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Dialetto romagnolo - Wikipedia

Dialetto romagnolo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, si è deciso a seguito di discussioni di usare nella nomenclatura delle pagine il termine lingua per quelle riconosciute come tali nella codifica ISO 639-1, ISO 639-2 oppure ISO 639-3, approvata nel 2005. Per gli altri idiomi viene usato il termine dialetto.

Dialetto romagnolo ()
Creato da: {{{creatore}}} nel {{{anno}}}
Contesto: {{{contesto}}}
Parlato in: Bandiera dell'Italia Italia
Bandiera di San Marino San Marino
Regioni:Parlato in: Bandiera dell'Emilia-Romagna Emilia-Romagna (province di Rimini, Forlì Cesena, Ravenna, parte della provincia di Ferrara, in provincia di Bologna l'imolese)
Bandiera delle Marche Marche (provincia di Pesaro)
Bandiera di San Marino San Marino
Periodo: {{{periodo}}}
Persone: ~620 mila
Classifica: Non in top 100
Scrittura: {{{scrittura}}}
Tipologia: {{{tipologia}}}
Filogenesi:

Indoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Italo-occidentali
    Occidentali
     Galloiberiche
      Galloromanze
       Galloitaliche
        Emiliano-romagnolo
         Romagnolo
          
           
            
             
              

Statuto ufficiale
Nazioni: -
Regolato da: nessuna regolazione ufficiale
Codici di classificazione
ISO 639-1 {{{iso1}}}
ISO 639-2 roa
ISO 639-3 {{{iso3}}}  (EN)
SIL EML  (EN)
SIL {{{sil2}}}
Estratto in lingua
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo - Art.1
Tot j essèri umèn i nàs lébri e cumpagn in dignità e dirét. Lou i è dutid ad rasoun e ad cuscinza e i à da operè, ognun ti cunfrunt at ch'j ilt, sa sentimint ad fratelènza.
Il Padre Nostro
Tot j essèri umèn i nàs lébri e cumpagn in dignità e dirét. Lou i è dutid ad rasoun e ad cuscinza e i à da operè, ognun ti cunfrunt at ch'j ilt, sa sentimint ad fratelènza.
Traslitterazione
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Lingua - Elenco delle lingue - Linguistica
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Il dialetto romagnolo è un dialetto della lingua emiliano-romagnola parlato in Romagna e nella Repubblica di San Marino; è caratterizzato da un forte rilievo delle consonanti nelle parole e da una notevole moltiplicazione dei fonemi vocalici (rispetto all'italiano, che ne ha solo 7). Esistono comunque varie forme del dialetto stesso. Ad esempio quello ravennate è abbastanza differente da quello forlivese ma anche da quello cesenate e riminese. Linguisticamente, il centro è rappresentato dalla zona di Forlì-Faenza, mentre, a mano a mano che ci si sposta verso la periferia dell'area linguistica romagnola, le caratteristiche si vanno facendo sempre meno peculiari.

In particolare, Dante Alighieri, nel De vulgari eloquentia vede nella città di Forlì il "meditullium" della Romagna, cioè la sua zona centrale, anche dal punto di vista linguistico. Si noti, infatti, che anche tra faentino e forlivese esistono delle differenze.

Sono dialetti ancora romagnoli quelli di parte delle Marche e della Repubblica di San Marino, ad esempio il Montefeltrino e il Sammarinese che possono essere considerati a tutti gli effetti varianti del dialetto romagnolo, comprese le parlate di buona parte delle località della provincia di Pesaro e Urbino settentrionale. Altre località a lingua romagnola sono la città di Imola che si trova al confine della provincia di Bologna e alcuni paesi della provincia di Ferrara confinanti con la provincia di Ravenna, come ad esempio la città di Argenta in cui coesistono sia abitanti a cultura romagnola che abitanti a cultura ferrarese.

Ferrara invece rientra nel gruppo di province a dialetto emiliano, parlato nella regione storica dell'Emilia (che coincide pressapoco con le province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, e parte della provincia di Bologna fino al fiume Sillaro, al di là del quale ha inizio la Romagna), in Lunigiana e secondo alcuni linguisti nella Provincia di Pavia.

Alcune aree dell'Appennino romagnolo risentono, invece, fortemente del dialetto toscano. È la cosiddetta "Romagna toscana"; tuttavia la situazione lungo l'area di confine risulta essere piuttosto eterogenea comprendendo zone a lingua mista dove sono in auge inflessioni e vocaboli appartenenti ad entrambi i dialetti come nei paesi di Palazzuolo sul Senio e Marradi.

Indice

[modifica] Origini

Il dialetto romagnolo ha antiche origini neolatine; ad esso va geneticamente riconosciuta pari dignità con l'italiano. Il toscano e il romagnolo sono lingue sorelle. La fortuna del toscano, che da lingua regionale è diventata, dopo lunghe vicissitudini, la lingua dell'Italia intera, non fu determinata da valori linguistici, ma da fattori culturali e storico-politici.
L'evoluzione spontanea delle lingue neolatine è proceduta attraverso regole rigorosamente rispettate. Uno dei tratti che le accomuna tra loro è, per esempio, la scomparsa della flessione (declinazione) dei sostantivi. Il romagnolo non fa eccezione.
La differente evoluzione del romagnolo rispetto ai dialetti dell'Italia centrale è dovuta:

  • al retaggio greco-bizantino dei secoli VI, VII e VIII,
  • alla diversa esposizione agli influssi germanici (prima e dopo le invasioni barbariche),
  • alle diverse caratteristiche del latino parlato al di qua e al di là dell'Appennino,
  • all'esistenza di un substrato celtico (secondo l'Ascoli), presente in tutte le parlate a nord degli Appennini (tranne il veneto).

Ecco come Friedrich Schürr, un linguista austriaco che a lungo ha studiato il dialetto romagnolo, spiega quanto fu decisivo il periodo greco-bizantino: la parlata romagnola acquisì i suoi caratteri distintivi fra il VI e l'VIII secolo, quando ciò che restava dell'Esarcato bizantino si trovò isolato politicamente e culturalmente dal resto della Val padana. Esso assunse così la sua specificità rispetto ai dialetti del resto della zona padana che erano invece sotto il dominio longobardo.

Per quanto riguarda gli influssi delle parlate germaniche, lo studioso Guido Laghi ha individuato due parole derivanti dalla lingua degli Ostrogoti che sono entrate nel romagnolo. La radici di "bere smodatamente" e "russare", da cui trinchêr e runfêr sono infatti un lascito del popolo di Teodorico (che è sepolto a Ravenna).
Sembra che sia venuto dal Nord, portatori i Longobardi o i Franchi (secc. VIII-IX) anche l'accento di intensità, cioè l'abitudine a caricare la vocale tonica al punto da sottrarre "aria" alle vocali precedenti e/o successive. In Romagna questo fenomeno ebbe conseguenze ben più profonde che presso i popoli confinanti. Nel romagnolo le atone cadono totalmente, con l’eccezione della ‘a’, che si conserva di norma in ogni posizione.
In questo modo, le parole che in latino sono trisillabe o quadrisillabe sono ridotte a monosillabi:

  • Il latino GENUCULU- diventa in romagnolo ZNÒC (ginocchio)
  • Il latino TEPIDU- diventa in romagnolo TEVVD (tiepido)
  • Il latino OCULU- diventa in romagnolo ÒC (occhio)
  • Il latino FRIGIDU- diventa in romagnolo FRÉDD (freddo)

Il fenomeno non ha eguali in nessun altro dialetto limitrofo, per cui si può dire che la “distruzione delle atone” è una caratteristica distintiva del romagnolo.

[modifica] La letteratura

[modifica] Dal Cinquecento al Settecento

La letteratura romagnola comincia alla fine del XVI secolo con l’opera E Pvlon matt. Cantlena aroica (Il Paolone matto); un poema eroi-comico sulla falsariga dell’Orlando Furioso, scritto da un anonimo autore nel dialetto di San Vittore di Cesena e attribuito al Fantaguzzi. Purtroppo dei XII canti che formavano il poema sono sopravvissuti solo i primi tre e buona parte del IV, per un totale di 231 ottave (1848 versi)[1].

Nella seconda metà del XVII secolo appare la Batistonata o frottola, composta dal ravennate Lodovico Gabbusio in tempo di carnevale.
Risalgono al 1710 tre sonetti scritti dal parroco di San Nicandro (presso Ravenna), Giandomenico Michilesi. In pieno Settecento troviamo le poesie in dialetto ravennate del conte Ippolito Gamba Ghiselli (1724-1788) e i sonetti dell'abate ed agronomo riminese Giovanni Antonio Battarra (1714-1789).

Il primo poeta dialettale a godere di una certa notorietà è don Pietro Santoni (Fusignano, 1736-1823), autore di canzoni composte alla fine del XVIII secolo, che ai suoi tempi circolavano manoscritte. Don Santoni fu, dal 1764 al 1766, maestro di Vincenzo Monti. I due rimasero amici anche quando Monti assurse alla notorietà. Esiste addirittura un sonetto dialettale del Monti[2]. Autore di quattro sonetti in dialetto ravennate è infine Jacopo Landoni (1772-1885), che si firmava «Pirett Tignazza, canonich d'la Piaza».

[modifica] L'Ottocento e il Novecento

Nel 1840 il faentino Antonio Morri pubblicava per i tipi di Pietro Conti all'Apollo il primo vocabolario Romagnolo-Italiano.

Tra i molti autori che hanno scritto in romagnolo, il secolo XX ha prodotto maestri come Olindo Guerrini, (suoi i Sonetti romagnoli pubblicati postumi dal figlio), che con lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti ha pubblicato anche rime in italiano e Aldo Spallicci. Nel 2005 ci ha lasciato Raffaello Baldini, capace di vincere nel 1988 il premio Viareggio per la poesia con Furistìr (Forestieri) e nel 1995 il premio Bagutta con Ad nota (Di notte).
Il poeta contemporaneo più noto è senza dubbio il santarcangiolese Tonino Guerra, autore di numerose sceneggiature per i film di Michelangelo Antonioni. Nel quadro romagnolo-santarcangiolese, accosto a Tonino Guerra e Raffaello Baldini, è necessario ricordare anche il neodialettale Gianni Fucci.

[modifica] Il teatro dialettale

Il teatro dialettale romagnolo ha origine alla fine dell’Ottocento, ma si rifà ad una tradizione ben più antica. Nei secoli passati, nel periodo del carnevale, durante i trebbi nelle case coloniche (cioè quando, durante l'inverno, una o più famiglie passavano le serate tutti insieme nell'unica stanza riscaldata), venivano spesso proposte anche scenette irriverenti che suscitavano riso e ilarità. Da qui nacque una tradizione che, dalla lingua orale, è passata alla parola scritta.

I primi dialoghi in romagnolo furono portati in scena da Ubaldo Valaperta prima e da Giuseppe Cantagalli poi. Ma fu a Ravenna che nacque e si sviluppò il teatro romagnolo, grazie ai “Dilettanti di Ravenna” del teatro Rasi, che recitarono nel 1921 Al tatar (Le pettegole), il primo lavoro dialettale di Eugenio Guberti, una commedia che rispecchiava la vita ravennate dell'epoca e che riscosse un successo eccezionale.

Fu proprio a seguito di questo successo che nel 1924 si consolidò la “Compagnia dialettale ravennate” guidata da Arturo Cellini, scrittore di poesie. Nello stesso periodo iniziò a scrivere le sue commedie Icilio Missiroli, insieme a colui che sarebbe diventato il maggiore rappresentante del teatro romagnolo: Bruno Marescalchi di San Zaccaria, frazione situata a una ventina di km da Ravenna. Farmacista, Marescalchi è stato autore di celebri commedie romagnole come La Burdëla incajeda, La mân d'ê mél e La ca' 'd Sidori. Sono 22 le commedie che Marescalchi ha firmato.

Dopo anni di alterna fortuna, la creatività di questi autori subì un arresto durante il regime fascista. Per motivi di antiregionalismo il dialetto venne abolito e, di conseguenza, anche le recite che portavano in scena la vita e le usanze della gente di un tempo non furono più gradite.

Dopo la caduta del fascismo tutti gli autori ripresero la loro produzione. Uno dei primi è Guido Umberto Maioli (con lo pseudonimo di Euclide 'd Bargamen) con "A i temp 'd Landon" (Ai tempi di Landoni) dove drammatizza la morte di Anita Garibaldi, poi Bruno Gondoni che con "La broja" (L'erba palustre) mette in scena il dramma dei braccianti romagnoli nella bonifica dell'Agro Romano. Poco alla volta, rifiorirono anche le compagnie teatrali. Oggi il teatro dialettale è tornato a divertire i romagnoli di tutte le generazioni.

[modifica] Fonetica

La varietà dei suoni vocali del romagnolo è di fondamentale importanza poiché le variazioni di accento costituiscono anche variazioni nel significato.

  • a - suono aperto
  • à - suono più aperto
  • â - suono nasale
  • e - suono chiuso normale
  • ë - suono molto aperto
  • è - suono aperto
  • ê - suono chiuso allargato
  • é - suono chiuso
  • é - seguito da n, un suono chiuso nasale con la n muta
  • i - vocale debole sal suono chiuso
  • ì - stesso suono ma l'accento indica la sillaba tonica
  • ì - seguito da n, un suono chiuso nasale con la n muta
  • o - suono chiuso normale
  • ò - suono aperto
  • ö - suono semiaperto con terminazione evanescente
  • ô - suono chiuso terminante in u evanescente
  • ô - seguito da n suono molto chiuso quasi nasale con la n pronunciata
  • u - vocale normale breve (debole)
  • ù - come sopra l'accento indica la sillaba tonica
  • c - suono duro
  • c + a,o,u - suono duro come in italiano
  • c + e,i - suono dolce come in italiano
  • cc - suono dolce di fine parole
  • ch + e,i - suono duro come in italiano
  • g - suono duro
  • g + a,o,u - suono duro come in italiano
  • g + e,i - suono dolce come in italiano
  • gg - suono dolce di fine parola
  • gh + e,i - suono duro come in italiano
  • gl + i - suono dolce come in italiano
  • g-li - suono duro come glicine
  • gn - come in italiano
  • h - è muta e serve unicamente per rafforzare la c e la g come in italiano
  • m - come in italiano, eccetto che nelle terminazioni nasali è quasi sempre semimuta e si indica sottolineata
  • n - come in italiano, eccetto che è muta nelle terminazioni nasali
  • r - come in italiano, eccetto che è muta nei verbi all'infinito salvo che la parola non sia seguita da vocale
  • s - aspra come sonno o selva
  • ş - dolce come in rosa
  • sc - si pronuncia come in italiano, dura con a,o,u e dolce con e,i
  • s-c - s dura seguita da c dolce a prescindere dalla vocale seguente
  • z - aspra come in zavorra
  • ź - dolce come in zucchero

Per quanto non menzionato valgono comunque le regole dell'italiano scritto, compresa la q anche se talvolta si può trovare scritta come cv.

[modifica] La vocale a

La a tonica latina rimane invariata nel dialetto toscano e quindi nella lingua nazionale:
FACTU 'fatto' - PATRE 'padre' - LACU 'lago' ecc.
In romagnolo le cose sono un po' più complesse e la a tonica evolve in maniera diversa a seconda che si trovi in sillaba aperta o in sillaba chiusa.
Consideriamo questi tre esiti da parole latine con a tonica:

Latino Romagnolo Italiano
1) CARRU car carro
2) CARU chêr caro
3) CAMPU câmp campo

Come si può notare, la stessa a tonica in latino è evoluta in tre modi diversi in romagnolo.

La differenza tra i casi 1) e 2) la fanno le consonanti che seguono l'unica A. Ci sono due R in 1) ed una sola R in 2). Nel caso 1) la A si trova in sillaba chiusa; nel caso 2) si trova in sillaba aperta. La regola è che:

  • in sillaba chiusa la a tonica latina rimane invariata,
  • in sillaba aperta la a tonica latina passa invece ad ê, cioè ad una e chiusa allargata.

Il caso 3) è un esempio di nasalizzazione (non presente in toscano, quindi neanche in italiano). La regola è che:

  • una vocale tonica, quando è seguita da una consonante nasale (m, n o gn), assume una pronuncia nasalizzata.

[modifica] La vocale 'e' breve

La 'e' breve del latino classico, e con essa il dittongo 'ae', evolve in toscano (e quindi nella lingua nazionale) in due modi: in sillaba libera si dittonga in 'ie', mentre in sillaba chiusa rimane inalterata. Esempi: PEDE 'piede'; BELLU 'bello'.
In romagnolo non sempre è così. La 'e' breve di norma passa ad é (e chiusa) o ad i.

Sillaba aperta

Latino Italiano Romagnolo
1) PEDE piede
2) DECE dieci dis

Sillaba chiusa

Latino Italiano Romagnolo
3) MEL miele mél
4) CAELU cielo zîl

Questi esempi ribadiscono l'importanza nel romagnolo dell'accento tonico, che fa cadere le altre vocali. In tutti e quattro i casi, infatti, seconda sillaba viene troncata.
Quando non cade? Davanti a nasale la 'e' breve si conserva assumendo una pronuncia nasalizzata.
Es.: GENTE - zent; VENTU vent; VENIO a vegn.

[modifica] La vocale 'e' lunga

La 'e' del latino classico, e con essa il dittongo 'oe', confluiscono in toscano nella e chiusa (é). Tale suono è di norma conservato nella lingua nazionale.
Esempi: RETE 'rete'; PILU 'pelo'.
In romagnolo, di norma la 'e' lunga si conserva come tale se è in sillaba aperta.
Quando invece la 'e' o la 'i' seguono una consonante palatale, frequentemente la é si chiude in 'i'.

Latino Romagnolo Italiano
1) CERA zira (cera)
2) CICER zis (cece)
3) PLICA pjiga (piega)

In sillaba chiusa la é si apre in è.

Latino Romagnolo Italiano
1) TEGULA tègia (teglia di terracotta)
2) BESTIA bèssa (biscia)
3) SICCU sèch (secco)

[modifica] La vocale 'i'

La i tonica del latino rimane di norma invariata nel toscano.
Anche nel romagnolo, la 'i' si conserva, se è in sillaba aperta.
In sillaba chiusa invece l'esito della 'i' è una 'e' aperta:

Latino Romagnolo Italiano
1) GRILLU grèll (grillo)
2) MILLE mèll (mille)
3) FRICTU frètt (fretto)

Davanti a nasale, la 'i' passa ad 'e' nasale.
Esempi: VINU ven; PRIMU premm, ecc.

[modifica] La semivocale j

La lettera J è un'eredità dell'alfabeto greco, analogamente alla lingua italiana, la quale tuttavia l'ha col tempo abbandonata e sostituita con la i semplice. In romagnolo viene impiegata nei seguenti casi:

  • come semiconsonante davanti a una vocale di inizio parola come Jómla (Imola)
  • fra due vocali in una parola come fôja (foglia) come fino a non molto tempo fa in italiano
  • come i di fine parole dopo una vocale es. moj (moglie)
  • come articolo determinativo maschile plurale j'óman (gli uomini)
  • come pronome personale maschile alla terza persona plurale es. j'arcörda i témp pasé (ricordano i tempi passati)
  • come avverbio ci vi o ve: Aj duvró turnê un'etra völta (ci dovrò tornare un'altra volta)
  • come pronome dimostrativo ci o vi es. T'j pu stê sicùr (Ci puoi stare sicuro)
  • come enclisi del verbo pronominale all'imperativo -jal o -jan es. Dàjal e Fàjan (Daglielo, Fagliene)
  • come forma pronominale sintetica es. A j'e' faró savé (Glielo farò sapere)

Ovviamente questa casistica è ben lungi dall'essere completa, una maggiore comprensione infatti si può ottenere solamente arricchendo il proprio vocabolario e iniziando ad analizzare il discorso. A tal riguardo si rimanda alla consultazione del "Vocabolario Romagnolo" di Adelmo Masotti (ed. Zanichelli).

[modifica] La vocale 'o' breve

La 'o' breve latina passa di regola in italiano alla forma dittongata uo.
Esempi: NOVU 'nuovo'; FOCU 'fuoco'; SCHOLA 'scuola'.
Il toscano si comporta in questo caso in maniera diversa dalla lingua nazionale, conservando la 'o' originale: nòvo, fòco, scòla.

In romagnolo la 'o' in sillaba libera passa alla vocale dittongata ô, cioè una o chiusa che si allarga in una a indistinta.
Esempi: NOVU nôv; COR côr, HORTU ôrt.

Fanno eccezione i vocaboli terminanti in -OCU. In essi, infatti, la ô passa ad u.
Esempi: FOCU fugh, JOCU zugh; COCU cugh.

[modifica] Le vocali 'o' lunga e 'u' breve

Queste due vocali del latino classico confluiscono nella ó (o chiusa) del toscano. Tale suono è conservato sia in sillaba aperta sia in sillaba chiusa.
Esempi: CODA coda; VOCE voce; CRUCE croce; BUCCA bocca.

In sillaba aperta nel romagnolo, la o chiusa del latino si conserva come tale.
Esempi: VOCE vos; SOLE sol; CRUCE cros.

In sillaba chiusa la ó si apre in ò.
Esempi: CRUSTA gròsta; LUCTA lòta; BUCCA bòca.

Davanti a nasale, o e u breve passano ad o o si nasalizzano.
Esempi: PLUMBU piomb; UMBRA ombra.

[modifica] La vocale 'u' lunga

La u lunga, nei dialetti toscani e nella lingua nazionale rimane inalterata in ogni posizione.
Esempi: UVA uva; LUMEN lume; IUNCU giunco.

Nel romagnolo la u lunga si conserva in sillaba libera.
Esempi: MULU mul; CRUDU crud; LUCE lus.

In sillaba chiusa la u passa ad o.
Esempi: FRUCTU frott; EXSUCTU sott (asciutto); USTIU oss (uscio); PULICE polsa.

Anche davanti a consonante nasale la u si apre in o:
LUNA lona; FUMU fom; UNU on.

In sillaba finale la u si abbrevia e passa ad ó:
ILLU ó; PLUS pió.

[modifica] Grammatica

I primi studi linguistici sul dialetto romagnolo sono apparsi alla fine dell'Ottocento. Nel 1910, il glottologo austriaco Friedrich Schürr (1888-1980) si servì del Pulon matt per scoprire i mutamenti linguistici del dialetto romagnolo, confrontandolo con le parlate romagnole contemporanee.

[modifica] Alfabeto

L'alfabeto romagnolo si compone delle 21 lettere della lingua italiana con l'aggiunta della J. Nel romagnolo la j assume un ruolo fondamentale come i di iato. La pronuncia è scritta tra parentesi.

A (a) B (bi) C (ci) D (di) E (e) F (ëffe) G (gi) H (àcca) I (i) J (i lônga) L (ëlle) M (èmme)
N (ènne) O (o) P (pi) Q (qu o cu) R (ërre) S (ësse) T (ti) U (u) V (vi o vu) Z (zeta).

[modifica] Articolo determinativo

Maschile Femminile Antevocalico
Singolare e' la l'
Plurale i al (m) j (f) àgli

Non c'è nessuna differenza tra la 'z' e la 's' impura rispetto alle altre consonanti. Quindi “lo zio” si dice è zej.

[modifica] I sostantivi

Singolare: quelli maschili terminano per consonante; quelli femminili terminano di solito in 'a'.
Plurale maschile: normalmente le parole al singolare maschile non hanno plurale. Il plurale si distingue dal singolare solo nelle parole dove la vocale accentata può essere chiusa. Questo accade con tre vocali su cinque: la 'a', la 'e' e la 'o' accentate.

  • Casi con la 'a' accentata
(in italiano) Singolare Plurale
cane can chèn
gatto gatt ghett
carro car chêr
anno l'ann l'ènn
compagno cumpagn cumpegn
  • Casi con la 'e' accentata
(in italiano) Singolare Plurale
pezzo pèzz (aperta) pézz (chiusa)
prato prê prë
mese mes mis

Ma la 'é' chiusa rimane 'è' anche al plurale: (capelli) cavéll cavéll.

  • Casi con la 'o' accentata
(in italiano) Singolare Plurale
occhio òcc (aperta) ócc (chiusa)
nipote anvod anvud
orto ort urt
monte è mont i munt

Caso particolare: i nomi plurali collettivi (ossa, uova, ecc.). 'Osso'-'Ossa' si scrivono allo stesso modo sia al singolare che al plurale: 'oss'. E così 'uovo'-'uova'. Per distinguerli, si cambia l'accento dell'unica vocale:
un óss (chiuso); do òss (aperto);
un ov (ö); do ov (ô).

Come detto sopra, le 'i' e le 'u' sono invariabili:

  • (prete preti) prit prit
  • (frutto frutti) frut frut

Plurale femminile: normalmente cade la 'a' finale:

(in italiano) Singolare Plurale
ape êva êvi
ala éla él
parte pèrt (aperta) pêrt (chiusa)
formica furmiga furmighi

Caso particolare: se la perdita della 'a' lascia un gruppo di consonanti che rende ostica la pronuncia, viene inserita nella parola una vocale compensatoria:
(arma armi) èrma erum
(serva serve) serva seruv.

Nei casi in cui la caduta della vocale finale potrebbe causare ambiguità tra maschile e femminile, nel plurale femminile la 'a' cambia in 'i': (amica amiche) amiga amighi
(giovane giovani) zovna zovni

[modifica] Gli aggettivi

MASCHILI
Seguono le stesse regole dei sostantivi, cioè di norma sono invariabili:
grande/i: Du grend j'occ
buono/i: I bon burdell
bianco/hi: Pidin biench
basso/i: Mitìl pió bëss.

FEMMINILI
Seguono le stesse regole dei sostantivi: di norma finiscono in ‘a’; al plurale terminano in ‘i’:
Tante beccate - Tenti becch
La bella terra – La bela tera
Le prime stelle – Al prèmi stell
Maria era buona – Maria l’era bona.

[modifica] Aggettivi comparativi

(1) REGOLARI

Comparativo Superlativo
(più) pió (m) e pió - (f) la pió
(meno) manc (m) e manc - (f) la manc

(2) IRREGOLARI

Comparativo Superlativo
(migliore) mej (m) e mej - (f) la mej
(peggiore) pez (m) e pèz - (f) la pèz

[modifica] Gli avverbi

(1) Quellli che derivano dagli aggettivi possono essere:

Regolari Irregolari
-ment (finalment, sicurament) ben, mèj, mel, pèz

(2) Affermativi

(Italiano) Romagnolo
anche nenca, nech
pure

(3) Negativi

(Italiano) Romagnolo
non ne, ‘n’
neanche gnanc

(4) di Quantità

(Italiano) Romagnolo
troppo tropp
poco poch, pó
meno manc
tanto tant
solo sol
quasi (s)quesi
perfino infenna

L’avverbio ‘tant’ ha una curiosità: se è insieme ad un aggettivo femminile si scrive ‘tanta’, e se l'aggettivo è al maschile si scrive anch'esso al maschile ‘tant’.

(5) di Luogo

(Italiano) Romagnolo
dove? indov?, duv?, indo’?
lì, là alè là
qui aquè
dappertutto indipartott
in nessun posto invell
all'inizio in te prinzipi
innanzi dadnenz
dietro drî
indietro in drî
su
giù
intorno datoran
dentro (in)dentar
fuori fura
dirimpetto, di fronte impett
lontano luntän

(6) di Tempo

(Italiano) Romagnolo
quando? quänd?
allora alóra
adesso adess
poi
dopo dopp
spesso spess
sempre sempar
prima premma
oggi incù
ieri jir
domani admän
ormai urmai
fuori fura, forra
dirimpetto, di fronte impett
lontano luntän

(7) di Modo

(Italiano) Romagnolo
come coma, cma
così acsè, icsè

[modifica] Le congiunzioni

Congiuntive Disgiuntive Avversative Illative
e o mo, ma donca
parò

‘Mo’ è usato anche come particella rafforzativa nell’Imperativo:
“Stasì mo atenta” (State attenta).

È usato anche in domande polemiche che implichino perplessità:

“Cuss èl mo st’urcì?” (Che cos’è quest’orecchino? – P. es. detto da un genitore al figlio maschio)

[modifica] Preposizioni semplici

(1) di Luogo

Italiano Romagnolo
a a
da da, d’int
in int
sopra sôra
sotto sotta
fra stra, tramez
accanto a, lungo drì
dietro drì da
fuori fura di
di fronte a dnenz a
dentro dent’r a
lungo longh (a)
verso vers (a)
su in so

(2) di Tempo

Italiano Romagnolo
dopo dop
prima di prema di
fino a infèn a

(3) di Modo

Italiano Romagnolo
per par, p’r
come cumpagna, l’istess d’
invece di invezi d’

[modifica] Preposizioni articolate

Sing. M Sing. F Antevoc. Plur. M Antevoc. Plur. F Antevoc.
d’ de dla dl’ di dj dal dagli
a a e’ a la a l’, all’ a i aj al agli
int int e int la intl’ int i intj int al int agli
da da e’ da la dall’ da i daj dal dagli
par par’e’ par la par l’ pr’i par j’ pr’al pr’agli
in so in se, ins’ in sla in sl’ in si in sj in sal in sagli
cun cun e’ cun la cun l’ cun i cun j’ cun al cun agli

[modifica] I verbi

I Coniug. II Coniug. III Coniug.
Infinito Pres. passê nèssar finì
Participio Pres. passend nassend fnend
Participio Pass. passé -da né(d) fnì –da

Regole:
1. Per l’Indicativo presente

pess (senza desinenza finale: il verbo è alla radice)
pessat (‘t’ finale per distinguere dalle altre persone)
passa
passèn (-en)
passiv (-iv)
passa (la terza persona plurale è la stessa della terza persona singolare. Ciò vale per tutti i tempi verbali)

3. Per il participio passato esistono numerose forme contratte:

  • scort (parlato);
  • scäp (andato via in fretta)
  • smengh (dimenticato). Quest’ultima forma aggiunge una ‘a’ al femminile singolare e ‘edi’ al femm. plurale.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

[modifica] Note

  1. ^ Quanto restava dell'opera fu acquistato, insieme ad altre carte, dalla Biblioteca Malatestiana di Cesena nel 1872. E Pvlon matt venne pubblicato per la prima volta nel 1887 da Giuseppe Gaspare Bagli presso l'editore Zanichelli di Bologna.
  2. ^ Ne dà notizia [[Santi Muratori]); il componimento oggi è conservato presso gli Istituti Culturali e Artistici di Forlì
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aa - ab - als - am - an - ang - ar - arc - as - bar - bat_smg - bi - bug - bxr - cho - co - cr - csb - cv - cy - eo - es - et - eu - fa - ff - fi - fiu_vro - fj - fo - frp - fur - fy - ga - gd - gl - glk - gn - got - gu - gv - ha - hak - haw - he - ho - hr - hsb - ht - hu - hy - hz - ia - id - ie - ig - ii - ik - ilo - io - is - it - iu - jbo - jv - ka - kab - kg - ki - kj - kk - kl - km - kn - ko - kr - ks - ksh - ku - kv - kw - ky - la - lad - lb - lbe - lg - li - lij - lmo - ln - lo - lt - lv - map_bms - mg - mh - mi - mk - ml - mn - mo - mr - ms - mt - mus - my - mzn - na - nah - nap - nds - nds_nl - ne - new - ng - nn - -

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