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Diritto - Wikipedia

Diritto

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« Ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi ius. Ergo ubi homo, ibi ius. »
« Ius est ars boni et aequi »
(Ulpiano, citando Celso)

Indice

[modifica] Nozione

Rispondere alla domanda "che cos’è il diritto", ha impegnato gli studiosi di tutte le epoche, e costituisce ancora un problema aperto, la cui soluzione dipende in gran parte dal quadro filosofico cui ogni studioso fa riferimento. Una risposta che possa definirsi esatta in assoluto non esiste anche perché il diritto ha differenti manifestazioni a seconda del modello preso in esame (ad esempio basti pensare la distinzione tra il modello continentale e il common law anglosassone).

Una delle concezioni più risalenti è la c.d. teoria del diritto naturale, o giusnaturalismo. Tale teoria postula l’esistenza di una serie di princìpi eterni e immutabili, inscritti nella natura umana, cui si dà il nome di diritto naturale. Il diritto positivo (cioè il diritto effettivamente vigente) non sarebbe altro che la traduzione in norme di quei princìpi. Il metodo adottato dal legislatore è dunque un metodo deduttivo: da princìpi universali si ricavano (per deduzione) le norme particolari. Il problema è che non sempre vi è pieno accordo su quali siano i princìpi universali ispiratori delle norme giuridiche. Le Chiese, principali assertrici del diritto naturale, tendono ad identificarlo con i princìpi dettati dai loro testi sacri (la Bibbia, il Corano, etc.); gli studiosi laici con princìpi diversi (di giustizia, equità, il popolo, lo stato etc.). Non essendoci accordo sui princìpi-base (a meno che essi non siano imposti da un potere autoritario), viene a cadere il fondamento stesso della teoria del diritto naturale.

Verso la fine dell’800, sull’onda delle teorie filosofiche positivistiche, si afferma (e rimane a lungo predominante) il c.d. positivismo giuridico o giuspositivismo che, contrapponendosi al giusnaturalismo, asserisce tutto al contrario che il diritto è solo ed esclusivamente diritto positivo, cioè diritto effettivamente posto, e non c’è alcuno spazio per alcun diritto naturale trascendente il diritto positivo. Secondo la gran parte degli studiosi giuspositivisti (specie in Italia) il diritto si identifica con la norma giuridica (giuspositivismo normativistico). Il diritto dunque non sarebbe altro che una serie di norme che regolano la vita dei membri di una società, allo scopo di assicurarne la pacifica convivenza. Il diritto (e i princìpi che ne stanno alla base) si sposta così dal campo del trascendente a quello dell’immanente, dal dominio della natura a quello della cultura. Il metodo adottato dai giuspositivisti è, al contrario di quello dei giusnaturalisti, un metodo induttivo: non esistendo princìpi universali ed eterni, i princìpi su cui si basa il diritto vengono ricavati per induzione (cioè per astrazione) dalle norme giuridiche particolari e contingenti.

I fautori del giuspositivismo hanno però qualcosa in comune con quelli del giusnaturalismo: essi rientrano tutti nella categoria filosofica dei "realisti", ossia di coloro che pensano alla realtà come a un "dato" oggettivo, esterno, e come tale indipendente dall’osservatore. Anche il diritto sarebbe, come tutta la realtà, un dato oggettivo, che lo studioso si limita ad indagare e il giudice ad applicare, senza modificarlo in alcun modo. Una concezione statica del diritto, insomma.

Le tesi "realiste" sono contestate dai teorici che possono ascriversi alla corrente filosofica del relativismo o scetticismo. Al contrario dei "realisti", gli "scettici" pensano (sulla scia delle moderne teorie scientifiche e filosofiche del ’900) che un’osservazione "oggettiva" e "distaccata" della realtà non sia possibile, e che l’osservatore, interpretando la realtà, la influenzi necessariamente. Ogni analisi dovrà per forza essere "soggettiva", poiché ineliminabile è la componente del soggetto nell’analisi della realtà. Il soggetto non si limita ad "osservare", bensì "(ri)crea" la realtà. Per chi abbraccia le tesi scettiche, il diritto non può dunque essere un mero "dato", un insieme fisso e immutabile di norme (giuspositivismo) o di princìpi eterni (giusnaturalismo). I teorici che studiano il diritto (i giuristi, il cui insieme di scritti costituisce la c.d. "dottrina") e i pratici che lo applicano (i giudici, il cui insieme di sentenze costituisce la c.d. giurisprudenza) non sono "indagatori" o "applicatori" di una realtà già data ma, nello stesso momento in cui la interpretano, ne diventano veri e propri "creatori". Il teorico, disquisendo sul diritto, "crea" diritto; il giudice, emanando una sentenza, "crea" diritto. La concezione del diritto propria dello scetticismo è dunque dinamica, e non statica.

Una concezione teorica più moderna, che vuole superare le contraddizioni di quelle testè citate, è il costruttivismo giuridico. Esso si è imposto alla fine del XX secolo, soprattutto tra i teorici anglosassoni. Secondo il costruttivismo noi, contemporaneamente, osserviamo e modifichiamo, influenziamo e veniamo influenzati, interpretiamo e creiamo; la realtà è allo stesso tempo scoperta ed inventata, osservata e costruita; noi non siamo completamente liberi, ma non siamo neanche completamente vincolati; subiamo pesanti interferenze dalla realtà, ma interveniamo pesantemente a modificarla.

Per il costruttivismo, dunque, da una parte l’interprete (giurista o giudice) è ancorato alle norme esistenti, in quanto non può prescindere da esse: egli non può essere interamente creativo, come pretenderebbero gli scettici. D’altra parte è anche vero che egli, interpretando le norme giuridiche a scopo teorico ovvero per applicarle al caso concreto, vi immette sempre qualcosa di suo: influisce su di esse in quanto influisce sulla loro futura interpretazione ed applicazione. Il ruolo dell’interprete non è pertanto interamente notarile e passivo, come pretenderebbero i realisti.

Il giurista (o il giudice) non si limita solo ad interpretare, né solo a creare. Egli interpreta e crea: crea mentre interpreta. E fa entrambe le cose non in maniera arbitraria, ma sempre fortemente vincolato dall’ambiente storico, culturale e giuridico in cui si pone.

Il diritto, secondo il costruttivismo, è in conclusione un fatto dinamico, un processo (ZACCARIA), una pratica sociale di carattere interpretativo (DWORKIN), in cui norma giuridica e sua interpretazione interagiscono costantemente.

Per estensione si intende per Diritto anche la scienza che studia le norme giuridiche.

[modifica] Diritto oggettivo e diritti soggettivi

Nel linguaggio quotidiano e in quello tecnico-giuridico spesso si afferma: "Ho il diritto di..., ho il diritto a..., è stato leso un mio diritto..."; in tutte queste espressioni noi usiamo il termine 'diritto' non nel senso oggettivo (come insieme di norme), ma nel senso soggettivo, cioè come un "potere di agire per soddisfare un interesse tutelato dalle norme giuridiche". Molteplici sono i diritti soggettivi di cui sono titolari i soggetti del diritto (persone fisiche e persone giuridiche). Tutti i diritti soggettivi si possono classificare in due grandi categorie:

  • diritti soggettivi assoluti
  • diritti soggettivi relativi.

[modifica] Diritti soggettivi assoluti

I diritti soggettivi assoluti si distinguono a loro volta in due sub-categorie:

  1. diritti della personalità o diritti fondamentali dell'uomo, tutti di natura non patrimoniale (diritto alla vita, all'integrità fisica, alla salute, all'immagine, all'onore, alla privacy, diritti di libertà personale, di pensiero, di religione, di associazione, di riunione, etc... riconosciuti e garantiti dalla Costituzione e dai principali strumenti convenzionali internazionali);
  2. diritti patrimoniali, i quali hanno ad oggetto i beni; al loro interno, i diritti reali (dal latino res, cosa) sono diritti sulle cose e il principale fra questi diritti è il diritto di proprietà che garantisce al soggetto il potere pieno ed esclusivo di godere delle utilità ricavabili da un bene entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dalla legge.

I diritti soggettivi assoluti sono sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che afferma che tali diritti sono innati in ogni persona.

Si dice tradizionalmente che i diritti assoluti sono efficaci erga omnes, cioè verso tutti: io posso far valere, per esempio, il mio diritto di proprietà nei confronti di chiunque.

[modifica] Diritti soggettivi relativi

I diritti soggettivi relativi sono diritti patrimoniali che coincidono con la categoria dei diritti di credito. Il diritto di credito è la pretesa di un soggetto (creditore) nei confronti di un altro soggetto (debitore) a che quest'ultimo esegua una determinata prestazione (di dare - esempio: una somma di denaro -, o fare - esempio: un lavoro -, o non fare - esempio: non innalzare un edificio o non commercializzare un prodotto in una determinata zona -).

I diritti di credito si dicono relativi, perché la pretesa si rivolge in via principale verso uno o più soggetti determinati (infatti, se ho un credito il mio interesse può essere soddisfatto solo dal mio debitore). La "relatività" dei diritti all'esame è però oggi attenuata dalla ormai riconosciuta cd. "tutela esterna del credito". Laddove un soggetto, con la sua condotta, precluda ad un creditore di soddisfare il suo interesse rendendo impossibile, in modo assoluto ed obiettivo, la prestazione cui il debitore era tenuto, sarà chiamato a risarcire il danno, non diversamente da come accade tutte le volte in cui viene leso, ad esempio, il diritto di proprietà. Se è vero, dunque, che nei diritti di credito il bene può essere fornito solo da un soggetto determinato, è altrettanto vero che tutti i consociati sono tenuti ad astenersi dal compimento di atti che possano pregiudicare il conseguimento del bene da parte del creditore. V'è da notare che, in modo simmetrico, alcuni diritti assoluti presentano dei caratteri comuni ai diritti di credito. Una servitù di passaggio è sì un diritto reale, ma la pretesa al transito sul fondo altrui si rivolge in via principale verso il proprietario del fondo servente (il fondo da attraversare). Sebbene, dunque, la struttura dinamica del diritto lo renda ben più simile ad un diritto di credito (il medesimo risultato pratico può essere assicurato da un diritto di credito), l'assolutezza del diritto in questione rimane confermata dalla presenza di alcuni caratteri propri dei diritti assoluti: tra questi, ad esempio, la sua opponibilità a chiunque acquisti il fondo gravato (c.d. ius sequelae. L'opponibilità è però subordinata all'assolvimento di determinati oneri).

Allo stato, dunque la distinzione tra diritti assoluti e diritti relativi non è più così netta e non sembra possibile attribuire alcun carattere proprio ed esclusivo ad ognuna delle categorie.

[modifica] Principali partizioni

Come per le altre scienze sociali, si suole ripartire il diritto in una serie di discipline differenti, sebbene tale partizione non sia da intendersi in senso assoluto, ma sia semplicemente operata a scopo didattico o pratico.

Una delle principali distinzioni del diritto è tra:

  • il diritto privato, che è la parte del diritto che regola i rapporti tra soggetti privati, o tra soggetti privati e soggetti pubblici quando questi ultimi agiscono "iure privatorum", cioè come se fossero soggetti privati, non facendo ricorso ai loro poteri pubblici per la tutela di un pubblico interesse;
  • il diritto pubblico, che si occupa dei rapporti tra Stato o altri enti pubblici e soggetti, privati o pubblici, quando lo Stato o gli altri enti pubblici agiscono "iure imperii" e dunque utilizzando poteri o potestà pubbliche e per la tutela di un interesse pubblico.

Oggi si sottolinea sempre più l'artificiosità della distinzione tra diritto pubblico e diritto privato, dato che, soprattutto a partire dagli anni novanta, si sono moltiplicati gli esempi di fenomeni di confine non agevolmente inquadrabili nell'una o nell'altra categoria (es. le società per azioni a capitale pubblico).

Un'importanza peculiare è, senza dubbio da attribuire al diritto internazionale, la branca del diritto che regola fenomeni giuridici relativi a soggetti di ordinamenti diversi, ciascuno dei quali si considera sovrano. Esso viene a sua volta suddiviso nelle discipline del diritto internazionale pubblico e del diritto internazionale privato, a seconda dei soggetti e delle materie presi in considerazione.

Le principali partizioni del diritto oggetto di studio autonomo sono:


[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia essenziale

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