Scuola siciliana
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La scuola siciliana fu una corrente che produsse pensiero, arte e cultura. Si sviluppò in Sicilia presso la corte di Federico II di Svevia. L'impianto non fu accademico, nel senso che non si trattò di una Scuola in senso istituzionale-accademico, assumendo piuttosto contorni di corrente filosofico-letteraria, senza escludere i riflessi di natura politica ed economica. Sarebbe riduttivo quindi ricondurre alla dimensione della composizione poetica il rilievo della Scuola siciliana che, tra i suoi aspetti rilevanti, annovera l'introduzione in Italia ed in Europa dello zero, la produzione di un corpo di leggi finalizzato alla giusta dimensione della proprietà terriera e, sul piano più propriamente letterario e poetico, la formalizzazione della struttura metrica del sonetto.
Il Minnesang era una lirica cortese in uso dal XII al XIV secolo prodotta da poeti e musici di area germanica, detti Minnesänger, che trattavano d'amore (Minne = "pensiero d'amore" / singen= "cantare"). I Minnesänger appartenevano generalmente all'aristocrazia.
Federico II di Svevia, oltre ad essere un sovrano illuminato, capace di alternare distensione e comprensione del punto di vista altrui (anche assecondando la presenza di più espressioni religiose all'interno del suo regno), certamente non esitava ad esercitare il pugno di ferro quando fosse necessario, secondo le necessità dell'epoca in cui si svolse la sua esperienza umana. È rimarchevole che sia riuscito a compiere una crociata senza combatterla, grazie ad un sistema di ambasciate che impedirono lo scontro con il sultano al-Malik al-Kamil e che, trasformandosi in un incontro tra filosofi, condusse gli occidentali all'introduzione dello zero (per il tramite del dialogo tra gli esponenti della corte di al-Kamil e Leonardo Fibonacci, matematico pisano della corte di Federico II).
Fu un uomo molto colto, parlava infatti il tedesco, il francese (perché aveva madre normanna e padre svevo), conosceva il greco, il latino, l'arabo e l'ebraico tanto da essere nominato "stupor mundi", ovvero stupore del mondo. Fu molto tollerante verso molte religioni; fondò una scuola retorica a Capua, medica a Salerno e un'università a Napoli.
Sulla mentalità di Federico II, altro rilievo che può dare un'indicazione importante sul suo temperamento e la sua lungimiranza, occorre mettere in evidenza il progetto di riforma delle proprietà terriere che fu realizzato da un altro intellettuale toscano prestato alla sua corte, Pier delle Vigne. Infine, va ricordato che fu letterato egli stesso, autore di un trattato di falconeria De arte venandi cum avibus, che è anche un libro simbolico e filosofico, e di alcuni componimenti poetici, ritrovabili nelle raccolte della Scuola siciliana.
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[modifica] I testi della Scuola siciliana
I componimenti dei poeti della scuola siciliana ci sono arrivati prevalentemente attraverso il manoscritto Vaticano Latino 3793, che è stato compilato da un copista toscano. Sebbene non ci sia motivo di ritenere che vi siano stati scarti notevoli, è da rilevare però che il copista ha adattato dal volgare siciliano al volgare toscano: così non si dispone di una perfetta testimonianza della vera lingua utilizzata dai poeti della corte di Federico II. Degli originali, si sono salvate solo due canzoni: una di Stefano Protonotaro (Pir meu cori alligrari) e una di Re Enzo (S'iu truvassi Pietati), in una trascrizione dell'erudito emiliano Giovanni Maria Barbieri, che nel '500 disse di aver trascritto questi versi da un manoscritto di cose siciliane oggi perdute.
Seguendo l'ordine dato dal manoscritto, gli esponenti della scuola siciliana furono: Jacopo da Lentini, considerato anche il caposcuola e largamente noto perché a lui è attribuita l'invenzione della forma metrica del sonetto, Ruggieri d'Amici, Odo delle Colonne, Rinaldo d'Aquino, Arrigo Testa, Guido delle Colonne, Pier della Vigna, Stefano Protonotaro, Mazzeo di Ricco, Jacopo Mostacci, Percivalle Doria, Re Enzo, Federico II e Giacomino Pugliese. A questi vanno aggiunti Cielo d'Alcamo, Tommaso di Sasso, Giovanni di Brienne, Compagnetto da Prato, Paganino da Serzana e Folco di Calavra.
Benché dai tratti linguistici prevalentemente siciliani, la Scuola Siciliana costituisce il primo standard dell'italiano, quale fu ripreso da Dante, che lo elesse modello del volgare illustre da lui sviluppato e trattato nel De vulgari eloquentia, pur rielaborandolo e arricchendolo sapientemente di apporti toscani, latini, e francesi. Sono qui dunque i fondamenti della moderna lingua italiana.
Diversi componimenti si distaccano già dalla poesia provenzale nella forma e nello stile, presentando già anticipazioni di esiti stilnovistici (Segre: 1999). La terminologia cavalleresca francese è tuttavia rivisitata e non copiata pedissequamente, attraverso il conio di nuovi termini italiani mediante anche nuovi sistemi di suffissazione in -za (<fr.-ce) e -ière (< -iera), novità linguistica notevole per quest'epoca.
[modifica] L'esperienza politica, filosofica e letteraria della Scuola Siciliana
La Scuola Siciliana si sviluppò tra il 1230 ed il 1250 presso la corte itinerante di Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero. Egli si stabilì per un lungo periodo in Sicilia, luogo di incontro e fusione di molte culture per la sua centralità nel Mediterraneo, dove creò una scuola di poeti ed intellettuali che ruotavano intorno alla sua figura, ed erano parte integrante della sua corte. I poeti Siciliani contribuirono in modo significativo al patrimonio letterario italiano. Federico II, uomo di grande cultura anche linguistica, intendeva avvalersi di ogni possibile mezzo per stabilire la sua supremazia sull'Italia, e in Europa. A questo fine attuò una politica strumentale, anche nel campo culturale. Con la Scuola Siciliana egli volle creare una nuova poesia che fosse laica, e si potesse così contrapporsi al predominio culturale che la Chiesa aveva nel periodo, non municipale, da opporsi alla produzione poetica comunale (l'imperatore era in lotta con i comuni) e aristocratica, che ruotasse, cioè, intorno alla sua figura.
I poeti di questa corrente letteraria appartenevano all'alta borghesia, ed erano tutti funzionari di corte, o burocrati, che lavoravano presso la corte di Federico. Importante rilevare che tutti erano impegnati in attività e funzioni di organizzazione, di cancelleria, di amministrazione. La produzione poetica era riservata alla libertà dello spirito e non costituiva un lavoro o una funzione. In questo senso, la Scuola Siciliana fu un tentativo di realizzare una cultura universale e spirituale, nel rispetto delle religioni manifestate ma senza condizionamenti né, tanto meno, subordinazione. Non a caso uno dei castelli più importanti della casa di Svevia è il nome da cui deriva l'etimologia del termine "ghibellino".
La lingua in cui i documenti della Scuola Siciliana sono espressi è il Siciliano Illustre, una lingua nobilitata dal continuo raffronto con le lingue auliche del tempo: il latino ed il provenzale (lingua d'oil e d'oc).
I poeti della Scuola sono riconducibili al numero di venticinque, i cui componimenti trovarono realizzazione nel ventennio compreso tra il 1230 ed il 1250, con un chiaro influsso sulla produzione culturale delle città ghibelline dell'Italia centrale (come per esempio Bologna, città dove visse Guido Guinizzelli, padre del Dolce Stil Novo, influenzato dalla scuola Siciliana).
La Scuola Siciliana fu travolta dal sistema di congiure e di complotti che fu ordita contro il sistema di governo di Federico II, eccessivamente illuministico per il suo tempo e forse, soprattutto, per la paura che lo Stato Pontificio aveva della possibilità che Federico II riunificasse la corona di Sicilia con quella di Germania, circostanza che avrebbe costretto il papato nella morsa del regno di Hohenstaufen. Della congiura di cui fu accusato Pier delle Vigne nei confronti di Federico II dà monumentale testimonianza Dante Alighieri (D.C., Inferno IX), peraltro asserendo l'estraneità di Pier delle Vigne alle accuse. Dopo la morte di Federico, la Scuola ebbe un rapido tramonto.
[modifica] Importanza linguistica della scuola siciliana
Meno forte dunque nei contenuti, la poesia lirica dei Siciliani (come li chiamava Dante) contiene in sé un linguaggio sovraregionale, qualitativamente e quantitativamente ricco rispetto ai dialetti locali, data anche la sua capacità di coniare parole nuove per neologismo e sincretismo, assimilando rapporti dialettali italiani e francesi (è dimostrata la stretta relazione tra i siciliani e la Marca Trevigiana, con cui Federico aveva stretti contatti) alle lingue d'oltralpe. Tale ricchezza fu dovuta anche alle caratteristiche intrinseche alla "Magna Curia", che spostandosi al seguito dell'irrequieto imperatore nel corso delle sue campagne politico-militare, non poteva per forza di cose prendere a modello della nuova lingua un singolo dialetto locale. Limitandoci solo al discorso sui dialetti, vi sono già differenze (non troppo marcate) tra la parlata catanese e palermitana, e a queste dobbiamo aggiungere alcune influenze continentali, ma non esclusive, alla zona della Puglia.
[modifica] La tradizione posteriore
Alla morte di Manfredi nel 1266, la scuola siciliana cessa di esistere. Grazie alla fama che aveva già ricevuto in tutta Italia e all'interesse dei poeti toscani, tale tradizione venne per così dire ripresa, ma con risultati minori, da Guittone d'Arezzo e i suoi discepoli, con cui fondò la cosiddetta scuola neo-siciliana. A quel punto, però, i poeti toscani lavoravano già su manoscritti toscani e non più su quelli siciliani: furono infatti i copisti locali a consegnare alla tradizione il corpus della Scuola Siciliana, ma per rendere i testi più "leggibili" essi apportarono modifiche destinate a pesare sulla tradizione successiva e quindi sul modo in cui venne percepita la tradizione "isolana".
Non solo vennero toscanizzate certe parole più aderenti al latino nel testo originale (cfr. gloria > ghiora in Jacopo da Lentini), ma per esigenze fonetiche il vocalismo siciliano fu adattato a quello del volgare toscano. Mentre il siciliano ha cinque vocali (discendenti dal latino nordafricano: i, e, a, o, u), il toscano ne ha sette (i, é, è, a, ò, ó, u). Il copista trascrisse la u > o e la i > e, quando la corrispondente parola toscana comportava tale variazione. Alla lettura, quindi le rime risultarono imperfette (o chiusa rimava con u, e chiusa con i, mentre anche quando la traduzione permetteva la presenza delle stesse vocali, poteva accadere che una diventava aperta, l'altra chiusa). Mentre questo errore fu considerato una licenza poetica da Guittone e poi dagli Stilnovisti, alla lunga contribuì probabilmente a svalutare i pregi metrico-stilistici della scuola, soprattutto nell'insegnamento scolastico. Pochi, infatti, sono i manoscritti siciliani originali rimastici: quelli di cui disponiamo sono solo copie toscane.
É ormai quasi certa per tutti gli studiosi l'ascrizione della paternità del sonetto vero e proprio a Jacopo da Lentini, nella forma metrica ABAB - ABAB / CDC DCD. Il sonetto avrà nei secoli una fortuna costante e imperitura, mantenendo inalterata la forma classicamente composta da due quartine e due terzine di endecasillabi (variando invece a livello di schema rimico): una fondamentale raccolta di sonetti è l'opera non teatrale di William Shakespeare. Il sonetto è stato ampiamente utilizzato da Charles Baudelaire. Ancora nel Novecento, infatti, dopo la parentesi negativa di Leopardi che nell'Ottocento aveva rifiutato questa forma, grandi poeti come Giorgio Caproni, Franco Fortini e Andrea Zanzotto hanno scritto sonetti. Da non dimenticare le composizioni del portoghese Fernando Pessoa.
[modifica] Bibliografia
- De arte venandi cum avibus, Federico II di Svevia, Testo latino a fronte, pagg. 1295, Laterza, Bari, 2007, ISBN 8842059765
- Federico II,David Abulafia, Einaudi, Torino, 2006, ISBN 8806181866
- Federico II di Svevia, Horst Eberhard, pagg. 432, Collana: supersaggi, Rizzoli, 1994, ISBN 8817116211
- La scuola poetica siciliana del secolo XIII (rist. anast., Vigo Livorno, 1882), Adolfo Gaspary, pagg. 326, Forni, 1980, ISBN 8827121536
- Le rime della scuola siciliana. Vol. 1: Introduzione, testo critico e note, Bruno Panvini, pagg. 676, Casa Editrice Leo S. Olschki, Firenze, 1962, ISBN 8822219309
- Le rime della scuola siciliana. Vol. 2: Glossario, Bruno Panvini, pagg. 180, Casa Editrice Leo S. Olschki, Firenze, 1964, ISBN 8822219317
- Federico II e la Sicilia, a cura di Carlo Ruta, Promolibri, Palermo, 2003
- Poeti alla corte di Federico II. La scuola siciliana, a cura di Carlo Ruta, Di Renzo Editore, 2003
[modifica] Voci correlate
Capiscuola: Federico II · Giacomo da Lentini |
Altri autori: Ruggieri d'Amici · Odo delle Colonne · Rinaldo d'Aquino · Arrigo Testa · Guido delle Colonne · Pier della Vigna · Stefano Protonotaro · Mazzeo di Ricco · Jacopo Mostacci · Percivalle Doria · Re Enzo · Giacomino Pugliese · Cielo d'Alcamo · Tommaso di Sasso · Giovanni di Brienne · Compagnetto da Prato · Paganino da Serzana |
Manoscritti: Vaticano Latino 3793 · Laurenziano Rediano 9 |
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