa conoscenza del terreno e delle consuetudini militari turche furono forse alla base della sanguinosa sconfitta del 26 settembre 1396, durante la battaglia di Nicopoli. Ci fu una vera e propria carneficina, con il massacro a freddo di tutti coloro per i quali non fosse stimato possibile ottenere un sostanzioso riscatto.

[modifica] Dopo la sconfitta di Ankara

Nel 1402 i turchi venivano sconfitti a Ankara dai mongoli di Tamerlano. Nel frattempo gli europei non seppero sfruttare la debolezza del sultano, anzi essi seppero riorganizzarsi e nel 1413 salì al potere un forte sultano, Maometto I, che riunificò i possessi in Anatolia e nei Balcani. A questo punto alcune potenze europee preferirono accordarsi col sultano, arrivando ad aiutarlo a stabilizzare il suo trono dai rivali. Veneziani, Genovesi e Ospitalieri ottennero così dei favori (i cavalieri ospitalieri per esempio ottennero così Smirne nel 1415). Ancora dopo la morte del sultano veneziani e genovesi si schierarono con candidati al trono diversi. Murad II, alleato ai genovesi, con un pretesto cinse d'assedio Costantinopoli nel 1422, tenendo la città in scacco per tre mesi.

Il sultano sfruttò al meglio le rivalità tra veneziani e genovesi mostrandosi benigno ora con l'una ora con l'altra potenza. Per esempio riprese Tessalonica ai veneziani con l'appoggio dei Visconti, ma poco dopo concesse ai veneti un vantaggioso contratto commerciale. I genovesi invece erano incoraggiati a sfruttare le miniere di allume in Anatolia.

[modifica] Il viaggio di Giovanni VIII

Nel 1437 l'imperatore bizantino Giovanni VIII intraprese un viaggio in Europa per chiedere aiuto. Arrivò al concilio di Basilea offrendo la ricomposizione dello scisma d'Oriente e la sottomissione al papa, nonostante sapesse che ormai molti ambienti ecclesiali e monastici ortodossi avrebbero preferito la tollerante dominazione ottomana piuttosto che la sottomissione ai latini che avrebbe significato la rinuncia alle proprie tradizioni liturgiche, disciplinari e teologiche. Il concilio, spostato a Firenze, proclamò comunque la solenne riunione delle due Chiese (1439).

[modifica] L'avanzata nei Balcani

Nel 1437, approfittando delle solite difficoltà legate alla morte dell'imperatore germanico ed alla sua successione, i turchi approfittarono per conquistare la Serbia ed attaccare la Transilvania. La città di Belgrado resistette a un duro assedio ed anche i nobili ungheresi, capeggiato dal vojvoda Janos Hunyadi, seppero tener testa agli assalti ottomani.

[modifica] Una nuova crociata?

Nel 1443 Eugenio IV rilanciò con un'enciclica una nuova crociata, invitando tutti i prelati a pagare una decima per armare un esercito. Lo stesso pontefice aveva destinato un quinto delle sue risorse per armare una flotta. Risposero all'invito del papa la Polonia, l'Ungheria, la Valacchia e la Repubblica di Ragusa, inoltre Giorgio Skander Beg chiamava a raccolta albanesi e montenegrini per unirsi alla lotta. Le premesse sembravano positive, ma sostanzialmente l'appello del papa cadde nel vuoto in Occidente: Francia e Germania erano occupate dalla guerra dei Cent'Anni, in Italia era appena terminato il conflitto tra angioini ed aragonesi, con Firenze, Venezia e Genova non desiderose di inimicarsi il sultano col quale avevano già alcuni buoni rapporti; in Germania poi Federico III d'Asburgo non voleva imbarcarsi in un'impresa che avrebbe rafforzato il suo avversario, il re d'Ungheria.

Così nel 1443 si riunì a Buda un esercito di fortuna, che comunque inizialmente riportò alcune vittorie (battaglia di Nish e presa di Sofia), prima che il duro inverno balcanico e la tattica della guerriglia turca avessero la meglio. I crociati dovettero ripiegare su Belgrado e su Buda.

Una nuova spedizione via mare partì nell'aprile successivo con gli sforzi di Ladislao V d'Ungheria e dei veneziani. La congiuntura era particolarmente favorevole per gli europei perché il sultano era dovuto accorrere in Anatolia per arginare una ribellione, mentre ad Adrianopoli si registravano dei disordini per un moto religioso di un gruppo sciita e per una sommossa dei giannizzeri. Il fronte cristiano però già si frammentava, con i Serbi che firmavano una frettolosa pace separata con i turchi e le navi che, dirette alle foci del Danubio, si arrestarono al Mar di Marmara (mentre il sultano era aiutato proprio da navi genovesi e veneziane a attraversare il Bosforo). Lo scontro avvenne nella battaglia di Varna, una nuova sconfitta epocale per i cristiani.

Nel frattempo le potenze cristiane, tranne gli ungheresi, sembravano rassegnate all'avanzata turca. Nel 1446 il sultano piegò anche il deposta di Mistra, Giovanni Paleologo, obbligandolo a diventare suo vassallo.

Albanesi e ungheresi si scontrarono di nuovo coi turchi nella piana del Kossovo, venendo di nuovo polverizzati (17-19 ottobre 1448). Morto il basileus Giovanni VIII, la corona imperiale passò a Costantino XII, despota di Mistra scelto su indicazione dello stesso sultano, che lo riteneva già ammansito dalle recenti sconfitte, o forse lo preferiva nella "gabbia" di Costantinopoli piuttosto che a piede libero in Grecia. Restava sul fronte cristiano solo lo Skander Beg arroccato nella fortezza di Kruja, che resistette all'assedio di cinque mesi del sultano (1450)

[modifica] La presa di Costantinopoli

Per approfondire, vedi la voce assedio di Costantinopoli (1453).
Jean Chartier, L'assedio di Costantinopoli, 1470 circa
Jean Chartier, L'assedio di Costantinopoli, 1470 circa

Maometto II succedette al sultano ottomano Murad II quando la vittoria eroica di Skanderbeg, la morte del sovrano e la salita al potere del principe dalla cattiva fama avevano generato nel mondo cristiano una ventata d'euforia. L'imperatore di Bisanzio continuava a cercare disperatamente aiuto dagli Occidentali e ricevette solo qualche promessa da Alfonso il Magnanimo, re di Napoli, che era interessato al Mediterraneo orientale, ma troppo occupato dalle questioni interne del suo regno e non possedeva flotta, nonostante a Napoli fossero stati allestiti degli arsenali per creare alcune navi da inviare al basileus (1451).

Il nuovo sultano però si stava rivelando tutt'altro che debole e dopo essersi riappacificato con Hunyadi, iniziò a fortificare gli stretti (1452), a svantaggio delle navi europee (veneziane e genovesi) che li solcavano. Le potenze marinare italiane non reagirono unitariamente perché ancora in conflitto tra loro e perché preoccupate di non inimicarsi gli ottomani che era ormai chiaro sarebbero stati un'importante controparte nel destino del Mediterraneo orientale. Con gli stretti in mano i Turchi potevano ormai controllare il traffico verso Costantinopoli ed era ormai chiaro come si fosse vicini all'accerchiamento della capitale. Alla fine dell'estate del 1452 ripresero le ostilità, per poi ripiegare in un attacco diversivo alla Morea. Nel frattempo il sultano stava fondendo, aiutato da maestranze cristiane rinnegate, dei grandi cannoni per sferrare l'assalto finale alle mura di Costantinopoli.

Tramite i Genovesi risiedenti a Galata (il quartiere est di Costantinopoli) arrivò in Europa una nuova supplica di aiuto, che venne inviata a vari sovrani ed al papa, il quale pretese di nuovo la ricomposizione dello scisma. Sebbene si trattasse di un ricatto, i Bizantini non avevano ormai più scelta e il 12 dicembre 1452 in Santa Sofia venne celebrata la riunione delle due Chiese, alla presenza del patriarca latino di Costantinopoli, Isidoro di Kiev, appositamente giunto da Roma. Ciò indusse alla ribellione dei monaci e della popolazione nella capitale, creando un disordine che aggravò ulteriormente la situazione.

Quando la città venne assediata dagli ottomani, solo tremila latini (veneziani e genovesi) costituivano il nerbo della difesa, e non era nemmeno certo se avrebbero combattuto d'accordo; inoltre il sultano disponeva dell'aiuto del partito greco antiunionista di Giorgio Scholarios, che preferiva il dominio turco piuttosto che romano-latino, con i suoi uomini disposi allo spionaggio, al sabotaggio ed al tradimento. In questo clima alla fine del maggio 1453 il sultano entrò da conquistatore nella capitale, mentre l'ultimo basileus periva nella difesa. La caduta era stata sicuramente aiutata dal debolissimo aiuto occidentale e dall'indisposizione dell'opinione pubblica che preferiva "il turbante alla tiara".

[modifica] Le ulteriori conquiste

Sebbene la caduta dell'Impero bizantino fosse stata una "morte annunciata", a giudicare dalle reazione indignate che si ebbero in Occidente, sembrò che nessuno credesse che Costantinopoli sarebbe potuta cadere sul serio. Si ebbe un "fiume" di appelli e di progetti di crociata, dagli stati balcanici e orientali, i più esposti alla minaccia turca, dal papa, dall'imperatore germanico, da re di Napoli. In particolare sembrò ormai che tutta Europa fosse assediata e l'idea di una crociata contro gli "infedeli" si collegò strettamente, anche per i secoli a venire, a quella della difesa del continente.

Nonostante gli appelli e nonostante i grandi personaggi impegnati nella mobilitazione (come Enea Silvio Piccolomini, futuro Pio II, Federico III del Sacro Romano Impero, ecc.), ancora una volta non si riuscì a mobilitarsi, perché gli Stati cristiani diffidavano l'uno dall'altro e non avevano alcuna intenzione di cimentarsi in un'impresa che avrebbe potuto favorire alcuni di loro a spese degli altri.

Nel 1455 le milizie turche ripresero al conquista dei Balcani, occupando Novo Brdo e dirigendosi su Belgrado, ma fu fermato da un esercito, nel quale parteciparono i poveri, i contadini e i mendicanti raccolti dal predicatore Giovanni da Capestrano. Nel 1458 il sultano occupò Atene e sembrava che solo il primogenito di Hunyadi, Mattia Corvino, fosse ancora disposto a combatterlo.

Papa Pio II ritratto dal Pinturicchio
Papa Pio II ritratto dal Pinturicchio

Il concilio di Mantova, voluto dal papa per organizzare un nuova crociata, venne quasi disertato (1459). Il sultano poté conquistare indisturbato l'impero di Trebisonda, ultima enclave dei Comneni, e tutta la fascia meridionale della costa del Mar Nero. Nel 1463 veniva completata la conquista della Bosnia. Nel 1464 il pontefice in persona si ripromise di dare l'esempio ai sovrani europei, invitandoli a imbarcarsi in una crociata dove egli stesso, malato e debole, avrebbe personalmente preso parte. Arrivato ad Ancona il 18 giugno 1464, fu fermato da una violenta epidemia che decimò la popolazione e i già pochi volontari. Il doge di Venezia, che aveva promesso la sua partecipazione, salpò e arrivo, lentamente, ad Ancona appena in tempo per rincuorare, con la vista delle navi, gli ultimi giorni del papa ormai morente.

Paolo II non sembrò interessato a continuare l'opera del suo predecessore. Skanderbeg, venuto appositamente a Roma, fu rimandato indietro con solo un po' di denaro. Nel 1468 morì, seguito nel 1476 da un altro dei protagonisti della resistenza ai turchi, il vojvoda valacco Vlad III Dracul, detto Tepes, l'"Impalatore", colui che avrebbe dato origine poi alla leggenda del conte Dracula.

Nel 1469 i turchi facevano già incursioni fino in Stiria, in Carinzia e in Carniola; nel 1470 occuparono il Negroponte, suscitando una nuova ondata di sgomento in Occidente, parie per certi versi superiore a quella della caduta di Costantinopoli. Sisto IV, con l'aiuto di Venezia e Napoli, mise su una flotta che espugnò la città di Antalya (1472) e nel 1474 Venezia prendeva Cipro alla debole dinastia dei Lusignano. Le scorribande turche però non cessarono, anzi nel 1472, 1477 e 1479 essi arrivarono in Friuli, mentre nel 1475 presero ai genovesi Caffa. Nel 1479 ci fu una pace tra il sultano e i veneziani, e un anno dopo i turchi attaccavano Rodi e saccheggiavano duramente Otranto, un atto che si sospettò incoraggiato dai veneziani che erano in guerra in quegli anni col re di Napoli.

Nel 1481 morì il sultano Maometto II e si aprirono le lotte per la successione tra i suoi eredi: approfittando della situazione venne liberata Otranto. Nonostante ciò sul finire del secolo i turchi erano la potenza dominate dei Balcani e di tutto il Mediterraneo orientale e paradossalmente ciò avvenne quando in Spagna i mori venivano definitivamente scacciati dalla penisola iberica (1492).

[modifica] Verso il mondo moderno

[modifica] Il rinnovamento della cultura e l'Umanesimo

Il XV secolo è stato scelto come secolo-cerniera tra mondo medievale e mondo moderno, e secondo molti storici, col Rinascimento e con l'ampliarsi degli orizzonti per le scoperte geografiche, l'Europa ha cambiato pagina. In quello stesso periodo nacque la definizione di "Medioevo", inteso in senso dispregiativo come un periodo di arretratezza e di avvilimento.

La cultura "umanistica" fiorì in Italia tra fine del Tre e il Quattrocento (a seconda del settore) e fu caratterizzata dalla volontà di distacco dalle tradizioni medievali e da un recupero, tramite un collegamento privilegiato, della civiltà classica greco-romana, che divenne un modello di ispirazione (ma non pedissequo). Il modello era stilistico per le arti e etico per la vita di tutti i giorni, ispirata alla cultura filosofica e letteraria maturata nella Roma dell'"età aurea", tra I secolo a.C. e I secolo d.C. Si cercò di restaurare una lingua letteraria più bella e corretta e ci si ispirò all'ideale di moderazione, serenità e libertà che ben si confaceva alle élites culturali delle aristocrazie cittadine italiane tre-quattrocentesche, le quali erano incerte tra forme di governo repubblicano o signorile proprio come in quell'epoca della storia romana.

Gli umanisti furono i primi a percepire una "rottura" tra mondo antico e mondo moderno: fino ad allora era stato naturale per entità politiche come l'Impero o il papato dichiararsi eredi dell'Impero romano, soprattutto nell'ideale di Costantino o Teodosio. Questa sensazione di distacco si fece strada mentre Roma era abbandonata dai papi, l'impero romano-germanico perdeva il suo carattere universale per diventare più propriamente un impero "tedesco" e l'impero bizantino era ormai un piccolo regno minacciato dai turchi.

Da questa nuova consapevolezza nacque il desiderio di restaurazione degli ideali di bellezza, libertà e razionalità classica.

[modifica] Letteratura e filosofia

Simone Martini, frontespizio del Commento di Servio a Virgilio appartenuto a Francesco Petrarca, 1340, miniatura, Ms. S.P. 10/27, 20x29,5 cm., Biblioteca Ambrosiana, Milano
Simone Martini, frontespizio del Commento di Servio a Virgilio appartenuto a Francesco Petrarca, 1340, miniatura, Ms. S.P. 10/27, 20x29,5 cm., Biblioteca Ambrosiana, Milano

I primi ad accorgersi dei nuovi tempi e ad iniziare un recupero del retaggio classico furono i letterati, già a partire dal XIV secolo: Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Albertino Mussato, Cola di Rienzo furono gli esponenti più importanti, nelle cui opere cercarono di far rivivere i modelli antichi filtrati.

Nel corso del Trecento anche la letteratura cavalleresca iniziò a inglobare soggetti del mondo antico, quali la guerra di Troia, le gesta di Pompeo o di Cicerone.

La scrittura si adeguò presto ai nuovi ideali, con la riscoperta della littera antiqua (scrittura del IX secolo che allora si pensasse fosse degli antichi), che sostituì gli oscuri caratteri gotici. Le antiche biblioteche venivano spulciate a tappeto nella ricerca di antichi codici, che venivano poi trascritti, tradotti e commentati. Firenze fu protagonista di quest'ondata di riscoperta con personaggi come Luigi Marsili, Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini. Lo Studio fiorentino accolse greci fuggiaschi da Costantinopoli ed istituì una cattedra di lingua greca.

Questo movimento viene fatto in genere coincidere con l'Umanesimo "civile", cioè la convinzione che la cultura antica potesse servire anche a creare uomini consapevoli e cittadini più responsabili. Nella scelta di quale peso dare a ciascun autore antico, nacque il metodo critico della filologia. Con questi strumenti l'umanista Lorenzo Valla riuscì a dimostrare come il documento della Donazione di Costantino fosse un falso risalente almeno all'VIII secolo anziché al IV, dimostrando le sue tesi sulla base dell'osservazione linguistica e lessicale.

Accanto all'aristotelismo, tanto caro ai sistemi di pensiero della scolastica, si diffuse il pensiero neoplatonico, secondo il quale l'uomo era al centro del mondo e doveva osare per cogliere i frutti della sua intelligenza. Il neoplatonismo si basava su quei testi del II-III secolo d.C. elaborati ad Alessandria d'Egitto, giunti a Firenze nella prima metà del Quattrocento con gli studiosi greci, e che andavano sotto il nome di ermetici, dal nome del loro autore leggendario, Ermete Trismegisto. Tra i traduttori di tali testi vi furono Marsilio Ficino.

Secondo i testi ermetici l'universo era un Grande Ordine, che aveva fitte e precise corrispondenze con il Piccolo Ordine, cioè l'essere umano, col suo corpo e la sua psiche. Attraverso il dominio delle forze dell'universo l'uomo poteva dominare il suo destino: per questo nel Quattrocento nessun principe poteva non avere al suo servizio uno o più astrologi, che lo consigliavano, osservando le stelle, a trovare i momenti propizi per guerre, matrimoni, negoziati politici. La più completa esposizione di questa esaltazione dell'uomo che controlla l'universo si trova nel De hominis dignitate di Giovanni Pico della Mirandola, dove l'uomo è chiamato "divino camaleonte", in grado di adattarsi a tutto e in grado di dominare con l'intelligenza e la volontà.

[modifica] Arte e scienza

Studi di prospettiva di Paolo Uccello nella predella del Corpus Domini (c. 1465-1468)
Studi di prospettiva di Paolo Uccello nella predella del Corpus Domini (c. 1465-1468)

Con le speculazioni degli umanisti, si iniziò ad avere una nuova sensibilità anche sul piano filosofico-scientifico, che, sviluppando istanze già in atto dal XIII secolo, metteva in discussione le antiche certezze aristotelico-tomistiche basate sull' auctoritas, per iniziare a guardare la natura con un occhio più spregiudicato. Ruggero Bacone e i calculatores di Oxford furono tra i primi esempi di questa nuova tendenza.

L'indagine artistica era strettamente connessa con quella scientifica, come dimostrano gli studi sulla prospettiva e sul calcolo di Paolo Uccello, Leon Battista Alberti e Filippo Brunelleschi. Emblematica è la figura di Leonardo da Vinci, teso a porre continue domande alla natura per strapparne i segreti.

Spesso la riscoperta della natura da parte dei pittori del Quattrocento non era una pedissequa, per quante perfetta, riproduzione della natura (come nell'arte tardogotica), anzi gli elementi erano continuamente trasfigurati in simboli di un intenso messaggio filosofico.

Grande importanza ebbero anche le disquisizioni sulle città ideali, elaborate secondo i concetti di antropocentrismo e cosmologia, quasi sempre rimaste solo al livello progettuale, ma che alimentarono la grande corrente del pensiero utopistico europeo.

[modifica] Società

Una pagina della prima Bibbia stampata da Gutenberg con i caratteri mobili
Una pagina della prima Bibbia stampata da Gutenberg con i caratteri mobili

Le premesse razionali dell'umanesimo furono comunque sottomesse a compromessi, innanzitutto con la Chiesa. Gli umanisti stessi furono spesso sacerdoti, i quali mettevano le loro conoscenze al servizio della fede. In nessun caso essi intaccarono, almeno in maniera esplicita, alcun dogma religioso. L'amore per l'antichità non arrivava mai ad essere legato a una restaurazione del paganesimo (tranne in qualche gruppo eversivo come l'Accademia romana di Pomponio Leto), anzi l'utilizzo di riferimenti alla mitologia antica era sempre veicolato a simboleggiare un messaggio perfettamente compatibile con la religione cristiana.

Non erano assenti voci più rigorose, contrarie a questa ondata di mitologia pagana, ma esse furono tenute in secondo piano almeno fino alla Riforma luterana. Gli stessi papi furono spesso simpatizzanti e studiosi della cultura umanistica.

Inoltre si deve tener presente come il lavoro degli umanisti non fosse né gratuito né disinteressato, essendo sempre offerto al mecenate sotto il quale questi studiosi trovavano protezione. Il pensiero umanistico fu pertanto spesso connesso con realizzazioni pratiche, "artigianali", piuttosto che essere una speculazione pura da tavolino.

I migliori esempi di come questa cultura umanistica fosse essenzialmente pratica e voltata a compiacere i protettori sono le invenzioni e le scoperte che rivoluzionarono, nel XV secolo, il mondo: la polvere da sparo (usata in Cina per scopi non militari e perfezionata daglio scienziati umanisti), la stampa a caratteri mobili e le scoperte geografiche (possibili grazie al rinnovamento della cosmografia).

[modifica] Navigazione

Una galeazza spagnola
Una galeazza spagnola

Nel medioevo aveva avuto grandissima diffusione nel Mediterraneo la navigazione in galea, una nave sviluppata da modelli bizantini (la chelandria o il dromone) a loro volta evoluti dalla trireme romana. Nella galea si trovavano numerosi rematori che muovevano grossi remi (uno o due per remo), che fino al Quattrocento erano marinai liberi (solo in seguito si iniziò a usate schiavi e prigionieri, da cui il termine galeotto). La galea aveva due ponti ed arrivava a misurare circa 40x4x4 metri, con remi lunghi 7-8 metri. Da Trecento si diffuse la rematura "allo scaloccio", con tre o anche cinque rematori per remo e da 24 a 29 bachi per fiancata. È chiaro che il difetto di queste imbarcazioni fosse lo spazio ristretto dovuto all'ampio equipaggio, che poteva anche superare i duecento membri (tra rematori, balestrieri, còmito e sottocòmito, nocchieri, prodieri, consiglieri, alighieri, spallieri e, dopo la comparsa dei cannoni, di bombardieri), rendendole barche più adatte alla guerra che al trasporto.

Per aumentare la stiva si dovettero ridurre i rematori e introdurre una velatura più articolata, ottenendo tipologie spurie come le "galee grosse" o "galeazze". Spesso queste navi viaggiavano scortate da galee da guerra o viaggiavano in convogli per evitare i rischi dei corsari.

Con il crescere del volume dei commerci, fra Due e Trecento si svilupparono nell'area baltica e fiamminga nuovi tipi di imbarcazioni con grande stiva e ampia velatura (anche se ancora non perfettamente maneggevole), chiamate cocca o caracca, che viaggiavano soprattutto nell'Atlantico.

Un'altra importante innovazione per la navigazione fu l'entrata in uso della bussola e del sestante, che permettevano di determinare la posizione in mare, quindi consentendo la navigazione d'alto mare invece che costiera. Anche la cartografia si era sviluppata, con carte nautiche dette "portolani" molto precise, che riportavano anche descrizioni di coste e fondali.

[modifica] Cartografia e cosmografia

Carta portolanica del Mediterraneo, Atlante de Cresques, 1375
Carta portolanica del Mediterraneo, Atlante de Cresques, 1375

Tra i rinnovatori del pensiero geografico e cosmografico medievale vi furono Pierre d'Ailly e Paolo dal Pozzo Toscanelli. La terra si pensava come un globo nel quale i tre continenti conosciuti (Asia, Africa e Europa) si disponevano attorno al Mediterraneo come un disco di terra. Tra i problemi che ci si poneva maggiormente vi era quello se fosse possibile raggiungere l'Asia (in particolare il "Gran Cane", il sovrano dei mongoli con i quali gli europei erano venuti a contatto nel XIII secolo prima che la fine della pax mongolica e l'avanzata dei turchi rendessero impossibili le vie di terra) navigando verso Occidente e se sì in quanto tempo. A lungo era prevalsa l'idea che il limite dell'Oceano fosse invalicabile, almeno finché non erano ricomparse in Occidente le opere di Aristotele tra XII e XIII secolo. Inoltre la Cosmographia di Tolomeo era stata tradotta nel 1410 in latino da Jacopo d'Angelo da Scarperia.

Ma il Toscanelli non si era adattato alle tesi tolemaiche, arrivando a elaborare un calcolo secondo il quale la penisola iberica distava dalla Cina circa un quinto della distanza reale, avvicinandosi ai calcoli di Marino di Tiro. Egli espose le sue elaborazioni in una lettera al canonico di Lisbona Fernan Martins (1474), che lo aveva conosciuto al concilio di Firenzel La loro corrispondenza fu nota a grandi navigatori, tra i quali certamente Cristoforo Colombo, ed inoltre dimostrava come alla fine del Quattrocento fosse notevole l'interesse per raggiungere l'Asia via mare. Ciò avrebbe permesso di importare le preziose spezie senza farle transitare dai paesi musulmani, ed avrebbe consentito di mettersi in contatto con i mongoli di Cina (gli Europei non sapevano che dinastia Yuan non esisteva più da più di un secolo) per coalizzarsi insieme contro la minaccia turca e l'Islam in generale. In un certo senso si fondevano in questa possibilità le ragioni del commercio, della geografia e della crociata.

[modifica] Le esplorazioni geografiche

Enrico il Navigatore
Enrico il Navigatore

Le prime esplorazioni nell'Atlantico seguirono la costa africana, nel tentativo magari di circumnavigarla. Nel 1291 erano salpati da Genova i fratelli Vivaldi, che dopo aver attraversato le colonne d'Ercole non fecero più ritorno. Ai primi del XIV secolo il genovese Lanzarotto Malocello giunse alle Canarie, già note ai navigatori antichi ed arabi, avvistate e riperdute a più riprese da marinai genovesi e di Maiorca; nel 1341 vi giungevano Angiolino de' Corbizi e Nicoloso da Recco per conto di Alfonso IV del Portogallo. Tra il 1340 e il 1350 venne scoperta Madera e solo molti anni dopo, tra il 1427 e il 1432 si scoprirono le Azzorre.

Le notizie sulla ricchezza in oro di Mali e Sudan (all'epoca per Sudan si intendeva tutta la fascia di foreste al di sotto del Sahara) alimentarono le spedizioni che cercavano di arrivare alla foce del Niger. Nel 1346 il navigatore di Maiorca Jayme Ferrer superò il capo Bojador (Finis Africae), un traguardo isolato bissato solo nel 1433-34. Nel 1447 venne raggiunta la foce del Senegal, dove arrivavano alcune piste carovaniere con oro, avorio e schiavi e da dove si sarebbe potuta raggiungere la mitica Timbuctù. Tra il 1457 e il 1470 si scoprì Capo Verde e nel 1487, finalmente, il portoghese Bartolomeo Diaz varcava il Capo di Buona Speranza aprendo la via delle Indie, raggiunte effettivamente da Vasco de Gama dopo il 1497.

Queste conquiste vennero promosse dal re portoghese Enrico il Navigatore, che aveva riunito nel sud del Portogallo, l'Algarve, un vero e proprio centro studi con cartografi, geografi e astronomi. Il re cercava forse il mitico Prete Gianni, un monarca cristiano che avrebbe potuto salvare l'Europa dal pericolo turco, che, secondo le ultime notizie, poteva trovarsi in Etiopia (ambasciatori abissini si erano presentati anche al concilio di Firenze del 1439). Il sogno di Enrico era venire in contatto col re Etiope, che possedeva le sorgenti del Nilo, per minacciare l'Egitto e costringerlo a rendere Gerusalemme alla cristianità.

[modifica] Cristoforo Colombo

Sebastiano del Piombo, Ritratto di Cristoforo Colombo
Sebastiano del Piombo, Ritratto di Cristoforo Colombo

L'impresa più importante e rivoluzionaria tuttavia non riguardò l'Africa, ma la scoperta del continente americano. Colombo conosceva sicuramente la corrispondenza tra il Toscanelli e il Martens[7]. Colombo era figlio di mercanti di origine non certamente precisata, e fin da giovane navigò molto. Tra il 1478 e il 1479 si stabilì in Portogallo, dove sposò la figlia del governatore di Porto Santo a Madeira, il piacentino Bartolomeo Perestrello.

Colombo mise insieme una serie di notizie eterogenee, da Plinio ai geografi arabi, da Pierre d'Ailly a Enea Silvio Piccolomini, elaborando un sistema cosmografico coerente (sebbene errato) secondo il quale era possibile arrivare in Asia navigando verso occidente, invece che compiere la lunga e difficoltosa circumnavigazione dell'Africa. Egli immaginava che la Terra fosse molto più piccola, con le isole del "Cipango" (il Giappone) distanti appena 5.000 chilometri dalle coste portoghesi (invece dei 20.000 reali). Dopo essersi rivolto inutilmente a Giovanni II del Portogallo, che era interessato alla navigazione orientale, Colombo si trasferì in Spagna (1485, dove prese a bussare con insistenza alla porta dei "re cattolici", all'epoca ancora impegnati nella conquista di Granada. Colombo predicava la necessità di raggiungere l'Asia e il Gran Cane (il Gran Khan mongolo, che effettivamente aveva regnato in Cina due secoli prima, la cui dinastia - ma questo Colombo non poteva saperlo - era stata già rovesciata nell'Impero celeste) per allearsi con lui contro i turchi e riconquistare Costantinopoli e la Terra Santa. Egli sottolineava, suscitando le simpatie di Isabella di Castiglia, come il suo nome, Cristoforo, fosse un segno del destino, augurandogli una sorte simile a san Cristoforo che, secondo la leggenda, aveva trasportato Gesù da una sponda all'altra di un fiume in piena.

Isabella di Castiglia, dettaglio della Vergine della mosca, attribuito ad un anonimo fiammingo della scuola di Jan Gossaert
Isabella di Castiglia, dettaglio della Vergine della mosca, attribuito ad un anonimo fiammingo della scuola di Jan Gossaert

Colombo non godeva invece di ammirazione presso il re Ferdinando II d'Aragona, che lo vedeva come un arrampicatore sociale senza scrupoli, che chiedeva una quantità eccessiva di denaro e che pretendeva di essere nominato governatore di tutte le aree che avesse scoperto, nonché una quota molto alta delle ricchezze che vi avrebbe trovato. Una corte di dotti si riunì a Salamanca e bocciò tutte le sue tesi una per una. Nessuno poteva sapere però che effettivamente esistesse un continente intermedio tra Europa ed Asia e che casualmente si trovasse più o meno alla distanza che Colombo pensava occorresse per trovare le Indie: ciò mantenne a lungo l'equivoco che le terre scoperte fossero effettivamente l'Asia e non qualcosa di diverso.

Nonostante la bocciatura, Colombo fece leva su tutte le sue conoscenze e infine riuscì a convincere i re che il il 17 aprile 1492 firmarono la convenzione di Santa Fé, dove gli venivano concessi i titoli di ammiraglio, di viceré e di governatore delle terre che avesse scoperto. Il 3 agosto le tre famose caravelle (in realtà una era una cocca leggermente più grande) salparono dal porto di Palos grazie ai capitali spagnoli e fiorentini. Il 12 ottobre Colombo avvistò un'isola che lui credeva del Cipango, chiamata dagli indigeni Guanahani, che lui ribattezzò San Salvador (forse era l'isola di Watling nelle Bahamas).

In altre spedizioni successive Colombo arrivò a Cuba e su Hispaniola (Haiti), anche egli pensava fosse il Catai, la Cina descritta da Marco Polo.

Tra il 1492 e il 1504 Colombo compì quattro viaggi verso il "Nuovo Mondo". La sua attività come viceré non fu fortunata, perché non seppe mantenere l'ordine tra i coloni spagnoli e venne accusato anche di ruberia. Tornato in Spagna e allontanato dalla corte dopo la morte della regina, morì a Valladolid nel 1506.

[modifica] L'America

La circumnavigazione di Magellano
La circumnavigazione di Magellano

Sembrava che tutti meno che lui avessero capito che le nuove terre non erano l'Asia e si scatenò presto una gara tra le potenze europee ad accaparrarsi le nuove terre. Papa Alessandro VI stabilì con la bolla Inter caetera (ritoccata poi dal trattato di Tordesillas del 1494) che la demarcazione del Nuovo Mondo tra Spagna e Portogallo, le due potenze maggiormente in corsa, fosse la linea verticale posta circa 370 miglia ad ovest delle Isole Azzorre, con la parte orientale, che inaspettatamente comprese tutto il futuro Brasile, ai portoghesi, e la parte occidentale agli spagnoli. Iniziava così la colonizzazione dell'America Latina.

L'America del Nord venne invece toccata nel 1497 dal veneziano Giovanni Caboto, al servizio dell'Inghilterra, che avvistò per primo l'isola di Terranova.

Il nome "America" venne trascritto per la prima volta dal cartografo tedesco Martin Waldseemüller nel 1507, che intitolò così un trattato in onore del fiorentino Amerigo Vespucci, che esplorò le coste sudamericane per conto del re del Portogallo rafforzando la certezza che non si trattasse dell'Asia. La prova che tra America e Asia vi fosse un nuovo oceano fu data solo nel 1513 quando Vasco Nuñez de Balboa attraversò l'Istmo di Panama e vide il Pacifico, mentre nel 1519 Ferdinando Magellano attraversò lo stretto che da lui prende il nome.

Con questo straordinario allargamento di orizzonti si è soliti collocare (anche se non univocamente) l'inizio dell'evo moderno per l'Europa.

[modifica] Note

  1. ^ Cardini-Montesano, cit., pag. 378.
  2. ^ Cardini-Montesano, cit., p. 380.
  3. ^ La pestilenza a Firenze è stata descritta da Giovanni Boccaccio nell'Introduzione alla prima giornata del Decameron.
  4. ^ Cardini-Montesano, cit., pag. 366.
  5. ^ Cardini-Montesano, cit., pag. 370.
  6. ^ Cardini-Montesano, cit., pag. 414.
  7. ^ Una copia della lettere inviata da Paolo Toscanelli era copiata sul retro di un esemplare dell' Historia rerum ubique gestarum di Enea Silvio Piccolomini appartenuta a Colombo.

[modifica] Bibliografia

[modifica] Voci correlate

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