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Corano - Wikipedia

Corano

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il Corano (arabo:القرآن, al-Qur’ān; letteralmente: "la lettura" o "la recitazione salmodiata") è il testo sacro della religione dell'Islam. Per i musulmani il Corano, così come lo si legge oggi, rappresenta il messaggio rivelato quattordici secoli fa da Allāh (Dio) a Maometto (in arabo Muhammad) per un tramite angelico, e destinato ad ogni uomo sulla terra.

Indice

[modifica] Struttura

Il Corano è diviso in 114 capitoli, detti sūre, a loro volta divise in versetti (sing. āya, pl. āyyāt), per un totale di 6236. Questo numero però varia per la redazione messa a punto in alcuni ambienti sciiti che vi comprendono infatti alcuni versetti riguardanti l'episodio del Ghadir Khumm e sue intere sure, chiamate "sura delle due luci" (sūrat al-nūrayn ) e "sura della luogotenenza" (sūrat al-wilāya ). [1] Ogni sura, partendo da quella iniziale, comincia con: "Nel nome di Dio il misericordioso, il clemente", un versetto che è conteggiato tuttavia solo nella prima sura.

[modifica] Divisioni: Hizb o Manzil

Col termine izb (letteralmente "parte") o manzil (letteralmente "casa") viene indicata da più di un secolo ogni sessantesima parte del Corano, marcata da un simbolo particolarmente ornato, collocato al margine della copia coranica. Gli izb o manzil risultano essere (ad esclusione della Sura al-fātia, ovvero "sura aprente" che apre l'elenco delle 114 sure), in funzione della diversa lunghezza delle sure:

  • Manzil 1 = 3 Sure, i.e. 2--4
  • Manzil 2 = 5 Sure, i.e. 5--9
  • Manzil 3 = 7 Sure, i.e. 10--16
  • Manzil 4 = 9 Sure, i.e. 17--25
  • Manzil 5 = 11 Sure, i.e. 26--36
  • Manzil 6 = 13 Sure, i.e. 37--49
  • Manzil 7 = 65 Sure, i.e. 50--114

Qualora il Corano sia invece diviso in 30 porzioni, il termine indicato per ciascuna di esse è juzʾ (letteralmente "parte"). Tale ripartizione (ben più anticamente attestata rispetto al izb / manzil) permette che in ogni giorno del mese sacro di ramadan si possa così recitare un juzʾ, completando l'intera lettura alla fine di tale mese lunare.

[modifica] Sure meccane e medinesi

Le sure sono divise in meccane e medinesi, a seconda del periodo in cui furono rivelate. Le prime sono state rivelate prima dell'emigrazione (Egira) di Maometto da Mecca a Medina, le seconde sono invece quelle successive all'emigrazione. Questa divisione non identifica peraltro il luogo della rivelazione, ma il periodo storico. In generale le sure meccane sono più brevi e di contenuto più intenso e immediato da un punto di vista emotivo (si racconta di conversioni improvvise al solo sentire la loro predicazione); le sure medinesi risalgono invece al periodo in cui il profeta Maometto era a capo della neonata comunità islamica ed esse sono caratterizzate da norme religiose e istruzioni attinenti alla vita della comunità.

[modifica] Ordine delle sure

Le sure - aperte tutte, salvo la sura IX, dalla basmala (cioè la formula Nel nome di Allāh, il Clemente, il Misericordioso) - non sono disposte in ordine cronologico ma secondo la lunghezza, cosa che rende complicatissima un'accettabile comprensione del Testo Sacro islamico attraverso una lettura superficiale, anche se per i musulmani esse sono state disposte nell'ordine in cui furono insegnate al profeta Maometto dall'arcangelo Gabriele e quindi come il profeta le avrebbe successivamente recitate ai fedeli durante il mese di ramadan. L'ordine non riflette comunque la loro importanza in quanto per i fedeli dell'Islam esse sono tutte egualmente importanti.

Analizzando l'ordine delle sure da un punto di vista storico-sociologico, si può cercare l'influenza del periodo storico e del contesto in cui fu trascritto. Conducendo un'analisi laica, si può ipotizzare che il Corano fu così confezionato perché il contesto sociale imponeva che si fosse più attenti al lato politico del carisma del profeta, cioè come si era espresso a Medina, in un tempo cronologico più vicino a chi aveva assunto l’eredità religiosa e politica. Secondo questa ipotesi, questa struttura corrisponde ad un disegno preciso, coerente con le esigenze di un potere che aveva bisogno di dare un fondamento di autorità ai nuovi ordinamenti sociali e politici.

[modifica] Letture del Corano

Malgrado ogni sforzo di fissare senza alcun errore per iscritto il testo delle rivelazioni, non poté essere tuttavia conservato al di là d'ogni dubbio, il ritmo delle frasi. Ciò era dovuto al fatto che la lingua araba non conosceva i punti d'interpunzione e ogni proposizione acquistava una sua autonomia solo tramite le congiunzioni "wa" e "fa" (quest'ultima marcante il cambiamento di soggetto rispetto alla proposizione precedente).

La buona fede dei musulmani può essere attestata dal fatto che, consci che l'esistenza o meno di una pausa può mutare il significato della stessa (valga l'esempio del noto adagio latino: Ibis redibis non morieris in bello), gli incaricati di redigere il testo non imposero, per mancanza di unanimità di consensi, una lettura che prevalesse rispetto alle altre concorrenti.

Tale diversità di "letture" ( qirāʾāt ) è ancora una delle caratteristiche delle copie stampate del Corano, che privilegerà questa o quella delle "letture". L'edizione commissionata in Egitto all'inizio del XX secolo da re Fuʾād I, decise che per quella che viene chiamata "edizione fua'dina" si usasse quella di Ḥafṣ b. Sulaymān b. al-Mughīra al-Asadī, avuta da ʿĀṣim b. Abī al-Najūd di Kufa

Ibn Mujāhid ha documentato sette diverse letture, cui Ibn al-Jazrī ne aggiunse altre tre. Esse sono:

  1. Ibn ʿĀmir di Damasco (m. 736), trasmessa da Hishām e Ibn Zakwān
  2. Ibn Kathīr di Mecca (m. 737), trasmessa da al-Bazzī e Qunbul
  3. ʿĀṣim di Kufa (m. 745), trasmessa da Shuʿba e Ḥafṣ
  4. Abū Jaʿfar al-Makhzūmī di Medina (m. 747), trasmessa da Ibn Wardān e Ibn Jammāz
  5. Abū ʿAmr b. al-ʿAlāʾ di Bassora (m. 770), trasmessa da al-Dūrī e al-Sūsī
  6. Ḥamza di Kufa (m. 772), trasmessa da Khalaf e Khallād
  7. Nāfiʿ di Medina (m. 785), trasmessa da Warsh e Qalūn
  8. al-Kisāʾī di Kufa (m. 804), trasmessa da Abū l-Ḥārith e al-Dūrī
  9. Yaʿqūb al-Ḥaḍramī (m. 820), trasmessa da Ruways e Rawḥ
  10. Khalaf di Kufa (m. 843), trasmessa da Isḥāq e Idrīs

Oltre ad esse ne furono accolte ancora altre quattro:

  1. al-Ḥasan al-Baṣrī di Bassora (m. 728)
  2. Ibn Muḥaysin di Mecca (m. 740)
  3. al-Aʿmāsh di Kufa (m. 765)
  4. al-Yazīdī di Bassora/Baghdad (m. 817)

[modifica] Il profeta "analfabeta"

Impossibile dare una convincente risposta alla questione riguardante il preteso analfabetismo di Maometto.
Per opposti motivi, in ambito occidentale e persino in quello islamico, si è sostenuto che Maometto non sarebbe stato in grado di leggere e di scrivere. In ambiente non-islamico l'affermazione mirava a dimostrare la pochezza culturale del Profeta dell'Islam, sminuendone la personalità che, invece, è particolarmente esaltata dai musulmani. In ambiente islamico invece, sostenere l'analfabetismo di Maometto è sempre servito a sventare l'accusa che il Corano fosse opera di Maometto. Agli occhi dei musulmani il testo sacro dell'Islam appare dotato di tale fascino stilistico-letterario da fare logicamente escludere che esso potesse essere il parto del genio letterario di una persona che, oltre ad essere analfabeta, esprimeva frequentemente la sua scarsa sensibilità per la poesia, dimostrando quindi come il Corano fosse senz'altro da attribuire al solo Dio.

La frase che ha generato questo problema è la stessa definizione coranica che definisce Maometto al-nabī al-ummī. L'aggettivo ummī può infatti voler dire "analfabeta, illetterato" ma anche "nazionale"[2] "attinente al gruppo d'appartenenza". Dunque, anche "profeta degli arabi"[3].

Occorre specificare che, se il senso di "analfabeta" si limita a sottolineare l'impossibilità o la grande difficoltà di scrivere frasi, questo era senz'altro probabile, vista l'inesistenza di fatto di uno standard scrittorio della lingua araba (la lingua parlata era invece assai elaborata, come mostrano i componimenti poetici ed epici d'età preislamica, i cui versi rispettavano una ricca e complessa metrica quantitativa), mentre se s'intende affermare che Maometto era "ignorante" questo è assai improbabile. Vissuto in tenera età nell'ambiente nomade (la cui facondia letteraria era ben nota), con la balia Ḥalīma, e quindi impegnato fin dall'età adolescenziale con lo zio a commerciare in Yemen e Siria, il bagaglio lessicale del profeta non doveva essere limitato all'universo, tutto sommato assai ristretto, della sua città natale.

Lunghe furono le sue discussioni, i confronti e le diatribe avute a Medina con i dotti israeliti locali e mai l'accusa d'ignoranza gli fu rivolta dai suoi più accaniti rivali pagani, che semmai lo accusavano del contrario, di essere cioè l'abile creatore del testo coranico che egli predicava.

Una qualche forma di scrittura dell'arabo in ogni caso esisteva alla sua epoca e, in questi limiti, si può senz'altro sostenere che Maometto sapesse scrivere, tanto che sarebbe stato in grado di leggere e firmare alcuni documenti, come il Trattato di Ḥudaybiyya che portò a una tregua fra musulmani e pagani di Mecca.
Bal'ami, traduttore in farsi, ma talora poco fedele, dell'opera annalistica di Muhammad Ibn Ǧarīr al-Ṭabarī,[4] sottolinea tuttavia un'alfabetizzazione sommaria di Maometto. Il detto Trattato sarebbe stato messo per iscritto da Alì, che fungeva da segretario, e quando questi si rifiutò di accondiscendere alle richieste dei Coreisciti di cancellare l'epiteto di "apostolo di Dio" (Rasūl Allāh), "Il Profeta gli avrebbe tolto allora il càlamo dalle mani e gli avrebbe domandato: 'Dove sono le parole «Apostolo di Dio»? Fammi vedere'. Le cancellò di suo pugno e disse: 'Scrivi «Maometto figlio di Abdallah» e redigi il trattato come te l'ho dettato'".

Occorre specificare però che il "vero" Tabari,[5] scrive cosa ben diversa: « ... "Io sono il messaggero di Dio e sono Muhammad ibn ‘Abd Allah". - E disse ad ‘Ali: "Cancella messaggero di Dio". "No - rispose (‘Ali) - per Dio, giammai ti cancellerò!". Allora l'Inviato di Dio prese il documento - egli non scriveva bene - e scrisse Muhammad al posto di Messaggero di Dio. Poi scrisse: "Questo è ciò su cui concorda Muhammad: egli non entrerà a Mecca con le armi (in pugno)..." ».[6]

Tabari sottolinea quindi la capacità in prima persona di Maometto di leggere e scrivere, non limitandosi a mettere una semplice sigla o il suo semplice nome. Egli avrebbe tra l'altro redatto lettere per i potenti della Terra (Negus etiopico, basileus bizantino e Scià persiano-sasanide)[7], oltre ad essere impegnato a scrivere un non meglio identificato "importante documento" da lasciare ai musulmani nel momento in cui morì[8]

[modifica] La conservazione del testo nel corso dei secoli

Secondo i musulmani il testo della rivelazione coranica (nella versione originale in lingua araba) è immutabile nel corso dei secoli; conseguentemente esso viene tramandato dai musulmani parola per parola, lettera per lettera. Non sono stati pochi i musulmani e le musulmane che in tutto il mondo e in tutti gli ultimi 14 secoli e oltre hanno imparato a memoria le centinaia di pagine in arabo che costituiscono il Testo Sacro. Questo processo è noto con il nome di Ḥifẓ, che significa conservazione. Una persona che ha memorizzato l'intero Corano si chiama Ḥāfiẓ (masch.) e Ḥāfiẓa (femm.)[9]. Memorizzare il testo del Corano è un modo per garantirne la preservazione nella sua forma autentica nel corso dei secoli.

Foglio pergamenaceo di un Corano d'età abbaside (Egitto, IX-X secolo). Il foglio riporta alcuni versetti della sura 22, detta al-Ḥajj e riguarda per l'appunto alcune regole da seguire nel corso del pellegrinaggio canonico a Mecca e dintorni.
Foglio pergamenaceo di un Corano d'età abbaside (Egitto, IX-X secolo). Il foglio riporta alcuni versetti della sura 22, detta al-Ḥajj e riguarda per l'appunto alcune regole da seguire nel corso del pellegrinaggio canonico a Mecca e dintorni.

Sebbene il Corano sia stato tradotto in quasi tutte le lingue, i musulmani utilizzano tali traduzioni solo come strumenti ausiliari per lo studio e la comprensione dell'originale in arabo; la recitazione liturgica da parte del fedele musulmano deve avvenire sempre e comunque in arabo, essendo il Corano "Parola di Dio" (kalimat Allāh). L'Islam professa infatti che è in questa lingua che la Rivelazione divina è stata trasmessa al profeta Maometto tramite l'arcangelo Gabriele. Non bisogna quindi fare indebiti parallelismi tra Corano e Bibbia - salvo per la Torah, rivelata in prima persona da Dio agli Ebrei - e tra Maometto e Gesù. Per il Cristianesimo la parola di Dio è Gesù Stesso; per l'Islam la Parola di Dio è il Corano, mentre il profeta Maometto rappresenta il semplice strumento attraverso cui la rivelazione del Corano all'umanità sarebbe avvenuta.

Nel corso del periodo che va approssimativamente dal 610 al 632 (anno della morte del profeta), il Corano fu rivelato a Maometto, dapprima per sure intere e brevi e quindi per brani, in considerazione della lunghezza talvolta notevole delle sure.

Il profeta stesso provvedeva a indicare dove un certo brano dovesse essere disposto, con ciò costringendo involontariamente i suoi sempre più numerosi fedeli che intendevano imparare a memoria la Parola di Dio, a un notevole sforzo mnemonico.

Numerosi sono gli episodi riguardanti la prima provvisoria sistemazione del materiale rivelato, con richieste frequenti d'interpretazioni di passaggi ritenuti oscuri dai fedeli e anche con qualche episodio che generò turbamento in alcuni musulmani. Ci riferiamo in particolare a un segretario - nel senso di "scrivano" (kātib) - che artatamente trascrisse male una rivelazione, accorgendosi poi che il profeta non s'era accorto dell'accaduto. Il sospetto che Maometto fosse un impostore si affacciò evidentemente con forza alla mente dello scriba che, abiurando, fuggì alla volta della Siria, onde evitare la punizione capitale prevista per il grave peccato di apostasia ( ridda ).

La precarietà da un lato del ductus consonantico della lingua araba scritta e dall'altro del materiale stesso fino ad allora usato per vergare in modo approssimativo[10] i brani della rivelazione coranica[11], nonché la morte (12 maggio 633/rabīʿ I 12), nella ʿAqrabāʾ in Yamama, nel quadro della guerra della cosiddetta "Ridda", di un numero particolarmente elevato di fedeli musulmani ( qurrāʾ ) che avevano memorizzato per intero il Testo Sacro, indusse già il primo califfo Abū Bakr a incaricare un gruppo di persone (coordinato dal principale scrivano del profeta, Zayd ibn Thābit) della trasposizione per iscritto del Corano.

Il lavoro di raccolta e collazione del materiale coranico conobbe evidentemente un rallentamento a causa della morte nel 634 di Abū Bakr e dell'avvio sotto il secondo califfo ʿUmar della convulsa fase delle conquiste arabo-islamiche in Siria-Palestina, Egitto, Mesopotamia e Iran occidentale.

Fu così il terzo califfo ʿUthmān ad avere merito della sistematizzazione definitiva della redazione scritta dell'intero testo coranico (muṣḥaf).

Ancora una volta a coordinare lo sforzo fu Zayd ibn Thābit e il principio fu quello di accettare solo quelle tradizioni che, separatamente testimoniate da due musulmani che l'avessero raccolte di persona, fossero in tutto e per tutto combacianti alla lettera. Una sola eccezione fu fatta per Khuzayma ibn Thābit (m. 657), la cui eccezionale memoria e affidabilità gli aveva procurato da parte di Maometto il soprannome onorifico di Dhū l-shahādatayn (Quello delle due testimonianze)[12], per il quale fu accettato il principio della validità della sua unica certificazione.

A redazione ultimata il califfo dette disposizione affinché le copie divergenti da quella per suo incarico raccolta fossero distrutte. È noto che uno dei primi musulmani, Ibn Masʿūd, proprietario d'una copia da lui stesso vergata e che era difforme alquanto da quella di ʿUthmān, si rifiutò d'ubbidire e venne per questo malmenato dalle guardie del califfo che, però, pare agissero più di loro iniziativa che per specifica autorizzazione del califfo. La cosa, comunque, scandalizzò parecchi vecchi musulmani e concorsero a rovinare in parte la reputazione e la popolarità di ʿUthmān.

[modifica] Evoluzione del testo coranico

A lato di tale presupposto teologico di assoluta fissità del testo, alcuni studiosi orientalisti hanno fatto però notare che il Corano, come qualunque testo di qualsivoglia cultura umana, potrebbe essere stato oggetto di una certa evoluzione.

Nel 1972, durante i lavori di restauro della Grande Moschea di Ṣanʿāʾ, capitale dello Yemen, alcuni operai scoprirono per caso un’intercapedine tra il soffitto interno e quello esterno dell’edificio. Si trattava di una “tomba delle carte”, cioè una “sepoltura” di vecchi testi religiosi ormai in disuso e che per il loro carattere sacro non è permesso distruggere: una pratica in uso anche nel mondo ebraico, come dimostrato dai documenti della "Gheniza dei Palestinesi" del Cairo studiati da Shelomo Dov Goitein[13]. A Ṣanʿāʾ ci si imbatté in una quantità considerevole di antiche pergamene e documenti più o meno rovinati dal tempo, umidità, topi e insetti.

Nel 1979, su richiesta di Qāḍī Ismāʿīl al-Akwāʾ, allora Presidente dell’Autorità per le Antichità Yemenite, uno studioso tedesco, Gerd-Rüdiger Puin, della Universität des Saarlandes, cominciò a lavorare sul materiale ritrovato. Scoprì che alcune pergamene, risalenti al 680 circa, risultavano essere frammenti del più antico Corano esistente. Da analisi più approfondite cominciarono a emergere alcuni elementi interessanti: oltre che scarti dalla versione standard del Corano ("In ogni pagina le differenze con la vulgata coranica sono una decina", sostiene Puin) e una ordinazione dei versetti non convenzionale, si può notare con chiarezza la presenza di nuove versioni riscritte sopra quelle precedenti.

La sura Aprente nella prima edizione veneziana del 1537
La sura Aprente nella prima edizione veneziana del 1537

Il Corano con cui Puin ha a che fare appare insomma sempre più un testo in evoluzione. Il lavoro di restauro sui manoscritti ha portato alla sistemazione di oltre 15.000 fogli presso la Casa dei Manoscritti dello Yemen: lo studioso, coadiuvato dal suo collega H.C. Graf von Bothmer, si limitò però a catalogare e classificare i frammenti, pubblicando solo qualche breve osservazione critico-contenutistica sul valore della scoperta, per timore che le autorità yemenite vietassero ogni ulteriore accesso. Ad altri studiosi, in effetti, non sono stati rilasciati i permessi necessari per visionare i manoscritti.

Tale scoperta, se da un lato invalida il concetto di immutabilità del Corano, postulato dai musulmani dopo i contributi di Aḥmad b. Ḥanbal nel IX secolo e imposto come dogma solo dopo l'avvio del califfato di al-Mutawakkil (847-861), dall'altro lato ha contribuito però a mettere alquanto in crisi anche l'ipotesi avanzata a fine anni '70 del XX secolo dallo studioso britannico John E. Wansbrough. Questi fu il capofila di una serie di studiosi per i quali il testo coranico e, di fatto, gli assetti giuridico-religiosi dell'Islam in genere, sarebbero stati concepiti e portati a realizzazione in una fase assai più avanzata rispetto al VII secolo d.C. e, più esattamente, non prima del II secolo del calendario islamico, equivalente all'VIII/IX secolo della nostra era.

L'ipotesi si basava sull'oggettiva tarda comparsa della produzione scritta, attestata solo a partire dal II secolo islamico, al quale risale il primo manoscritto, pervenutoci in uno standard compiuto della lingua araba, fino a quel momento rimasta a uno stadio di rudimentalità, pur in presenza di una estrema raffinatezza della lingua parlata, specialmente poetica. Ciò era stato causato dal protratto permanere di irrisolte storture morfologiche della scrittura che, tra l'altro, non era stata a lungo in grado di distinguere fra loro interi gruppi di grafemi, fin quando infine si poté ovviare (probabilmente grazie al contributo di convertiti provenienti dalla cultura siriaca, ebraica e persiana mazdea), col ricorso a una distinta puntuazione delle consonanti, tale da consentire infine un percorso intellettivo senza incertezze da parte del lettore.

Per approfondire, vedi la voce Storia dell'alfabeto arabo.

[modifica] Traduzioni del Corano

Malgrado i musulmani considerino che qualsiasi traduzione dal testo arabo del Corano non possa evitare d'introdurre - in quanto traduzione - elementi di ambiguità se non di vero e proprio travisamento semantico, e siano pertanto tendenzialmente sfavorevoli a qualsiasi versione del loro testo sacro in idioma diverso da quello originale, l'estrema esiguità dei musulmani arabofoni (all'incirca il 10% dell'intera popolazione islamica mondiale) ha condotto ad approntare traduzioni nelle più diverse lingue del mondo anche islamico: dal persiano al turco, dall'urdu all'indonesiano, dall'hindi al berbero.

Per quanto riguarda l'Italia non si potrà trascurare il fatto che, fra tutti gli idiomi neo-latini, fu proprio in volgare toscano che fu per la prima volta tradotto il Corano, dopo le varie traduzioni in lingua latina, di cui la più famosa rimane quella commissionata da Pietro il Venerabile, abate di Cluny, a Roberto di Ketton (o Robertus Ratenensis) nel 1143 e quella curata agli inizi del Cinquecento da Paganino da Brescia (ritirata però e fatta bruciare per disposizione papalina per l'eccessiva sua messe di errori)[14].

I brani in volgare italiano, sono da riferire a tal Marco, canonico della Cattedrale di Toledo, che li curò tra il 1210 e il 1213, sono stati recentemente scoperti, studiati ed editi da Luciano Formisano, dell'Università di Bologna[15], che l'ha rinvenuti all'interno del fiorentino codice Riccardiano 1910: autografo di Piero di Giovanni Vaglienti (Firenze, 1438- post 15-7-1514). Essi sono quindi parecchio precedenti alla versione del 1547 di Andrea Arrivabene, a lungo considerata la più antica, e a quella ormai classica di Ludovico Marracci, stampata però a Padova solo nel 1698.

Al XX secolo vanno invece riferite le versioni di docenti universitari quali Luigi Bonelli, Alessandro Bausani e Martino Mario Moreno. Se ne contano numerose altre, di diverso livello scientifico, spesso tradotte da musulmani che sono stati mossi all'impresa dalla loro convinzione che le traduzioni scientifiche anzidette siano comunque tendenzialmente fuorvianti, proprio perché curate da orientalisti non musulmani, senza peraltro poter sfuggire anch'essi alle critiche di fondo di chi sostiene in modo convinto l'adagio "traduttore traditore".

[modifica] Versetti riferiti a Cristianesimo e Giudaismo

Nel versetto 7 della prima sura, (al-Fātiḥa, "l'Aprente"), "la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira, né degli sviati", gli "sviati" sono gli ebrei e i cristiani che Allāh rimprovera per non avere seguito il suo messaggio. Quindi gli ebrei non avrebbero riconosciuto come profeta Īsā (Gesù) tacciandolo di falsità e mostrandogli ostilità; i cristiani invece trasgredirebbero al Primo Pilastro dell'Islam (vedi: Cinque pilastri dell'Islam), quello dell'unicità di Allāh, poiché adorano la trinità, anche se secondo il Corano essa sarebbe composta da Dio, Gesù e Maria.

Secondo il Corano ebrei e cristiani hanno dunque corrotto (cioè modificato volontariamente) le Sacre Scritture. Il Corano contiene diversi riferimenti ai personaggi della Bibbia e a tradizioni ebraiche e cristiane. Sulla figura di Gesù in particolare il Corano ricorda dottrine gnostiche e docetiste, sostenendo che sulla croce sarebbe stato sostituito con un sosia.

[modifica] Note

  1. ^ Cfr. Il Corano, intr., trad. e note di Alessandro Bausani, Firenze, Sansoni, 1961, p. XLVIII dell'Introduzione. Peraltro non solo il Corano sciita differisce dalla vulgata di ‘Uthmān, ma anche le copie difformi, possedute da Compagni quali Zayd b. Thābit, Ibn ‘Abbās, Ubayy b. Ka‘b e Ibn Mas‘ūd, e distrutte per ordine del terzo califfo "ortodosso".
  2. ^ Ancor oggi la parola araba Umma significa tanto "comunità" quanto "nazione" (ad es. al-umam al-muttaḥida, "Nazioni Unite"),
  3. ^ Carlo Alfonso Nallino, "Il significato del vocabolo coranico «Ummī» applicato a Maometto e quello di «al-Ummiyyūn», in: Raccolta di scritti editi e inediti, Roma, Istituto per l'Oriente, 1940, vol. II, pp. 60-65.
  4. ^ Vita di Maometto, (a cura di S. Noja), Milano, Rizzoli, 1985, pp. 268-269.
  5. ^ Ta'rīkh al-rusul wa-l-mulūk, 11 vol., 1969-77, Il Cairo, Dar al-ma‘ārif, II, f. 1549, p. 636.
  6. ^ Ecco il testo originale traslitterato: « ... "Anā Rasūl Allāh wa-anā Muhammad ibn ‘Abd Allāh. Qāla li ‘Alī (‘alayhi al-salām): "Amha Rasūl Allāh". Wa-qāla: "Lā wa-llāhi la amhaka abadan". Wa akhadhahu Rasūl Allāh (salla Allāhu ‘alayihi wa sallama) - wa-laysa yuhassinu yaktabu - fa-kataba makān Rasūl Allāh Muhammad fa-kataba: "Hadhā mā qudiya ‘alayhi Muhammad: la yadkhalu Makka bi-l-silāh"... ».
  7. ^ Tabari, op. cit., II, f. 1560-1, pp. 644-46.
  8. ^ Cfr. Bukhari, Sahīh, Il Cairo, Mustafā al-Bābī al-Halabī, III, 158. La tradizione risale al celeberrimo studioso Ibn ‘Abbās, cugino dello stesso Profeta.
    Claudio Lo Jacono ("La prima storiografia islamica. Modelli e prestiti", in: Lo spazio letterario del Medioevo, Roma, Salerno Editrice, 2003, p. 267, nota 24) sottolinea inoltre come fosse improbabile che proprio Maometto - migliore degli uomini, tanto da essere definito al-insān al-kāmil (uomo perfetto) - non fosse in grado di far fronte a quanto previsto dai versetti 13-14 della sura XVII del Corano. Qui Dio afferma infatti: «E abbiamo attaccato al collo di ogni uomo il suo destino e il dì della Risurrezione gli mostreremo un rotolo che troverà dispiegato a sé davanti. / "Leggi il tuo rotolo! Basterai tu stesso, oggi, a computare contro di te le tue azioni!"» (trad. di A. Bausani, Il Corano, Firenze, Sansoni, 1961, p. 202). A stretto rigor di logica, accettando il preteso analfabetismo del profeta, questi avrebbe avuto assoluto bisogno di un aiuto esterno nel momento topico del Giudizio finale.
    Non manca tuttavia chi giudica questo argomento poco significativo, perché non sarebbe previsto che il Giudizio finale si svolga in modo diverso per gli analfabeti, e si dovrebbe quindi supporre che tutti saranno allora in grado di capire la propria sorte, ma va anche ricordato che tale considerazione viene affermata in contesto tradizionistico quando si parla della qiyāma (Risurrezione) e, assai di più, essa si rifà a ragionamenti induttivi dei falāsifa (filosofi), laddove nulla di tutto ciò compare nel testo coranico.
  9. ^ Plurale: ḥuffāẓ.
  10. ^ Foglie di palma, scapole di grandi animali, pezzi di tessuto, papiro.
  11. ^ Il testo coranico - come ricorda P.K. Hitti (p. 136) - fu «fissato dai due visir [abbasidi] Ibn Muqlah e Ibn ʿIsa nel 933 con l'aiuto del dotto Mugiahid».
  12. ^ Nel diritto islamico, la testimonianza (per essere valida) deve essere resa da almeno due persone adulte, di sesso maschile, di sano intelletto e di buona nomea. Nel caso di testimonianza resa da una donna varrà lo stesso principio della pubertà, sano intendimento e affidabilità ma essa potrà surrogare solo la metà di una testimonianza maschile. Quindi saranno ammesse le testimonianze di due uomini, di quattro donne e di un uomo e due donne
  13. ^ Una società mediterranea, Milano, Bompiani, 2002.
  14. ^ Una copia però miracolosamente scampò al rogo ed è stata rinvenuta nell'ultimo scorcio del XX secolo nella Biblioteca degli Armeni a Venezia.
  15. ^ Iddio ci dia buon viaggio e guadagno, Firenze, Ed. Polistampa, 2006.

[modifica] Bibliografia

Traduzioni italiane facilmente reperibili (in ordine di pubblicazione):

  • Il Corano, a cura di L. Bonelli, Hoepli, Milano 1987 (rist. dell'edizione del 1929)
  • Il Corano, a cura di A. Bausani, Sansoni, Firenze 1955 (poi Rizzoli-BUR, Milano 1988 e successive ristampe)
  • Il Corano, a cura di M. M. Moreno, UTET, Torino 1967
  • Il Corano, a cura di F. J. Peirone, 2 voll., Mondadori, Milano 1979
  • Il Corano, a cura di C. Guzzetti, Elle Di Ci, Torino 1989

Traduzioni italiane di autori musulmani:

  • Il Corano, a cura di Roberto Hamza Piccardo, Newton Compton, Roma 1996
  • Il Corano, a cura di G. Mandel, UTET, Torino 2004 (con testo a fronte)

Su vari aspetti del testo e della sua storia:

  • Theodore Nöldeke-Friedrich Schwally, Geschichte des Qorans, Berlino, 1919.
  • Luigi Bonelli, Il Corano, Milano, Hoepli, 1929.
  • Arthur Jeffery, The Qurʾān as Scripture, New York, 1952.
  • Richard Bell, Introduction to the Qurʾan, Edimburgo, 1953.
  • Alessandro Bausani, Il Corano, Firenze, Sansoni, 1961.
  • Philip K. Hitti, History of the Arabs, Londra, Macmillan & Co. Ltd, 19648 (trad. ital. Storia degli Arabi, Firenze, La Nuova Italia editrice, 1966).
  • Martino Mario Moreno, Il Corano, Torino, UTET, 1967.
  • Régis Blachère, Introduction au Coran, Parigi, Maisonneuve et Larose.
  • Régis Blachère, Le Coran, Parigi, PUF (Que sais-je ? n° 1245).
  • Mohammed Arkoun, Lectures du Coran, Parigi, Maisonneuve et Larose, 1982
  • Asmaa Godin, Les sciences du Coran, Al-Qalam, 1992.
  • Abdallâh Shihâtah, Introduction aux sciences du Coran, islamophile.org.
  • Mohamed Talbi et Maurice Bucaille, Réflexions sur le Coran, Seghers, 1989.
  • Muhammad Hamidullah avec la collaboration de M. Léturmy, Le Saint Coran, 12ème édition, 1986, Maison d'Ennour.
  • Maurice Bucaille, La Bible, le Coran et la science : Les écritures saintes examinées à la lumière des connaissances modernes, Seghers, 1976.
  • Youssef Seddik, Nous n'avons jamais lu le Coran, éditions de l'Aube.
  • Youssef Seddik, Le Coran, autre lecture, autre traduction, coédition éditions Barzakh /les éditions de l'Aube, résumé de l'ouvrage.
  • Les grands thèmes du Coran, Classement thématique établi par Jean-Luc Monneret, préface du Docteur Dalil Boubaker, Éditions Dervy Template:ISBN, juin 2003.
  • C. Saccone, Allah, Il Dio del Terzo Testamento. Letture coraniche, Medusa, Milano 2005
  • Jacques Jomier, Les Grands Thèmes Du Coran, Ed. Le Centurion, parution 01/1978
  • Jacques Jomier, Dieu et l'homme dans le Coran, L'aspect religieux de la nature humaine joint à l'obéissance au Prophète de l'islam, paru en février 1996, 248 pages, Collection « Patrimoines - Islam », Parigi, Ed. du Cerf.
  • L'histoire du Coran comme document écrit, De Premare A.-L. (1), Affiliation de l'auteur : Université de Provence, Institut de recherche et d'études sur le monde arabe et musulman (CNRS), Aix-en-Provence, Le Coran et la Bible, 1998, no 115.
  • Mystique et politique: le Coran des islamistes, Commentaire coranique de Sayyid Qutb (1906-1966), Olivier Carré, paru en avril 2004, Collection « Patrimoines - Islam », Parigi, Editions du Cerf.
  • Edouard-Marie Gallez, Le Messie et son prophète, Aux origines de l’Islam 2 tomes, Tome 1. De Qumran à Muhammad, Tome 2. Du Muhammad des Califes au Muhammad de l’histoire, Versailles, Éditions de Paris (un résumé sur le lien suivant : http://www.ict-toulouse.asso.fr/ble/site/659.html) cette publication a constitué la thèse de doctorat en théologie / histoire des religions qu’Edouard-Marie Gallez a soutenue à l’Université de Strasbourg II en 2004.
  • Une lecture juive du Coran de Hai Bar-Zeev, Ed.Berg, Parution : 02/09/2005, ISBN : 2911289811 résumé de l'ouvrage
  • Un verset manquant du Coran, Claude Gilliot, En hommage au Père Jomier, o.p. Études réunies et coordonnées par Marie-Thérèse Urvoy, paru en juin 2002, Collection « Patrimoines - Islam », Parigi, Ed. du Cerf.
  • Le Coran, la Bible et l'Orient ancien, Mondher Sfar, 1998, Parigi, Editions Sfar, 2e édition critiques de l'ouvrage. et[1]
  • Le Coran est-il authentique?, Mondher Sfar, Ed. Sfar, Diffusion Ed. du Cerf, 2000.
  • Geschichte des Qorans (Histoire du Coran), Theodor Nöldeke, 1860 [2]
  • Kenneth Cragg, The Event of the Qurʾan. Islam in its Scripture, Oxford, 1971.
  • Régis Blachère, Introduction au Coran, Parigi, 1977.
  • Patricia Crone-Michel Cook, Hagarism. The Making of the Islamic World, Cambridge, 1977.
  • John E. Wansbrough, Quranic Studies. Sources and methods of scriptural interpretation, Oxford University Press, Oxford, 1977.
  • Idem, The Sectarian Milieu: content and composition of Islamic salvation history, Oxford University Press, Oxford, 1978.
  • Fazlur Rahman, Major Themes in the Qurʾan, Minneapolis, 1980.
  • Muhammad Arkoun, Lectures du Coran, Parigi, 1982.
  • S. Wild (a cura di), The Qurʾân as text, Leida, 1996.
  • Gerd-Rüdiger Puin, "Observations on Early Qur'an Manuscripts in Sana'a", in: The Qurʾan as Text, ed. Stefan Wild, Leyden, E.J. Brill, 1996.
  • F. McGrew Donner, Narratives of Islamic Origins: the Beginning of Islamic Historical Writing, Princeton, 1998.
  • M. ʿAbdel Haleem, Understanding the Qurʾan. Themes and Style, Londra e New York, 1999.
  • Sayyid Qutb, In the Shade of the Qurʾan, Leicester, 1999.
  • Issa Boullata, Literary Structures of Religious Meaning in the Qurʾân, Richmond, 2000.
  • Andrew Rippin, The Qurʾan and its Interpretative Tradition, Ashgate, 2001.
  • S. Taji-Farouki (a cura di), Modern Muslim Intellectuals and the Qurʾan, Londra, 2004.
  • A. Ventura, "L'Islām sunnita nel periodo classico (VII-XVI secolo)", in (a cura di G. Filoramo), Islam - Storia delle religioni, Roma-Bari, Ed. Laterza, 1999 (edizione rinnovata), pp. 88-100.
  • Muhammad Ibn Garir al-Tabari, Vita di Maometto, a cura di S. Noja, Milano, Rizzoli (BUR), 1985 - ISBN 88-17-16860-2

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