Storia del cristianesimo
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La storia del cristianesimo tratta della storia della religione cristiana e delle sue istituzioni in tutto il periodo che va dalle origini del cristianesimo nel I secolo fino ad oggi.
Si è soliti distinguere 4 fasi della storia del cristianesimo, corrispondenti a quelle della civiltà occidentale (pur tenendo conto dei limiti di tale periodizzazione: per esempio, le Chiese dell'Europa Orientale non hanno conosciuto quel fenomeno che in Occidente passa sotto il nome di Medioevo):
- epoca antica (I-VIII secolo): dalla nascita, con Gesù Cristo, fino al sorgere del Sacro Romano Impero con Carlo Magno
- epoca medievale (VIII-XIV secolo): da Carlo Magno fino alla nascita degli Stati nazionali assolutistici nel Trecento (soprattutto Francia e Spagna); inizio di rottura col Medioevo è la lotta tra papa Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo il Bello
- epoca moderna: è l'epoca della nascita degli Stati nazionali, dei grandi Concili del XV e XVI secolo, della rottura dell'unità religiosa dell'Europa Occidentale, con la nascita del movimento luterano; il periodo termina con la rivoluzione francese (XIV-XVIII secolo);
- epoca contemporanea (XIX-XXI secolo): dalla Rivoluzione Francese ai nostri giorni.
[modifica] Storia della Chiesa in epoca antica
Dato che ogni re degli ebrei era "unto del Signore", cioè Messia, cioè Cristo (tale titolo infatti era stato di Davide, Salomone e di tutti i re successivi) storicamente il cristianesimo nasce dal messianismo ebraico del primo secolo, ossia dall'attesa della liberazione nazional-religiosa annunciata nelle profezie contenute nella Torah (Antico Testamento), resa spasmodica dal senso di imminenza che si era sviluppato all'epoca della dominazione romana.
Di qui le prime persecuzioni dei cristiani in quanto sobillatori dell'ordine costituito e non propugnatori di una particolare fede religiosa. Infatti i "messianisti", ovverosia quegli ebrei che avevano seguito il Cristo in questa sua ambizione e che, pertanto, non nutrivano una grande simpatia per il potere romano che aveva declassato Israele da "Regno di Dio" (Malkut Yahweh) a semplice provincia di un grande impero pagano.
Eusebio di Cesarea, nella sua Storia ecclesiastica (III 20,1-2), racconta:
« Della famiglia del Signore rimanevano ancora i nipoti di Giuda, detto fratello suo secondo la carne (di Gesù, n.d.a), i quali furono denunciati come appartenenti alla stirpe di Davide. L'evocatus li condusse davanti a Domiziano Cesare, poiché anch'egli, come Erode, temeva la venuta del Messia... » |
[modifica] Le origini e il primo secolo
Per approfondire, vedi le voci Origini del Cristianesimo, Storia del Cristianesimo nel I secolo e Chiesa (Bibbia). |
A partire dai primi tempi dell'impero romano, nel primo e secondo secolo, gli intellettuali pagani avevano organizzato e unificato tutto il pensiero cresciuto nella vasta area ellenizzata e romanizzata, dando vita a una filosofia "sincretica".
Il Cristianesimo emerse dal Giudaismo nel I secolo. I cristiani assunsero dal Giudaismo le sue Sacre Scritture, dottrine fondamentali come il monoteismo, la fede in un Messia o Cristo, forme del culto (incluso il sacerdozio), concetti di luoghi e tempi sacri, l'idea che il culto debba essere modellato secondo il modello celeste, l'uso dei Salmi nelle preghiere comuni. Il libro degli Atti degli Apostoli dice che i primi ad essere chiamati "cristiani" erano stati i discepoli di Gesù che si radunavano nella città di Antiochia e che vi si erano rifugiati dopo le prime persecuzioni in Palestina, probabilmente pochi anni dopo la morte di Gesù.
Con la predicazione di San Paolo apostolo si formarono anche comunità di "gentili", cioè di persone di origine non ebraica, prevalentemente di cultura greca. Nel II secolo d.C. le chiese giudeo-cristiane (quelle vicine all'ebraismo) vennero progressivamente estromesse dall'ebraismo che stava riorganizzando le proprie strutture e basi religiose dopo la crisi della distruzione del Tempio del 70 d.C., mentre le chiese dei gentili continuarono ad espandersi. Gli storici indicano col termine "Grande Chiesa" l'insieme delle comunità derivate dai vari apostoli (sia quelli di Gerusalemme che quelli legati a Paolo di Tarso) che più avanti confluirono nella Chiesa cattolica e ortodossa del primo millennio cristiano, per distinguerle dai gruppi marginali di ispirazione cristiana che elaborano particolari dottrine che non saranno accettate dalla maggioranza, come gli ebioniti e gli gnostici o l'eresia di Marcione.
[modifica] Tra secondo e terzo secolo
Per approfondire, vedi le voci Storia del Cristianesimo tra II e III secolo e Diffusione del cristianesimo in epoca precostantiniana. |
La diffusione del Cristianesimo si colloca all'interno di una più vasta diffusione nell'Impero Romano di altre religioni originarie della parte orientale dell'impero, quali ad esempio i culti di Iside o di Mithra.
A differenza delle altre, l'organizzazione sacerdotale cristiana fu molto capillare, e si occupò dell'assistenza agli emarginati e dell'insegnamento. Il pensiero cristiano era sempre stato "controcorrente", in netta opposizione allo Stato. In seguito ai tentativi anche violenti di sradicarlo, la Chiesa trovò modo di adattarsi alla convivenza con la realtà terrena. Così, sempre più volentieri, anche funzionari imperiali e gli stessi militari, già attratti da vari culti monoteisti orientali, poterono professare il cristianesimo e affidarsi alla nuova organizzazione.
Nel periodo in cui inizia la crisi dell'impero, l'estensione della cittadinanza romana a tutti i popoli conquistati (212) testimonia l'unità raggiunta dalla civiltà antica nel III secolo dell'era cristiana.
Inizialmente il messaggio di Gesù aveva attecchito fra i poveri d'Israele. Ma non furono pochi i "romani" di classi elevate, come Paolo di Tarso, che si convertirono fin da subito alla nuova religione. E già nel I secolo il cristianesimo aveva raggiunto alcuni ambienti di corte. I primi cristiani non erano solo poveri o emarginati. C'erano già un certo numero di persone, comuni e non, scontente della politica o della religione imperiale.
Ma evidentemente la risposta della cultura classica ai problemi spirituali sia degli intellettuali sia della gente comune non era stata sufficiente. E così, nel II secolo le comunità cristiane si diffusero in tutto l'impero, ampiamente tollerate dalle autorità imperiali, durante il loro "periodo d'oro". Infine nel III secolo, quando il cristianesimo si diffuse ovunque, fra guerre e crisi, la classe dirigente tradizionale non fu più capace di contrastare l'azione popolare degli amministratori cristiani, un'azione che, sebbene si svolgesse ancora al limite della legalità, coinvolgeva ormai ampi settori della società civile.
La crescita era stata continua e la nuova religione aveva fatto breccia sotteraneamente anche nella classe dirigente. Nonostante l'opposizione di alcuni imperatori, nel III secolo la religione cristiana rivaleggiava con vecchi e nuovi culti, soprattutto nei grossi centri urbani, che facevano da riferimento amministrativo. Finché, contro il sempre più alto numero di nuovi fedeli convertiti, alcuni imperatori passarono occasionalmente alla repressione di massa. I cristiani non si arresero, anzi si opposero radicalmente, elevando inni fanatici al martirio e alla gloria di Dio, e ottenendo paradossalmente nuove conversioni.
Alcuni imperatori, sostenuti da quella parte di classe senatoriale che non gradiva affatto il cambiamento in atto, cercarono di porre un argine ai problemi economici dell'impero requisendo le proprietà della chiesa cristiana, ma i motivi economici furono l'ultima postilla a una diatriba trisecolare. La nuova religione era sempre stata contraria al dominio imperiale e le persecuzioni avevano soprattutto motivazioni politiche, filosofiche e religiose. Il monoteismo stava insidiando ovunque la vecchia cultura politeista. Era un vero e proprio scontro di idee e mentalità.
[modifica] Tra terzo e IV secolo
Per approfondire, vedi la voce Storia del Cristianesimo tra III e IV secolo. |
In quest'epoca di guerre e militarizzazione la cultura pagana si distribuì universalmente, o "democraticamente", nei vasti territori imperiali. Tutti adesso erano "romani", ma la romanità e la classicità erano già in declino. Se la struttura politica traballava, le parole d'ordine divennero concordia, armonia ed unità. Nei circoli politici e intellettuali, come nelle comunità religiose, si parlava spesso di "potere unico", ovvero di monarchia, di regno, di unità. Così come si aspirava all'unificazione civile dell'impero, si ricercava anche l'unificazione della sfera intellettuale e della sfera divina.
Il cristianesimo si opponeva sicuramente e palesemente alla cultura dominante, ma d'altra parte anche i suoi intellettuali erano impegnati nella rielaborazione dei sistemi filosofici ellenici e nella loro unificazione col monoteismo.
Molti intellettuali "classici" avevano nettamente separato la loro filosofia dalla religione, affermando esplicitamente che gli dèi non esistevano. Ma nel III secolo la società intera fu pervasa da uno spirito religioso talmente forte che i vecchi culti, per nulla sopiti, si ridestarono, si trasformarono e si unificarono anch'essi, rispondendo in modo creativo alla sfida monoteista. Ma, proprio quando il monoteismo divenne un fenomeno di massa, gli imperatori reagirono in modo aggressivo e perseguitarono i cristiani violentemente quanto in passato.
Quando Costantino si pose alla testa del movimento monoteista, all'inizio del secolo successivo, ci fu ancora una fase di discussione fra intellettuali di ogni categoria e di ogni confessione religiosa. Alla fine del IV e nel V secolo, però, la crisi multilivello dell'impero arrivò a un grado talmente alto da portare sconforto in ogni settore: militare, politico, civile, economico e culturale. Per l'uomo non sembrava esserci più alcuna speranza in questa terra. L'unica salvezza era in Cielo. Il cristianesimo divenne l'unica religione legale. La Chiesa divenne intollerante e autoritaria. La lotta alle idee divenne fondamentale per la gestione sociale. La libertà di pensiero fu resa impossibile.
Una seconda fase della Chiesa è quella della patristica, cioè la formazione di un corpus di commenti alle scritture e di testi sul rapporto con la tradizione classica greco romana e il giudaismo. Sono numerose anche le apologie nei confronti di tali sistemi dottrinali dovuti a scrittori, spesso ecclesiastici, che sono costretti a ripensare le dottrine del cristianesimo nell'ambito della cultura dell'epoca.
[modifica] Tra IV e V secolo
Per approfondire, vedi la voce Storia del Cristianesimo tra IV e V secolo. |
Sin da subito si pose il problema del rapporto tra Cristianesimo e Stato, l'Impero Romano. Il Cristianesimo, da religione messianica di ambientazione ebraica e con un messaggio prettamente ad "uso e consumo" degli ebrei, grazie alla sua diffusione negli ambienti della diaspora e all'apertura paolina ai "romani" (alle istituzioni, alla tradizione giuridica e alla cultura), nel corso dei secoli acquistò una forza tale che da cambiarne lo status giuridico: da religione illecita (fino a Costantino) a religione tollerata e in seguito, con Teodosio, a religione di Stato. Cominciò progressivamente a differenziarsi anche la mentalità delle Chiese latine rispetto a quelle greche, e con i concili ecumenici si assistette ad una definizione rigorosa dell'ortodossia e alla formazione di un linguaggio teologico specifico cristiano, mutuato dalla filosofia greca. Ciò comportò anche il distacco di alcune chiese "etniche" dall'alveo della Grande Chiesa (vedi Chiese orientali antiche), che vennero comunemente indicate come Chiesa cattolica e ortodossa, nelle sue espressioni territoriali (chiesa latina, greca, alessandrina).
L'imperatore Giuliano (361-363) aveva tentato inutilmente di tornare al politeismo. Ma la società stava cambiando. E, per la cultura greco-romana, la situazione stava precipitando. La razionalità, per quanto approfondita, non era più sufficiente a spiegare un mondo immerso nella "decadenza". L'ansia e l'angoscia non accennavano a diminuire. La struttura politica aveva già perso da tempo la sua vecchia autorità morale. Era nata una nuova istituzione, molto forte, a carattere "spirituale", che si rivolgeva direttamente al cuore dell'uomo. Un'organizzazione, ispirata al monoteismo cristianizzato, che da "giovane ribelle ingenua" si era fatta "adulta e responsabile". Questa istituzione - la Chiesa - riempì il vuoto morale che si era creato nell'umanità e assorbì tutte le richieste di giustizia. L'impero diventava un impero celeste.
In nome di una giustizia migliore, in tutto il mondo conosciuto divenne impossibile esprimere opinioni contrarie a quelle del potere. L'autorità civile si associò a quella religiosa e arrivava ovunque. La legge, e la giustizia in generale, erano considerate come concessione volontaria di un solo Dio onnipotente. Non c'era più un patto con la divinità. Bisognava solo amarla e ringraziarla. Gli imperatori e gli uomini che nacquero da quest'epoca in poi furono sempre più spesso fervidi credenti. L'educazione che ricevevano e la cultura che seguivano sarebbero state sempre più monolitiche e dogmatiche.
Dal suo riconoscimento ufficiale era passato mezzo secolo. Dopo qualche decennio di diatribe teologiche, la Chiesa cristiana - ormai l'unica chiesa ufficiale, la chiesa con la "c" maiuscola - divenne la sola istituzione che garantisse il diritto, per i popoli e per i cittadini. Nel 392 tutte le opinioni che discordavano con questa visione del mondo furono dichiarate illegali e perseguite militarmente.
Mentre, in precedenza, guerre e assassini avvenivano per motivi chiaramente politici, con la creazione dell'impero gli intenti aggressivi furono mascherati da un'ideale tendenza a un bene "universale" che, se realmente perseguito, non può che dimostrarsi irraggiungibile e quindi frustrante. Con l'incontro fra stato e chiesa questa tendenza divenne ancora più impellente e ancora più difficile da raggiungere. D'altronde la gente comune era sempre più spaventata dalle incursioni di popoli stranieri, i "barbari". Questa interpretazione passa per essere un cliché, una cosa scontata. Ma nei secoli successivi non solo gli attacchi non diminuirono ma anzi aumentarono e furono ulteriormente rinforzati dalla devastante guerra dell'impero orientale contro i Goti in Italia.
La Chiesa era quella solida struttura di sicurezza che l'uomo non riusciva più ad individuare nello Stato, nell'Impero, in sé stesso, nella propria esistenza, nella vita cittadina o sui campi agricoli. L'esistenza terrena era perennemente in bilico ed era molto lontana dall'assicurare la felicità, antichissima e modernissima aspirazione dei filosofi come dell'uomo comune. L'occidente si era separato dall'oriente. Erano arrivati gli stranieri. Si era sviluppata "l'organizzazione universale". Il mondo antico si era dissolto, lasciando spazio a una nuova visione della vita.
[modifica] Nel V-VIII secolo
[modifica] L'evangelizzazione tra V e VIII secolo
Per approfondire, vedi la voce Espansione del Cristianesimo tra V e VIII secolo. |
[modifica] Le dispute teologiche tra V e VIII secolo
Per approfondire, vedi la voce Iconoclastia. |
[modifica] Storia della Chiesa in epoca medioevale
Questo periodo della storia del Cristianesimo nasce con l'affermarsi in Europa Occidentale del Sacro Romano Impero di Carlo Magno e dunque con la conseguente fine dell'influenza in Occidente di quel che rimaneva dell'Impero Romano antico; il Papa di Roma prende sempre più consapevolezza del suo ruolo all'interno della comunità medievale e di conseguenza inizia quel progressivo distacco dalla chiesa cristiana d'Oriente (denominata abitualmente ortodossa) fino alla rottura nel 1054 e alle distruzioni apportate dalle Crociate.
Inoltre, le invasioni arabe e il passaggio di una grande parte della cristianità d'Oriente sotto la dominazione musulmana (VII-VIII secolo) modificano profondamente il paesaggio del cristianesimo orientale. Infatti, nelle regioni che passano sotto il controllo musulmano (e dunque libere dal controllo bizantino) possono svilupparsi liberamente delle Chiese che potremmo chiamare dissidenti (per esempio la Chiesa Copta in Egitto). Accanto a queste Chiese, ne nascono, nel corso del Medioevo, altre, chiamate uniate, che, pur mantenendo il loro rito proprio, riconoscono l'autorità giurisdizionale del Vescovo di Roma, il Papa.
In Occidente, il Cristianesimo scompare nel Nordafrica, mentre in Spagna i cristiani sono ridotti ad una minoranza. Insieme però, assistiamo anche alla conversione al cristianesimo delle nuove popolazioni stanziatesi nell’ex Impero Romano d'Occidente. In questo processo il papato avrà un ruolo decisivo.
[modifica] Oriente
In questo contesto, consideriamo solo le Chiese ortodosse calcedonesi, ossia le Chiese orientali che riconoscono il Concilio di Calcedonia, mentre per le altre Chiese cristiane (copta, antiochena, monofisita, armena, ecc.) si devono consultare le singole voci.
[modifica] Imperatori, patriarchi e monaci a Costantinopoli
I Bizantini vedevano nel loro Impero l’immagine del regno celeste e nell’Imperatore l’immagine del sovrano celeste. Egli è il “luogotenente di Dio” ed è da lui che riceve il suo potere. L’incoronazione in Santa Sofia a Costantinopoli ad opera del Patriarca simbolizza questa sanzione divina (anche nei casi più chiari di usurpazione, il patriarca non ha mai rifiutato di incoronare un imperatore). In virtù di questo, l’imperatore è l’unico sovrano legale della città terrestre e tutti gli altri re sono suoi subordinati. Ancora nel XIV secolo, quando ormai l’Impero bizantino volgeva al termine, l’imperatore ricordava al granduca di Mosca, che misconosceva l’autorità dell’Imperatore, che “unico è l’Imperatore universale”.
La persona dell’Imperatore ha un carattere sacro: egli è uguale agli Apostoli (isapostolos). Non è prete, ma, come i preti, entra nel Santo dei Santi, dietro l’iconostasi, e comunica sotto le due specie. Spetta all’Imperatore far rispettare le leggi ecclesiastiche, che in molti casi sono ipso facto anche leggi civili. È lui che convoca i Concili ecumenici; è lui che sceglie il Patriarca, in base ad una lista che gli viene presentata (può anche scegliere un laico, come nel caso di Fozio I, che poi in pochi giorni riceve tutti gli ordini sacri). Nei primi secoli, inoltre, l’Imperatore interviene nella questione dei dogmi, interventismo che culminerà con la crisi iconoclasta.
Teoricamente, tra imperatore e patriarca dovrebbe regnare l’armonia per il bene dello Stato e della Chiesa. Ma è di fatto un fragile equilibrio. Quando, negli ultimi secoli dell’Impero, gli imperatori, per motivi strettamente politici, chiederanno l’unione con la Chiesa di Roma, si troveranno ad affrontare l’opposizione della Chiesa, in particolare dei patriarchi e dei monaci.
I veri vincitori della crisi iconoclasta sono i monaci, che formano un vero e proprio partito, che non esita a contestare l’autorità imperiale. Per il loro alto numero e la loro presenza in tutti gli abiti della popolazione, esercitano un grande influsso sul popolo e sull’opinione pubblica. Con il loro ascetismo e il rifiuto del mondo, costituiscono un ideale di vita per il popolo, che li considera i veri mediatori con Dio. Sempre più frequentemente, è tra i monaci che verranno scelti i Patriarchi di Costantinopoli.
[modifica] La crisi iconoclasta
Nel corso del VII secolo si sviluppa l’Iconoclastia, ossia una reazione e un rifiuto del culto delle immagini (icone in greco). È un culto che si manifesta in diversi modi: dall’accensione di una lampada alla prosternazione davanti alle immagini, fino ad arrivare a considerarle sacre in se stesse.
Le prime misure iconoclaste sono prese nel 725 dall'imperatore Leone III, quando sostituisce il patriarca di Costantinopoli Germano con Anastasio, fedele all’iconoclastia. Ma con il nuovo Imperatore, Costantino V, la dottrina iconoclasta diventa dottrina ufficiale dell’impero, ed inizia la persecuzione. I maggiori oppositori (gli iconoduli, favorevoli al culto delle immagini) sono i monaci, che a Costantinopoli sollevano il popolo. Con l’imperatrice Irene si ha una reazione opposta: essa convoca un concilio che, nel 786-787, ristabilisce il culto delle immagini. La lotta riprende nell’815 quando il nuovo Imperatore Leone V ritorna all’iconoclastia, ma deve subire una dura reazione, condotta soprattutto da Teodoro lo Studita. Solo con la morte dell’imperatore Teofilo, nell’845, viene definitivamente ristabilito il culto delle immagini.
[modifica] La conversione degli Slavi
Nel corso del VI secolo la penisola balcanica è invasa da tribù slave pagane. La conversione al cristianesimo di queste tribù si effettua in diverse tappe ed è accompagnata da frizioni con la Chiesa occidentale.
Nell'862 Rotislav, principe della Grande Moravia, chiede ai Bizantini di inviargli alcuni preti per formare una chiesa locale. Il patriarca Fozio gli invia due fratelli: Cirillo e Metodio, originari di Tessalonica, che conoscevano il mondo slavo perchè di ascendenza slava per via di madre. Cirillo mette a punto il primo alfabeto slavo, il glagolitico. La loro missione è un successo. Agli inizi essa è sostenuta dal papa di Roma; ma ben presto si inimicano i partigiani dell’uso delle tre lingue (che ammettevano solo l’uso del greco, del latino e dell’ebraico come lingue liturgiche), e soprattutto alcuni vescovi franchi, che temevano che la regione passasse dall’influenza politica germanica a quella bizantina. Dopo la morte dei due fratelli, i loro successori furono cacciati dalla Grande Moravia.
I Bulgari, la cui élite era di origine turca dall'Alto Volga dove esisteva una Bulgaria musulmana dal 920 d.C., nemici di lunga data dei Bizantini, si convertono al cristianesimo nello stesso periodo. Nell’866, il khan bulgaro Boris (852-889) è battezzato, e con lui tutto il suo popolo. Agli inizi la Bulgaria esita tra Roma e Costantinopoli; alla fine, accetta usi, costumi e tradizioni liturgiche di Bisanzio. La stessa sorta tocca ad altre tribù slave, stanziatesi nell’attuale Serbia. Così avviene che proprio nei Balcani inizia a crearsi una nuova frontiera, che divide mondo cristiano ortodosso orientale, e mondo cristiano cattolico occidentale.
Un altro avvenimento capitale è la conversione al cristianesimo dei Russi. La principessa Olga, moglie del principe di Kiev, Igor, era già convertita intorno alla metà del X secolo, ma il suo battesimo fu confermato a Costantinopoli intorno al 945. Nel 989 suo nipote, il principe Vladimiro I di Kiev, preoccupato di rendere più solido il suo potere, negozia con i Bizantini il suo battesimo, quello dei suoi popoli e un matrimonio diplomatico con la sorella dell'Imperatore Basilio II, principessa Anna. Così da questo momento la Russia passerà sotto l’influenza bizantina fino al crollo di Bisanzio nel XV secoloe diventando sua erede con Giovanni IV detto il Terribile (Mosca Terza Roma).
Nel corso del X secolo il re di Polonia Mieszko I, quello di Ungheria Vajk, che col battesimo prende il nome di Stefano (Istvan) nel 1001 e sarà fatto Santo Stefano e Bořivoj I di Boemia, sposo di Santa Ludmila e nonno di San Venceslao, si convertono al cristianesimo, portando con loro nella conversione tutti i rispettivi popoli. Questi nuovi popoli oscilleranno fra l’influenza occidentale (dell’Impero Franco e del Papato di Roma) e Costantinopoli. Così le due sfere di influenza, del Sacro Romano Impero Germanico e dell’Impero Bizantino, determinano, da nord a sud dell’Europa, una frontiera religiosa e culturale oggi ormai scomparsa.
[modifica] I rapporti tra il papato di Roma e le Chiese d’Oriente
La storia dei rapporti tra il papato di Roma e le Chiese d’Oriente è comprensibile solo se si tiene conto del contesto di forte rivalità, che coinvolse le persone e le sedi patriarcali ed episcopali. Quattro sono le tappe principali:
- La prima grave crisi tra papato di Roma e Costantinopoli avviene con la lotta iconoclasta, di cui abbiamo accennato sopra.
- Una seconda crisi scoppia nel IX secolo, in occasione della deposizione del patriarca Ignazio e della nomina come suo successore di Fozio, inizialmente non riconosciuto da Roma. In occasione di questa diatriba, viene evocata per la prima volta la questione del Filioque.
- La più grave crisi, tuttora esistente, fu il Grande Scisma del 1054, quando il legato papale Umberto di Silvacandida e il patriarca Cerulario si scomunicarono a vicenda.
- Infine, ciò che segnò profondamente le coscienze e, se possiamo dire, sancì definitivamente la divisione tra Occidente ed Oriente cristiano, furono le Crociate, che portarono ad uno scontro aperto tra latini e greci e al sacco di Costantinopoli del 1204. Malgrado alcuni tentativi di riconciliazione al secondo Concilio di Lione (1276) e al Concilio di Firenze (1439), falliti in quanto semplici mosse politiche non riconosciute dalla gerarchia ortodossa, le due chiese si estraniarono sempre più l’una dall’altra. Bisognerà aspettare il 1964, quando papa Paolo VI e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora si scambieranno reciproci saluti e, dopo nove secoli, aboliranno le rispettive scomuniche.
[modifica] La Chiesa ortodossa dal 1054 alla caduta di Constantinopoli
[modifica] Occidente
[modifica] Sviluppo del papato
Già sotto papa Damaso I (366-384) inizia a svilupparsi l’autorità del vescovo di Roma in quanto successore di San Pietro, capo degli Apostoli, ed in materia di disciplina e di liturgia. Il papa Leone Magno (440-461) in diversi scritti esalterà il primato della sede di Pietro. Contro l’imperatore Anastasio, papa Gelasio I (492-496) afferma in un celebre testo il primato del potere spirituale su quello temporale. Per tutto il Medioevo i papi si ispireranno a questo testo per giustificare la loro posizione.
La riconquista dell’Italia ad opera dell’imperatore bizantino Giustiniano, ricolloca, almeno per un certo periodo, il papato sotto l’influenza di Costantinopoli. Ma nel corso del VII secolo, l’invasione dei Longobardi porta progressivamente alla fine della presenza bizantina in Italia. L’occupazione dei nuovi arrivati coincide con il papato di Gregorio Magno, un papa energico, che assume il governo civile di Roma, ormai libera dal governatore bizantino, afferma l’autorità di Roma sui vescovi italiani, si sforza di intrattenere relazioni con le altre Chiese d’Occidente, invia missionari per la conversione dei popoli ancora pagani del centro e nord Europa.
[modifica] Il cristianesimo irlandese
Per approfondire, vedi la voce Cristianesimo celtico. |
La Chiesa d’Irlanda è stata fondata, secondo la tradizione, nel corso del V secolo da San Patrizio, cristiano della Britannia romana, che sbarcò sull’isola come schiavo durante la sua gioventù.
Il cristianesimo irlandese presenta delle caratteristiche particolari. Nel V secolo l’Irlanda era suddivisa in piccoli regni tribali, chiamati tuath, che pian piano si convertirono alla nuova religione. Mancando una struttura politica e civile centralizzata, la nuova Chiesa si sviluppò attorno ai monasteri e gli abati costituivano la vera autorità religiosa sul territorio. Inoltre, la lontananza da Roma, il fatto di non essere mai stata parte dell’Impero Romano, portarono la chiesa irlandese a conservare tradizioni antiche non conosciute in altre chiese del continente e ad avere una diversa data del giorno di Pasqua. Questo sollevò dei problemi quando molti monaci irlandesi iniziarono a lasciare l’isola per svolgere opera missionaria nella vicina Britannia e sul continente.
[modifica] I regni barbari e la loro conversione
Nel territorio dell’ex Impero Romano d’Occidente si installarono diverse popolazioni germaniche. Alcune erano già convertite al cristianesimo nella forma dell’arianesimo. È ad esempio il caso dei Vandali in Africa del Nord o dei Visigoti in Spagna e nel sud della Francia, e degli Ostrogoti in Italia. Queste tribù, germaniche di stirpe ed ariane di religione, coabitano più o meno pacificamente con le popolazioni locali romanizzate e cattoliche. Invece i Franchi, che si installano nel nord della Gallia, e gli Anglosassoni, che invadono la Britannia, sono ancora pagani.
[modifica] Vandali
La popolazione dei Vandali, dopo aver invaso e saccheggiato la Hispania romana, passano nella provincia romana dell’Africa, ove si installano definitivamente. Inizia una difficile coabitazione con la locale popolazione cristiana, sottoposta a persecuzioni. Con la riconquista bizantina ad opera di Giustiniano, i Vandali saranno facilmente sottomessi.
[modifica] Ostrogoti
Gli Ostrogoti, sotto la condotta del loro re Teodorico, si installano in Italia intorno al 489. Questa tribù era preoccupata di mantenere la sua propria identità nazionale, non si mischiano con la popolazione locale romanizzata, e la differenza di religione (ariani gli uni, cattolici gli altri) contribuì a questa separazione. Con la riconquista di Giustiniano anche gli Ostrogoti spariranno.
[modifica] Visigoti
La politica dei Visigoti (ariani) nei confronti della popolazione locale cattolica è generalmente assai tollerante. Con il regno di Leovigildo (568-586) le cose cambiano: animato da una politica nazionalista tesa ad unificare la Hispania sotto la bandiera dell’arianesimo, inizia a perseguitare in vario modo la chiesa cattolica. Il suo successore, Recaredo, adotta una politica opposta e si converte al cattolicesimo (Sinodo di Toledo, 589); d’ora in avanti inizia una stretta unione tra la chiesa e il regno.
[modifica] Franchi
Completamente diversa è la situazione nel nord della Gallia. La popolazione dei Franchi, a differenza delle tribù germaniche stanziatesi più a sud, è ancora pagana. Sotto l’influenza di San Remigio, vescovo di Reims, il re franco Clodoveo si converte al cristianesimo nella sua forma cattolica (nel 486 e 506). Questa conversione ha certamente contribuito alla successo del regno franco contro le altre popolazioni barbare della Gallia. Nel 507 Clodoveo ottiene l’appoggio dell’aristocrazia gallo-romana per cacciare i Visigoti ariani dal sud della Gallia ed unificare così sotto un unico regno l’ex provincia romana, Per la prima volta, dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, Clodoveo, facendo sua una prerogativa propria degli Imperatori di Roma, convoca un concilio dei vescovi di Gallia (nel 511). Questi e altri gesti del re meriteranno alla Francia il titolo di « figlia primogenita della Chiesa ».
[modifica] Anglosassoni
A partire dal V secolo, la Britannia, abbandonata dalle legioni romane, è progressivamente invasa dalle tribù degli Angli e dei Sassoni, entrambi pagani, che spingono le popolazioni locali, romanizzate e cristiane, verso ovest (Galles e Cornovaglia) o al di là del mare in Irlanda. Nel corso di questo periodo oscuro è difficile sapere in che misura il cristianesimo ha potuto sussistere nelle regione occupate dagli invasori germanici. È soprattutto a partire dalla fine del VII secolo che i regni anglosassoni sono evangelizzati in seguito alla missione di Agostino di Canterbury, mandato da papa Gregorio Magno, che convertì il re del Kent Etelberto (597) e fondò la diocesi di Canterbury. Nella stessa epoca i monaci irlandesi e scozzesi (iroscozzesi), a partire dal monastero di Lindisfarne, convertirono il re della Northumbria, Osvaldo (634). Gli altri regni anglosassoni aderirono al cristianesimo su spinta di questi due primi regni.
In seguito ad alcune tensioni sorte tra i missionari iroscozzesi da una parte e romani dall’altra, a riguardo soprattutto della data della Pasqua, ebbe luogo un importante concilio a Whitby (664) nel quale la chiesa celtica iroscozzese si adeguò al rito e alle tradizioni romane.
[modifica] Alemanni e Bavari
Queste due tribù germaniche, pagane, si stanziarono nel sud dell’attuale Germania. Gli Alemanni subirono l’influsso dell’attività missionaria di San Colombano e di San Gallo; nell’VIII secolo sorgono centri ecclesiastici in tutta la loro regione; la Lex Alemannorum della prima metà del secolo VIII presuppone una struttura e un ordinamento ecclesiastico diffuso. I Bavari furono cristianizzati completamente verso la fine del 700, e centri ecclesiastici importanti furono Ratisbona, Salisburgo, Frisinga e Passau.
[modifica] Sassoni
Difficilissime furono la missione e la conversione dei Sassoni, che si dimostrarono ben presto gli unici concorrenti dei Franchi quale popolo germanico dominante. La lunga e sanguinosa guerra di Carlo Magno (772-804) contro di loro portò alla loro definitiva assogettazione e alla conseguente forzata cristianizzazione.
[modifica] Germani del Nord
L'evangelizzazione e la conversione delle tribù germaniche del nord (attuali Danesi, Norvegesi e Svedesi) fu piuttosto tardiva. Iniziò solo verso la metà del IX secolo, con la conversione del re danese Harold I (nell'826) e si concluse nell'XI secolo con la conversione definitiva dei re svedesi.
[modifica] La Chiesa d’Occidente dai Carolingi al feudalesimo
Per approfondire, vedi le voci Carlo Magno e Saeculum obscurum. |
A metà dell’VIII secolo, il papato e i Carolingi intessono delle relazioni che si riveleranno vantaggiose per le due parti e cariche di conseguenze per la storia dell’Occidente europeo. Su richiesta di Pipino il Breve, Papa Zaccaria con una lettera appoggia Pipino e da il suo sostegno morale per l’eliminazione della dinastia dei Merovingi. Pipino si fa consacrare re ed, in cambio, su richiesta di papa Stefano II manda due spedizioni militari in Italia (nel 754 e nel 756) per sconfiggere i Longobardi che minacciano Roma. In queste circostanze si afferma per la prima volta una autorità politica del Vescovo di Roma su un territorio, non ben precisato ancora nei suoi limiti, ma che si estende oltre l’ex capitale dell’Impero Romano. Questa alleanza con la nuova dinastia dei Franchi si fa ancora più marcata con il figlio di Pipino, Carlo Magno, che sancisce definitivamente i limiti del territorio di quello che sarà lo Stato Pontificio, e soprattutto estende la liturgia romana su tutti i territori del suo nuovo impero e sugli Stati satelliti (eliminando in questo modo le peculiarità liturgiche locali).
[modifica] La complessità dei rapporti tra Chiesa e Stato nel XI-XII secolo
Per approfondire, vedi la voce Riforma gregoriana. |
Il Saeculum obscurum (X secolo) è il punto più basso toccato dal papato in tutta la sua storia; il papa perde il prestigio in tutta la cristianità e diventa un burattino nelle mani delle famiglie aristocratiche di Roma. Inoltre l’insieme del mondo religioso occidentale è sottomesso al sistema feudale, che considera i monasteri e le diocesi, i titoli di abate e vescovo come semplici titoli da trasmettere in eredità, come beni di famiglia. Si sente oramai la necessità di una riforma completa della Chiesa. Come all’epoca di Costantino, sono gli imperatori germanici a prendere in mano l’iniziativa, per dare avvio a quella che, nella storia, verrà chiamata Riforma gregoriana dal nome del papa più autorevole e deciso nella riforma, Gregorio VII (XI secolo).
Il programma di riforma di papa Gregorio VII è elaborato nel Dictatus Papae, ove afferma il principio del primato del papa di Roma e del potere spirituale sull’Imperatore e il potere temporale. Spetta al papa, e non all’imperatore, nominare o deporre vescovi. In questo modo il papa entra in conflitto con l’imperatore Enrico IV in quella che è chiamata la Lotta per le investiture. La disputa, che vedrà scomuniche e deposizioni, penitenze (umiliazione di Canossa) e ritrattazioni, si concluderà con i successori dei due contendenti, papa Callisto II e l’imperatore Enrico V, che ne 1122 a Worms raggiungono un compromesso: al papa spetterà l’investitura spirituale, mentre l’Imperatore si riserva l’investitura temporale dei vescovi e degli abati.
Il conflitto riprende a metà del XII secolo, e vede l’opposizione del papa Alessandro III con l’imperatore Federico Barbarossa, che, sconfitto dai Comuni in Lombardia dovrà rinunciare alle sue pretese.
[modifica] Apogeo della società cristiana occidentale nel XIII secolo
Il complesso rapporto tra Chiesa e Impero trova il suo culmine con il XIII secolo, sotto il pontificato di Innocenzo III. Costui concepisce la funzione del papato in un modo elevato. Sul piano spirituale, la sua autorità è senza paragoni e si esercita su tutta la cristianità occidentale attraverso i legati pontifici. Sul piano temporale, egli distingue tra l’auctoritas, che è propria del papa, e la potestas che i sovrani ricevono dal papa. Infatti, per diritto divino, il papa ha ricevuto direttamente da Dio i due poteri (raffigurati come due spade), ed è solo per sua benevolenza che concede il potere temporale all’imperatore, che lo governa in nome del papa.
Le lotte tra papato e impero proseguono con alterne vicende. Il papa trova modo di ingerirsi nelle vicende interne dell’impero e degli stati nascenti (soprattutto Francia). La sconfitta definitiva degli Hohenstaufen tedeschi e il riconoscimento del primato del papa da parte dell’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo (al Concilio di Lione II nel 1274) sembrano decretare la vittoria definitiva del papato, ma sono successi di breve durata. L’unione con i bizantini è rigettata alla morte di Michele VIII Paleologo, e le continue ingerenze papali negli affari di stato irritano non poco i sovrani, ed in particolare il re di Francia Filippo il Bello, che inizia una nuova e lunga querelle con il papato di Roma, ed in particolare con Bonifacio VIII.
[modifica] Monachesimo e vita religiosa
Per approfondire, vedi la voce Monachesimo. |
Nel Medioevo il monachesimo divenne uno «stato» ecclesiale e sociale stimato e determinante, che svolse in maniera monopolistica molti compiti importanti per la vita pubblica.
Sotto il profilo ecclesiale e spirituale, i monasteri funsero da struttura ecclesiale accanto alla parrocchia, tanto potente da intaccare il potere dei vescovi. I monasteri medievali furono centri economici, specie di aziende agricole con esteso potere. Inoltre la diversa specializzazione dei monaci portava il monastero a godere di ampia autonomia in campo di previdenza, di medicina, di formazione scolastica. In alcuni casi i monasteri erano delle vere e proprie fortezze militari, come rifugio e punto di appoggio.
[modifica] Le riforme monastiche dei secoli X e XI
Nel pieno del Saeculum obscurum, quasi per compensazione, sorsero una serie di centri monastici che esercitarono una straordinaria autorità morale sulla cristianità.
Il principale di essi fu Cluny, che ebbe la fortuna di avere abati longevi e validi: Bernone (910-927), Maiolo (948-994), consigliere dell’Imperatore Ottone III, Odilone (944-1048), Ugo (1049-1109), padrino dell’Imperatore Enrico IV e mediatore nella lotta delle investiture; infine Pietro il Venerabile (1122-1157), contemporaneo di San Bernardo.
Altri centri di riforma e di moralità furono le abbazie di Gorze (vicino a Metz), Hirsau, San Vittore di Marsiglia, Sant’Emmeram di Ratisbona, San Massimino di Treviri.
[modifica] Le nuove fondazioni eremitiche e monastiche dei secoli XI e XII
Quasi contemporaneamente alla Riforma gregoriana, anche il paesaggio religioso e monastico fu percorso da diversi movimenti.
- Il movimento eremitico toscano. San Romualdo (950-1027), nobile di Ravenna, fondò la comunità eremitica di Camaldoli, vicino ad Arezzo e un gran numero di eremitaggi in altre parti d’Italia. La sua idea madre era di unire il cenobitismo con l’eremitismo. La vita monastica comunitaria di « fondovalle » doveva costituire il presupposto spirituale, pedagogico ed economico per gli eremiti abitanti sulle « alture ». Dal monastero di Camaldoli uscirono santi riformatori come Pier Damiani e Giovanni Gualberto (990-1073), che fondò una comunità eremitica a Vallombrosa, vicino a Firenze.
- Certosini. Brunone di Colonia (1032-1101), già canonico nella sua città e maestro della scuola del capitolo di Reims, visse per un certo periodo vicino a Roberto di Molesme, futuro fondatore di Citeaux. Nel 1084 fondò la Grande Certosa. I monaci vivevano in piccole casette, dove pregavano, studiavano e svolgevano il loro lavoro domestico (per lo più il giardinaggio). In comune questi monaci avevano le grandi celebrazioni liturgiche e i pasti. Vigeva come grande regola quella del silenzio, l’obbligo di una rigorosa mortificazione e una severa contemplazione.
- Cistercensi. Nel 1098 Roberto di Molesme, assieme ad altri due santi, Alberico e Stefano, fondò il monastero di Citeaux presso Digione. Con l’intento di uscire dal quadro del monachesimo tradizionale e dalle usuali forme economiche e di governo, essi assunsero l’osservanza stretta della lettera della regola ed un forte rigorismo ascetico, vivevano strettamente del lavoro delle proprie mani (nel senso che non accettavano offerte di alcun genere, né chiedevano tasse), fecero proprie semplicità e purezza nell’architettura, nella vita e nella liturgia. Così i Cistercensi furono in sostanza monasteri di contadini, per il cui lavoro istituirono i fratelli laici (chiamati conversi) reclutando tra la popolazione contadina. Tra i più grandi e riconosciuti Cistercensi troviamo soprattutto Bernardo di Chiaravalle, che estese l’organizzazione di Citeaux a tutta la cristianità. Alla sua morte nel 1153 l’ordine contava 350 abbazie. Nel 1300 erano più di 700.
- Premonstratensi. San Norberto di Xanten (1080-1134) fondò l’Ordine dei Premonstratensi e successivamente divenne arcivescovo di Magdeburgo. Caratteristica di questo ordine era la predicazione itinerante. E come i Cistercensi prendevano come modello gli Apostoli, così i Premonstratensi avevano come loro modello l’apostolo Paolo. Nel loro peregrinare apostolico trovavano simpatia e accoglienza e ben presto alcune donne si unirono a loro. In questo modo i loro monasteri erano doppi, maschili e femminili (come per es. a Fontevrault). Il pericolo che la missione itinerante potesse portare all’eresia, spinse il Vescovo di Laon ad offrire a Norberto il monastero di Prémontré, che, oltre a dare il nome al nuovo ordine, divenne il centro del nuovo movimento monastico.
- Canonici Agostiniani. Già dai tempi di Carlo Magno erano chiamati canonici regolari quei sacerdoti di vita apostolica (dunque non monaci) che avevano la vita, l’abitazione e la mensa in comune, avevano una forma comune di abbigliamento, pregavano assieme e seguivano una regola, quella di Sant’Agostino. In genere i canonici erano preti secolari, dunque non monaci, che officiavano insieme nelle cattedrali, formando il cosiddetto capitolo delle cattedrali. Sulla spinta delle riforme del XI e XII secolo, molti capitoli delle cattedrali furono riformati, nel senso che vennero regolati sulla regola di Sant’Agostino. Altri vennero fondati col medesimo presupposto. I principali centri riformati di canonici regolari furono soprattutto in Germania, a Salisburgo, a Passau, a Frisinga. Un importante centro culturale fondato dai canonici regolari fu la Scuola di San Vittore a Parigi.
[modifica] Gli Ordini mendicanti
I quattro grandi Ordini mendicanti del Medioevo furono i Domenicani, i Francescani, i Carmelitani e gli Eremitani agostiniani. Alcuni storici (H. Grundmann) vedono negli Ordini mendicanti il corrispettivo ecclesiale delle tendenze eterodosse del Movimento pauperistico dei secoli XII e XIII.
- I Domenicani fondati da Domenico di Guzman (1170-1221).
- I Francescani fondati da Francesco d'Assisi (1181-1226).
- I Carmelitani furono fondati da Bertoldo di Calabria (morto nel 1195), che radunò sul Monte Carmelo, in Terra Santa, una colonia di eremiti, cui, nel 1207, il patriarca di Gerusalemme diede una regola, poi confermata dal Papa. Quando gli Stati crociati tramontarono, i Carmelitani si ritirarono in Europa e si trasformarono in un ordine mendicante, con l’opera di San Simone Stock (1165-1265). Con i riformatori spagnoli del XVI secolo, Teresa d'Avila e Giovanni della Croce, l’ordine assunse un singolare dosaggio di vita contemplativa e di spirito apostolico.
- Gli Eremitani agostiniani. Questo ordine deriva dall’azione del cardinale Riccardo Annibaldi e di papa Alessandro IV (1254-1261), che con la bolla Licet Ecclesiae catholicae del 1256 unirono d’autorità gruppi già esistenti di eremiti in un ordine costituito sul tipo di quello dei mendicanti e nell’ambito della tradizione agostiniana.
[modifica] Il risveglio religioso del XII secolo
Per approfondire, vedi le voci Movimenti ereticali medievali, Riforma spirituale medioevale e Inquisizione medievale. |
Le riforme monastiche dei secoli X-XI avevano già manifestato l’esigenza di ritornare alla povertà della Chiesa primitiva. La vita apostolica era strettamente connessa all’ideale di una vita povera di predicatore itinerante, conforme all’esempio offerto da Cristo e dai suoi apostoli. Questo desiderio, per l’influenza esercitata dal movimento crociato, favorì lo sviluppo di un vasto movimento popolare che ben presto si estese a tutto l’Occidente. L’immagine del Salvatore povero s’impresse nell’animo non solo di coloro che erano ritornati dalla Terra Santa, ma anche in chi era restato nel proprio paese e incitò gli uni e gli altri alla imitazione di Cristo. Si volle conoscere meglio il Vangelo. Monaci e chierici si dedicarono alla lettura della Sacra Scrittura; ma anche semplici laici, che desideravano ardentemente imparare a conoscere dalla Bibbia la vita di Cristo e degli apostoli, si riunirono in piccoli gruppi per ricevere insegnamenti e spiegazioni del testo sacro. Il popolo cristiano era addirittura affamato della Parola di Dio e spesso non esitava ad affrontare lunghi viaggi per ascoltare grandi predicatori come Bernardo di Chiaravalle.
In verità, era evidente il contrasto esistente fra la vita povera di Gesù Cristo e la Chiesa istituzionale del tempo. La Chiesa feudale del medioevo era ricca non solo in Germania – ove i vescovi erano principi – ma anche in Francia, in Inghilterra e in Italia. Ovunque i vescovati erano in mano di nobili o di potenti. Il clero determinava la vita spirituale ed era intimamente legato ai signori feudali.
E mentre nella società andava sorgendo una classe borghese, nella Chiesa cominciò a destarsi la coscienza del laicato, il quale volle formarsi un’opinione personale sui problemi religiosi e perciò ricorse alla Bibbia. La Chiesa non in tutti i casi ha saputo far proprie queste tendenze religiose e alcune di queste si sono rivolte contro di essa.
[modifica] Storia della Chiesa in epoca moderna
[modifica] Oriente
[modifica] Bisanzio e la dominazione ottomana
Con la fine dell’Impero bizantino e l’inizio di quello ottomano (1453), la situazione della Chiesa Ortodossa di Costantinopoli cambia radicalmente. La fine del regno porta i fedeli cristiani a vedere nel Patriarca la vera ed unica guida: ai cristiani ridotti in schiavitù, egli appariva non solo come il successore dei patriarchi, ma anche come l'erede degli imperatori. Questo venne favorito anche dai nuovi padroni. Benché fosse vietato ogni tipo di proselitismo tra i musulmani, e a patto che i cristiani si sottomettessero al dominio del califfato e all'amministrazione politica musulmana, la chiesa ortodossa godeva di una certa libertà. Il Patriarca di Costantinopoli divenne il punto di riferimento, non solo per i cristiani, ma anche per il Sultano e l’amministrazione pubblica: egli aveva autorità su tutti i cristiani dell’Impero turco, con diritto di amministrazione, di esazione di tasse e di esercizio della giustizia. In questo modo, paradossalmente, sotto il governo musulmano, il Patriarca accrebbe il suo prestigio e la sua autorità, non solo su Costantinopoli, ma anche sugli antichi Patriarcati, ora tutti in mano ai turchi ottomani (Alessandria, Gerusalemme, Antiochia): questo permise la sopravvivenza, almeno entro certo limiti, della Chiesa ortodossa; e favorì il monopolio greco cristiano sugli altri Patriarcati, di fatto governati dal Patriarca di Costantinopoli, e soprattutto il monopolio delle elezioni episcopali. Inoltre, nel XVIII secolo, il Patriarca di Costantinopoli soppresse l’autonomia (autocefalia) delle Chiese Ortodosse serba e bulgara, arrivando così a governare lui direttamente tutti i cristiani dell’Impero Ottomano.
Circa le relazioni tra Chiesa ortodossa d’Oriente e Chiesa latina di Roma, la debole unione ottenuta al Concilio di Firenze (nel 1439) finì non appena i Turchi occuparono Costantinopoli (1453), primo perché ai nuovi padroni non interessava una relazione con l’Occidente, e in secondo luogo perché tale unione, solo politica, era avversata dalla stessa Chiesa ortodossa. D’ora in avanti difficili saranno le relazioni con la Chiesa di Roma, cosa che aumentò l’avversione e la distanza tra le due Chiese.
[modifica] Nascita e sviluppo della Chiesa ortodossa russa
Dopo la conversione al cristianesimo di Vladimiro il Grande (988), nei territori dell’attuale Ucraina e Russia nacque una Chiesa locale, non ancora autocefala, governata da un metropolita. Nel 1448 essa divenne autocefala, cioè indipendente, e governata da un « metropolita di tutta la Russia », residente a Mosca.
Ma parte della chiesa ucraina era sotto il controllo del re polacco, cattolico romano, che istituì un altro « metropolita di Kiev e di tutta la Russia », fedele al Papa di Roma. Da tempo vi erano tendenze verso una separazione della Chiesa ucraina da quella moscovita. Così nel 1596, a Brest-Litovsk molti vescovi ucraini, contro il parere e la volontà dei loro fedeli, accettarono l’unione con Roma. Nel 1620, venne ristabilita una gerarchia ortodossa fedele a Mosca, che qualche decennio dopo (1686), fu unita al Patriarcato di Mosca con l’approvazione di Costantinopoli.
Per quanto riguarda la Russia, con la caduta di Costantinopoli, si prese sempre più coscienza di essere l'ultimo baluardo della vera ortodossia. Nel 1510 il monaco Filoteo si rivolse al principe Basilio III chiamandolo « tsar » (imperatore) e riconoscendo il lui il Capo della Terza Roma. Nel 1547 il principe Ivan IV si fece incoronare imperatore di tutte le Russie. Lo sforzo per fare di Mosca la « terza Roma » mancava di una sanzione finale: il capo della Chiesa russa mancava del titolo di « patriarca ». La cosa fu sancita nel 1589 quando il patriarca di Costantinopoli, Geremia II, in Russia per un viaggio, su pressione dei suoi ospiti, insediò il metropolita Giobbe come « patriarca di Mosca e di tutta la Russia », titolo che venne poi confermato dagli altri patriarchi orientali.
[modifica] La Chiesa russa sotto Pietro il Grande (XVII-XVIII secolo)
Per approfondire, vedi la voce Pietro I di Russia. |
Il periodo di regno dello zar Pietro il Grande resta uno dei più significativi della storia della Russia. Dal punto di vista ecclesiastico, il suo regno segna la svolta verso una centralizzazione della Chiesa nelle mani del governo. Infatti:
- nel 1700, alla morte del patriarca di Mosca Adriano, seguì un lungo periodo di sede vacante; in seguito, il sovrano, nel 1721 abolì del tutto il patriarcato e trasformò l'amministrazione centrale della Chiesa in un dipartimento dello stato, con il nome di Santo Sinodo di governo.
- Inoltre, affidò l’amministrazione del Patriarcato ad un alto funzionario imperiale, che doveva presenziare a tutte le riunioni, e di fatto agiva come l'amministratore degli affari della Chiesa.
- Lo zar Pietro pubblicò anche un lungo Regolamento Spirituale, che servì come base legale per ogni attività religiosa in Russia.
La chiesa ortodossa di Russia non riuscì in alcun modo a difendere i propri diritti, e accettò passivamente le riforme. Con questa politica zarista, la Chiesa di Russia entrò in un nuovo periodo della sua storia, che durò fino al 1917.
Alla lunga le conseguenze furono negative per l’Ortodossia, in virtù della assoluta mancanza decisionale e giurisdizionale: questo portò, per esempio, ad una sempre più diffusa secolarizzazione, che influì soprattutto sulla vita monastica, che vive un periodo di profonda crisi. Ma nell’immediato, la Chiesa ottenne qualche beneficio: l’introduzione di un sistema occidentale di istruzione religiosa e teologica, una maggiore opera di evangelizzazione nelle steppe dell’Asia, una ricca produzione di letteratura spirituale legata alle figure di grandi santi ortodossi (San Mitrofane di Voronezh, morto nel 1703; San Tikhon di Zadonsk, morto nel 1783; Platone Levshin, metropolita di Mosca, morto nel 1803). Tutti i tentativi di sfidare il potere dello zar sulla chiesa, tuttavia, incontrarono sempre il fallimento. Il metropolita di Rostov, che si oppose alla secolarizzazione delle proprietà della chiesa da parte dell'Imperatrice Caterina la Grande, fu deposto e morì in prigione (1772).
[modifica] Occidente
[modifica] La crisi del Papato tra XIV e XV secolo
Con la fine del 1200 e l’inizio del 1300 il Papato, che meno di un secolo prima, con Innocenzo III aveva raggiunto il suo apogeo, entra in crisi, per una forte decadenza del prestigio e dell’autorità papale causata dalle vicende dei secoli XIII e XIV. Alcuni storici vedono in queste vicende storiche i prodromi della rivolta luterana. In particolare furono quattro i motivi della crisi del Papato in questi due secoli:
- la lotta tra Bonifacio VIII e il re francese Filippo il Bello (1296-1303);
- l’esilio del papato ad Avignone (1309-1377);
- lo Scisma d’Occidente (1378-1417);
- la decadenza del Papato in età rinascimentale.
[modifica] La lotta tra Bonifacio VIII e il re francese Filippo il Bello (1296-1303)
Con questa lotta « non solo si esaurisce l’autorità politica effettiva del papato… ma si avvia rapidamente alla fine la concezione dell’età di mezzo, che subordinava la politica alla morale, e, nella stretta collaborazione fra i due poteri, religioso e civile, tendeva alla costruzione di una civiltà basata sulla fede cristiana ».[1] Il conflitto nacque per l’opposta mentalità dei due protagonisti: il papa pretendeva, come i suoi predecessori medievali, di esercitare un’alta autorità sovrana su tutti i regni cattolici; il re francese invece faceva suo il principio, che andava sempre più affermandosi, secondo il quale nel suo regno il re è sciolto da ogni autorità, tanto dell’Imperatore che del Pontefice: Rex in suo regno est imperator et papa. Il motivo scatenante della lotta fu l’imposizione al clero francese di tributi per sostenere la guerra contro l’Inghilterra. Seguirono mosse e contromosse dei due protagonisti:
- il Papa con la bolla Clericis Laicos (1296) vietò di imporre tasse sui beni ecclesiastici senza l’autorizzazione della Santa Sede; il re proibì l’esportazione di denaro all’estero (minando così una delle entrate principali del Papa, le elemosine);
- Bonifacio VIII rispose con la bolla Ausculta Fili 1301, con la quale deplorò i soprusi commessi da Filippo il Bello, in particolare l’arresto di un vescovo francese, e convocò un concilio a Roma; il re impedì la diffusione della bolla nel regno e nella riunione degli stati generali del regno nell’aprile del 1302 rinnovò le antiche accuse contro il pontefice;
- il Papa allora, nel novembre del 1302 emanò la famosa bolla Unam Sanctam nella quale espose il suo pensiero: la Chiesa è unita sotto un unico capo, il pontefice; per salvarsi è necessario appartenere alla Chiesa; il potere civile è subordinato a quello spirituale (teoria delle due spade); in risposta, il re francese, nel giugno 1303 fece accusare il Papa di simonia ed eresia e lo citò in giudizio davanti ad un concilio per difendersi;
- Bonifacio VIII dapprima confutò le accuse e poi si preparò ad emanare una bolla (la Super Petri solio) con la quale scomunicava e deponeva Filippo il Bello; ma il giorno prima della pubblicazione della bolla, il 7 settembre 1303, due sgherri del re, Guillaume de Nogaret e Sciarra Colonna, scesero ad Anagni, dove il Papa risiedeva, e lo fecero prigioniero (cfr. lo Schiaffo di Anagni). Una sollevazione popolare riuscì nell’intento di liberare il Papa, il quale però, scosso nel morale e nel fisico, morì un mese più tardi, l’11 ottobre 1303.
[modifica] L’esilio del papato ad Avignone (1309-1377)
Alla morte di Bonifacio VIII, e dopo il breve papato di Benedetto XI, nel 1305, dopo 11 mesi di conclave, i Cardinali elessero Papa l’arcivescovo di Bordeaux, Bertrand de Got, che prese il nome di Clemente V e decise di non scendere a Roma, ritenuta insicura, ma di recarsi ad Avignone. Qui i Papi rimasero fino al 1377, quando, mosso dalle preghiere di Santa Caterina da Siena, Gregorio XI decise di ritornare definitivamente a Roma. Il Papato avignonese si caratterizza per tre aspetti:
- I papi, anche se giuridicamente liberi e indipendenti, di fatto subiscono in pieno l’influsso della monarchia francese. I 7 pontefici avignonesi sono tutti francesi e la maggioranza dei cardinali è francese. Soprattutto Germania e Inghilterra protestavano contro la perdita del carattere di universalità del papato.
- La lotta dura, aspra e inutile che Giovanni XXII iniziò contro l’imperatore tedesco Ludovico il Bavaro, fino alla morte di questi nel 1347. In questa lotta, la cosa saliente fu la dichiarazione emanata nella dieta di Francoforte del 1338, con la quale il Papa perdeva anche l’ultima autorità politica che gli era rimasta: la conferma pontificia dell’elezione dell’imperatore, che d’ora in avanti sarà riservata ai 7 grandi principi elettori tedeschi.
- Infine, la cosa forse più grave che accrebbe l’avversione alla curia e al papato: durante il periodo avignonese aumentò a dismisura il fiscalismo curiale papale, e si accentuò la tendenza del papato a riservare a sé la nomina di molti uffici delle diocesi, fino allora eletti dalla base o conferiti dal vescovo locale. Tutto questo, oltre ad alienare molti animi dalla curia e dal papato, provocò numerosi opuscoli critici, che terminavano tutti con l’affermazione della necessità di una riforma della Chiesa.
[modifica] Lo Scisma d’Occidente (1378-1417)
Il motivo scatenante lo scisma, fu la messa in dubbio della validità dell’elezione di Urbano VI (successo a Gregorio XI) avvenuta, sotto la pressione del popolo romano, la mattina dell’8 aprile 1378. Lo scisma divise la cristianità occidentale in due obbedienze, quella di Roma e quella di Avignone (città che divenne sede dei Papi che non riconoscevano la validità dell’elezione di Urbano VI), cui si aggiunse, nel 1409, l’obbedienza pisana (Concilio di Pisa), che, nel tentativo di risolvere la grave crisi del papato, finì per aggravarla ulteriormente. Di fatto c’erano tre papi, ognuno con un suo seguito; cosa che, come conseguenza, divise il mondo civile e politico, gli Ordini e le Congregazioni religiose, gli stessi Santi parteggiavano chi per un papa, chi per un altro (vedi Santa Caterina da Siena e San Vincenzo Ferrer). Di fronte all’impossibilità di riconciliare le parti, si fece strada nei teologi la teoria conciliare, già affermata, in vario modo, nel Medioevo: se un papa cade nell’eresia o nello scisma, può essere deposto da un concilio, convocato dai Vescovi o da chi abbia sufficiente autorità. Questa teoria, che aveva motivato il fallimentare Concilio di Pisa, portò alla convocazione, da parte dell’Imperatore Sigismondo del Concilio di Costanza (1414-1418), durante il quale i tre papi (di Roma, Avignone e Pisa) furono obbligati a dimettersi, e venne eletto il nuovo ed unico Papa, Martino V (1417-1431). Se l’unità della Chiesa è ristabilita, tuttavia il bisogno di riforma continua a farsi sentire. Alcuni teologi vedono la soluzione nella tenuta regolare di concili, soluzione adottata dal Concilio di Costanza nei decreti Haec sancta e Frequens: abbiamo così nel 1423 il Concilio di Pavia, che registrò una scarsa partecipazione, fu trasferito a Siena e infine sciolto; nel 1431 il Concilio di Basilea, che fallì nei suoi intenti e provocò un nuovo scisma (subito rientrato); nel 1437 il Concilio di Ferrara trasferito poi a Firenze.
[modifica] Il Papato rinascimentale
L’età del Rinascimento, almeno dopo la morte di Paolo II nel 1471, costituisce uno dei periodi più oscuri del papato: allo splendore culturale e civile si contrappone la mancanza di un autentico spirito religioso al vertice della gerarchia ecclesiastica. Se da un lato il Papato e la chiesa in genere accolse favorevolmente lo sviluppo culturale umanista (uno tra i più grandi umanisti fu proprio un Papa, Enea Silvio Piccolomini, Papa Pio II), da un altro non mancarono gli aspetti negativi. Molti umanisti furono accolti alla corte papale e si sviluppò un ampio mecenatismo, che ben presto trasformò Roma in una città pienamente rinascimentale, trasformata dalle nuove e costose opere. La curia romana viveva in un lusso fastoso: ogni cardinale aveva la sua corte, con palazzi e ville entro e fuori le mura. Il nuovo tenore di vita esigeva forti spese, alle quali si faceva fronte con tutti mezzi, leciti e illeciti (si diffonde a Roma in questo periodo la cosiddetta pasquinata: Il Signore non vuole la morte del peccatore, ma che viva e paghi). A questo bisogna aggiungere la vita privata dei Papi, che oltre al nepotismo diffuso (per favorire non solo i nipoti, ma spesso i propri figli illegittimi), era macchiata da gravi immoralità, il cui apice negativo fu Alessandro VI (1492-1503).
[modifica] Il secolo delle riforme (XVI secolo)
Alla fine del XV secolo la Chiesa viveva una profonda crisi morale, spirituale e di immagine. A livello del Papato e dell’Alto Clero questa crisi si manifestava con l’assunzione di pratiche e comportamenti che niente avevano a che vedere con la fede. La prima preoccupazione dei Papi era la difesa strenua del proprio Stato, con continue guerre che dissanguavano le economie dello Stato Pontificio, e la preoccupazione di arricchire se stessi più che difendere la religione. Il nepotismo era diffuso a tutti i livelli, a cominciare dai Papi. La consuetudine di accumulare i benefici ecclesiastici (con le rendite ad essi connessi) era pratica comune. Il basso clero, pochissimo istruito e senza alcuna preparazione specifica, viveva come poteva (contrabbando, caccia, prostituzione), e contribuiva a fare della religione un insieme di pratiche più vicine alla superstizione che alla fede.
Oggi gli storici rivalutano certe prese di posizione in ambito cattolico, per sottolineare come alcuni fermenti di riforma erano già presenti nel mondo cristiano cattolico prima di Lutero e indipendentemente dalla Riforma luterana (vedi Controriforma).
[modifica] La Riforma protestante in Germania
Per approfondire, vedi le voci Martin Lutero e Riforma protestante. |
È certamente grazie alla spinta di Lutero che la Causa Reformationis divenne uno dei punti nevralgici e centrali di tutto il XVI secolo.
Tutta la teologia e il pensiero di Lutero si possono sintetizzare in tre celebri affermazioni:
- sola fide: tormentato dall’idea della propria salvezza personale, Lutero scopre, nella lettura della lettera di San Paolo Apostolo ai Romani la risposta a ciò che lo angosciava: Iustus autem ex fide vivit – Il giusto vivrà per la sua fede (1,17); scopre cioè che era sufficiente abbandonarsi alla azione salvifica di Dio, bastava credere per sapersi e sentirsi salvato;
- sola gratia : se ciò che salva è solo la fede in Dio, allora per Lutero nessuna azione umana può cambiare ciò che Dio ha già deciso; solo la grazia di Dio salva, non le azioni, i meriti acquisiti dall’uomo; in quest’ottica perciò l’uomo è simul iustus et peccator : è un peccatore, perché nessuno può cancellare il peccato originale, ma insieme è giusto, nel senso di giustificato dalla misericordia di Dio che opera nell’uomo; Lutero scopre così di essere un grande peccatore, ma nello stesso tempo, anche senza compiere opere buone, si sente salvo per il semplice fatto di abbandonarsi al suo Signore;
- sola Scriptura : la Sacra Scrittura per Lutero non solo contiene tutte le verità rivelate da Dio, ma non ha bisogno di essere illuminata e chiarita dalla tradizione, in quanto è in sé sufficiente per dare da sola alla Chiesa la certezza su tutte le verità rivelate ; in questo modo il riformatore tedesco abolisce la tradizione e la mediazione della Chiesa con il suo magistero, con le sue strutture (Papa e gerarchia ecclesiastica) e con i suoi sacramenti; il credente non ha bisogno di tutto questo (magistero, gerarchia, sacramenti), non ha bisogno di mediazioni umane per entrare in rapporto con Dio: « La Chiesa è una comunità spirituale di anime unite in una sola fede… una unità spirituale sufficiente a formare la Chiesa ».
Lo sviluppo delle vicende storiche si possono sintetizzare così.
- Lutero manifestò pubblicamente per la prima volta le sue idee nelle 95 tesi sulle indulgenze, la vigilia di Ognissanti del 1517, inviando il testo a diversi teologi; queste tesi ebbero larga diffusione in tutta la Germania
- Papa Leone X, davanti alla crescente diffusione delle tesi luterane, nel 1518 fece sottoporre ad esame le asserzioni sulle indulgenze e intimò a Lutero di presentarsi a Roma per il processo; ma grazie all’intercessione del suo grande protettore, Federico di Sassonia, Lutero venne interrogato ad Augusta nell’ottobre del 1518 dal Card. Caietano.
- Nel 1519 a Lipsia si svolse una disputa fra Lutero e Johannes Eck: il riformatore non abbondò le sue posizioni, ma anzi fu costretto a chiarire per la prima volta tutta la sua dottrina.
- Nel 1520, a Roma si conclude il processo contro Lutero e venne promulgata la bolla Exsurge Domine, con la quale il Papa intimava al riformatore tedesco di ritrattare le sue tesi entro 60 giorni; Lutero rispose bruciando pubblicamente la bolla papale. Ormai è scontro aperto.
- Il 3 gennaio 1521, con la bolla Decet Romanum Pontificem, Lutero e tutti coloro che lo sostenevano venivano scomunicati.
- Nell’aprile del 1521, in una dieta a Worms, l’imperatore Carlo V bandì Lutero dall’impero e ordinò di bruciare tutti i suoi scritti. Ma grazie all’aiuto di Federico di Sassonia, il riformatore poté evitare l’arresto e si rifugiò nel castello della Wartburg, ove rimase per dieci mesi.
- Nel frattempo, sull’onda delle tesi luterane e spinti dagli eccessi del momento, la popolazione iniziò a sollevarsi contro qualsiasi tipo di autorità (che fosse l’imperatore o il semplice vescovo). Negli anni 1521-1522, si sollevò la piccola nobiltà e i cavalieri, guidati da Franz von Sickingen. Successivamente, nel 1522-1524, furono gli anabattisti, guidati da Thomas Müntzer, che predicavano propositi chiaramente anarchici. Lo stesso Lutero dovette scendere in campo per richiamare all’ordine e alla pace. Infine, negli anni 1524-1525, furono le classi agricole, i contadini, a sollevarsi con stragi e incendi, che si diffusero ben presto in tutto il centro-sud della Germania: furono sconfitti a Frankenhausen dal duca di Lorena, che fece sgozzare più di ventimila rivoltosi. Anche in questo caso, Lutero era sceso in campo, e se dapprima aveva ritenuto giuste alcune rivendicazioni dei contadini, in seguito, dopo le stragi e gli eccessi, invitò pubblicamente con un opuscolo i Principi a soffocare nel sangue la sommossa. Questa evoluzione di Lutero è sintomo di uno smarrimento del riformatore: di fronte all’anarchia e al caos che si stavano diffondendo in Germania, era assolutamente necessario trovare un principio su cui fondare ordine e stabilità; avendo eliminato il Papa e la gerarchia, non restava che lo Stato che potesse dare appoggio alla nuova chiesa fondata da Lutero.
- Segue un periodo di relativa calma: gli anni 1525-1532 sono gli anni degli incontri, degli accordi, delle diete. A Spira nel 1526 fu permesso ai Principi che lo volevano di abbracciare il luteranesimo. Ancora a Spira nel 1529, l’imperatore Carlo V vietò ogni ulteriore novità: cioè gli stati luterani potevano rimanere tali, gli altri dovevano rimanere fedeli al cattolicesimo. Ad Augusta nel 1530 venne esaminata una confessione di fede proposta dai riformatori, la Confessione augustana, opera di Filippo Melantone, che fu però condannata dall’imperatore, che impose ai Principi protestanti la restituzione dei beni ecclesiastici sottratti alla Chiesa cattolica; questi, a loro volta, per paura di ritorsioni imperiali, si unirono nella Lega di Smalcalda, pronti alla guerra aperta. Nel 1532, in una nuova dieta a Norimberga, Carlo V ritirò le disposizioni severe di Augusta.
- Svanite le speranze di un accordo con i riformatori, l’imperatore Carlo V si decise alla guerra aperta contro la Lega di Smalcalda, la prima delle guerre di religione che devasteranno l’Europa per almeno un secolo.
- Nel 1546 Lutero morì. Le sue ultime parole scritte furono: « Siamo mendicanti, è vero ».
- La guerra terminò nel 1555 con la Pace di Augusta, che sancì definitivamente la divisione religiosa della Germania. Tre furono le clausole principali: a) Cuius regio, eius et religio: cioè il Principe poteva scegliere liberamente a quale religione appartenere, i sudditi invece dovevano o scegliere la religione del proprio Principe, o emigrare in un altro Stato; b) Reservatum ecclesiasticum: i Principi che d’ora in avanti abbandoneranno il cattolicesimo, perderanno tutti i loro beni; c) Declaratio secreta: per compensare il reservatum, in un accordo segreto venne riconosciuto ai nobili, alle città e ai villaggi che da anni avevano abbracciato il luteranesimo, il diritto di restare liberamente nella loro fede.
[modifica] La Riforma protestante in Svizzera e Francia
Per approfondire, vedi le voci Calvinismo, Giovanni Calvino e Ulrico Zwingli. |
In Svizzera la riforma ebbe luogo contemporaneamente alla Germania, dapprima con Ulrich Zwingli (1484-1531), che ben presto però si allontana dal luteranesimo e si aliena così l’appoggio dei Principi tedeschi, e viene ucciso sul campo di battaglia che opponeva i cantoni svizzeri cattolici contro Zurigo. La riforma ebbe successo a Ginevra col Riformatore Giovanni Calvino, francese di origine, che ben presto abbracciò il luteranesimo e dovette per questo lasciare Parigi. A Basilea, nel 1536, pubblicò la sua opera principale, l’ Institutio christianae religionis, con la quale influenzò molte menti in tutta Europa. La sua opera riformatrice ebbe successo a Ginevra e in Scozia, ed in parte nei Paesi Bassi, in Polonia e in Ungheria.
Le idee di Giovanni Calvino trovarono largo consenso in Francia, ma provocarono al contempo una lunga guerra di religione, in cui i motivi religiosi furono largamente soverchiati da motivi politici e di interesse. La lunga guerra (chiamata la guerra dei tre Enrico) tra la lega cattolica, guidata da Enrico III e da Enrico di Guisa, contro Enrico di Borbone, calvinista, candidato al trono di Francia, ebbe il suo momento peggiore nella strage di S. Bartolomeo: il 24 agosto 1572, festa di S. Bartolomeo, migliaia di calvinisti vennero trucidati a Parigi e nel resto della Francia. Papa Gregorio XIII, saputa la notizia, felice della disfatta degli eretici, festeggiò l’avvenimento con un Te Deum di ringraziamento e con una medaglia commemorativa. La riconciliazione in Francia fu raggiunta con la conversione di Enrico di Borbone al cattolicesimo: Parigi val bene una messa; e con l’Editto di Nantes del 1598, con il quale Enrico IV riconosceva ai calvinisti libertà di coscienza, libertà di culto in determinate località, pienezza di diritti civili e politici. Papa Clemente VIII accettò a malincuore questo editto, giudicandolo una sconfitta del cattolicesimo a favore del protestantesimo.
[modifica] La Riforma protestante in Inghilterra
Per approfondire, vedi le voci Scisma anglicano, Enrico VIII d'Inghilterra e Elisabetta I d'Inghilterra. |
In Inghilterra la rottura con Roma del 1534 non è dovuta solo alle passioni e alle iniziative di Enrico VIII, ma fu l’ultimo atto di un lungo processo, in corso dalla fine del Trecento, che da un lato vedeva aumentare sempre più l’ostilità contro il clero e la gerarchia corrotta, dall’altro tendeva alla costituzione di una Chiesa autonoma dal Papa. Si possono delineare quattro tappe della rottura tra la Chiesa inglese e il Papato di Roma.
- Enrico VIII (1509-1547). Le passioni amorose del sovrano inglese furono la causa scatenante la riforma in Inghilterra. Il rifiuto del Papa Clemente VII di concedere la nullità del matrimonio con Caterina d’Aragona, figlia del cattolicissimo re di Spagna e zia dell’imperatore Carlo V, portò il re inglese, dapprima a farsi proclamare capo della chiesa inglese (1531), e poi, nel novembre 1534, ad emanare l’ Atto di Supremazia, con il quale si attribuirono al sovrano i diritti sulla chiesa inglese che prima spettavano al papa di Roma. Di fatto, ad esclusione del primato del papa, tutto il resto dell’antica fede venne mantenuto. Il popolo e la gerarchia inglese accettarono senza troppo fiatare le decisioni del sovrano, il quale decise anche la soppressione dei monasteri inglesi e la confisca dei beni ecclesiastici. Alla morte del re, la chiesa inglese era sostanzialmente ancora cattolica: era sì in atto uno scisma, ma la fede era ancora quella tradizionale.
- Edoardo VI (1547-1553). Con il nuovo sovrano vennero introdotte profonde modifiche religiose, cosicché dallo scisma si passò all’eresia. Nel 1549 venne pubblicato un nuovo rituale liturgico, il Book of Commun Prayer, di stampo protestante, e nel 1553 una professione di fede di tendenze calviniste circa la dottrina eucaristica.
- Maria la Cattolica (1553-1558). Figlia di Enrico VIII, era sempre rimasta fedele al cattolicesimo, e salita al trono volle restaurare l’antica fede. Ma non riuscì a guadagnarsi il favore popolare, cui pose rimedio con la condanna a morte di decine di oppositori.
- Elisabetta I (1558-1603). È con Elisabetta che l’Inghilterra accoglie definitivamente le idee riformatrici che circolavano in Europa. Nel 1559 venne promulgata la legge che riconosceva la regina supremo governatore della Chiesa d’Inghilterra e che impose agli ecclesiastici un giuramento di fedeltà. Fino al 1570 i cattolici inglesi godettero di una certa tolleranza. Ma il 25 febbraio 1570 Pio V, con una mossa del tutto oramai anacronistica, scomunicò e depose la regina, in forza della concezione medievale del potere del papa sui sovrani. Questo provocò la reazione di Elisabetta che finì per considerare i cattolici come ribelli politici, bandendoli dal regno.
[modifica] La Riforma cattolica o Controriforma
Per approfondire, vedi le voci Controriforma e Concilio di Trento. |
Resta aperto oggi, tra gli storici, il problema se la riforma in seno alla Chiesa di Roma sia semplicemente una reazione alla riforma luterana (e dunque da considerarsi Controriforma), oppure se vi sono elementi per dire che, in seno alla Chiesa cattolica, vi erano germi di riforma indipendenti da Lutero (e dunque cronologicamente prima del 1517), e tali da potersi considerare come una vera Riforma cattolica. Al di là del dibattito storico tuttora in corso, si possono rilevare questi elementi:
- vi è un crescente sviluppo delle associazioni laiche tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, con l’intento di svolgere azioni di carità verso i poveri e gli ammalati, soprattutto con la fondazione o il restauro di ospedali per malati cronici o incurabili; la più grande associazione italiana è la Compagnia del Divino Amore, nata a Genova alla fine del Quattrocento per opera di Ettore Vernazza, che ben presto si diffonde in molte città dell’Italia settentrionale, ma anche a Roma e a Napoli;
- i vecchi ordini religiosi tendono a riformarsi al loro interno, così che, accanto a monasteri con la vecchia regola, troviamo monasteri che adottano una regola riformata; un classico esempio è la riforma del Carmelo ad opera di Santa Teresa d'Avila e San Giovanni della Croce; assistiamo pure alla nascita di nuovi ordini da altri di vecchia data: è l’esempio dei francescani Cappuccini, fondati da Matteo da Bascio ed approvati nel 1528;
- soprattutto tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento, vediamo la nascita di nuovi ordini religiosi, tra cui i Gesuiti, i Camilliani, i Teatini, nonché di ordini femminili dediti alla vita attiva, come le Orsoline di Sant'Angela Merici;
- né bisogna dimenticare che, nel malcostume comune, alcuni vescovi si distinguono per le loro capacità e per il loro zelo pastorale, arrivando a convocare sinodi, a promuovere la predicazione, a preoccuparsi della formazione del clero, a visitare regolarmente le loro diocesi; si distinsero soprattutto Nicolò da Cusa (detto Cusano), vescovo di Bressanone, e il card. Francisco Jiménez de Cisneros, arcivescovo di Toledo.
Certamente la grande azione della Chiesa cattolica per contrastare il luteranesimo da un lato, e per riformarsi al suo interno dall’altro, fu il Concilio di Trento (1545-1563).
[modifica] Le missioni cattoliche dopo il XIV secolo
Facendo un passo indietro, si può dire che a cavallo dell’anno Mille, i popoli europei erano quasi tutti cristianizzati, eccezion fatta per le tribù dei vendi (o serbi) tra l’Elba e l’Oder, e dei popoli del Baltico a nord-est della Vistola. La missione in questi territori portò a compimento, verso il 1270, la cristianizzazione dei popoli europei. Nel tardo medioevo la missione ebbe come punti di interesse i mussulmani di Grenada e la missione fra i mongoli, imprese portate avanti soprattutto dai Francescani e dai Domenicani. Il fallimento della Crociata fece tramontare anche l’idea che la diffusione della fede dovesse essere accompagnata dalla forza delle armi. Ma la scoperta di nuove ed immense terre dopo il 1492 cambiò la modalità della missione cristiana nel mondo.
[modifica] Carattere della colonizzazione
- La colonizzazione anglosassone. Si caratterizza per una autentica penetrazione nel territorio; ma non stabilì in alcun modo relazioni con gli indigeni, che respinsero sempre più nelle riserve per poi sterminarli in modo incruento ma efficace (alcool e altri mezzi). In genere nel Nord America (Stati Uniti e Canada) non si fece che trapiantare usi e costumi europei.
- La colonizzazione portoghese in Asia. In Asia i portoghesi non tentarono una penetrazione all'interno limitandosi a creare una rete di stazioni commerciali, collocate in posizioni strategiche. Il commercio era sottoposto ad un rigido monopolio statale. In questo modo, scarso fu l'influsso sulle civiltà dell'India e del Sud-Est asiatico. In Brasile invece la colonizzazione portoghese è molto simile a quella spagnola.
- La colonizzazione spagnola. La Spagna, diversamente dal Portogallo, non si limitò a raggiungere le coste ma penetrò sistematicamente verso l'interno. E non si limitò a sfruttare le ricchezze naturali dei luoghi scoperti, ma svolse una autentica opera educatrice, certamente con metodi e strumenti spesso coercitivi, ma arrivando a creare nell'America centro-meridionale una nuova civiltà, appunto la civiltà latino-americana, attraverso la fusione di elementi indigeni ed europei. Questo esito storico, sostanzialmente positivo, non deve però celare le gravi lacune, le ombre, le dolorose colpe commesse sia nella prima fase di colonizzazione sia in quella successiva.
Per quanto riguarda il sistema politico-economico delle colonie spagnole accenniamo a tre punti:
- le colonie erano rette da viceré che godevano della più ampia autorità sugli abitanti, senza però alcun potere legislativo; erano poi soggetti al consiglio supremo delle Indie, che si riuniva a Madrid ed esercitava un controllo effettivo con l'invio periodico di visitatori;
- il commercio era rigidamente sottoposto al monopolio statale;
- grave, per gli abusi che ne nacquero, fu il sistema delle encomiende: i coloni ricevevano in usufrutto per due o tre generazioni dei territori sui quali esercitavano anche una parziale giurisdizione (indigeni compresi). Il governo spagnolo era stato spinto su questa via dalla necessità di evitare l'anarchia, dall'urgenza di sanzionare legalmente una situazione spesso già di fatto, dall'opportunità di stimolare i coloni più intraprendenti. Col passare del tempo il sistema dell'encomienda portò a gravi abusi, specialmente alla schiavitù degli indigeni.
[modifica] Il Patronato regio
Dalla metà del XV secolo fino al XVII i pontefici concessero ai sovrani di Spagna e Portogallo privilegi sempre più notevoli, esigendo allo stesso tempo da essi che si prendessero cura dell'evangelizzazione nelle terre scoperte. Questo sistema è chiamato Patronato regio. I motivi che imposero questa scelta:
- secondo la mentalità dell'epoca l'appoggio delle autorità civili era vista come la via sicura ed efficace per la cristianizzazione dell'Asia e dell'America
- la scoperta e l'occupazione delle nuove terre era considerata come la continuazione della liberazione della penisola iberica dal giogo islamico, cioè un'impresa essenzialmente sacra
- più in generale il patronato regio non è che uno degli aspetti di quel fenomeno più vasto, tipico dell'epoca, dell'unione fra le due società, civile e religiosa, con i suoi vantaggi e i suoi gravissimi rischi.
Ai sovrani di Spagna e Portogallo vennero attribuiti determinati diritti e doveri che rendevano l'evangelizzazione degli indigeni un compito dello Stato, ma che insieme attribuivano allo Stato piena autorità sulla Chiesa nei territori delle missioni.
Allo Stato spettava: 1. la nomina a tutti i benefici; 2. l’ammissione o l’esclusione dei missionari (i missionari avevano perciò bisogno dell'autorizzazione regia per partire in missione); 3. il controllo su tutti gli affari ecclesiastici (i missionari potevano rivolgersi a Roma solo attraverso il Governo). Di contro, lo Stato doveva: 1. scegliere ed inviare i missionari; 2. provvedere a tutte le spese del culto, al sostentamento ed ai viaggi dei missionari; curare l'erezione, il mantenimento, i restauri degli edifici di culto.
Il patronato ebbe certamente alcune conseguenze positive: i sovrani divennero più consapevoli del dovere che incombeva loro di promuovere la diffusione della fede; Spagna e Portogallo fornirono alle missioni i mezzi materiali necessari; i missionari godevano della protezione dello Stato.
Ma non mancarono gli inconvenienti e i danni che si aggravarono col tempo. Il Portogallo, al culmine della sua potenza coloniale, soddisfece solo in parte ai suoi doveri. Per di più impose alla Chiesa dei gravi pesi quali: un controllo e una burocrazia lenta ed asfissiante (un permesso da Roma poteva giungere a destinazione anni e anni dopo, quando il permesso era ormai già scaduto), il giuramento dei vescovi al patronato (1629) e la promessa di non instaurare rapporti con Roma, imposizione di vescovi eletti ma non canonicamente istituiti, nulla osta statale per l'apostolato nelle missioni portoghesi (che impedì l'arrivo di un numero sufficiente di missionari). Anche quando il Portogallo in Asia perse il predominio a favore di Olanda e Inghilterra, continuò tuttavia ad arrogarsi gli antichi diritti di patronato anche per quei territori passati ormai ad altri padroni, provocando così doloroso conflitti con Propaganda Fide. In questo modo il patronato, nato come mezzo per favorire la religione, divenne strumento di cui il Portogallo si serviva per mantenere il suo influsso politico nei domini di altre potenze.
[modifica] La nascita di Propaganda Fide
Fin dall'inizio delle nuove scoperte la Chiesa non fu però disposta a scaricare completamente su altri la responsabilità dell'evangelizzazione dei popoli. Già Pio V aveva istituito nel 1568 una Congregazione cardinalizia per le missioni. Clemente VIII eresse una Congregazione de Propaganda Fide, che non sopravvisse alle resistenze dei patronati.
Impulso decisivo alla formazione di un dicastero permanente venne dal carmelitano scalzo Thomas de Jésus con la sua opera De procuranda salute omnium gentium (1613), ove propugnava tra l'altro la fondazione di un centro missionario a Roma. L'idea, appoggiata da altri, venne realizzata il 6 gennaio 1622 da Gregorio XV. Il 22 giugno era emanata la bolla ufficiale d'istituzione.
Scopo della Congregazione era di controllare tutta l'attività missionaria, provvedere alla formazione di missionari, ricevere rapporti e dare direttive. Si sforzò di trasformare le missioni da fenomeno coloniale in un movimento ecclesiastico e spirituale, di difendere i missionari dalle interferenze delle autorità politiche, di formare un clero indigeno, di provvedere alla stampa di libri in varie lingue. La nascita di Propaganda sollevò due problemi fondamentali: la coesistenza tra iniziative locali e direttive centrali, e la coesistenza tra i Patronati e l'indipendenza delle attività missionarie. Fu soprattutto questo secondo aspetto a creare i maggiori problemi, specialmente nella nomina dei vescovi. Si cercò di aggirare il Patronato creando i Vicari Apostolici, che giuridicamente non erano veri vescovi residenziali, ma rappresentanti speciali del papa. L'istituzione rappresentò una svolta nella storia delle missioni.
[modifica] L’espansione e l’attività missionaria in America
Per approfondire, vedi le voci Missioni cristiane in America e Riduzioni gesuite. |
Dopo lo sviluppo e i successi iniziali, nei secoli XVII e XVIII assistiamo ad un palese raffreddamento dello spirito missionario, che deve farsi risalire agli avvenimenti del XVI secolo. Si possono ridurre a 2 i motivi di questo raffreddamento.
- Il diverso concetto di Chiesa inteso dal re spagnolo Filippo II e dai Papi di Roma. Il re spagnolo voleva un "patriarcato indiano" per le missioni americane, patriarcato che doveva costituire una chiesa più o meno indipendente da Roma e alle dirette dipendenze di Madrid, ove doveva risiedere il patriarca. I Papi si opposero a questa richiesta. Nel 1568, venne creata a Madrid la Junta Magna che nelle intenzioni di Filippo II doveva raggiungere due scopi: 1) esercitare il diritto di patronato in modo tale da escludere qualsiasi influsso di Roma e 2) reprimere la nascente chiesa indigena e promuovere una chiesa di tipo spagnolo. Tramite la Junta Magna e il Consiglio delle Indie il re esercitò un grande influsso sulla chiesa americana, tanto che si può dire che nei secoli XVII e XVIII il regalismo o assolutismo di stato si dimostrò come uno dei più gravi impedimenti nello sviluppo missionario della chiesa americana. Il fatto stesso che fosse praticamente eliminato ogni intervento di Roma contribuì a raffreddare e scoraggiare tutta l'opera missionaria. Questo è certamente l'aspetto più negativo del patronato regio.
- Il divieto regio di organizzare una chiesa indiana, progetto che stava a cuore soprattutto ai francescani, ma che venne stroncato con un intervento della Junta Magna nel 1568, alla quale premeva invece la creazione di una chiesa sulla stampo di quella europea. La discriminazione verso gli indigeni raggiungeva il suo culmine nel divieto di formare il clero indigeno, colpendo così in modo decisivo ogni tentativo di organizzare una chiesa autoctona.
In Brasile la situazione era diversa. Inizialmente i portoghesi si limitarono alle zone costiere: l'unica diocesi era Bahia. Solo a partire dal 1676 sorsero le diocesi di Rio de Janeiro, Recife e Maranhao e dal 1745 quelle di San Paolo, Marianna, Goiaz, ecc. Oltre ai danni creati dal patronato portoghese, in Brasile grave ostacolo al lavoro dei missionari fu lo schiavismo, cui si opposero soprattutto i francescani e i gesuiti. Solo con un decreto regio del 1758 si cercò di attuare una definitiva abolizione dello schiavismo degli indigeni.
[modifica] L’espansione e l’attività missionaria in Africa
Mentre in America la chiesa costituiva una realtà ben radicata con proprie diocesi, sinodi diocesani, diffusione organica dell'evangelizzazione, in Africa si poterono evangelizzare solo alcune zone costiere e la maggior parte solo transitoriamente. Casi a parte sono l'Angola e lo Zaire. In Africa Propaganda Fide ebbe molta più mano libera che non in America.
- Per quanto riguarda il Nord-Africa non si può parlare di una vera e propria evangelizzazione, data la secolare opposizione tra cristianesimo e islam. Questo non impedì una presenza di missionari (francescani, mercedari, trinitari), anche grazie ad alcuni accordi.
- Nell' Africa Occidentale vi lavoravano i missionari portoghesi che ottennero dei risultati sulle coste. Ma dal XVII secolo, col venir meno della penetrazione militare si affievolì anche lo slancio missionario. Rimaneva agli europei (inglesi, olandesi, prussiani, portoghesi, francesi compresi) una fascia costiera di 400 chilometri dalla Guinea all'Angola, che era il punto di partenza delle navi piene di schiavi per l'America. Qui, per la prima volta, Propaganda Fide riuscì a rompere le rigide barriere del patronato portoghese e far dipendere direttamente da sé l'opera missionaria, gravemente screditata però dalla tratta degli schiavi.
- Nell' Africa del Sud fu impossibile ogni lavoro missionario, perché non accompagnato da alcuna penetrazione militare o commerciale.
- Nell' Africa Orientale tre furono le zone missionarie: a sud il Mozambico e la zona interna (Rodesia); Mombasa con la sua poderosa fortezza che assicurava la via verso le Indie; a nord l'Etiopia.
Una seria e durevole evangelizzazione dell'Africa potrà ottenersi solo nel XIX secolo, grazie, suo malgrado, alla penetrazione coloniale, ma anche ad una più attenta e diretta conoscenza del continente africano
[modifica] L’espansione e l’attività missionaria in Asia
Per approfondire, vedi le voci Missione gesuita in Cina e Disputa dei Riti. |
L'evangelizzazione dell'Asia ebbe caratteristiche sue particolari, dato che in questo vasto continente erano presenti tradizioni culturali e religiose di ben più vasta portata rispetto agli altri continenti. Inoltre la missione era sempre più resa difficile dai contrasti, spesso economici, tra le varie potenze europee che si contendevano le zone costiere asiatiche per il controllo del commercio. Infine da non dimenticare il contrasto secolare tra Propaganda Fide e il patronato portoghese.
- L' India, con Goa (sede del viceré e dell'arcivescovo), rimase ancora nei secoli XVII-XVIII il cuore del dominio portoghese e quindi anche della missione. Qui la situazione si aggravò fatalmente per i contrasti tra il patronato portoghese e Propaganda Fide, la quale decise di erigere territori propri, i vicariati apostolici, indipendenti dal patronato (da Goa cioè). Né fu positivo l'infelice soluzione/compromesso della duplice giurisdizione: diverse diocesi furono suddivise in parrocchie dipendenti dal patronato ed in parrocchie dipendenti da Propaganda. Questo sistema creò confusione, conflitti, gelosie, nocendo gravemente alla missione. A partire dall'India tentativi missionari furono fatti nel Tibet, nell'India settentrionale, in Persia e in Birmania, ma con scarsi risultati.
- In Cina gravi tensioni sorsero in occasione del conflitto sui riti (che toccò anche l'India). L'opera di evangelizzazione fu portata avanti soprattutto dai gesuiti tedeschi e francesi e poi dai francescani spagnoli delle Filippine. Anche in Cina il Portogallo cercò di far valere il patronato e ottenne dal debole Alessandro VIII nel 1690 i vescovadi di Nanchino e Pechino dipendenti dal patronato. Così, per esempio, a Pechino fino al XIX secolo coesistevano chiese cattoliche dipendenti dal patronato, quelle dipendenti dai gesuiti francesi (che Luigi XIV non volle mai sottomettere a nessun'altra autorità che non fosse francese) e quelle dei missionari di Propaganda Fide.
- Per quanto riguarda le Filippine vale quello detto per l'America Latina: i missionari spagnoli riuscirono a fondere le due culture e a fondare una chiesa locale realmente vitale.
- Il Giappone rappresentò invece un duro campo di evangelizzazione e di martirio. Ad un inizio felice, seguì, tra Cinquecento e Seicento, tutta una serie di persecuzioni, che culminarono con la chiusura del Giappone agli europei, missionari compresi. Solo nella seconda metà dell'Ottocento il Giappone fu costretto a riaprire agli europei (e dunque anche ai missionari).
[modifica] Controversie teologiche nei secoli XVII-XVIII
Dopo il caso di Lutero e dopo il Concilio di Trento, la Chiesa di Roma fu molto attenta a seguire i dibattiti teologici del mondo cattolico per bloccare sul nascere eventuali sviluppi eretici. E’ senz’altro uno degli aspetti della Chiesa della Controriforma.
Nei sec. XVII-XVIII si svilupparono nel mondo cattolico diverse correnti e idee teologiche non sempre nella linea dell’ortodossia.
[modifica] Giansenismo
Questa corrente di pensiero teologico-morale nacque in Belgio nel 1640 con Giansenio (1585-1638) e verteva sui rapporti tra libertà umana e grazia divina: l’uomo, dice Jansen, è decaduto con il peccato ed incapace di amare senza l’aiuto della grazia di Dio che spinge all’amore; questa « spinta » interiore non lede la libertà umana, perché, secondo lo Jansen, vi è assenza di libertà solo quando l’uomo è « costretto » esteriormente.
Il Giansenismo, aspramente combattuto dai Gesuiti, ebbe larga diffusione in Francia, ed in qualche misura anche in Italia. I suoi maggiori esponenti e difensori furono: Jean Duvergier de Hauranne (chiamato Saint-Cyran, 1581-1643), Antoine Arnauld (1612-1694), Blaise Pascal, Pasquier Quesnel (1634-1719), e, in Italia, Scipione de Ricci (1741-1809).
[modifica] Gallicanesimo
E’ una corrente di pensiero teologico-politico, che si sviluppa in Francia nel XVII secolo ad opera di teologi e canonisti, e sostiene da un lato la libertà sempre maggiore della Chiesa di Francia da ogni influsso e condizionamento esterno (in particolare del Papa), e di conseguenza dall’altro, l’attribuzione allo Stato francese di un sempre maggiore influsso sulle faccende ecclesiastiche interne e la limitazione del potere del Papa in Francia. Il Gallicanesimo si manifesta così come una tendenza centrifuga all’interno della Chiesa cattolica, in contrasto con le tendenze centripete della Santa Sede di Roma. Maggior esponente del Giansenismo fu il Bossuet (m. 1704).
[modifica] Febronianesimo
Si tratta di una corrente di pensiero teologico-politico, molto simile al Giansenismo, ma in ambito tedesco, favorevole all’instaurazione di una Chiesa di Stato (episcopalismo), libera da ogni influsso esterno, e alla riduzione del potere del Papa di Roma ad un semplice primato di onore. Maggiori esponenti furono Bernhard von Espen (m. 1728) e soprattutto Johann Nikolaus von Hontheim (m. 1790), che pubblicò la sua opera principale con lo pseudonimo di Justinus Febronius.
[modifica] Giuseppinismo
Le tendenze centrifughe all’interno della Chiesa cattolica si manifestarono anche in Austria, sostenute, in questa occasione, dallo stesso imperatore Giuseppe II, che, in linea con la politica della madre Maria Teresa (1740-1780) attuò una politica ecclesiastica molto autoritaria, perseguendo il fine della piena dipendenza della Chiesa dallo Stato con l’erezione di una specie di Chiesa nazionale austriaca il più possibile indipendente da Roma.
[modifica] Quietismo
E’ una corrente di pensiero teologico-spirituale, sostenuta dal sacerdote spagnolo Miguel Molinos (m. 1696), che accentuava a tal punto l’azione della grazia di Dio da annullare praticamente l’azione e la libertà dell’uomo; inoltre la pace interiore si acquista solo attraverso la negazione dell'amore proprio: il niente, l'annichilimento è la strada per giungere alla purezza dell'anima, alla perfetta contemplazione e alla pace interiore. Maggiori esponenti del quietismo furono, oltre al Molinos, Madame Jeanne-Marie de Guyon e il Fénelon.
[modifica] Chiesa cattolica e Rivoluzione Francese
Per approfondire, vedi le voci Rivoluzione francese e Costituzione civile del clero. |
[modifica] Storia della Chiesa in epoca contemporanea
[modifica] Le Chiese ortodosse nel XIX secolo
Nel corso del XIX secolo, nell’Europa orientale, assistiamo alla progressiva disgregazione dell’Impero Turco e, grazie alle idee della Rivoluzione francese e ai movimenti nazionalisti, assistiamo alla nascita di stati nazionali seguita dalla fondazione di chiese ortodosse indipendenti, autocefale. In questo modo, il collasso del dominio ottomano è accompagnato dalla rapida diminuzione del potere effettivo esercitato dal patriarca di Costantinopoli.
[modifica] Grecia
In Grecia, nel 1821 inizia la rivolta contro i turchi, proclamata ufficialmente dal metropolita di Patrasso, Germanos. Il governo turco reagì e, come esempio pubblico, il giorno di Pasqua del 1821, fece impiccare il patriarca di Costantinopoli Gregorio V al portone principale della residenza patriarcale. Numerosi altri membri del clero greco furono messi a morte nelle province. La mancanza di comunicazione con il Patriarcato di Costantinopoli spinse i vescovi della Grecia liberata, nel 1833, a proclamarsi autocefali. Il regime ecclesiastico adottato in Grecia era modellato su quello della Russia: il Santo Sinodo doveva governare la chiesa sotto stretto controllo governativo. Nel 1850 il patriarcato di Costantinopoli dovette riconoscere il fatto compiuto, e accordò l’autocefalia alla nuova Chiesa di Grecia.
[modifica] Serbia
L'indipendenza della Serbia portò, nel 1832, al riconoscimento dell'autonomia ecclesiastica serba. Nel 1879 la Chiesa serba fu riconosciuta da Costantinopoli come autocefala sotto il primato del metropolita di Belgrado. Ma questa chiesa, che copriva solo il territorio di quella che è chiamata la "vecchia Serbia", entrò in conflitto di giurisdizione con altre due chiese autocefale esistenti nell’Impero austriaco, quella di Sremski Karlovci (istituita nel 1848), e la metropolia di Czernowitz (oggi Chernovtsy) in Bucovina.
[modifica] Romania
Nel 1859, i principati rumeni di Moldavia e Valacchia si unirono per formare l'odierna Romania. La gerarchia ecclesiastica ortodossa seguì i due stati nel loro processo di fusione. Di conseguenza poco dopo, nel 1872, le chiese ortodosse dei due principati decisero di unirsi per formare la Chiesa ortodossa rumena. In questo processo si separarono canonicamente dalla giurisdizione del Patriarcato di Constantinopoli e la Chiesa ortodossa rumena si dichiarò autocefala. Nello stesso anno fu costituito un sinodo separato. Il Patriarcato di Constantinopoli riconobbe l'autocefalia della Chiesa ortodossa rumena solo nel 1885, sotto il metropolita di Bucarest. I romeni di Transilvania, che ancora faceva parte dell’Impero austriaco, rimanevano sotto il metropolita autocefalo di Sibiu e altri sotto la chiesa di Czernowitz. La Chiesa rumena divenne un Patriarcato nel 1925, con l'espansione conseguente alla creazione della grande Romania.
[modifica] Bulgaria
Il riconoscimento dell'autocefalia del Patriarcato bulgaro da parte del Patriarcato di Costantinopoli nel 927 fa della Chiesa ortodossa bulgara la più antica Chiesa ortodossa slava autocefala, la prima ad aggiungersi alla Pentarchia (i Patriarcati di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme).
Con la dominazione turca, la Bulgaria perse la sua autonomia ecclesiastica, che poté riacquistare solo nel corso del XIX secolo. Dopo la conquista turca, e specialmente nei secoli XVII e XVIII, i bulgari furono governati da vescovi greci, che imponevano loro una forzata politica di ellenizzazione. Nel corso del XIX secolo i bulgari iniziarono a pretendere non solo un clero nativo, ma anche una pari rappresentanza ai livelli più alti della gerarchia. Un insperato aiuto venne dal Sultano di Costantinopoli che nel 1870 firmò il decreto di erezione di una Chiesa nazionale bulgara autonoma, governata da un proprio esarca bulgaro, che risiedeva nella stessa Costantinopoli e governava tutti i bulgari che lo riconoscevano. La nuova situazione non era riconosciuta da nessun sinodo ortodosso. Anzi, il Patriarca Ecumenico Antimo VI radunò un sinodo a Costantinopoli, nel quale venne condannato il "filetismo" - il principio secondo il quale quando una nazione conquista l'indipendenza politica, anche la sua Chiesa acquisisce l'autocefalia - e scomunicava i bulgari. Lo scisma durò fino al 1945, quando ebbe luogo una riconciliazione con pieno riconoscimento dell'autocefalia bulgara entro i limiti dello stato bulgaro.
[modifica] Russia
A partire dallo zar Pietro il Grande (1672-1725), che aveva soppresso il Patriarcato, la Chiesa ortodossa russa fu sempre più sottomessa all’autorità e al controllo politico. Nel corso del XIX secolo, tuttavia, gli zar lasciarono sempre più mano libera alla Chiesa, delegando l’autorità e il controllo su di essa agli stessi ecclesiastici. Uno degli aspetti tipici, ma anche negativi del sistema sociale russo era la divisione legale della società russa in un rigido sistema di caste: il clero era una delle caste, e c'era poca possibilità che i figli di un prete potessero scegliere un'altra carriera.
Non mancarono persone e figure eminenti nella Chiesa russa, come, per esempio, Filarete di Mosca (1782-1867), che promosse l'istruzione cristiana, la ricerca teologica, le traduzioni bibliche e l'opera missionaria. L’organizzazione ecclesiastica delle diocesi russe prevedeva in ognuna di esse un seminario per la formazione dei preti, e eccellenti accademie teologiche (le più importanti fondate a Mosca nel 1769, a San Pietroburgo nel 1809, a Kiev nel 1819 a Kazan nel 1842). Ma fu soprattutto attraverso i monasteri e la loro spiritualità che la chiesa russa iniziò a raggiungere il ceto intellettuale. I monasteri russi furono non di rado visitati da alte personalità del mondo culturale russo, quali Nikolaj Gogol, Lev Tolstoj, e Fjodor Dostojevskij. Quest'ultimo si lasciò ispirare da queste sue visite quando descrisse nei suoi romanzi figure monastiche come Zosima nei Fratelli Karamazov.
Grazie all’influenza spirituale dei monasteri ortodossi, si sviluppò in Russia una viva teologia frutto di intellettuali laici ortodossi: tra questi si possono ricordare soprattutto Aleksej Chomjakov (1804-1860), che apparteneva al circolo slavofilo prima che questo acquisisse una valenza politica; Sergej Bulgakov (1871-1944) e Nikolaj Berdjajev (1874-1948).
L’opera e l’azione della Chiesa russa si sviluppò in particolare nel campo dell'espansione missionaria, in particolare in Asia occidentale, in Giappone e in Alaska; e nel campo scolastico. Nel 1914, la Chiesa russa includeva più di 50.000 preti, 21.000 monaci, e 73.000 monache.
Dopo il 1905, lo zar Nicola II diede la sua approvazione per la formazione di una commissione preconciliare incaricata della preparazione di un Concilio di tutta la Chiesa russa. Lo scopo dichiarato dell'assemblea era ristabilire l'indipendenza della chiesa, perduta sin dai tempi di Pietro il Grande, e alla fine restaurare il patriarcato. Questa assemblea, comunque, sarà destinata a riunirsi solo dopo la caduta dell'impero.
[modifica] Chiesa cattolica e regime liberale nel XIX secolo
Malgrado i tentativi operati dal Congresso di Vienna del 1814 di cancellare la rivoluzione francese e di ritornare all’ancien régime, come se niente fosse successo nel frattempo (cfr. Restaurazione), la società e la politica europea oramai si incamminavano verso una piena e totale autonomia dalla religione, mettendo fine a quel sistema di rapporti tra società e religione che avevano caratterizzato i secoli precedenti e che storicamente prende il nome di ancien régime.
Ora, questo nuovo fenomeno, che prende il nome di separatismo, è tipico della società occidentale, ossia di quei Paesi ove è predominante la religione cattolica e protestante, mentre nei Paesi dell’Europa orientale, dove domina la religione ortodossa, non assistiamo allo stesso fenomeno. Il principio base fondamentale è che l’ordine politico-civile-temporale e quello spirituale-religioso-soprannaturale sono non solo distinti, ma del tutto separati: Stato e Chiesa procedono per due vie che non si incontrano mai, e che non hanno alcuna relazione tra loro.
I caratteri che connotano questo nuovo rapporto tra la società liberale dell’Ottocento e la religione, e che in modi e tempi diversi da Stato a Stato si affermano nel corso del XIX e XX secolo, si possono così sintetizzare:
- affermazione dell’origine puramente umana della società e dell’autorità civile: viene cioè meno il principio, tanto caro alla Santa Sede nel corso dei secoli precedenti, dell’origine divina dell’autorità civile e della sua conseguente sottomissione all’autorità religiosa;
- affermazione che l’unità politica si fonda sull’identità di interessi politici: cioè solo la comunità politica rappresenta per tutti la garanzia e lo strumento essenziale del bene comune, non più la Chiesa, com’era nei secoli precedenti; con ciò si afferma anche una uguale libertà e dignità di tutti i cittadini all’interno della medesima comunità politica (fine delle discriminazioni per motivi religiosi: così per i cattolici in Inghilterra, per i protestanti in Francia, per gli ebrei in tutti i Paesi occidentali);
- ha termine il concetto di « religione di Stato » e si afferma la piena libertà di coscienza: con ciò si abolisce lo Stato confessionale, in quanto l’autorità politica deve avere rispetto per tutti i cittadini, qualunque sia il culto che professano; nei paesi latini, dell’Europa e del Sudamerica, questo principio significò in molti casi un’aperta ostilità alla Chiesa cattolica; in Italia il principio della religione di Stato decade solo con il Concordato del 1983;
- le leggi civili non tengono più conto delle leggi ecclesiastiche: lo Stato, in sé sovrano, non riconosce più la validità delle leggi della Chiesa e addirittura può agire o seguire principi del tutto diversi e opposti; su questo punto, le applicazioni sono vastissime: basti pensare all’abolizione delle leggi che obbligavano i sudditi alla pratica religiosa, o all’introduzione del matrimonio civile e alla conseguente legge sul divorzio, o alle leggi sulla libertà di stampa e alla conseguente abolizione delle censure ecclesiastiche (questi furono i tre campi principali di scontro tra società liberale e chiesa cattolica);
- varie attività, finora esercitate prevalentemente dalla Chiesa, vengono ora rivendicate dallo Stato; alcuni esempi: la cura dei registri dello stato civile, l’amministrazione dei cimiteri, la direzione di innumerevoli opere di carità (orfanotrofi, ospedali), e soprattutto l’istruzione dei cittadini; fu proprio sul campo scolastico che la lotta fu aspra e dura: per es., in Francia lo Stato arrivò a negare e vietare alle Congregazione religiose qualsiasi attività di insegnamento;
- fine delle immunità tipiche dell’ancien régime, di cui godeva la Chiesa, cioè di quelle esenzioni dal diritto comune, che riguardavano le cose, i luoghi, le persone; su questo campo la lotta tra Stato e Chiesa fu lunga e aspra, e molte spesso la Chiesa riusciva ad ottenere, tramite i Concordati, delle mitigazioni su questo punto (è il caso, per esempio, del Concordato con l'Austria del 1855, e del Concordato con la Spagna franchista del 1953!!); d’altro canto, e in molti casi, lo Stato rivendicava a sé la nomina dei Vescovi, negando così alla Chiesa quel diritto alla libertà che affermava risolutamente per sé.
Questi aspetti, sinteticamente delineati, si affermarono in tutti i Paesi dell’Europa, ma in tempi ed in modi diversi.
Di fronte all’affermazione del principio di separazione fra Chiesa e Stato, come reagì il mondo cattolico nel suo insieme? Vediamo affermarsi nell’Ottocento due correnti:
- i cattolici intransigenti: di fronte alle libertà moderne, che trovano la loro ragione teorica nella rivoluzione francese, l'atteggiamento della maggior parte dei cattolici è quello di un netto rifiuto: la libertà è figlia del demonio perché apre la via a innumerevoli peccati; in sé il liberalismo è perverso, dunque le sue dottrine sono da rigettarsi in blocco; il movimento dei cattolici intransigenti è chiamato anche ultramontanismo;
- i cattolici liberali; i cattolici liberali, in opposizione agli intransigenti, cercavano di capire, chiarificare ed accettare i principii del 1789; l'incontro della fede tradizionale con il nuovo clima sorto con la rivoluzione francese spingeva un gruppo sempre più crescente di ambienti cattolici a guardare in modo nuovo i rapporti tra società civile e società religiosa (vedi anche Cristianesimo liberale).
E’ in questo dibattito tra intransigenza e libertà, che il mondo cattolico dell’Ottocento si dibatté a lungo, fra aperture e chiusure, accettazioni e condanne.
[modifica] Chiesa cattolica fra tradizione e modernità
« Colpita nei suoi interessi materiali, nella libertà, e sovente nella vita dei propri preti, la Chiesa ha saputo trarre dalla persecuzione la sua purificazione; ha saputo dare dei nuovi martiri e, attraverso la loro testimonianza, acquistare nuova autorità e nuovo prestigio davanti alle coscienze » | |
(Emanuele Artom, in Rassegna Storica Toscana, 4, 1958, p. 217)
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Questa osservazione di uno storico italiano, peraltro non cattolico, delinea in poche righe la vita e l’azione della Chiesa nel corso dell’Ottocento. Certamente le condizioni della Chiesa durante tutto il XIX secolo a prima vista non appaiono delle più felici:
- l’autorità della S. Sede nella politica internazionale è quasi del tutto scomparsa: i Legati pontifici, per esempio, sono esclusi dai grandi congressi e dalla conferenza di pace di Versailles nel 1919;
- il potere temporale cessa di esistere con l’annessione al Regno d’Italia;
- gli Stati oramai ricusano la loro sanzione alle decisioni ecclesiastiche, che per lo più restano lettera morta;
- le leggi di laicizzazione privano la Chiesa dei suoi tradizionali mezzi di sussistenza;
- ma soprattutto, incolmabile sembra essere il solco che si forma tra la Chiesa cattolica e il mondo moderno:
- la società contemporanea esalta l’ideale della libertà; la Chiesa si allea invece con i regimi assoluti, o almeno ciò che resta di essi, come per es. l’Austria di Francesco Giuseppe e la Francia di Napoleone III;
- alla luce delle nuove scoperte scientifiche e storiche si formulano nuove ipotesi sull’origine dell’universo; la Chiesa guarda con sospetto alle nuove correnti della scienza e cerca di difendersi con inefficaci e oramai anacronistiche proibizioni;
- la cultura moderna si impregna di idealismo e di positivismo; il socialismo offre al proletariato un appoggio per la sua redenzione sociale ben più efficace di quello promesso dai cattolici, troppo spesso pronti solo a parlare di rassegnazione.
Questi esempi, manifestano la difficoltà della Chiesa cattolica ad accettare, nel corso dell’Ottocento, il nuovo clima storico-politico, e ad adeguarsi ad esso. Questa situazione appare evidente almeno fino al 1878, con la fine del pontificato di Pio IX.
Ma insieme alle resistenze e alle difficoltà ad abbandonare la tradizione, vi sono elementi che dicono anche novità e lento adeguamento alla modernità.
[modifica] Una Chiesa più indipendente
Le lotte condotte dalla Chiesa contro gli Stati moderni liberali (separatismo) rompono definitivamente quella stretta solidarietà che legava nell’ancien régime trono e altare, Stato e Chiesa. Alcuni esempi:
- nel gennaio 1904 Pio X condanna esplicitamente l’intromissione dei governi nella elezione del papa (Costituzione Apostolica Commissum Nobis); è la fine di ogni forma di giurisdizionalismo;
- nei primi mesi del 1905 il Papa nomina, in modo assolutamente libero e senza ingerenze statali, vari vescovi francesi; è la prima volta, almeno dai tempi di Filippo il Bello, che un pontefice può nominare vescovi senza l’autorizzazione o la diretta nomina statale;
- i due ultimi concili della Chiesa cattolica (il Vaticano I e il Vaticano II) hanno goduto di una libertà che non ha precedenti negli altri Concili della Chiesa cattolica; è significativo il fatto che al Concilio Vaticano I si decise, per la prima volta, di non invitare nessun capo di Stato cattolico (che era stato fatto fino al Concilio di Trento): il Presidente del Consiglio in Francia, l’Ollivier, annotò: « E’ la separazione della Chiesa e dello Stato, attuata dal papa stesso ». E all’inizio del Vaticano II, Giovanni XXIII ribadiva: « Non si può negare che queste nuove condizioni della vita moderna hanno almeno questo vantaggio, di aver tolto di mezzo quegli innumerevoli ostacoli, con cui un tempo i figli del secolo impedivano la libera azione della Chiesa… Non senza grande speranza e con nostro conforto vediamo che la Chiesa, oggi finalmente non soggetta a tanti ostacoli di natura profana, che si avevano nel passato, possa da questa basilica vaticana far sentire la sua voce » (dal Discorso di apertura del Vaticano II).
[modifica] Una Chiesa stretta attorno al suo capo
Più indipendente nei confronti dello Stato, la Chiesa quasi serra le file attorno al suo capo, il Papa. Nasce così e si sviluppa nel corso dell’Ottocento l’ultramontanismo, fenomeno che, se da un lato mette fine al gallicanesimo e ad ogni forma di autonomia delle Chiese nazionali, dall’altro si caratterizza per un forte accento di intransigenza. Diversi fattori hanno portato alla nascita dell’ultramontanismo, tra cui gli scritti di De Maistre e Lamennais, che esaltano le prerogative del papato e il suo influsso nella società; e l’azione dei Papi dell’Ottocento (soprattutto Pio IX), che in molte occasioni raccolgono a Roma vescovi, sacerdoti e fedeli in grandi raduni e manifestazioni pubbliche, con l’intento di resistere meglio al processo di laicizzazione della società.
Questo processo porta inevitabilmente ad una maggiore centralizzazione, cioè in pratica ad un sempre maggior intervento delle Congregazioni vaticane nella vita delle singole diocesi; ad una maggior uniformità della disciplina ecclesiastica; ad un maggior senso di appartenenza non a questa o quella chiesa locale, ma alla Chiesa del Papa, alla Chiesa di Roma.
[modifica] Il clero secolare
La situazione del clero secolare nel corso dell’Ottocento è varia ed offre caratteristiche assai diverse in America e nel vecchio continente.
Negli Stati Uniti i sacerdoti secolari rimasero a lungo inferiori ai bisogni di una popolazione in continuo aumento. Nel 1860, l’85% del clero era costituito da immigrati, di cui i vescovi facevano sempre più richiesta. Nel 1857, a Lovanio fu aperto un seminario per la preparazione di sacerdoti destinati all’America del Nord.
In America Latina, il numero dei sacerdoti era più o meno sufficiente alle esigenze e ai bisogni pastorali, ma il loro livello morale non era all’altezza della situazione. In particolare era drammatica la situazione del clero in Brasile: nelle visite ad limina al Papa, i vescovi brasiliani si lamentano dello scarso numero di preti (1 ogni diecimila abitanti) e del diffuso concubinaggio sacerdotale.
La situazione europea è totalmente diversa. Da un lato si assiste ad un calo sostanziale del numero di sacerdoti rispetto ai secoli precedenti (dovuto spesso alla fine del concetto di carriera ecclesiastica cui spesso i giovani di molte famiglie nobili o borghesi erano destinati), dall’altro la loro condizione e formazione è molto migliorata.
[modifica] Gli Istituti religiosi
Nel corso dell’Ottocento, gli Istituti religiosi offrono uno spettacolo apparentemente contraddittorio di forte crisi, ma anche di promettente sviluppo.
La crisi è dovuta alla difficoltà a rinunciare agli antichi privilegi e alla libertà di cui i religiosi dei vecchi ordini avevano goduto a lungo nei secoli precedenti. Questo è evidente nella pratica del voto di povertà, nella insufficienza della selezione e della formazione dei candidati, nelle continue beghe dei religiosi tra loro e col clero secolare. La Santa Sede intervenne in più occasioni, da un lato istituendo speciali Congregazioni vaticane per la riforma della vita religiosa; dall’altro con la pubblicazione di norme e direttive riformatrice, estese a tutti gli ordini, vecchi e nuovi.
Se da un lato abbiamo una crisi che coinvolge soprattutto gli antichi ordini religiosi, dall’altro si assiste nel corso dell’Ottocento ad un fiorire prodigioso e vertiginoso di nuove Congregazioni religiose, e soprattutto di Congregazioni religiose femminili di vita attiva, ossia di Congregazioni dedite ad opere di apostolato fuori dal convento e dalla clausura (cui erano obbligatoriamente relegate le religiose). In Italia, nel corso del XIX secolo si assiste alla nascita di 23 nuove Congregazioni religiose maschili e di ben 183 nuovi istituti religiosi femminili: la maggior parte di queste nuove Congregazioni è dedita all’assistenza agli ammalati, all’educazione, alla scuola.
[modifica] Nuove forme di apostolato dei laici
Lo storico gesuita Giacomo Martina paragona « l’ingresso dei laici nella lotta per la difesa dei diritti della Chiesa all’irrompere della donna nella vita consacrata attiva, e costituisce uno dei tratti salienti della vita del popolo di Dio nell’età posteriore alla rivoluzione francese ».
L’iniziativa di un intervento diretto del laicato cattolico nella società contemporanea e nella vita politica e sociale all’inizio è mal visto dalla Santa Sede, e considerato come una ingerenza.
In Germania, Francia e in Italia si sviluppa tutta una rete di associazioni con fini assistenziali, liturgici, culturali, sociali: nascono così le Conferenze di San Vincenzo, la Società per la Propagazione della fede, la Borromausverein per la diffusione della stampa, la Cacilienverein per il rinnovamento della musica sacra; si diffondono i Congressi Cattolici, l’Azione Cattolica, la Società della gioventù cattolica. La novità più decisiva è la nascita di veri e propri partiti politici di ispirazione cattolica, che in modi e tempi diversi da Paese a Paese, ottengono voti e siedono in Parlamento. Il più importante, nell’Ottocento, è il partito cattolico tedesco, lo Zentrum, che dopo il 1870, si libera dai caratteri prettamente confessionali; la medesima cosa in Olanda nel 1877, in Belgio nel 1863, in Austria con il partito cristiano sociale, ed in Italia con il Partito Popolare di Don Sturzo.
Tutti questi partiti politici, devono lottare da un lato contro l’integrismo, che voleva far assumere dalla gerarchia ecclesiastica la responsabilità di scelte politiche contingenti; e dall’altro contro l’aconfessionalismo assoluto, che rischiava di portare all’abbandono del fine per cui il partito era sorto. E così, appare lungimirante la scelta del capo dello Zentrum, il Windthorst, che nel 1887 si rifiutò di seguire le pressioni vaticane che volevano un appoggio al Bismarck nella speranza di ottenere migliori condizioni per la vita della Chiesa cattolica tedesca: per un partito di ispirazione cristiana, affermò il Windthorst, è necessario mantenere la propria indipendenza nelle scelte politiche concrete.
[modifica] L’azione missionaria
Un altro punto di notevole interesse e di risveglio del mondo cattolico fu l’azione missionaria, che dopo il declino del Settecento e il tracollo quasi completo con la rivoluzione francese, subì un’impennata positiva, grazie in modo particolare: al Romanticismo che, con il Chateaubriand e il suo Génie du christianisme, esaltava l’opera civilizzatrice della Chiesa; alle nuove esplorazioni, che per la prima volta fecero conoscere all’Europa l’Africa e l’Estremo Oriente; alle iniziative di vari Pontefici (in particolare Pio VII, Gregorio XVI, Pio IX e Leone XIII).
Ma fu ancora una volta dalla base che arrivò un impulso decisivo all’azione missionaria. Ricordiamo la nascita dell’Opera della Propagazione della fede di Pauline Marie Jaricot nel 1822 e il fiorire di numerose Congregazione missionarie: le Missioni Estere di Parigi (MEP), il Pontificio Istituto delle Missioni Estere di Milano (PIME), l’Istituto per le missioni africane (Comboniani), i Saveriani di Parma, i Padri Bianchi del Card. Lavigerie, i Missionari di Scheut in Belgio, i Missionari di Mill Hill in Inghilterra, la Società del Verbo Divino in Olanda. A queste vanno aggiunte tutte le Congregazioni religiose sorte in questo periodo non necessariamente dedite alle missioni, ma che fecero di questo campo uno dei loro punti principali: tra queste ricordiamo soprattutto i Salesiani di Don Bosco.
Gli sforzi missionari si diressero soprattutto in Africa, continente che possiamo dire venne scoperto nell’Ottocento, e nell’Estremo Oriente, in particolare in Cina, Giappone, Indocina e Oceania. Non va comunque dimenticato che le missioni del XIX secolo risentono ancora, nella mentalità e nella prassi, delle caratteristiche tipiche dell’ancien régime: l’evangelizzazione è ancora legata all’appoggio dei governi europei e all’europeizzazione, è fondata su una teologia oramai superata, fonda la possibilità di salvezza nella sola appartenenza alla Chiesa visibile, misconosce in molti casi gli autentici valori delle religioni orientali. Inoltre, certi retaggi del passato sono ancora difficili da superare: è il caso della Chiesa del Brasile, dove, ancora a metà dell’Ottocento, vigeva la schiavitù a cui aderivano anche le istituzioni ecclesiastiche (per esempio, una donna poteva essere affrancata solo se dava 5 figli maschi al convento di cui era schiava!).
[modifica] Chiesa cattolica e Questione Romana
Per approfondire, vedi la voce Questione Romana. |
La Questione romana è la controversia politica relativa al ruolo di Roma, sede del Potere temporale del Papa ma, al contempo, capitale naturale d’Italia. La controversia sorge con il Risorgimento italiano, a cui si contrappone il Papato, che considerava il potere temporale essenziale per la sua sopravvivenza. L’intransigenza papale sulla questione romana ebbe come conseguenza un forte incremento dell'anticlericalismo; la mancanza dei cattolici dalla vita politica nazionale e dunque una tendenza laicista del governo nei confronti della Chiesa; il fatto che l'Italia, per almeno trent'anni, fu spaccata in due (cfr. lo storico steccato), e questo portò a considerare sempre negativamente tutto ciò che avveniva nel campo non confessionale (anche quello che di buono c'era: una delle cause della crisi modernista).
[modifica] Pio IX e la Questione Romana
L'avvento al soglio pontificio di Pio IX nel 1846 aveva suscitato speranze di una conciliazione tra il papato e le aspirazioni nazionali, soprattutto dopo l'introduzione nello Stato Pontificio di riforme che non usavano gli schemi del dispotismo illuminato (amnistia per i reati politici, moderata libertà di stampa, creazione di un consiglio di ministri, di una guardia civica, prudente e limitata ammissione dei laici al governo, concessione di una carta costituzionale). Nasce il mito di Pio IX, papa liberale ed antiaustriaco.
Ma lo scoppio della prima guerra d'indipendenza contro l'Austria obbliga il Papa a chiarire le sue posizioni: nell'allocuzione del 29 aprile 1848, egli dichiara di non poter partecipare ad una guerra contro l'Austria perché inconciliabile coi suoi doveri di capo della Chiesa universale (e nella redazione ufficiale scompare il tono filoitaliano presente nella minuta). Pur non condannando la guerra all'Austria e non vietando ai sudditi pontifici di partecipare, a titolo personale, alla guerra, l'allocuzione sferzò l'entusiasmo di molti italiani, che gridarono al tradimento.
La situazione precipita: il 15 novembre 1848 viene ucciso Pellegrino Rossi; il 16 scoppia una rivolta ed il 24 Pio IX è costretto a fuggire a Gaeta. Ritorna a Roma solo nell'aprile del 1850, dopo che le truppe francesi avevano sconfitto le truppe della neonata Repubblica romana. Tutti questi avvenimenti rafforzarono nel Papa la diffidenza verso il liberalismo.
Il biennio 1859-1861 vede la nascita del Regno d'Italia con la sottrazione di una parte notevole dello Stato Pontificio. Pio IX scomunica gli usurpatori, mentre Cavour propone al Papa la rinunzia a Roma proponendo la libertà alla Chiesa mediante la separazione dei due poteri. Ma il papa si chiude in una sempre più forte intransigenza, aumentando il solco tra coscienza nazionale e coscienza religiosa.
Pio IX aveva sempre sperato nell'aiuto delle potenze cattoliche, specialmente della Francia. Ma il 15 settembre 1864, una convenzione tra Napoleone III e il governo italiano portava al ritiro delle truppe francesi da Roma con la rassicurazione italiana di rispettare i resti del potere temporale papale. In seguito, la sconfitta francese contro i prussiani e la caduta di Napoleone, permette al governo italiano di occupare Roma, il 20 settembre 1870, e di mettere fine al secolare Stato Pontificio.
Il 13 maggio 1871, con la Legge delle Guarentigie, lo Stato italiano, unilateralmente non riconosceva al papa nessuna sovranità, ma gli prometteva onori sovrani, l'uso (non la proprietà) del Vaticano; lo Stato poi rinunziava alla nomina dei vescovi (pur mantenendo l'exequatur e non riconoscendo i religiosi). Pio IX respingeva tutte queste decisioni ed anche la somma annua garantitagli dallo Stato, vedendo in esso solo un usurpatore dei diritti papali.
[modifica] La Questione Romana dopo il 1870
Dopo il 1870 possiamo distinguere due periodi diversi circa i rapporti tra S. Sede e Stato Italiano.
Il Pontificato di Leone XIII è caratterizzato da un inasprimento dei rapporti, con un crescente anticlericalismo e la contrapposta intransigenza cattolica. Sulla questione romana la posizioni restavano immutate: per i liberali la legge delle guarentigie aveva risolto definitivamente il problema, mentre i cattolici auspicavano il ristabilimento del potere temporale, come condizione indispensabile per il libero esercizio dell'autorità papale (almeno a Roma, così la pensava anche Leone XIII). Continuava invece il Non expedit (« non conveniva ») vaticano sulla astensione dei cattolici dalla vita politica (mentre era possibile la partecipazione alle elezioni amministrative). Autoesclusi dalla partecipazione diretta alla vita politica, i cattolici si raccolsero in movimenti di opposizione fuori dal parlamento (confluiti poi nell’Opera dei Congressi).
I pontificati di Pio X, di Benedetto XV e di Pio XI (cioè i primi tre decenni del XX secolo) videro invece la distensione ed un graduale riavvicinamento. Infatti le affermazioni politiche dei socialisti provocarono l'alleanza tra cattolici e liberali moderati (Giolitti) in molte elezioni amministrative, alleanza detta clerico-moderatismo. Segno di questi mutamenti è l'enciclica del 1904 Il Fermo Proposito, che se conservava il non expedit, ne permetteva tuttavia larghe eccezioni, che poi si moltiplicarono: vari cattolici così entrarono in parlamento, anche se solo a titolo personale.
Nel 1913, con il Patto Gentiloni, si ebbe la vittoria del cosiddetto clerico-moderatismo, che permise ai cattolici di partecipare alle elezioni politiche. I cattolici dettero voti ai candidati liberali che avevano aderito ad alcuni punti programmatici (libertà della scuola, opposizione al divorzio, ecc.); a loro volta i liberali promettevano l'appoggio a qualche candidato cattolico. Sulla questione romana le pretese territoriali vennero sempre di più a scemare; il problema si riduceva ormai alla ricerca di condizioni giuridiche che assicurassero al papa un’indipendenza effettiva e palese.
Nel 1919 abbiamo l'abrogazione ufficiale del Non expedit, già morto da tempo, e la fondazione del Partito Popolare, vagheggiato già nel 1905 da Don Sturzo come partito di ispirazione cattolica, ma aconfessionale, indipendente dalla gerarchia nelle sue scelte politiche.
[modifica] I Patti Lateranensi
Per approfondire, vedi la voce Patti Lateranensi. |
Già nel giugno del 1919, a Parigi, alla conferenza di pace dopo la prima guerra mondiale, ci fu un colloquio tra il Cerretti, uno dei migliori diplomatici vaticani, e il presidente del consiglio Orlando. Viva fu l'opposizione di Vittorio Emanuele III, che dichiarò che sarebbe stato meglio abdicare piuttosto che trattare con la Chiesa. Ciò che non riuscì con il regime liberale (ormai agonizzante) riuscì invece con il regime fascista di Mussolini.
La conciliazione tra Stato e S. Sede, già raggiunta a livello di coscienze e sul piano politico, mancava ancora di un riconoscimento giuridico. Tra il 1925 e il 1926 una commissione mista fu incaricata di esaminare la questione delle proprietà ecclesiastiche. Ma nel 1926, in una lettera al Card. Gasparri Segretario di Stato, Pio XI dichiarava che non si poteva trattare questioni secondarie quando era ancora insoluto il problema essenziale: la questione romana. Era un chiaro invito ad iniziare trattative in materia. Iniziarono così i primi sondaggi e le prime trattative ufficiose tra mons. Francesco Pacelli e il giurista Barone, alla cui morte succedette lo stesso Mussolini (con il giurista Rocco).
Nel novembre del 1928 iniziarono le trattative ufficiali che toccarono momenti drammatici. Per due volte, gennaio 1927 ed aprile 1928, i colloqui si interruppero per le pretese fasciste di monopolio sull'educazione giovanile. L'intransigenza di Pio XI indusse Mussolini a parziali concessioni, permettendo associazioni cattoliche educative-pastorali (l’Azione Cattolica).
Si susseguono vari schemi che rispondono a tre postulati della S. Sede: costituzione di un autentico Stato (pur se ridotto territorialmente), compensi finanziari, concordato. Il governo italiano a fatica accettò il primo punto: infatti solo con la morte del Barone, sostenitore della tesi che la sovranità papale si scontrava con le tradizioni risorgimentali e con la mentalità liberale, il Vaticano riuscì a far accettare il primo punto. Per quanto riguarda il concordato più laboriose furono le discussioni (Pio XI si mostrò più energico su questo punto che non sul primo). Le richieste iniziali della S. Sede erano molto vaste e comprendevano soprattutto: cattolicesimo come religione di Stato; ripristino della religione nelle scuole medie superiori; riconoscimento civile del sacramento del matrimonio; riconoscimento degli ordini religiosi.
Si arrivò così alla firma dei Patti l’11 febbraio 1929 tra il Card. Gasparri e Mussolini nel palazzo Laterano. Essi abbracciano: un Trattato, un Concordato ed una Convenzione Finanziaria. La questione romana, dopo 70 anni, era così definitivamente chiusa.
[modifica] Chiesa cattolica e Questione sociale
L’immenso progresso tecnico, industriale e commerciale nell’Europa dell’Ottocento e dei primi del Novecento è accompagnato da notevoli problemi di carattere sociale e psicologico e da una diffusa disuguaglianza: ossia la concentrazione di ingenti ricchezze nelle mani di pochi imprenditori e « al giogo poco men che servile imposto da una esigua minoranza di straricchi all’infinita moltitudine di proletari » (Leone XIII, Rerum Novarum n. 2). Al benessere di pochi fa da contraltare il malessere, il degrado, la miseria dei lavoratori:
- orari di lavoro impossibili;
- arruolamento indiscriminato di donne e bambini, anche in tenera età;
- mancanza di ogni sicurezza di fronte a infortuni e malattie;
- salari appena sufficienti al singolo operaio, non alla sua famiglia;
- mancanza di igiene sul posto di lavoro e nelle abitazioni dei lavoratori;
- esclusione assoluta della classe operaia da ogni decisione in ambito lavorativo.
Ben presto, di fronte al ripetersi sempre più frequente di tumulti e insurrezioni operaie (1831 e 1848), iniziano a diffondersi le prime idee sociali e i primi tentativi di risolvere quella che è passata alla storia come “questione sociale”.
Senza entrare nel merito della genesi e delle cause della questione sociale, e rimandando alle voci proprie relative ai primi e importanti tentativi, a livello teorico, di dare una risposta ai problemi e alle esigenze della classe operaia (Saint-Simon, Fourier, Pierre Proudhon, Karl Marx), in questo capitolo tentiamo una sintesi delle posizioni cattoliche di fronte alla questione sociale. [2]
[modifica] Il lento risveglio dei cattolici di fronte al problema
In generale i cattolici solo con un certo ritardo presero coscienza della questione sociale, e fra essi si svilupparono due tendenze, che persistettero l’una accanto all’altra per oltre un secolo:
- da una parte troviamo posizioni che esortavano alla rassegnazione, alla pazienza, all’accettazione della povertà; posizioni accompagnate da un minimo di azione, limitata però al solo campo assistenziale-caritativo; restava infatti il principio che l’operaio non ha diritti e non può rovesciare l’ordine costituito (forte è la paura del socialismo e delle sue idee);
- dall’altra parte assistiamo nel corso dell’Ottocento anche ad una lenta maturazione, che porta da un’azione a favore della classe operaia di stampo unicamente assistenziale-caritativo e paternalistico ad un’azione propriamente sociale, col riconoscimento dei diritti dell’operaio e della difesa collettiva di questi diritti. Per esempio, prova di questa lenta maturazione è in Italia il diverso nome che assunse la seconda sezione dell’Opera dei Congressi, dedicata ai problemi sociali: si passa da “sezione della carità” (1874), a “sezione della carità ed economia cattolica” (1879), per arrivare a “sezione dell’economia sociale cristiana” (1887).
[modifica] La linea conservatrice
Per buona parte dell’Ottocento i cattolici condivisero per lo più i sentimenti della borghesia sulla ineluttabilità delle leggi economiche e sulla fatalità della miseria che accompagna l’umanità in tutta la sua storia: cambiare questa situazione è pura utopia. Molti e diversi i fattori che portavano a queste posizioni: la mentalità ancora dominante in ambito cattolico dell’ancien régime e della sua economia chiusa; la paura delle rivolte e delle sue conseguenze; una mentalità fondamentalmente aristocratica e conservatrice di molti cattolici; la paura dello “spettro” del comunismo; una lettura puramente teologica e spiritualista del messaggio cristiano della croce, dell’accettazione delle sofferenze sull’esempio di Cristo, dell’attesa di una giustizia ultraterrena.
I documenti dei Papi e gli scritti cattolici più o meno scientifici che si muovono in questa linea, sono preoccupati di tre cose: difendere la proprietà privata; condannare in blocco le opere e le idee dei socialisti senza un adeguato e accurato esame delle singole posizioni; esortare la classe operaia alla rassegnazione.
Pio IX, nella sua enciclica programmatica Qui pluribus del 1846 condanna il socialismo e il comunismo (ribadita nella Quanta Cura e nel Sillabo del 1864), ma insieme critica fortemente l’amoralismo economico e la negazione di ogni diritto naturale.
Leone XIII non si allontana inizialmente da queste posizioni:
- nella Quod Apostolici Muneris (1878) condanna ancora una volta il socialismo, riafferma il diritto di proprietà, raccomanda ai ricchi di dare ai poveri il superfluo, e raccomanda ai poveri di frenare le ambizioni e di custodire l’ordine stabilito: « Cristo incalza i ricchi col gravissimo precetto di dare ai poveri il superfluo, e li spaventa intimando loro il giudizio divino, secondo il quale se non verranno in aiuto dell’indigenza saranno puniti con eterni supplizi. Da ultimo ricrea e conforta considerevolmente gli animi dei poveri sia proponendo l’esempio di Cristo il quale, essendo ricco, si fece povero per noi (2Cor 8,9), sia ripetendo quelle parole di Lui, con le quali chiama i poveri beati, e comanda loro di sperare i premi dell’eterna beatitudine… Che [tutti] prestino ossequio all’autorità dei Principi e delle leggi, e che, frenate le cupidigie, custodiscano gelosamente l’ordine stabilito da Dio nella civile e nella domestica società »;
- idee analoghe appaiono nella Auspicato Concessum: « La difficoltà che travaglia le menti degli uomini di governo sul modo di equamente comporre le ragioni dei ricchi e dei poveri, resta mirabilmente sciolta una volta che sia scolpita negli animi la persuasione che la povertà non è per se stessa spregevole: occorre che il ricco sia caritatevole e munifico; che il povero sia rassegnato e attivo, e poiché nessuno dei due è nato per i mutabili beni della terra, gli uni con la sofferenza, gli altri con la liberalità si procurino di raggiungere il cielo »;
- infine nell’enciclica Graves de Communi Re (1901), il Pontefice limita il concetto di democrazia a « benefica azione cristiana a favore del popolo », cioè la colloca fuori da ogni prospettiva e azione politica.
[modifica] La linea sociale
Accanto alla linea conservatrice, si sviluppa pian piano un atteggiamento diverso, più propositivo e costruttivo.
- Il sistema caritativo-assistenziale
Inizialmente, assistiamo alla nascita di diverse organizzazioni cattoliche assistenziali e caritative (per esempio le Conferenze di San Vincenzo de Paoli, fondate dall’Ozanam a Parigi nel 1833; la Società di San Francesco Saverio nata nel 1840; le Gesellenverein, associazioni di apprendisti, fondate in Germania dal sacerdote Adolf Kolping nel 1847; da non sottovalutare poi le azioni caritative del Cottolengo e di Don Bosco a Torino), che però erano ancora limitate da una mentalità paternalistica. Sul piano teorico, non mancano le prime denunzie della situazione della classe operaia ed in genere dei problemi legati alla questione sociale e i primi tentativi di soluzione. Ricordiamo solo alcuni esempi:
- nel corso del 1848, sulla rivista cattolica francese « Ere nouvelle », autori come Lacordaire, Maret, Ozanam tracciano un programma sociale che desta scandalo fra i benpensanti: parlano di legislazione a difesa dell’infanzia, della malattia, della vecchiaia; di associazionismo operaio; di comitati misti padroni-lavoratori per comporre le vertenze in ambito lavorativo; si riconosce un diritto al lavoro, che appare alla borghesia come una follia.
- all’inizio degli anni ’50 dell’Ottocento, sulla rivista romana dei Gesuiti « Civiltà Cattolica », appaiono con sempre più frequenza articoli che, se da un lato manifestano ancora un forte tono paternalistico, dall’altro individuano i principi per una soluzione della questione sociale: subordinazione dell’economia alla morale, perché l’amoralismo economico porta necessariamente all’oppressione dei deboli; affermazione della funzione sociale della proprietà privata; necessità dell’intervento statale nelle questioni economiche; importanza dell’associazionismo professionale.
- di notevole spessore infine i discorsi e gli scritti del Vescovo di Magonza, Emmanuel von Ketteler, eletto poi deputato nel Reichstag, che insiste sulla necessità per la Chiesa di intervenire nella questione sociale perché essa è anche una questione morale, e sull’urgenza per lo Stato di interessarsi delle classi operaie, aiutandole ad organizzarsi e a proteggersi contro ogni iniquo sfruttamento.
- L’intensificazione del movimento cattolico
La rivolta parigina del 1871, cambiò radicalmente la situazione intensificando il movimento cattolico, giustificato, da un lato dalla paura ora effettiva di ciò che il malessere sociale poteva causare, dall’altro dalla paura di perdere le masse sempre più attratte dal socialismo.
- In Austria, le idee del von Ketteler furono riprese da Karl von Vogelsang, che nelle tesi di Haid (pubblicate nel 1883) si orientava verso un deciso corporativismo.
- In Francia, abbiamo da una parte la linea conservatrice della scuola di Angers guidata dal suo Vescovo mons. Freppel; dall’altra una linea socialmente più aperta, i cui maggiori esponenti furono René de La Tour du Pin, Albert de Mun e l’industriale Léon Harmel.
- In Belgio prevale la linea conservatrice, difesa dal professore di economia politica di Lovanio, Charles Périn.
- In Italia, abbiamo la nascita dell’Opera dei Congressi, la cui seconda sezione prenderà nel 1887 il nome di “sezione dell’economia sociale cristiana”. Si sviluppano nello stesso tempo studi teorici sull’argomento: dopo il 1889 si organizza l’Unione cattolica per gli studi sociali diretta da Giuseppe Toniolo; a Roma il gesuita p. Liberatore pubblicava i suoi Elementi di economia politica sotto lo stimolo e la guida dello stesso Pontefice Leone XIII.
- Negli Stati Uniti, il card. Gibbons difende i Cavalieri del Lavoro, uno tra i primi sindacati cristiani (1869) composto di soli operai, e approvato dal Sant’Uffizio nel 1888.
- In Inghilterra, il card. Manning scende direttamente in piazza per difendere i diritti dei lavoratori irlandesi (1874 e 1889).
- In Svizzera, attorno a mons. Mermillod, vescovo di Ginevra, si raccoglie verso il 1884 l’Unione di Friburgo, che vede a confronto studiosi cattolici francesi, italiani, tedeschi, austriaci e belgi.
- I punti di discussione
Ormai i cattolici si convincono sempre più dell’insufficienza del sistema caritativo-assistenziale, ma non riescono ancora a trovare una strada univoca per quanto riguarda i tre principali punti di discussione, che animarono gli interventi negli anni precedenti la Rerum Novarum, ossia: l’associazionismo operaio, l’intervento statale, la determinazione del giusto salario.
- L’associazionismo operaio. Per i più, era impensabile una associazione professionale composta di soli operai (sindacati semplici), perché si respingeva l’idea che le classi lavoratrici potessero da sole difendere i loro diritti e realizzare le loro aspirazioni; e perché una tale associazione si contrapponeva, logicamente, alle associazioni composte di soli padroni, fomentando così quella lotta di classe auspicata dai socialisti, ma aborrita dal mondo cattolico. In questo modo, prevalse l’idea di associazioni o sindacati misti di operai e padroni, sullo schema delle antiche corporazioni, dove assieme si discutevano i problemi e assieme si trovava una soluzione. Questa linea mancava di un sufficiente realismo, dando per scontato il superamento dell’egoismo che avrebbe ostacolato ogni discussione pacifica.
- L’intervento statale. Su questo punto le posizioni cattoliche furono assai divergenti, soprattutto sui contenuti e le modalità di intervento statale. Nel congresso cattolico di Liegi del 1890 si raggiunse un compromesso: era riconosciuto legittimo l’intervento statale ma solo per regolare gli orari di lavoro, non per determinare il salario.
- Il giusto salario. Anche in questo campo, le posizioni cattoliche erano divergenti e assai diversificate: da un lato si affermava che la determinazione del salario dipendeva solo dal lavoro (domanda-offerta) e non dai bisogni del lavoratore; dall’altro si affermava che un salario giusto doveva tener conto non solo delle esigenze dell’operaio, ma anche della sua famiglia.
Tutte queste discussioni offrirono a Papa Leone XIII un ampio materiale su cui riflettere e prepararono così il suo intervento decisivo, l’enciclica Rerum Novarum del 15 maggio 1891.
[modifica] La Rerum Novarum
Per approfondire, vedi le voci Rerum Novarum e Dottrina sociale della Chiesa cattolica. |
L’intervento di Leone XIII, che raccoglie il frutto di quasi un cinquantennio di studi, riflessioni e discussioni in ambito cattolico, segna una svolta nella posizione cattolica nei confronti della questione sociale.
L’insegnamento del Papa si può riassumere in quattro punti essenziali:
- è ribadito il diritto naturale della proprietà privata, ma ne è sottolineata anche la funzione sociale;
- è attribuito allo Stato il compito di promuovere la prosperità pubblica e privata, con il netto superamento dell’assenteismo statale tipico del liberismo; ma insieme all’azione statale sono posti dei limiti, dovuti al carattere di supplenza del suo intervento;
- il Papa ricorda agli operai i loro doveri nei confronti degli imprenditori, ma insieme afferma che ad essi, per stretta giustizia, è dovuto un giusto salario che permetta loro un tenore di vita che sia veramente umano, superando così una concezione puramente economica del lavoro;
- infine il Pontefice condanna la lotta di classe, ma assieme afferma la necessità per i lavoratori di riunirsi per difendere i loro diritti, anche in associazioni formate esclusivamente da operai.
Fu proprio quest’ultimo punto a suscitare le discussioni maggiori: il Papa ammetteva il diritto per gli operai di riunirsi, ma non specificava in alcun modo se le associazioni di soli operai dovevano improntarsi allo stile delle corporazioni già viste nei secoli precedenti, o se piuttosto ai sindacati moderni.
[modifica] Il Modernismo
Per approfondire, vedi la voce Modernismo teologico. |
Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo si sviluppò in ambito cattolico un movimento di pensiero teso al rinnovamento e alla riforma del cattolicesimo, arroccato ormai su posizioni vecchie e distanti dalle istanze positive del mondo moderno. L’intento di questo movimento era di conciliare, quando possibile, la cultura cattolica con le scienze moderne, mettendo fine allo scontro “culturale” tra scienza e fede, stato e chiesa, modernità e tradizione. Gli ambiti privilegiati in cui si muoveva il movimento modernista erano la filosofia, la teologia (soprattutto i dogmi), la storia ecclesiastica, l’esegesi biblica, l’ambito sociale.
La diffusione in ambito cattolico di un senso di disagio ed insieme di un bisogno di aggiornamento, presentava tutta una gamma di atteggiamenti e di posizioni, che variavano da un autentico bisogno di riforma, nel rispetto della fede, ad un desiderio di cambiare che andava oltre, fino a raggiungere posizioni eterodosse, lontana da una fede autentica e da un genuino senso di chiesa. Ed è così che accanto a personaggi autorevoli, desiderosi di una riforma e di un vero aggiornamento della Chiesa cattolica, nella fedeltà a Roma ma insieme nel desiderio di rispondere alle nuove esigenze dei tempi, troviamo anche molti studiosi che, nelle loro speculazioni e nei loro atteggiamenti, finirono per alienarsi le autorità ecclesiastiche fino ad abbandonare la Chiesa o ad esserne esclusi. Tra i maggiori rappresentanti del modernismo, quasi tutti sacerdoti cattolici, si ricordano soprattutto quelli che poi finirono per rompere con la Chiesa: Alfred Loisy, George Tyrrell, Ernesto Buonaiuti, Romolo Murri.
La Santa Sede e Pio X intervennero duramente contro questo movimento, e senza distinguere tra posizioni estremiste e ala moderata, condannarono tutto e tutti senza distinzione. Con il decreto Lamentabili la Congregazione dell’Indice condannò, nel luglio 1907, 65 proposizioni moderniste, per lo più tratte dalle opere del Loisy. Nel settembre dello stesso anno, Pio X, con l’enciclica Pascendi Dominici Gregis, condanna il modernismo come « la sintesi di tutte le eresie ». A novembre, col Motu Proprio Praestantia Sententiae Pio X comminava la scomunica a chiunque si opponesse all’enciclica. Ed infine, nel 1910, col Motu Proprio Sacrorum Antistitum il Papa imponeva a tutti i chierici il Giuramento antimodernista, proibendo nei seminari la lettura di qualsiasi giornale.
[modifica] Cristianesimo e pensiero contemporaneo
Con la Riforma protestante la cristianità occidentale si sviluppò secondi tre direttrici principali: il Cattolicesimo romano (nei termini definiti al Concilio di Trento), il Luteranesimo (nei termini definiti nella Confessione augustana e nella Formula di concordia) e il Calvinismo (nei termini definiti nel Catechismo di Heidelberg e nella Confessione di Westminster). Per gran parte del periodo che va dal XVI secolo al XIX secolo il dibattito teologico si svolse principalmente all'interno di queste confessioni — fu il periodo della cosiddetta "teologia confessionale". Nel corso di questi ultimi due secoli la situazione ha subito un notevole mutamento.
[modifica] Razionalismo
Per approfondire, vedi la voce Razionalismo. |
In modo circoscritto nel Seicento, ma su scala molto più vasta durante il Settecento, il cristianesimo cominciò a essere messo in discussione in nome della ragione. Con il deismo l'attacco prese le forme di una critica al concetto di Divinità e alla religione. Nell'Ottocento l'ateismo e l'agnosticismo (termine coniato da T.H. Huxley nel 1870) divennero per la prima volta parole comuni nell'Occidente cristiano.
La fiducia nel potere della ragione ha avuto i suoi alti e bassi nel mondo moderno, ma la polemica fede/ragione,[3] in varie forme, ha caratterizzato un'epoca in cui sono state messe in discussione tutte le autorità tradizionali, non soltanto quelle cristiane.
Ciò ha comportato, in ambito cattolico, l'arroccamento della Chiesa sulle posizioni del tomismo (neoscolastica), e in generale in ambito cristiano il diffondersi di posizioni ultraortodosse, tese a rifiutare qualsiasi approccio scientifico allo studio della teologia e dei testi biblici, ritenendo ciò una minaccia per la fede.
[modifica] Scienza e fede
La scienza moderna spuntò nel XVII secolo su un terreno irrigato dal cristianesimo. Se da un lato le reali scoperte scientifiche hanno avuto pochissima rilevanza nel confermare o smentire il cristianesimo, la scienza moderna ha influito su di esso in vari altri modi. Il metodo scientifico comporta la verifica di ogni affermazione e il rifiuto di qualunque autorità che si ponga al di sopra della critica. Avendo riscontrato un enorme successo nel campo della conoscenza, tale metodo ha di conseguenza incoraggiato un atteggiamento analogo anche in campo religioso, con esiti inevitabilmente polemici che ritroviamo ancora fino ad oggi: alcuni consideravano le credenze religiose definitivamente superate dalla conoscenza scientifica, altri negavano le scoperte scientifiche in nome della inerranza biblica (es. oggi i cristani creazionisti), altri infine intendevano mantenere fede e ragione non sullo stesso piano come antagoniste, ma su piani diversi, per cui esse non si negano vicendevolmente.
La scienza moderna, attraverso le conquiste tecnologiche ha trasformato la vita di miliardi di persone, modificando il senso di dipendenza dell'uomo da Dio. A questo proposito sono famose le parole del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer sul "Dio tappabuchi":
« Per me è nuovamente evidente che non dobbiamo attribuire a Dio il ruolo di tappabuchi nei confronti dell'incompletezza delle nostre conoscenze; se infatti i limiti della conoscenza continueranno ad allargarsi - il che è oggettivamente inevitabile - con essi anche Dio viene continuamente sospinto via, e di conseguenza si trova in una continua ritirata. Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo; Dio vuole esser colto da noi non nelle questioni irrisolte, ma in quelle risolte. Questo vale per la relazione tra Dio e la conoscenza scientifica. Ma vale anche per le questioni umane in generale, quelle della morte, della sofferenza e della colpa. Oggi le cose stanno in modo tale che anche per simili questioni esistono delle risposte umane che possono prescindere completamente da Dio. Gli uomini di fatto vengono a capo di queste domande - e così è stato in ogni tempo - anche senza Dio, ed è semplicemente falso che solo il cristianesimo abbia una soluzione per loro. Per quel che riguarda il concetto di "soluzione", le risposte cristiane sono invece poco (o tanto) cogenti esattamente quanto le altre soluzioni possibili. Anche qui, Dio non è un tappabuchi; Dio non deve essere riconosciuto solamente ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro della vita; Dio vuole essere riconosciuto nella vita, e non solamente nel morire; nella salute e nella forza, e non solamente nella sofferenza; nell'agire, e non solamente nel peccato. La ragione di tutto questo sta nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo - Egli è il centro della vita, e non è affatto " venuto apposta " per rispondere a questioni irrisolte. » | |
(Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e Resa)
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[modifica] Critica storica
Nel XIX secolo si sviluppò la critica storica, cioè, approccio alla storia basato sul rigore scientifico: lo storico critico non ragiona più in termini di autorità, che raramente potrebbero essere messe in discussione, bensì di fonti, che devono essere analizzate e provate per poter essere tenute in considerazione come tali. Questo tipo di metodo è stato applicato anche alla Bibbia, considerata non più come un'autorità da accettare, ma come una fonte da analizzare con strumenti scientifici.
Anche la storia della dottrina cristiana è stata vagliata in modo sistematico, per metterne in luce i cambiamenti verificatisi nel corso dei secoli.
[modifica] Laicità
Per approfondire, vedi la voce Laicità. |
Nel mondo occidentale la società si fonda su presupposti che prescindono da dottrine religiose: la religione viene considerata una questione di scelta personale; questa evoluzione, ancora in corso e non priva di contraddizioni, nasce in un contesto sociale caratterizzato dal pluralismo culturale e religioso.
All'interno di questo contesto, nel quale non è più necessario che una religione o una confessione per sopravvivere debba combattere le altre, è divenuto praticabile un dialogo tra i credenti di diverse confessioni che in precedenza era molto più difficile. Restano comunque alcune rigidità, rappresentate dalle dottrine che ritengono la laicità delle istituzioni civili un attentato alla propria religione, ritenuta la sola rivelata, vera e infallibile. Questo approccio è presente nell'ambito di diverse denominazioni, cristiane e non cristiane.
Nonostante permangano sostanziali differenze dottrinali tra le diverse confessioni cristiane, i teologi contemporanei si occupano sempre meno di contrasti fra confessioni diverse. Atteggiamenti simili si riscontrano trasversalmente alle denominazioni, unendo talora protestanti e cattolici nel condividere alcune impostazioni (ad esempio, per alcuni l'accento sull'esperienza carismatica, la lettura letteralistica o integralista, il creazionismo ecc., per altri la teologia della liberazione, l'approccio esegetico non integralista, il pacifismo) che non sono invece unanimemente condivise all'interno delle rispettive denominazioni.
[modifica] Quadro storico
[modifica] Note
- ^ Martina, La Chiesa nell’età della Riforma, p. 44.
- ^ Cfr. G. Martina, La chiesa e la questione sociale, in id., La chiesa nell’età del totalitarismo, Morcelliana, Brescia 1989, pp. 20-61.
- ^ Per l'attuale posizione cattolica al riguardo vedi anche l'enciclica Fides et Ratio del 1998
[modifica] Bibliografia
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- Alberto Torresani, Storia della Chiesa. Dalla comunità di Gerusalemme al giubileo 2000, Ares, Milano, 1999, ISBN 88-8155-175-6
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- Bilhmeyer-Tuchle, Storia della Chiesa, 4 volumi, Morcelliana 1982.
- Lortz, Storia della Chiesa in prospettiva di storia delle idee, 2 volumi, San Paolo Edizioni 1987.
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- Ricardo Garcia Villoslada, Le radici storiche del luteranesimo, Morcelliana, Brescia 1979
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- P. Scoppola, La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, Bari 1973
- R. Mori, La questione romana 1861-1865, Firenze 1963
- R. Mori, Il tramonto del potere temporale 1866-1870, Roma 1967
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- A. Gambasin, Il movimento sociale nell’Opera dei Congressi, Roma 1958
- G. De Rosa, Il movimento cattolico in Italia. Dalla restaurazione all’età giolittiana, Bari 1976
- G. Maggi, I giovani cattolici e la questione sociale (1867-1874), Roma 1980
- G. M. Guazzetti, Il Movimento Cattolico Italiano dall’unità ad oggi, Napoli 1980
- P. Pombeni, Socialismo e cristianesimo (1815-1975), Brescia
[modifica] Collegamenti esterni
[modifica] Fonti
- Reti Medievali
- Raccolta di fonti circa la predicazione e la vita religiosa nella società italiana (da Carlo Magno alla Controriforma)
- Raccolta di fonti sui rapporti tra Stato e società nell'ancien régime
- Antologia delle fonti altomedievali
- Concili Ecumenici
- Magistero Pontificio
- Simboli e dichiarazioni sulla fede cattolica
[modifica] Dizionari
- Atlante Storico online: sito ricchissimo di dati e mappe storiche
- Dizionario di Storiografia
- Dizionario di Storia Antica e Medievale
- Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea
- Le Dictionaire Historique et critique de Bayle (1697) - in francese
[modifica] Storia
- Studi sul cristianesimo e le sue origini
- Appunti di storia della Chiesa riformata
- Le Chiese protestanti in Italia
- Storia della Chiesa Ortodossa
- Storia della Chiesa Ortodossa Russa
- Storia dei Pontefici 1
- Eresie medievali
- Temi di storia della Chiesa cattolica
- Pagine cattoliche dedicate alla storia della Chiesa
[modifica] Siti Monografici
- Impero Bizantino: storia, cultura, religione
- I Normanni, popolo europeo
- Carlo Magno
- Federico II di Svevia
- Papa Pio IX
[modifica] Voci correlate
[modifica] Epoca Antica
- Origini del Cristianesimo
- Storia del Cristianesimo nel I secolo
- Storia del Cristianesimo tra II e III secolo
- Eresie dei primi secoli
- Nascita e sviluppo del cristianesimo
- Diffusione del cristianesimo in epoca pre-costantiniana
- Storia del Cristianesimo tra III e IV secolo
- Persecuzione dei cristiani nell'impero romano
- Padri della Chiesa
- Padri del deserto
- Monaci, Cenobiti, Anacoreti, Eremiti
- Le eresie tra III e IV secolo: Arianesimo, Donatismo
- I Concili ecumenici del IV secolo: Nicea I (325) e Costantinopoli I (381)
- L'istituzione dei Patriarcati
- Storia del Cristianesimo tra IV e V secolo
- Costantino e il cristianesimo
- Svolta costantiniana
- Persecuzioni dei pagani
- Le eresie del V secolo: Monofisismo, Nestorianesimo
- I Concili ecumenici del V secolo: Efeso (431) e Calcedonia (451)
- I Germani e le Invasioni barbariche
- La Chiesa nel VI-VIII secolo
- I Concili Ecumenici: Costantinopoli II (553), Costantinopoli III (680-681)
- Scisma tricapitolino
- L'iconoclastia e il Concilio di Nicea II (787)
- L'arte paleocristiana
[modifica] Epoca Medievale
- Alto Medioevo
- La Donazione di Costantino e le origini dello Stato Pontificio
- La nascita dei Regni romano-barbarici
- Carlo Magno e la nascita dell'Impero Carolingio
- Espansione del Cristianesimo tra V e VIII secolo.
- La Società feudale
- Il Cristianesimo celtico
- Lo Scisma di Fozio
- L'opera missionaria di Cirillo e Metodio
- Il Sinodo del cadavere (897)
- Il saeculum obscurum
- Basso Medioevo
- La Riforma gregoriana e i Papi riformatori
- Lo Scisma d'Oriente
- Le Crociate
- I Movimenti ereticali medievali e la nascita dell'Inquisizione medievale
- La nascita degli Ordini mendicanti
- Gli Ordini religiosi cavallereschi e i Templari
- La Lotta per le investiture e il Concordato di Worms
- Riforma spirituale medioevale
- Il Decretum Gratiani e la nascita della Decretistica
- Altre voci:
- I Concili medievali: Concilio di Costantinopoli VI (869-870), Concilio Lateranense I (1123), Concilio Lateranense II (1139), Concilio Lateranense III (1179), Concilio Lateranense IV (1215), Concilio di Lione I (1245), Concilio di Lione II (1274), Concilio di Vienne (1311-1312).
- Alcuni importanti Papi del Medioevo: Gregorio Magno, Adriano I, Gregorio VII, Innocenzo IV, Celestino V, Bonifacio VIII
- I grandi teologi medievali: Tommaso d'Aquino, Anselmo d'Aosta, Bonaventura da Bagnoregio, Bernardo di Chiaravalle, Alberto Magno
- La Filosofia medievale
- L'arte medievale: Arte altomedievale, Arte carolingia, Arte ottoniana, il Romanico, Arte gotica e Tardo gotica
[modifica] Epoca moderna
- XIV-XV SECOLO:
- La lotta tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello
- La Cattività avignonese
- Lo Scisma d'Occidente e il Concilio di Costanza
- Tentativi di riforma della Chiesa: John Wyclif, Jan Hus e Johann Wessel
- La Reconquista spagnola
- XVI SECOLO:
- Carlo V e i Papi
- Riforma protestante
- I movimenti di riforma: Luteranesimo, Calvinismo, Anabattismo, Anglicanesimo
- I grandi riformatori: Martin Lutero, Giovanni Calvino, Ulrico Zwingli, Filippo Melantone, Thomas Müntzer
- Riforma protestante in Italia
- Riforma cattolica e controriforma (vedi, sul dibattito storico « Riforma cattolica e/o Controriforma » la voce del Dizionario di Storiografia)
- Il Concilio di Trento
- I nuovi ordini Religiosi del XVI secolo: Gesuiti, Teatini, Fatebenefratelli, Camilliani, Somaschi, Cappuccini, Carmelitani Scalzi, Oratoriani, Barnabiti
- Gli Ugonotti e l'Editto di Nantes
- XVII-XVIII SECOLO:
- Le Guerre di religione: la Guerra dei trent'anni e la Pace di Westfalia
- Tendenze autonomistiche delle Chiese locali: Gallicanesimo, Febronianesimo, Giuseppinismo
- Dispute teologiche: Giansenismo, Quietismo
- La Colonizzazione europea delle Americhe e le Missioni cristiane in America
- La vita e l'opera di Bartolomeo de Las Casas
- La Tratta degli schiavi africani
- Il Processo a Galileo Galilei
- Il Pietismo
- L'Illuminismo
- La nascita della Massoneria e i suoi rapporti con la Chiesa cattolica.
- La Rivoluzione francese
[modifica] Epoca contemporanea
Tematiche in ordine cronologico:
- XIX SECOLO:
- Pio VII e Napoleone
- La Chiesa e la Restaurazione (1814-1846)
- I cattolici intransigenti
- I cattolici liberali e la reazione della Santa Sede
- La Chiesa in diverse nazioni nella prima metà dell'Ottocento: Francia, Paesi tedeschi, Isole Britanniche, Penisola Iberica, America Latina, Nordamerica, Polonia e Russia, Belgio
- Pio IX e la Repubblica Romana
- Separazione fra Stato e Chiesa
- Il Sillabo degli errori moderni
- Il Concilio Vaticano I
- La fine del potere temporale della Chiesa: la «Questione romana»
- La Chiesa in Germania: il Kulturkampf
- Chiesa e «questione sociale»; l'enciclica Rerum Novarum
- I Papi del XIX secolo: Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII
- XX SECOLO:
- La Chiesa e la crisi modernista
- L'Action Française
- Patti Lateranensi
- Il Concilio Vaticano II
- I Papi del XX secolo: Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II.
- XXI SECOLO:
- Giubileo del 2000
- Conclave 2005
- I Papi del XXI secolo: Benedetto XVI
[modifica] Chiese Cristiane
[modifica] Altre tematiche
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