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Risorgimento - Wikipedia

Risorgimento

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

« ...il mare la ricinge quasi d'abbraccio amoroso ovunque l'Alpi non la ricingono: quel mare che i padri dei padri chiamarono Mare Nostro. E come gemme cadute dal suo diadema stanno disseminate intorno ad essa in quel mare Corsica, Sardegna, Sicilia, ed altre minori isole dove natura di suolo e ossatura di monti e lingua e palpito d'anime parlan d'Italia »
(Giuseppe Mazzini, la Patria)

Il Risorgimento fu il periodo della storia d'Italia durante il quale la penisola italiana venne unificata politicamente. Il termine fornisce esemplarmente l'idea della rinascita dell'unità nazionale per lungo tempo perduta. Per quanto una visione idealizzata del periodo sia, da talune interpretazioni moderne riveduta in un concetto più ampio della situazione italiana ed internazionale, il termine è ormai accettato ed ha assunto valenza storica per quel periodo della storia d'Italia.

Indice

[modifica] Premesse

Questa voce è parte della serie
Storia d'Italia
Posizione della penisola italiana
Voci principali

(Terramare · Villanoviani · Civiltà Camuna · Castellieri · Civiltà nuragica · Cultura di Golasecca · Cultura di Canegrate · Cultura di Remedello . Cultura di Ozieri . Cultura di Arzachena)
(Italici · Latini · Etruschi · Greci · Galli)
(Regno · Repubblica · Impero)
(Regno ostrogoto · Regno longobardo)
(Guerre Italiane del Rinascimento)
(Anni di piombo)


Categoria: Storia d'Italia

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Il Risorgimento italiano trae origine idealmente da diverse tradizioni storiche. In epoca romana l'Italia fu unita politicamente. Tuttavia, il carattere imperiale delle conquiste effettuate da Roma e dai socii italici, finirono per snaturare il carattere nazionale che la penisola stava acquisendo sul finire del I secolo a.C.. In seguito l'unità non venne meno col regno degli Ostrogoti, che fu la prima di tante occasioni mancate nel medioevo per affermare anche in Italia il processo di formazione di una coscienza nazionale come in altri paesi europei, ma si ruppe, dopo l'intervento diretto in Italia dell'imperatore d'Oriente Giustiniano I e alla susseguente guerra gotica (535-553), con l'invasione longobarda e la conseguente spartizione della penisola.

I longobardi tendevano a rimanere separati e considerarsi superiori sotto il profilo politico e militare alle popolazioni italiche che un tempo avevano conquistato il mondo sotto le aquile romane, ma con gli anni finirono sempre più per fondersi con la componente latina, e tentarono anch'essi, sull'esempio romano e ostrogoto, di unificare la penisola e dare una base nazionale al loro regno. Anche tale tentativo venne frustrato dall'intervento dei Franchi, richiamati da papa Adriano I per proteggere i possedimenti temporali della Chiesa.

Sempre più però il Regnum Langobardorum si identificava come Regno d'Italia e gli stessi ultimi re longobardi non si consideravano più solo re dei longobardi, ma d'Italia. Questo dimostra come i vincitori volenti o nolenti si fossero gradualmente romanizzati e fusi con i vinti. Nell'ultimo secolo del proprio dominio, i re longobardi consideravano propri sudditi tutti gli abitanti dell'Italia non bizantina. I Franchi, che, come si è già accennato, si sostituirono ai Longobardi (seconda metà dell'VIII secolo), tentarono di ricostituire, con Carlo Magno l'Impero, che prese corpo definitivamente un secolo e mezzo più tardi, con un sovrano germanico, Ottone I di Sassonia. Il Regno d'Italia era legato a questo grande organismo statuale da vincoli di vassallaggio, dai quali vanamente cercò di sottrarsi. Il più celebre fra tali tentativi di affrancamento è sicuramente quello di Arduino d'Ivrea, personaggio considerato, a ragione o a torto, antesignano dei patrioti risorgimentali ottocenteschi. Costui, attorno all'anno 1000, condusse, sostenuto dalla nobiltà laica del nord Italia, alcune campagne militari per liberare l'Italia dalla tutela germanica.

Con la formazione dei comuni e delle signorie, la comune appartenenza nazionale venne sempre meno, sopraffatta dagli interessi locali, ma rimase ancora viva nei poeti e nei letterati, che cantarono lodi all'Italia e si rammaricarono della sua situazione. Anche grazie a tali intellettuali, come Dante, Petrarca, Boccaccio ed altri, i quali ebbero scambi culturali senza tener conto dei confini regionali e locali, la lingua italiana dotta si sviluppò rapidamente, riuscendo a mantenersi e a evolversi nei secoli successivi anche nelle più difficili temperie politiche. Già in Machiavelli e Guicciardini si dibatteva nel XVI secolo, il problema della perdita dell'indipendenza politica italiana avvenuta con la dominazione franco-spagnola. Pur con programmi diversi, il primo fautore di uno stato accentrato, l'altro di uno federale, concordavano che tutto era avvenuto a causa dell'individualismo e della mancanza di senso dello stato tipica delle varie popolazioni italiane. Il primo accenno al richiamo di un sentimento nazionale italiano, rimasto del tutto inascoltato, si può rintracciare nel Proclama di Rimini[1] in cui Gioacchino Murat, il 30 marzo 1815, durante la guerra austro-napoletana, rivolse un interessato appello a tutti gli italiani affinché si unissero per salvare il regno posto sotto la sua sovranità, unico garante della loro indipendenza nazionale.

[modifica] Le idee e gli uomini

Vittorio Emanuele II
Vittorio Emanuele II
Camillo Benso conte di Cavour
Camillo Benso conte di Cavour

Le idee liberali, le speranze suscitate dall'illuminismo e i valori della Rivoluzione francese furono portate in Italia da Napoleone sulla punta delle baionette dell' Armèe d'Italie. Rovesciati gli stati preesistenti, i francesi, deludendo le speranze dei nostri patrioti "giacobini", si erano stabilmente insediati nella Pianura Padana, creando repubbliche su modello francese (Repubblica Cispadana), rivoluzionando la vita del tempo, portando sì idee nuove, ma facendone anche ricadere il costo sulla economia locale. Era nato così un crogiolo di aspettative e di ideali, alcuni incompatibili tra loro: vi erano in campo quelli romantico-nazionalisti, repubblicani, socialisti o anticlericali, liberali, i monarchici filo Savoia o papalini, laici e clericali, vi era l'ambizione espansionista di Casa Savoia tendente a raggiungere l'unità della Pianura Padana, vi era il bisogno di liberarsi dal dominio austriaco nel Regno del Lombardo-Veneto, unitamente al generale desiderio di migliorare la situazione socio-economica approfittando delle opportunità offerte dalla rivoluzione tecnico-industriale, superando al contempo la frammentazione della penisola laddove sussistevano stati in parte liberali, che spinsero i vari rivoluzionari della penisola a elaborare e a sviluppare un'idea di patria più ampia e ad auspicare la nascita di uno stato nazionale analogamente a quanto avvenuto in altre realtà europee come Francia, Spagna e Gran Bretagna.

Le personalità di spicco in questo processo furono molte tra cui: Giuseppe Mazzini, figura eminente del movimento liberale repubblicano italiano ed europeo; Giuseppe Garibaldi, repubblicano e di simpatie socialiste, per molti un eroico ed efficace combattente per la libertà in Europa ed in Sud America; Camillo Benso conte di Cavour, statista in grado di muoversi sulla scena europea per ottenere sostegni, anche finanziari, all'espansione del Regno di Sardegna; Vittorio Emanuele II di Savoia, abile a concretizzare il contesto favorevole con la costituzione del Regno d'Italia.

Vi furono gli unitaristi repubblicani e federalisti radicali contrari alla monarchia come Nicolò Tommaseo e Carlo Cattaneo; vi furono cattolici come Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini che auspicavano una confederazione di stati italiani sotto la presidenza del Papa o della stessa dinastia sabauda.

[modifica] Le rivoluzioni

Giuseppe Mazzini
Giuseppe Mazzini
Giuseppe Garibaldi
Giuseppe Garibaldi

Dopo il Congresso di Vienna, l'influenza francese nella vita politica italiana lasciò i suoi segni attraverso la circolazione delle idee e la diffusione di gazzette letterarie; fiorirono infatti salotti borghesi che, sotto il pretesto letterario, crearono veri e propri club di tipo anglosassone, che si prestarono a coprire società segrete; in tale quadro gli esuli italiani, come Antonio Panizzi, s'impegnavano a stabilire contatti con le potenze straniere interessate a risolvere il problema italiano.

In tale panorama patriottico rivoluzionario, una delle prime associazioni segrete fu quella dei Carbonari. Nel 1814 questa società segreta organizzò dei moti rivoluzionari a Napoli, che culminarono con la presa della città nel 1820, poi persa ad opera dell'Austria, intervenuta con la Santa Alleanza - una sorta di polizia internazionale tra Austria, Prussia e Russia - per tutelare i propri interessi egemonici in nome dei principi dell' ordine internazionale e dell'equilibrio.Occorre però dire che il primo reale moto carbonaro avrebbe dovuto effettuarsi a Macerata, nello stato pontificio, nella notte tra il 24 e il 25 giugno 1817. Ma la polizia, informata dei preparativi, soffocò l'azione sul nascere. Nei moti liberali che si verificarono a Torino (1821) videro protagonisti uomini simboli del nostro Risorgimento come Santorre di Santarosa, Silvio Pellico,e nei moti milanesi rappresentativa del martirio patriottico fu la triste sorte del conte Federico Confalonieri.

Nel programma rivoluzionario una figura di primo piano fu quella di Giuseppe Mazzini. Nato a Genova nel 1805, divenne membro della Carboneria nel 1830. La sua attività di ideologo e organizzatore lo costrinse a lasciare l'Italia nel 1831 per fuggire a Marsiglia, dove fondò la Giovine Italia, un movimento che raccoglieva le spinte patriottiche per la costituzione di uno stato unitario, da inserire in una più ampia prospettiva federale europea.

La condivisione del programma mazziniano portò Giuseppe Garibaldi, nato a Nizza nel 1807, a partecipare ai moti rivoluzionari in Piemonte del 1834, per il fallimento dei quali fu condannato a morte dal governo Sardo e costretto a fuggire in Sud America, dove partecipò ai moti rivoluzionari in Brasile ed Uruguay.

Nei moti liberali degli anni 1820-1821 e 1831 gli insorti non domandano indipendenza e unità ma soltanto una costituzione. Le rivolte falliscono per la mancanza di coordinamento tra i congiurati e per la indifferenza delle masse ai loro tentativi.

Per approfondire, vedi le voci Moti del 1820-1821 e Ciro Menotti.

[modifica] Il biennio delle riforme

Massimo d'Azeglio
Massimo d'Azeglio
Vincenzo Gioberti
Vincenzo Gioberti

Nel cosiddetto biennio delle riforme (1846- 1847), a seguito del fallimento dei moti rivoluzionari mazziniani, prendono vigore progetti politici di liberali moderati, tra cui spiccano Massimo d'Azeglio e Vincenzo Gioberti, i quali, sentendo soprattutto la necessità di un mercato unitario come premessa essenziale per un competitivo sviluppo economico italiano, avanzano programmi riformisti per una futura unità italiana nella forma accentrata o federativa. Nasce così il movimento neoguelfo che riscuote successo presso l'opinione pubblica in coincidenza con l'elezione di papa Pio IX, ritenuto erroneamente un "liberale".

[modifica] Sintesi storica

La prima fase del Risorgimento (1847-1849) vede lo sviluppo di vari movimenti rivoluzionari e di una guerra anti austriaca, sviluppatasi in occasione della rivolta delle Cinque giornate di Milano (1848) condotta e persa da Carlo Alberto conclusasi perciò con un sostanziale ritorno allo "statu quo ante". Con il fallimento del programma federalista neoguelfo riprese vigore quello repubblicano mazziniano con una serie d'insurrezioni tutte fallite. Quelle che più impressionarono l'opinione pubblica italiana ed europea fu l'episodio dei martiri di Belfiore (1852), e la disastrosa spedizione (1857) - condotta all'insegna del credo mazziniano per il quale ciò che contava era più che il successo il "dare l'esempio" - conclusasi con la morte di Carlo Pisacane e dei suoi compagni massacrati dai contadini a Sapri. Fortemente impressionò la borghesia italiana anche la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 che condotta con metodo mazziniano, fidando cioè in una spontanea partecipazione popolare e addirittura nell'ammutinamento dei soldati ungheresi dell'esercito austriaco, fallì miseramente nel sangue. Oltre che l'impreparazione e la superficiale organizzazione dei rivoltosi, operai d'ispirazione politica socialista, furono proprio i mazziniani, notoriamente in contrasto ideologico con Marx, a contribuire al fallimento non facendo loro pervenire le armi promesse e mantenendosi passivi al momento dell'insorgere della rivolta. Un pugno di uomini armati di pugnali e coltelli andarono così consapevolmente incontro al disastro in nome dei loro ideali patriottici e socialisti. [2]

La seconda fase, maturata nel biennio 1859-1860, fu quella decisiva per il processo d'unificazione italiano. Con l'alleanza con la Francia di Napoleone III - che negli accordi di Plombieres non prevedeva la completa unità italiana - il Piemonte di Cavour e Vittorio Emanuele II riuscì, anche per la circostanza imprevista delle annessioni di Toscana, Emilia e Romagna, che si erano nel frattempo liberate, a raggiungere l'unità che sarà infine completata dalla Spedizione dei Mille garibaldina.

Per approfondire, vedi le voci Governo Provvisorio Toscano, Guerre di indipendenza italiane e Spedizione dei Mille.

La dichiarazione del Regno d'Italia si ebbe nel 17 marzo 1861. Il nuovo regno manterrà lo Statuto albertino, la costituzione concessa da Carlo Alberto nel 1848 e che rimarrà ininterrottamente in vigore sino al 1946.

Molti e gravi furono i problemi che il nuovo stato unitario dovette affrontare e tra questi il più rilevante fu quello del cosiddetto "brigantaggio meridionale".

Sebbene la storiografia risorgimentale avesse ripreso l'iniziale definizione di brigantaggio usata dallo stesso governo del Regno d'Italia per mascherare agli occhi degli stati europei le gravi difficoltà della avvenuta unità, una più attenta storiografia ha rivelato come in effetti si trattasse di una vera e propria guerra civile (1861-1865) nata nel Sud Italia in seguito all'invasione dell'esercito piemontese, dopo la spedizione garibaldina e l'annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d'Italia.

Per approfondire, vedi la voce La spedizione dei Mille (la mancata riforma agraria).

Che non si trattasse di un fenomeno di semplice criminalità è dimostrato dal fatto che si ritenne necessario l'intervento dell'esercito regio e l'emanazione di leggi speciali (la legge Pica 1863) che applicavano la legge marziale nei territori del Mezzogiorno italiano.

La ricerca storica più recente ha contribuito a mettere in luce gli aspetti politici che motivarono la resistenza delle popolazioni meridionali e le conseguenze della sua repressione - prima tra tutte la nascita della Questione meridionale - superando definitivamente il modello che ha tentato per decenni di liquidare l'insorgenza meridionale come fenomeno esclusivamente banditesco.

Per approfondire, vedi le voci Brigantaggio e Risorgimento e popolo.

L'unificazione viene poi quasi interamente completata con l'annessione del Veneto a seguito della disastrosa partecipazione dell'Italia alla Guerra austro-prussiana del 1866 (Terza guerra d'indipendenza).

Seppure alla proclamazione del Regno d'Italia fosse stata indicata Roma come capitale morale del nuovo stato, la città rimaneva la sede dello Stato Pontificio. Alcune terre papali (Marche ed Umbria) erano state già annesse durante la discesa dell'esercito piemontese in "soccorso" di Garibaldi, che stava realizzando la conquista del Meridione, ma lo Stato della Chiesa rimaneva sotto la protezione delle truppe francesi che continueranno a difenderlo dai due tentativi falliti di Garibaldi (giornata dell'Aspromonte e battaglia di Mentana), con la connivenza del governo italiano di Urbano Rattazzi. Solo dopo la sconfitta e cattura di Napoleone III a Sedan nella guerra franco-prussiana, le truppe italiane con Bersaglieri e Carabinieri in testa, il 20 settembre 1870 entrarono dalla breccia di Porta Pia nella capitale.

Per approfondire, vedi le voci Questione romana e Clericalismo.
Papa Pio IX
Papa Pio IX

Dopo il plebiscito del 2 ottobre 1870 che sancì l'annessione di Roma al Regno d'Italia, nel giugno del 1871 la capitale d'Italia , già trasferita - in ottemperanza alla Convenzione di settembre (1864) - da Torino a Firenze, divenne definitivamente Roma.

La Chiesa romana di Papa Pio IX, che si considerava prigioniero del nuovo stato italiano, reagì scomunicando Vittorio Emanuele II, ritenendo inoltre non opportuno (non expedit), e poi esplicitamente proibendo che i cattolici partecipassero attivamente alla vita politica italiana, da cui si autoesclusero per circa mezzo secolo con gravi conseguenze per la futura storia d'Italia.

Il Trentino-Alto Adige, Trieste, Gorizia, l'Istria, la città di Zara (costituita come exclave italiana sulla costa dalmata), l'isola di Lagosta e l'arcipelago di Pelagosa entreranno a far parte del Regno d'Italia con la vittoria nella Prima guerra mondiale (1915-1918), dagli irredentisti italiani sentita come la Quarta guerra d'indipendenza. La città quarnerina di Fiume, dopo molte vicende (vedi Reggenza Italiana del Carnaro), fu unita all'Italia nel 1924.

[modifica] Le città benemerite del Risorgimento nazionale

Per approfondire, vedi la voce Città decorate con Medaglia d'Oro come "Benemerite del Risorgimento nazionale".

Ventisette città italiane sono state insignite di questo titolo durante il Regno d'Italia per «le azioni altamente patriottiche compiute dalle città italiane nel periodo del Risorgimento nazionale».

[modifica] Mappe dell'unificazione italiana

[modifica] Note

  1. ^ Proclama di Rimini
  2. ^ (cfr. L.Pollini, La rivolta di Milano del 6 febbraio 1853. Ceschina, Milano 1953)

[modifica] Bibliografia

  • Alberto Mario Banti. La nazione del Risorgimento: parentela, santità e onore alle origini dell'Italia unita. Torino, Einaudi, 2000 (Biblioteca di cultura storica; 225)
  • Alberto Mario Banti. Il Risorgimento italiano. Roma-Bari, Laterza, 2004 (Quadrante Laterza; 125)
  • Franco Della Peruta. L'Italia del Risorgimento: problemi, momenti e figure. Milano, Angeli, 1997 (Saggi di storia; 14)
  • Franco Della Peruta. Conservatori, liberali e democratici nel Risorgimento. Milano, Angeli, 1989 (Storia; 131)
  • Carlo Ghisalberti. Istituzioni e società civile nell'età del Risorgimento. Roma-Bari, Laterza, 2005 (Biblioteca universale Laterza; 575)
  • Gerlando Lentini. La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano dalla parte degli sconfitti.Il Cerchio, Rimini 1999.
  • Denis Mack Smith. Il Risorgimento italiano: storia e testi. (Nuova ediz.), Roma-Bari, Laterza, 1999 (Storia e società)
  • Antonio Nicoletta. "E furon detti Briganti..." Mito e realtà della "Conquista del Sud", Il Cerchio, Rimini 2001.
  • Lucy Riall. Il Risorgimento: storia e interpretazioni. Roma, Donzelli, 1997 (Universale; 2)
  • Rosario Romeo. Risorgimento e capitalismo. Roma-Bari, Laterza, 1998 (Economica Laterza; 144) (1ª ed. 1959)
  • Alfonso Scirocco. L'Italia del risorgimento: 1800-1860. (vol. 1 di Storia d'Italia dall'unità alla Repubblica), Bologna, Il mulino, 1990 (Le vie della civiltà)
  • Alfonso Scirocco. In difesa del Risorgimento. Bologna, Il mulino, 1998 (Collana di storia contemporanea)
  • Stuart J. Woolf. Il risorgimento italiano. Torino, Einaudi, 1981 (Piccola biblioteca Einaudi; 420)

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