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Riforma gregoriana - Wikipedia

Riforma gregoriana

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Per riforma gregoriana si intende tutta una serie di riforme all'interno della Chiesa cattolica, attuate nel corso dell'XI secolo, e il cui nome deriva dal principale rappresentante e il più strenuo difensore della riforma, il papa Gregorio VII (1073-1085).

Quest'epoca, che pose fine al cosiddetto Saeculum obscurum, iniziò nel 1046 e si concluse con il Concordato di Worms del 1122, e può essere suddivisa in quattro periodi:

  1. 1046-1057 = Inizio della riforma sotto i papi tedeschi
  2. 1057-1073 = Potenziamento della riforma gragoriana sotto i papi tosco-lorenesi.
  3. 1073-1085 = Lotta di Gregorio VII.
  4. 1085-1122 = Lotta e tenace vittoria della riforma da papa Vittore II a papa Callisto II.

Indice

[modifica] La riforma sotto i papi tedeschi (1046 - 1057)

Dopo il colpo di mano di Enrico III, tutti i papi che si successero dal 1046 furono di nazionalità tedesca e da lui eletti. I nomi che questi papi assunsero quando salivano al soglio pontificio furono particolarmente inconsueti, in quanto presero il nome dei primi papi, a cui Enrico III stesso si rifece, come segno del recupero della realtà ecclesiale primitiva. Clemente II, Damaso II, Vittore II, sebbene non riuscirono ad arrivare ad una azione concreta di riforma, perché morirono in fretta, vollero ritornare alla purezza primitiva. Clemente II, infatti, procedette contro la simonia, accompagnò l'Imperatore in Sicilia, ma, tornato a Roma, si ammalò di malaria e morì il 9 agosto 1048. Gli successe Poppone, vescovo di Bressanone, con il nome di Damaso II, il quale durò soltanto 23 giorni. Un'attuazione concreta si ebbe con Brunone di Tull, ex consigliere di Enrico III, uomo molto dotato che, in giovane età (solo 46 anni), diventò papa con il nome di Leone IX per cinque anni.

Egli, pur essendo stato designato dall'Imperatore, sottopose la sua nomina all'accettazione del popolo e del clero romano.

In questi cinque anni di pontificato egli inaugurò un nuovo metodo di guida della Chiesa:

  • Si circondò di un gruppo di validi collaboratori della Lorena (é qui, probabilmente, l'origine del collegio dei cardinali), tra questi Alinardo, Umberto di Silvacandida (giurista e storico grazie al quale ci sono giunte molte notizie), Federico, figlio del duca di Lorena, Ildebrando da Soana (segretario di Gregorio VI): da questo momento la gestione della Chiesa divenne collegiale. Questa sua decisione fu gravida di conseguenze, in quanto fece partecipare questi suoi consiglieri, alti dignitari, all'esercizio del potere pontificale, della riforma ecclesiale, liberandoli dagli impegni liturgici per permettere loro un governo più forte della Chiesa a loro assegnata.
  • Leone IX non risiedette a Roma, ma viaggiò instancabilmente tra l'Italia, la Francia e la Germania, sull'esempio dei sovrani secolari della sua epoca. Dal 1050, scese in Italia meridionale, attraversò le Alpi, indicendo sinodi di vescovi. Questi suoi viaggi portarono un grande vantaggio all'autorità pontificia: la mentalità/coscienza del potere del papa nella Chiesa universale, oscurata dal secolo di ferro, venne rivitalizzata ed illuminata nel suo valore universale.

Nel suo pontificato affrontò, principalmente, tre problemi:

[modifica] Riforma della Chiesa

Egli volle attuare una riforma di tipo morale e non ancora istituzionale. Il suo principale obiettivo fu la lotta contro il concubinaggio e la simonia. Questo papa si rese conto della difficoltà di questa impresa. Sapendo che la legge era violata da buona parte del basso clero, difficilmente raggiungibile dalla riforma, decise di limitare la riforma alla sola città di Roma e dintorni, come esempio per altre città. Egli proibì ogni relazione di laici con i presbiteri incontinenti, ospitando tutte le concubine in Laterano sotto il suo controllo. Lottò poi contro la simonia che intaccava preti e vescovi italiani e francesi. Essi sperimentarono la serietà dei decreti di Leone IX emanati nei diversi sinodi (Reims, Magonza,ecc.), in conseguenza dei quali, di fronte l'accusa, il vescovo veniva subito deposto. Secondo la mentalità del tempo, la simonia era l'eresia più grave, quella che non permetteva, allo Spirito Santo di agire liberamente: il vescovo non veniva legittimamente consacrato e, a sua volta, non trasmetteva l'ordine all'ordinato. Questi metodi drastici tentavano, allora, di salvare la sostanza della fede e della vita sacramentale, ma per questo furono anche fortemente osteggiati. Nacque, così, anche il problema della differenza tra illeicità e invalidità , pur nella non ancora chiara interpretazione, in quanto prevaleva ancora la visione del papa che riteneva l'ordinazione invalida (tamquam non esse).

[modifica] Lotta contro i Normanni insediatisi nell'Italia meridionale

Fu sicuramente il più grave problema. Durante il secolo oscuro, i papi, nobili eletti dalle famiglie dei Teofilatto e dei Tuscolani, e in particolare Benedetto VIII, avevano chiamato in aiuto a Meles, rappresentante dell'Impero bizantino in Puglia (insorto contro la dominazione greco-bizantina), alcuni soldati Normanni. Essi non si erano fatti ripetere l'invito e dalle Alpi, per mare e per terra, raggiunsero Meles e lo sostennero nella battaglia. Questi “immigrati”, che si erano insediati dopo il 1000 nell'Italia meridionale, nel giro di una generazione erano diventati i padroni delle terre, maltrattando le popolazioni residenti, che, a causa di queste ingiustizie, si appellarono al papa.

Per scacciarli, il papa fu costretto ad allearsi con i bizantini, che occupavano ancora gran parte dell'Italia Meridionale e che erano guidati dal figlio di Meles. Chiese, poi, aiuto ad Enrico III, recandosi in Germania. Inizialmente l'Imperatore approvò i piani di papa Benedetto VIII, sostenendolo con un esercito, ma, dissuaso dal suo cancelliere, il vescovo Gebehard di Eichstatt (che sarà papa Vittore II), decise di rimanerne fuori.

Leone IX, succeduto a Benedetto VIII, decise di assoldare dalla nobiltà tedesca un gruppo di giovani che unitisi ai soldati italo-bizantini avrebbero sferrato l'attacco ai Normanni. Prima che i due eserciti si unissero, però, i Normanni attaccarono l'esercito papale, infliggendogli una grave sconfitta il 16 giugno 1053 a Civitate, a sud del fiume Fortero, facendo prigioniero il papa. Dopo sei mesi, i Normanni lo liberarono ma, colpito duramente e sfibrato dalla guerra, Leone IX, il 19 aprile 1054, morì a Roma.

A Leone IX successe Gebehard di Eichstatt, con il nome di Vittore II, il quale si impegnò fortemente nella riforma ancora prettamente morale. Egli mantenne gli stessi collaboratori di Leone IX e indisse sinodi in Francia e in Italia. La sua azione di riforma fu, però, condizionata dalla morte di Enrico III (5 ottobre 1056), il quale lasciò la moglie Agnese di Poitou reggente e il figlioletto (futuro Enrico IV) ancora minorenne. Essendo, quindi, vacante la sede imperiale, il papa fu impegnato ancora più direttamente nella politica imperiale, svolgendo magnificamente questo suo compito. Vittore II, con abilità diplomatica, riuscì ad assegnare il trono al figlio di Enrico III e alla moglie e a indire un sinodo riformatore, durante la preparazione del quale morì, il 23 giugno 1057.

Con la sua morte finì il periodo della riforma gregoriana sotto i papi tedeschi.

[modifica] Lo scisma d'oriente (1054)

Per approfondire, vedi la voce Scisma d'Oriente-Occidente.

I rapporti tra Chiesa occidentale e Chiesa orientale furono sempre particolarmente freddi. Alla morte di Alessio Studita, divenne Patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario, che governò dal 1043 al 1058.

Un giudizio equo su questo protagonista della Storia del primo millennio non è di certo facile. Egli ebbe una personalità tempestosa e rivoltosa, molto autonomo persino dall'autorità dell'Imperatore bizantino. Già da nobile si dice che, aspirando alla corona, fece una rivolta per diventare Imperatore. Scoperto nei suoi intenti, fu mandato in convento, dove ebbe grande influenza sulla politica e sullo stesso Imperatore Costantino IX, fino a che, nel 1043, fu eletto patriarca di Costantinopoli.

Bisanzio e Roma erano già di fatto divise, anche se non ancora formalmente, in quanto forte era la richiesta di autonomia dalla Chiesa centrale.

A Bisanzio cresceva la consapevolezza e le convinzione che Roma andava degenerandosi a causa dell'alleanza con i Normanni e con l'Impero Tedesco, mentre Bisanzio, nuova Roma, si fece depositaria delle vere e autentiche tradizioni ecclesiastiche, della vita e della fede religiosa, conservatesi intatte.

Nella rottura dei rapporti tra Chiesa e Normanni (1053), nacque l'idea di realizzare un esercito formato dall'unione militare tra tedeschi e bizantini in funziuone anti - normanna. Questo esercito fu guidato da Argiro, figlio di Meles, che nel 1009, con la protezione tedesca e papale, aveva combattuto contro l'esercito bizantino.

A Bisanzio Michele Cerulario non era disponibile ad aiutare Argiro in funzione anti – normanna, per l'odio personale che aveva nei suoi confronti, ricordando le vicende del padre. Per questo cominciò a guidare una campagna anti – latina di dimensioni molto più grandi di quella portata avanti da Fozio nell'863-869.

Nonostante questo, Argiro portò avanti la sua campagna, sostenuto dall'Imperatore bizantino.

Michele Cerulario non si arrese e cominciò una campagna di diffamazione contro Roma: rimise all'ordine del giorno il problema del Filioque, del rito ecclesiastico, del celibato del clero, dell'uso del pane azzimo, del digiuno del sabato. Inoltre, fece chiudere le Chiese latine in Oriente e compì diversi atti vandalici anche contro le particole consacrate. Il portavoce e il braccio del patriarca Michele era Leone di Okrid, il quale scrisse una lettera al vescovo di Trani (in realtà il vero destinatario era il papa), nella quale obbligava Roma ad adeguarsi a Bisanzio e ai suoi riti, ripudiando i riti occidentali contrari a quelli greci. Questa lettera fu trasmessa nelle mani del tempestoso e sanguigno Umberto di Silvacandida, consigliere del papa, che rispose a tono, accusando la Chiesa orientale di ben 90 eresie.

Mentre papa Leone IX era prigioniero dei Normanni e Costantino IX era consapevole della necessità dell'alleanza; la curia romana, allora, per ristabilire la pace con Bisanzio, mandò una delegazione all'Imperatore.

Umberto di Silvacandida e Federico di Lorena furono accolti con onore dall'Imperatore ma con indifferenza dal patriarca Michele.

A questo atteggiamento, Umberto da Silvacandida rispose traducendo in greco le sue accuse di eresia, che suscitarono una violenta reazione da parte del patriarca Michele.

Il dialogo si ruppe e la delegazione di pace si risolse in un nulla di fatto.

Umberto da Silvacandida il 16 luglio 1054 pose sull'altare di S. Sofia una bolla di scomunica contro Michele Cerulario e i suoi collaboratori, designandoli come simoniaci, eretici, nicolaitici…

Il 24 di quello stesso mese, Michele convocò un Concilio ed emanò, in risposta, una scomunica ai legati del papa e ai loro sostenitori. Lo scisma era ormai consumato!

Ai fatti concreti del 1054, però, dobbiamo accostare anche le valutazioni storiche a questi fatti che non coincidono con la valutazione giuridica. Ne possiamo ricavare principalmente due:

  1. Lo scisma, per così dire, nacque nel 1054 ed in quest'anno avvennero i fatti più determinanti. Esso, però, non fu necessariamente avvertito nella sua gravità dagli stessi contemporanei, ma fu visibile soltanto una-due generazioni più tardi.
  2. Lo stesso aspetto giuridico, che ha un suo valore, sembra non essere così chiaro. Infatti, papa Leone IX, quando fu scritta e proclamata la bolla di scomunica da Umberto da Silvacandida, era già morto. Noi sappiamo che, alla morte di un papa, automaticamente vengono sospese tutte le deleghe che il papa stesso aveva concesso. La delegazione, allora, aveva ancora lo stesso potere di agire? La scomunica non avrebbe, quindi, valore giuridico, ma piuttosto è una illegittima amplificazione del risentimento personale di Umberto verso il patriarca Michele, sebbene, attraverso di essa, si colga il problema centrale della questione.

La veemenza con cui si parlò durante questa discussione fu del tutto senza precedenti. Il repertorio di conoscenze e di accuse di entrambi i contendenti fu sicuramente molto più vasto di quello dello scisma foziano del 863.

Michele ed Umberto, in quel momento, non ebbero coscienza di quante conseguenze questa rottura avrebbe avuto nel tempo. Nonostante il il ritiro delle reciproche scomuniche da parte di Paolo VI e Atenagora, il problema è tutt'ora aperto, soprattutto riguardo l'autonomia sostanziale delle Chiese ortodosse tra loro e il rifiuto del primato papale.

[modifica] La riforma gregoriana sotto i papi tosco-lorenesi (1057 - 1073)

La morte di papa Vittore II fu inattesa ma la nobiltà romana si risvegliò. I vecchi riformatori e collaboratori di Vittore II, ponendosi il problema di un eventuale ritorno dei Tuscolani, cercarono appoggio militare contro di essi, chiamando in protezione l'esercito del margravio di Toscana e quello di Goffredo di Lorena e, in cambio del servizio, elessero come papa Federico di Lorena, fratello dello stesso, Goffredo, con il nome di papa Stefano IX. Egli, formato alla scuola di Leone IX, rafforzò il gruppo dei suoi collaboratori, scegliendo tra di loro anche alcuni monaci, tra cui Pier Damiani, successore di Romualdo, fondatore di Fonte Avellana, nominandolo cardinale di Ostia e valorizzando così il movimento eremitico dell'Italia centrale. Ma questo pontificato durò poco e non fu particolarmente determinante; infatti, papa Stefano IX morì nel 1058.

Egli, prevedendo la sua imminente morte, fece giurare al popolo e alla nobiltà romana che per la sua successione si aspettasse Ildebrando da Soana, che stava tornando dalla Germania, dove era andato ad annunciare l'elezione di Papa Stefano IX.

In questa situazione di attesa, i Tuscolani intervennero con una sommossa, eleggendo Giovanni di Velletri, con il nome di Benedetto X. I collaboratori non riconobbero questa elezione e, a loro volta, elessero Gerardo di Firenze, originario della Borgogna, che divenne papa con il nome di Niccolò II. Accompagnato da Goffredo di Lorena, si diresse verso Roma, scomunicò l'anti – papa e fu intronizzato il 24 gennaio 1059.

Con Niccolò II si delineò una nuova fase della riforma gregoriana. Egli diede vita ad una riforma non soltanto morale, ma anche istituzionale, seguendo il consiglio di Umberto da Silvacandida, secondo cui la Chiesa non sarebbe mai stata riformata finché l'investitura del potere ecclesiale non fosse ritornata esclusivamente in mano della Chiesa. Egli, quindi, non colpì soltanto gli abusi simoniaci e di concubinaggio, ma cercò di combattere le stesse cause, le radici di questi abusi che, a suo parere, stavano proprio nella concessione da parte dei laici dell'investitura delle maggiori cariche ecclesiastiche.

Egli, perciò, rivendicò la libertà della Chiesa e il diritto di conferimento delle cariche ecclesiastiche, liberandosi del consuetudinario potere giuridico dei laici, lottando contro le loro investiture.

Nel settembre del 1059, quindi, Niccolò II indisse un Sinodo romano, dove sottoscrisse un decreto, che, legalizzando la sua elezione a papa, chiariva la procedura da seguire per l'elezione, dividendola in tre fasi:

  1. I cardinali vescovi (termine che per la prima volta compare), consultati tra di loro sul candidato da eleggere, decidono per un nome, avendo così in mano l'elezione.
  2. Alla decisione, i cardinali partecipano la loro decisione ai cardinali presbiteri e ai cardinali diaconi, con i quali, raggiunto un accordo, presentano il candidato al popolo romano.
  3. Presentato il candidato al clero e al popolo romano, esso deve dare la sua approvazione attraverso l'applauso, con il quale lo conferma.

Si fondò così un potere gerarchico dall'alto al basso, staccando l'elezione papale dal legame con il popolo romano e dalla figura stessa dell'Imperatore.

In circa un decennio, cambiò radicalmente il sistema: dal 1046 in cui Enrico III, dopo aver deposto tutti i papi, pone l'elezione sotto la decisione dell'Imperatore, staccata dalle famiglie nobili romane e dallo stesso clero romano, al 1059 quando la nomina non solo è staccata dalla nobiltà romana, ma anche da qualsiasi autorità, che non sia ecclesiale.

Niccolò II si rese conto della portata rivoluzionaria di questa sua decisione, che toglieva potere all'Imperatore. Capì l'importanza di non limitarsi a una enunciazione di principio e di assicurare una forza politico-militare capace di farla valere. Niccolò II trovò un valido alleato nel popolo normanno. Egli, messosi in viaggio verso l'Italia meridionale nel settembre del 1059, stipulò con essi il Patto di Melfi, secondo cui, nella logica del “do ut des”, i Normanni fecero omaggio di sottomissione feudale e giuramento di fedeltà, riconoscendosi sudditi del papa, mentre la Chiesa, nella figura del papa, diede loro l'investitura su tutti i territori da loro conquistati. In tal modo i Normanni non furono più stranieri, ma ebbero il diritto di governare, promettendo di prestare fedelmente aiuto militare al papa.

Con una sola mossa papa Niccolò II aveva conquistato la sovranità feudale su gran parte dell'Italia, ma, allo stesso tempo, aveva violato il diritto imperiale di Enrico IV, con il quale, come preannunciato, cominciarono rapporti tesi e difficili.

Alla morte di Niccolò II il gruppo dei riformatori, tra i quali Umberto di Silvacandida e Ildebrando, procedettero all'elezione di Anselmo di Lucca, originario di Milano, il quale fu intronizzato con il nome di Alessandro II e governò dal 1061 al 1073. La nobiltà romana cercò di opporsi a questa elezione, sollecitando l'intervento dell'Impero. A Basilea, quindi, fu eletto un antipapa (Onorio II), nella persona di Cadalo, vescovo di Parma. La sua elezione ottenne ben pochi consensi e si rivelò un passo falso per Agnese di Poitou, vedova di Enrico III e reggente. Poco dopo, nel1062, i principi tedeschi, guidati dal vescovo di Colonia Annone sottrassero ad Agnese di Poitou il principe ereditario, ancora minorenne, portandolo a Kaiserswerth e affidandogli formalmente il potere imperiale col nome di Enrico IV.

Uscita vittoriosa dalla guerra per la sua libertà, la Chiesa dal 1061 al 1073 continuò l'attuazione della sua riforma, la quale cominciò a diffondersi raggiungendo l'Inghilterra e la Francia.

[modifica] In Inghilterra

Il papa intervenne per la successione del re d'Inghilterra, alla morte di Edoardo il Confessore. La Chiesa, tra i due contendenti, Aroldo e Guglielmo di Normandia, appoggiò quest'ultimo che, con la benevolenza del papa, vinse Aroldo ad Hastings nel 1066. Da questo punto in poi la Chiesa inglese si legò intimamente al papato.

[modifica] In Spagna

Anche in Spagna la riforma raggiunse molto successo. Il re Sancio di Aragona, infatti, nel 1068 affidò il proprio paese al papa, introducendo la liturgia romana nella liturgia spagnola. In questo modo si riaprirono le relazioni tra papato e Chiesa spagnola, finora rimasta isolata. In questo periodo, per interesse di Roma, ma anche di ciascun governante succeduto fino al 1492, nacque quell'ideale per un'eventuale “reconquista” dei territori che gli Arabi avevano conquistato. Fu sempre in quest'epoca che il fervore generale, in campo militare, economico, sociale e anche religioso, portò a grandi cambiamenti.

[modifica] In Lombardia

In Italia settentrionale, invece, la riforma ecclesiastica portò ad una divisione del clero e del popolo. Il clero ambrosiano, infatti, nonostante il divieto, continuava nella sua vita mondana, provocando la critica di molti fedeli. Questa situazione si espresse in modo radicale a Milano, dove si realizzò il movimento anti – nicolaitico (contro il concubinaggio dei preti), chiamato Pataria. Questo movimento era capeggiato dal clero e dai laici, tra i quali spiccano i nomi di Arialdo da Varese e di Landolfo Cotta. Essi diedero voce ad un autentico desiderio di riforma, a volte anche rivoluzionario, obbligando i preti, anche violentemente, a rispettare il celibato.

Nell'estate del 1057-1058, cominciarono a giungere al papa vere e proprie proteste e false accuse, che lo costrinsero ad inviare una delegazione per sistemare la situazione. Pier Damiani e Anselmo da Lucca, conosciuta la situazione, appoggiarono la Pataria, bloccarono le proteste e ristabilirono la pace, portando l'arcivescovo di Milano, Guido, a sottomettersi al papa.

Queste stesse rivolte ebbero anche i loro martiri, primo tra tutti Arialdo, segno della spinta, del desiderio di riforma a partire dal basso, che portarono ad inevitabili rivolte.

Guido, però, nel 1072, deciso a dimettersi, mandò il proprio anello e pastorale ad Enrico IV, il quale diede l'investitura a Goffredo, nobile ecclesiastico. Questo suo gesto, però, riattizzò la lotta tra papato ed Impero.

Alla fine del secolo (1066-1100), la Pataria, da movimento riformatore, sostenuto dai papi e in particolare da Gregorio VII, si trasformò in un movimento ereticale, molto vicino ai Catari.

[modifica] Gregorio VII (1073 - 1085)

Per approfondire, vedi la voce Gregorio VII.

[modifica] La riforma da papa Vittore III a papa Callisto II (1085 - 1122)

La morte di Gregorio VII e la situazione difficilmente superabile venutasi a creare colpì fortemente il partito riformatore.

Passò, infatti, un anno prima di eleggere il successore di Gregorio VII. Desiderio di Montecassino, eletto nel 1086, diede il suo assenso l'anno successivo e fu intronizzato il 21 marzo 1087 con il nome di Vittore III. Accettata la nomina gli mancò il tempo per realizzare la riforma, infatti, il 16 settembre 1087 morì.

Dopo di lui venne eletto il cardinale Odone di Ostia con il nome di Urbano II (1088).

La sua elezione fu una scelta felice: egli si adattò alle circostanze, condividendo il programma riformatore di Gregorio VII e utilizzando spesso la dispensa papale per quei vescovi simoniaci di cui doveva esserci la riconsacrazione.

Durante il suo pontificato, però, era ancora in vita l'antipapa Clemente III (Viberto di Ravenna), il quale fu neutralizzato, anche grazie al cambio di mentalità di molti vescovi prima favorevoli a Clemente III ed ora ad Urbano II.

Enrico IV, pur avendo vinto il rivale Rodolfo di Svezia, fu quasi abbandonato dai suoi sostenitori e persino dal figlio Enrico V, e fu costretto, così ad asserragliarsi nella regione di Padova e Verona.

Intanto Urbano II intraprese un viaggio per due anni che lo portò in Francia, passando per la Toscana, dove convocò concilii a Piacenza (1055), in cui decise l'invalidità delle investiture fatte dall'antipapa e dai suoi sostenitori, e a Clermont Ferrant (1095), nel quale cercò di incitare i monaci perché imprimessero la riforma nel paese. Durante questo concilio indisse la prima crociata, invitando i cavalieri cristiani a combattere per la liberazione della Terra Santa.

Urbano II morì il 29 luglio 1099, due settimane dopo la presa di Gerusalemme da parte dei crociati (15 luglio 1099).

Alla sua morte gli succedette Pasquale II di cui non abbiamo molte informazioni. Certamente italiano, monaco anche se non cluniacense, fu descritto dagli storici come persona semplice e, a volte, ingenua. Sotto Pasquale II si continuò a combattere contro le investiture, argomento maggiormente interessante e scottante in questo periodo. Questa questione si risolse innanzi tutto in Inghilterra e in Francia.

In Inghilterra, il problema fu risolto giuridicamente alla presenza del re e e di sant'Anselmo d'Aosta, nell'agosto del 1107, con la dieta di Londra. Enrico I d'Inghilterra, figlio di Guglielmo il conquistatore, rinunciò all'investitura dei laici alle cariche ecclesiastiche con l'anello e lo scettro (segni dell'investitura spirituale e temporale), ma conservò il diritto di ricevere dai vescovi, prima di essere consacrati, l'omaggio feudale. Prima di essere consacrato, infatti, il vescovo eletto doveva fornire al re una truppa di uomini, di cavalieri già armati che si mettesse al servizio del re.

Anche in Francia la situazione fu la stessa. Il re rinunciò a dare l'investitura con l'anello e il pastorale ma si accontentò di chiedere al vescovo, a differenza dell'Inghilterra, soltanto un giuramento di fedeltà.

Secondo gli storici canonisti, si giunse a queste soluzioni perché ci si rese conto in ambito politico che l'investitura era duplice ed era necessaria, quindi, una distinzione: il potere spirituale (ordinazione episcopale) era un ufficio ecclesiastico, mentre il potere temporale (dare i beni, le proprietà) spettava al re. A questa distinzione contribuì fortemente anche Ivo di Chartre.

Il problema, superato per Francia ed Inghilterra, rimase irrisolto per le regioni dell'Impero (Germania, Italia e Lotaringia).

Pasquale II, accortosi del problema, tentò una linea di soluzione nel 1111, invitando i vescovi a rinunciare all'investitura temporale, alle proprietà affidate loro dall'Imperatore. Questa soluzione non portò alcun successo, anzi creò ribellioni di molti vescovi all'autorità papale, sebbene fosse una soluzione che piaceva all'Imperatore, in quanto vedeva tornare a sé tutti i donativi e le proprietà affidata ai vescovi dagli Ottoni (800). Pasquale II morì nel 1118. Gli successe Gelasio I, il quale venne imprigionato e fuggì a Gaeta dove morì nel 1119.

Alla sua morte gli successe Callisto II, un monaco cliniacense francese, con il quale si risolse il problema. Egli, infatti, raggiunse un accordo con l'Imperatore Enrico V nel Concordato di Worms (1122), durante il quale fu cambiata la modalità di elezione del vescovo.

[modifica] Voci correlate


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