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Filosofia medievale - Wikipedia

Filosofia medievale

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La filosofia medievale costituisce un imponente ripensamento dell'intera tradizione classica sotto la spinta delle domande poste dalle tre grandi religioni monoteiste.

Indice

[modifica] La patristica

In Europa, la diffusione del Cristianesimo all'interno dell'impero romano segnò la fine della filosofia ellenistica e l'inizio della Patristica, dalla quale si svilupperà la filosofia medievale. La Patristica, cioè il pensiero dei antichi padri cristiani, rappresentò il primo tentativo di fusione fra la tradizione ebraica e la filosofia greca, di cui essi cercarono di assimilare profondamente il senso del logos, concetto chiave della filosofia greca (in particolare di quella stoica e neoplatonica), che significava la ragione e il fondamento universale del mondo.[1] Giustino fu tra i primi a identificare il Cristo incarnato con il logos dei greci, termine che egli trovava adoperato nel prologo di Giovanni.

La patristica, fino al 200, fu dedicata essenzialmente alla difesa del cristianesimo contro i suoi avversari. Tra costoro vi furono i cosiddetti "padri Apologisti". In seguito cominciarono invece a sorgere i primi grandi sistemi di filosofia. Tra costoro vi fu Clemente Alessandrino; come Giustino, anche Clemente arrivò a sostenere che Dio avrebbe dato la filosofia ai Greci "come un Testamento loro proprio" (Strom. 6,8,67,1). Per lui la tradizione filosofica greca, quasi al pari della Legge per gli Ebrei, è ambito di "rivelazione": sono due rivoli che in definitiva vanno verso lo stesso Logos.

Il maggiore esponente della Patristica fu quindi Agostino di Ippona: questi divenne un vescovo neoplatonico, e conciliò la filosofia greca con la fede cristiana. Secondo Agostino ci sono dei limiti oltre i quali la ragione non può andare, ma se Dio illuminerà la nostra anima con la fede riuscirà placare la nostra sete di conoscenza. E affermò che il male è soltanto "assenza" di Dio, dovuto alla disobbedienza umana. A causa del peccato originale nessun uomo è degno della salvezza, ma Dio può scegliere in anticipo chi salvare; ciò non toglie che noi possediamo comunque un libero arbitrio.

Dal V al VIII secolo vi fu quindi l'ultimo sviluppo della Patristica, con la rielaborazione delle dottrine già formulate, e in parte anche con riflessioni originali (soprattutto Boezio, e, in età carolingia, Giovanni Scoto Eriugena).

[modifica] L'aristotelismo arabo ed ebraico

Mentre in Europa si diffondeva il platonismo, durante tutto il Medioevo gli arabi avevano mantenuto viva la tradizione aristotelica, con commenti e traduzioni del filosofo greco, sviluppando interessi per le scienze naturali. I nomi più importanti di questo periodo furono Avicenna e Averroè in ambito islamico, e Mosè Maimonide in ambito ebraico.

[modifica] La scolastica

A partire dall'anno Mille è particolarmente significativa la nascita della filosofia scolastica, così chiamata dall'istituzione delle scholae, ossia di un sistema scolastico-educativo diffuso in tutta Europa, e che garantiva una sostanziale uniformità di insegnamento. Le origini della scolastica si possono rintracciare già in Carlo Magno, il quale, dando avvio alla "rinascita carolingia" aveva fondato ad Aquisgrana la Schola palatina, per favorire l'istruzione delle genti e la diffusione del sapere servendosi dei monaci benedettini. Gli insegnamenti erano divisi in due rami:

Con l'Admonitio Generalis Carlo Magno aveva quindi cercato di formare un metodo di studio che fosse praticato in tutto il Sacro Romano Impero. Gradatamente si sviluppò così un tipo di insegnamento detto scolastico.

Ad esso diede un contributo fondamentale Tommaso d'Aquino, il quale, di fronte all'avanzare dell'aristotelismo arabo, che sembrava voler mettere in discussione i capisaldi della fede cristiana, mostrò che quest'ultima non aveva nulla da temere, perché le verità della ragione non possono essere in contrasto con quelle della Rivelazione, essendo entrambe emanazione dello stesso Dio.

Secondo Tommaso non c'è contraddizione tra fede e ragione, per cui spesso la filosofia può giungere alle stesse verità contenute nella Bibbia; egli cercò in particolare di conciliare la rivelazione cristiana con la dottrina di Aristotele. Quest'ultimo, partendo dallo studio della natura, dell'intelletto e della logica, aveva sviluppato delle conoscenze sempre valide e universali, facilmente assimilabili dalla teologia cristiana: ad esempio il passaggio dalla potenza all'atto è una scala ascendente che va dalle piante e dagli animali agli uomini, fino agli angeli e a Dio. Costoro hanno una conoscenza intuitiva, che permette loro di sapere immediatamente ciò a cui noi invece dobbiamo arrivare tramite l'esercizio della ragione.

Mentre San Tommaso contribuiva alla rinascita e alla diffusione dell'aristotelismo in Europa, il suo contemporaneo San Bonaventura fu invece il maggiore esponente della corrente neoplatonica.

[modifica] La disputa sugli universali

Fu inoltre nel Medioevo che prese piede la cosiddetta disputa sugli universali, che attraversò i secoli iniziando da Porfirio (300 ca.) fino a Guglielmo d'Ockham (1300) e oltre. La questione dibattuta all'interno della scolastica riguardava la natura dell'universale, ossia del predicato che viene assegnato a una molteplicità di enti. Quando ad esempio si afferma: tutti "gli esseri sono mortali", si attribuisce una caratteristica generale (un quid) a delle realtà concrete e particolari. Qual'è allora la natura di questo quid?

A seconda delle risposte, gli universalia possono essere:

  • ante rem, cioè esistono prima della realtà, nella mente di Dio;
  • in re , gli universali sono all'interno della realtà stessa, come essenza reale;
  • post rem gli universali sono un prodotto reale della nostra mente che svolge quindi una funzione autonoma nella elaborazione dei concetti che non dipende dalla realtà.

Su questi punti si divisero i realisti, i cui maggiori esponenti furono Anselmo d'Aosta, Guglielmo di Champeaux, Tommaso d'Aquino e Duns Scoto.

Ai realisti, che affermavano l'esistenza oggettiva e autonoma dell'universale si contrapposero anche i nominalisti, i quali invece negavano qualsiasi realtà all'universale che per essi è un semplice nome, flatus vocis. Tra costoro vi furono Roscellino, Pietro Abelardo (che però può essere fatto rientrare nella soluzione originale del concettualismo), e in seguito Guglielmo d'Ockham.

[modifica] Gli ultimi sviluppi della scolastica

Filosoficamente, il medioevo si caratterizza per una grande fiducia nella ragione umana, ossia nella capacità di poter indagare i misteri della fede, in virtù del fatto che Dio nei Vangeli si presenta come Logos (cioè Principio Logico). La crisi di questa fiducia iniziò a partire dal Trecento, quando Duns Scoto affermò che esiste un limite che non può essere esplorato dalla filosofia, e oltre il quale la ragione non può andare. Scoto fu un assertore della dottrina del volontarismo, secondo cui Dio sarebbe animato da una volontà incomprensibile e arbitraria, del tutto slegata da criteri razionali che ne limiterebbero la libertà d'azione. Questa posizione ebbe come conseguenza un crescente fideismo, ossia una fiducia cieca in Dio, non motivata da argomenti.

Al fideismo aderì soprattutto Guglielmo di Ockham, esponente del già ricordato nominalismo, che giunse a negare alla Chiesa il ruolo di mediazione tra Dio e gli uomini. Basandosi su una concezione riduzionista del sapere (all'origine del suo famoso rasoio), egli criticò i concetti di causa e di sostanza, da lui giudicati metafisici, in favore di un approccio empirico alla conoscenza.

In Germania, intanto, Meister Eckhart poneva le basi della mistica speculativa tedesca, accentuando per parte sua il carattere misterioso e imperscrutabile di Dio, elaborando una teologia negativa radicalmente apofatica.

La frattura tra la dimensione terrena e quella celeste-spirituale, che nel Trecento portò a un tale crescente fideismo, fu espressa dal Gotico nella sua forma estrema.

[modifica] Filosofi medievali

[modifica] Patristica

[modifica] Filosofi scolastici

[modifica] Note

  1. ^ Così l'allora cardinale Joseph Ratzinger, avendo più volte ribadito che «il patrimonio greco è una parte integrante della fede cristiana», ha spiegato i motivi per cui, a suo vedere, la religione cristiana poté conciliarsi con la filosofia greca:
    « La razionalità poteva diventare religione perché il Dio della razionalità era entrato egli stesso nella religione. In fin dei conti, l’elemento che rivendicava la fede, la Parola storica di Dio, non costituiva forse il presupposto perché la religione potesse volgersi oramai verso il Dio filosofico, che non era un Dio puramente filosofico e che nondimeno non respingeva la filosofia, ma anzi la assumeva? Qui si manifestava una cosa stupefacente: i due princìpi fondamentali apparentemente contrari del cristianesimo – legame con la metafisica e il legame con la storia – si condizionavano e si rapportavano reciprocamente; insieme formavano l’apologia del cristianesimo come religio vera. Si può dunque dire che la vittoria del cristianesimo sulle religioni pagane fu resa possibile fondamentalmente dalla sua pretesa di intelligibilità. »
    (Dalla conferenza “Verità del cristianesimo?”, pronunciata dal cardinal Joseph Ratzinger il 27 novembre 1999 presso l’Università della Sorbona di Parigi, tradotta e pubblicata da “Il Regno-Documenti”, vol. XLV, 2000, n. 854, pp. 190-195)

[modifica] Bibliografia

  • A. Marchesi, Dal "Logos"greco al "Logos" cristiano. Linee di sviluppo e tematiche ricorrenti, Parma, ed. Zara 1984

[modifica] Collegamenti esterni

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