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Bettino Craxi - Wikipedia

Bettino Craxi

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Bandiera italiana
Stemma Presidente della Repubblica
Presidente del
Consiglio dei Ministri
Bettino Craxi
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Luogo di nascita Milano
Data di nascita 24 febbraio 1934
Luogo di morte Hammamet
Data di morte 19 gennaio 2000
Titolo di studio Maturità classica
Professione politico, giornalista
Partito politico Partito Socialista Italiano
Coalizione Pentapartito
Data incarico 4 agosto 1983 - 17 aprile 1987
Predecessore Amintore Fanfani
Successore Amintore Fanfani

Benedetto Craxi detto Bettino (Milano24 febbraio 1934 – Hammamet19 gennaio 2000) è stato un politico italiano.

Fu il primo socialista a ricoprire, nella storia repubblicana, la carica di Presidente del Consiglio dei ministri dal 4 agosto 1983 al 17 aprile 1987, in due governi consecutivi. Negli anni di Tangentopoli, in seguito alle indagini di Mani Pulite, venne condannato e fuggì ad Hammamet, in Tunisia, dove trascorse, da latitante, gli ultimi anni di vita. È uno degli uomini politici più rilevanti della storia della Repubblica Italiana, ma anche uno dei più discussi.


Indice

[modifica] Biografia

[modifica] L'inizio della carriera politica

Primogenito dell'avvocato Vittorio Craxi, la cui famiglia paterna era originaria di San Fratello, un comune della provincia di Messina sui Nebrodi, e di Maria Ferrari, una casalinga di Sant'Angelo Lodigiano, Craxi nasce a Milano il 24 febbraio 1934.

Durante la seconda guerra mondiale, la famiglia decide di affidarlo al collegio cattolico "De Amicis" a Cantù, sia per il carattere turbolento, sia per allontanarlo dai pericoli che correva a causa dell'attività antifascista del padre che, dopo la liberazione, assumerà la carica di vice-prefetto a Milano e poi quella di prefetto a Como.

Terminata la guerra, Bettino Craxi iniziò ad avvicinarsi giovanissimo alla politica; nel 1953 a diciannove anni entra nella federazione milanese del Partito Socialista, diventandone funzionario e quattro anni dopo, a ventitré anni fu eletto nel comitato centrale del PSI. Nel frattempo frequentò l'Università, diventando vicepresidente dell' Unuri, il parlamentino degli studenti. Intanto proseguiva la sua ascesa all'interno del PSI: nel 1965 divenne membro della direzione nazionale. Dopo un'esperienza di amministratore come consigliere comunale a Sant' Angelo Lodigiano e assessore nella sua Milano, iniziata nel 1960, nel 1968 veniva eletto per la prima volta in Parlamento.

Poco dopo il fallimento dell'unificazione socialista (1969), agli inizi del 1970 Giacomo Mancini divenne segretario nazionale del PSI e venne affiancato da tre vicesegretari: Tristano Codignola, Giovanni Mosca e appunto Craxi.

Nel 1972 con l'elezione di Francesco De Martino a segretario nazionale del PSI, durante il congresso di Genova, Craxi viene confermato insieme a Giovanni Mosca nel ruolo di vicesegretario, ricevendo l'incarico di curare i rapporti internazionali del partito. Da rappresentante del PSI presso l'Internazionale Socialista stringe legami con alcuni dei principali protagonisti della politica estera del tempo, da Willy Brandt a Felipe González, da François Mitterrand a Mario Soares, da Michel Rocard ad Andreas Papandreou.

All'interno del partito fu un convinto sostenitore di Pietro Nenni e del centro-sinistra "organico" che in quegli anni governava l'Italia. Da responsabile del PSI per gli esteri finanziò economicamente alcuni partiti socialisti messi al bando dalle dittature dei rispettivi Paesi, tra cui il Partito Socialista Operaio Spagnolo, il Partito Socialista Cileno di Salvador Allende, di cui Craxi era amico personale, e il Partito Socialista Greco.

[modifica] L'elezione a segretario e il nuovo corso

Nel 1976, un articolo sull'Avanti! del segretario socialista Francesco De Martino provocò la caduta del governo Moro, provocando le successive elezioni anticipate che si conclusero con una crescita impressionante del PCI di Enrico Berlinguer, mentre la Democrazia Cristiana riuscì a rimanere il partito di maggioranza relativa solo per pochi voti.

Per il PSI invece, quelle elezioni furono una pesante sconfitta. I voti scesero sotto la soglia psicologica del 10%. De Martino, che puntava ad una nuova alleanza con i comunisti, fu costretto alle dimissioni e si aprì all'interno del partito una grave crisi. Alla ricerca di una nuova identità che rilanciasse il partito, il 16 luglio nel 1976 il comitato centrale si riunì in via straordinaria presso l'Hotel Midas di Roma ed elesse Bettino Craxi, da pochi giorni capogruppo alla Camera, nuovo segretario.

La scelta di Craxi fu frutto di una mediazione fra le varie correnti socialiste che si presentavano fortemente frammentate e quindi incapaci di far emergere un segretario, appoggiato da una solida maggioranza. Emerse così la volontà di eleggere un "segretario di transizione" che guidasse il partito fuori dalla crisi. Il primo a proporre il nome di Craxi, fu il calabrese Giacomo Mancini, che riuscì a far convergere sul suo nome anche i voti delle correnti guidate da Claudio Signorile ed Enrico Manca. Si opposero alla sua elezione soltanto i cosiddetti "demartiniani", ostili a colui che era considerato il "pupillo di Nenni", i quali però al momento delle votazioni preferirono astenersi.

Craxi mostrò da subito le sue doti politiche, dimostrando di essere tutt'altro che un semplice "segretario di transizione". Nominò suoi collaboratori personalità nuove, alcune molto giovani, tanto da dare inizio a quella che sarà chiamata la "rivoluzione dei quarantenni". Craxi si muove con determinazione ed energia, puntando al rilancio del partito, che "partendo dalla sua grande tradizione, ritrovi il suo orgoglio e il coraggio di intraprendere nuove strade, di dare inizio" a quello che il segretario chiama "il nuovo corso". Puntando a tracciare nuovi sentieri, Craxi si oppone al compromesso storico e delinea, per il futuro, una linea dell'alternanza, fra DC e il suo partito.

Durante il sequestro Moro fu l'unico leader politico a dichiararsi disponibile ad una trattativa, attirandosi addosso parecchie critiche. In quello stesso anno, il 1978, si svolse a Torino il XLI congresso in cui Craxi, riuscì a farsi rieleggere, malgrado la sua corrente dell'"Autonomia Socialista" ebbe un duro scontro all'inizio con la corrente lombardiana (guidata da Claudio Signorile) e con quella demartiniana (con a capo Enrico Manca), che lo avevano appoggiato due anni prima.

Craxi si presentò agli Italiani in una maniera totalmente nuova: si mostrava attento ai movimenti della società civile e alle battaglie per i diritti civili, sostenute dai radicali, curava la propria immagine attraverso i mass media e mostrava di non disdegnare la politica-spettacolo. Avviò una campagna per la "governabilità del governo", assumendo toni sempre più decisionisti, con quella che nei giornali sarà chiamata la "grinta di Craxi".

[modifica] Craxi presidente del Consiglio

L'azione di Craxi viene aspramente criticata dalla sinistra interna, ma trascina il partito all'ottimo risultato raggiunto alle elezioni del 1983. In seguito a ciò, Craxi – che nel 1979 aveva dovuto rinunciare ad un precedente incarico, conferitogli dal presidente Pertini – chiede e ottiene la presidenza del Consiglio. È il primo socialista che ci riesce.

Il primo governo Craxi è sostenuto dal Pentapartito, un'alleanza fra Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli. Quest'alleanza nasceva non da accordi pre-elettorali o da una comune identità di vedute, ma dalla necessità, fortemente sostenuta da Craxi, di "tenere i comunisti fuori dal governo". È l'unica maggioranza, in pratica, capace di potersi formare, senza coinvolgere in nessun modo il Pci.

All'interno della compagine ministeriale gli scontri sono all'ordine del giorno, la litigiosità soprattutto fra Dc e Psi è altissima. Frequenti le liti fra Craxi e i leader democristiani De Mita e Andreotti (che Craxi chiamerà la "vecchia volpe").

Nonostante ciò, il suo governo fu uno dei più lunghi nella storia della Repubblica e riuscì a lasciare una traccia profonda nella politica italiana.

[modifica] Politica interna dei governi Craxi

Il 5 agosto 1983, appena un giorno dopo aver formato il suo primo governo, Craxi istituisce il Consiglio di gabinetto, dando seguito ad un impegno assunto con i partiti del Pentapartito nel corso delle consultazioni: «Si tratta - disse allora Craxi - di un Consiglio nel quale saranno rappresentate tutte le forze politiche; un Consiglio politico, che dovrà consentire consultazioni più rapide su tutte le questioni che saranno poi sottoposte al vaglio del Consiglio dei ministri, su tutte le questioni di indirizzo importanti. Si tratta di un organismo autorevole in cui saranno rappresentati anche i ministeri politici ed economici più importanti». La prima riunione si svolge il 26 agosto e vi prendono parte, oltre naturalmente a Craxi, Arnaldo Forlani, vicepresidente del Consiglio e Giulio Andreotti, ministro degli Esteri, Giovanni Goria, ministro del Tesoro, Oscar Luigi Scalfaro, ministro dell’Interno in rappresentanza della Dc, Giovanni Spadolini, segretario del Pri e ministro della Difesa, Renato Altissimo ministro dell’Industria del Pli, Gianni De Michelis, Psi e ministro del Lavoro e il ministro del Bilancio e Psdi Pietro Longo. Fanno parte del Consiglio quindi i rappresentanti di tutti e cinque i partiti dell’alleanza di governo. Il Consiglio che in seguito assunse un ruolo centrale e si trattò della sede di concertazione che assunse le principali decisioni politiche del successivo triennio, contribuendo alla fama di "governo forte" che assunse quell'Esecutivo. Presenziava alle riunioni il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giuliano Amato.

Furono diversi i provvedimenti varati dal governo Craxi, fra i più importanti:

  • il contestato taglio di quattro punti della Scala mobile, a seguito del cosiddetto "decreto di San Valentino", ottenuto con la sola concertazione della CISL e della UIL. La CGIL, invece, abbandonò le trattative e diede vita a massicce manifestazioni di massa, con la collaborazione del Pci, che nel frattempo scatenò in Parlamento un ostruzionismo durissimo. Il decreto passò con la fiducia e in seguito venne avviata una raccolta di firme che portò ad un referendum abrogativo. Al referendum, che si tenne nella primavera del 1985, Craxi partecipò attivamente alla campagna elettorale a sostegno della sua riforma, riuscendo ad ottenere, a sorpresa, la sconfitta degli abrogazionisti. Intanto, secondo alcuni studiosi anche grazie a tale misura, l'inflazione, dal 1983 al 1987, scese dal 16% al 4%; il deficit pubblico scese di un terzo, dal 15% al 10%; lo sviluppo dell’economia italiana, secondo soltanto a quello del Giappone, vide sia una crescita dei salari (in quattro anni, di quasi due punti al di sopra dell'inflazione), sia il momentaneo sorpasso del reddito nazionale e quello pro-capite della Gran Bretagna, diventando il quinto paese industriale avanzato del mondo [1]. Va tuttavia ricordato che, in quegli anni, il deficit crebbe paurosamente a causa di una gestione dei bilanci statali da molti giudicata irresponsabile.
  • il condono edilizio Nicolazzi del 1985: esso era inserito in una legge urbanistica, che non fu mai realmente applicata, che aveva l'ambizione di voltare pagina rispetto al passato ed introduceva un sistema di regole penali e una diretta attribuzione di responsabilità alle amministrazioni comunali per la repressione degli abusi;
  • il "decreto Berlusconi", varato per consacrare il duopolio televisivo creatosi in via di fatto dopo la nascita e lo sviluppo dell'impresa mediatica dell'allora imprenditore Silvio Berlusconi.
Silvio Berlusconi e Bettino Craxi nel 1984
Silvio Berlusconi e Bettino Craxi nel 1984


Rimase invece "un inutile abbaiare alla luna" - come lo definì Craxi stesso con amarezza - il progetto di una "grande riforma" costituzionale in senso presidenzialista, che desse maggiore efficienza in senso decisionista ai poteri pubblici italiani; non si raggiunse mai in Parlamento la maggioranza necessaria anche solo per affacciare l'ipotesi di approvazione di un testo, sul quale peraltro vi erano forti oscillazioni nello stesso entourage craxiano (vi era chi optava per il presidenzialismo all'americana e chi per quello alla francese).

Craxi propose anche – sulla scorta di analoghe operazioni effettivamente realizzate negli anni '70 in Grecia e, negli anni '50, nella Germania di Konrad Adenauer – la "lira pesante", un progetto per la parità uno a mille della valuta, si disse con la possibile coniazione di una moneta con l'effigie di Garibaldi; l'operazione non ebbe alcun seguito. Con i potentati economici del Nord il rapporto fu sempre alquanto dialettico: al congresso della CGIL del 1986 accusò gli industriali di voler "lucrare senza pagare", ricevendo dalla platea sindacale un caloroso applauso [2] e dando così l'impressione di un'efficacia redistributiva maggiore di quella che – dopo la marcia dei quarantamila che aveva visto spuntarsi le armi del sindacalismo confederale – era promessa dal massimalismo di sinistra facente capo al PCI. Dai giornali della Confindustria venne invece una piccata reazione, che paventava in quel "pagare" non una richiesta di contributo al benessere della collettività, ma una più materiale richiesta di sostegno economico al suo partito.

Assai più criticati, perché rientranti in una nozione di ingerenza dello Stato in economia che avrebbe poi trovato rovinosamente la fine negli anni Novanta, furono gli interventi del governo Craxi per la fine del mandato di Enrico Cuccia come presidente di Mediobanca (elusa dal consiglio di amministrazione con la sua nomina a presidente onorario) e l'opposizione alla vendita del complesso alimentare dell'IRI – la SME – negoziata direttamente dal suo presidente Romano Prodi e smentita da una direttiva del Governo.

[modifica] Politica estera dei governi Craxi

Anche nella politica estera, Craxi impose il suo piglio decisionista e grintoso. Obiettivo dichiarato era quello di fare dell'Italia una potenza regionale nell'area del Mar Mediterraneo e del Vicino Oriente. Stipulò accordi con i governi della Jugoslavia e della Turchia, appoggiò in Tunisia la dittatura socialista di Zine El-Abidine Ben Ali, offrendogli il sostegno internazionale al suo colpo di Stato incruento con cui depose Habib Bourguiba. Sostenne anche il dittatore della Somalia Muhammad Siad Barre, già segretario del Partito Socialista Rivoluzionario Somalo; fu favorevole all'installazione in Sicilia degli "euro-missili" posizionati contro l'URSS; nella Guerra delle Falkland sostenne l'Argentina, senza però interferire in alcun modo nel conflitto. Fornì inoltre un appoggio convinto alla causa palestinese e intrecciò relazioni diplomatiche con l'OLP e con il suo leader Yasser Arafat, di cui divenne amico personale, sostenendone le iniziative.

Per approfondire, vedi la voce Crisi di Sigonella.

Ma l'episodio più noto è senza dubbio la "crisi di Sigonella": il caso esplose nel 1985, quando alcuni membri del FPLP (Fronte Popolare di Liberazione della Palestina) – un movimento guerrigliero palestinese d'ispirazione marxista che ricorse anche al terrorismo – si impadronirono della nave da crociera italiana Achille Lauro. Craxi si oppose ad ogni intervento repressore, come invece avrebbe preferito l'allora presidente Usa, Ronald Reagan con cui ebbe un duro scontro telefonico, preferendo il dialogo con i terroristi. Dopo le trattative fu concessa a tutti i membri del commando, compreso il leader Abu Abbas, una sicura fuga in Egitto tramite trasporto aereo, in cambio del rilascio dei prigionieri. Poco prima dell'arrivo di Abu Abbas sulla nave il commando aveva ucciso, per motivi ignoti, un passeggero paraplegico ebreo di nazionalità statunitense, Leon Klinghoffer. Reagan venuto a saperlo, ordinò all'aviazione di marina statunitense di intervenire con la forza nel tentativo di catturarlo e di trascinarlo nella base Nato di Sigonella in Sicilia, per fare scalo verso gli USA. Ma Craxi lo impedì, dicendo in una famosa conversazione telefonica con la Casa Bianca che il reato era stato commesso in territorio italiano e che quindi solo la giustizia italiana aveva il diritto di giudicare Abu Abbas e i membri del commando.

Quando il leader socialista ventilò addirittura un intervento armato dell'esercito italiano contro gli americani, l'esercito degli USA bloccò l'intervento delle truppe: lo stallo fu superato solo con la decisione di trasferire i palestinesi a Roma, ma un aereo USA violò lo spazio aereo italiano seguendolo fino a destinazione. In seguito, Abbas sfuggì alla giustizia italiana e fu catturato dalle truppe americane solo nel 2004, durante le operazioni militari immediatamente successive alla Seconda Guerra del Golfo.[3] Quando Craxi si presentò al Senato per chiarire l'intera vicenda, ottenne l'approvazione anche dei comunisti, che aveva sempre attaccato con durezza: la sua affermazione, secondo cui anche Mazzini era ai suoi tempi considerato un terrorista (mentre era a capo di un movimento di liberazione nazionale alla stessa stregua di Arafat), produsse l'immediata uscita dal governo del Partito Repubblicano Italiano, fedele alleato degli Stati Uniti. Questa netta presa di posizione di Craxi rese manifesta l'alleanza che egli aveva stretto con il leader palestinese dell'OLP Yasser Arafat: si trattava di una politica che fu chiamata da alcuni dei suoi detrattori il "Social-Islam", ma che gli fu ascritta a merito dalla maggioranza degli Italiani secondo i sondaggi dell'epoca [4] ; il presidente della repubblica Sandro Pertini dichiarò riprendendo un sentimento diffuso che "Craxi aveva difeso l'indipendenza dell'Italia". Il settimanale inglese The Economist dipinse Craxi come "l'uomo forte d'Europa"

Forte di un vasto consenso popolare, Craxi riuscì ad ottenere nuovamente la guida del governo, cui il Pri diede il suo sostegno ancora con la partecipazione di Spadolini.

[modifica] Il secondo governo Craxi e la "staffetta"

La crisi, rientrata dopo il ritorno al governo dei repubblicani, riesplose nella primavera del 1986. Il segretario della Democrazia Cristiana, Ciriaco De Mita, ottenne che il secondo incarico conferito dal nuovo Capo dello Stato Francesco Cossiga a Craxi fosse vincolato ad un informale "patto della staffetta", che avrebbe visto un democristiano alternarsi alla guida del governo dopo un anno, per condurre al termine la legislatura. Dopo aver taciuto per mesi intorno a questo patto, avallandone implicitamente l'esistenza, Craxi – con l'ennesima dimostrazione di quella disinvoltura politica che gli fu più volte rimproverata come "arroganza" al limite dell'improntitudine, e che lui rivendicava invece come necessario indizio di decisionismo – sconfessò l'accordo in un'intervista a Giovanni Minoli nella trasmissione Mixer nel febbraio del 1987.

La sfida così pubblicamente lanciata fu raccolta da De Mita, che fece nuovamente cadere il governo e, con un governo Amintore Fanfani, portò il Paese alle urne; con un gesto di sfida, Craxi dichiarò che non gli interessava guidare il governo durante il periodo elettorale, perché "non stiamo in America latina, dove è il prefetto che decide l'esito delle elezioni in una provincia". L'esito elettorale – che non portò molto avanti l'"onda lunga" del consenso del PSI, da lui ripetutamente vaticinata – si incaricò di smentire quest'assunto.

Dal 1987 in poi, la DC non fu più disponibile a dare la fiducia a Craxi, preferendo sostenere come presidente del Consiglio prima Giovanni Goria e poi Ciriaco De Mita. Fu solo uno degli episodi degli scontri fra De Mita e Craxi, spiegabile forse nel fatto che il leader democristiano, era anche il punto di riferimento della sinistra Dc, quella cioè più vicina al Pci.

In questi anni Craxi ottenne importanti ruoli alle Nazioni Unite: fu rappresentante del segretario generale dell'ONU Peréz de Cuéllar per i problemi dell'indebitamento dei Paesi in via di sviluppo (1989); successivamente svolse l’incarico di consigliere speciale per i problemi dello sviluppo e del consolidamento della pace e della sicurezza (rinnovatogli nel marzo 1992 da Boutros Ghali).

[modifica] Il "craxismo" e la revisione "estetica"

La vittoria elettorale del 1983 e la crescita di consenso per il PSI, indebolirono all'interno del partito socialista l'opposizione a Craxi, tanto che nei successivi congressi, fu sempre rieletto con voti plebiscitari. A porsi contro Craxi rimasero alcuni esponenti, anche prestigiosi, che condussero solitarie battaglie. Uno su tutti Giacomo Mancini, che esclamò in un congresso "Questo non è più il partito socialista italiano; è il partito craxista italiano". Anche fra i sostenitori di Craxi vi era coscienza della grande autorità che aveva il segretario nel partito, senza precedenti nella storia del socialismo.

All'inizio degli anni ottanta, Craxi – che già nel 1979 aveva avviato una revisione ideologica, inneggiando al socialismo umanitario di Proudhon in luogo di quello scientifico di Marx – proseguì ed incoraggiò una revisione anche estetica del partito. Ad esempio, vennero cancellati dal programma politico alcuni termini che potevano ricondurre al marxismo; venne eliminato il termine autonomismo che venne sostituito con la parola riformismo, giudicata più inerente dalla corrente moderata e riformista. Venne inoltre abolito il termine "Comitato Centrale" (perché esso riconduceva immediatamente ai partiti comunisti), sostituito dal più neutro "Assemblea Nazionale", nella quale entrarono a far parte oltre ai politici anche uomini dello spettacolo, della moda, dello sport e della cultura.

« E' immensa come una nave, oblunga e travolgente e sarebbe impossibile vedere lui [ Bettino Craxi ] se non irradiasse la sua immagine elettronica dall'enorme piramide multimediale dell'architetto Filippo Panseca »
(Giuseppe Genna, Dies irae)

Alcuni eccessi di spettacolarizzazione (celebri le scenografie congressuali ideate dall'architetto Filippo Panseca) furono criticati dai suoi stessi compagni di partito: Rino Formica coniò, per l'Assemblea Nazionale del 1991, l'eloquente immagina di una "corte di nani e ballerine". Si rinunciò al tradizionale anticlericalismo socialista (con l'approvazione del Concordato) e fu infine ridotto e poi eliminato (dal 1985) il simbolo della falce e martello nel logo del PSI, sostituito dal garofano rosso, che da allora divenne emblema del partito.

[modifica] L'"unità socialista" e i rapporti col PCI

Soprattutto dopo il 1989, (quando cadde il muro di Berlino), ritenendo ormai prossima la crisi del PCI, nelle intenzioni di Craxi[5] entrò anche il lancio di un progetto annessionistico a sinistra, con la parola d'ordine dell'"unità socialista", scritta che fu aggiunta al logo del partito.

Il rapporto assai travagliato con il PCI risale agli anni della guerra fredda, quando citando Guy Mollet Craxi aveva sostenuto che "I comunisti non sono a sinistra, sono a est": ma furono "i comunisti della seconda generazione, quella dopo Togliatti e Longo" quelli che "non apprezzano la sua posizione e gliela fanno pagare cara, avvalendosi anche dell'implacabile collaborazione del direttore di Repubblica, che pure nei lontani anni sessanta era stato fraternamente appoggiato da Craxi, con Lino Jannuzzi, nella campagna elettorale" [6]. L'impulso ad una trasformazione del grande partito della sinistra italiana in senso occidentale era impresso da Craxi con una metodica scevra dalle sudditanze politiche dei suoi predecessori, giovandosi della posizione di potere acquisita con i lunghi anni di governo con la DC, tanto che essa è descritta da Claudio Petruccioli come una disperante sindrome da "riserva indiana" in cui il PSI costringeva in un ghetto politico il PCI ponendosi "all'imboccatura della valle" della politica di governo ed esigendo un pedaggio democratico che non gli venne mai concesso [7].

Quando però il PCI guidato da Achille Occhetto si stava per trasformare nel PDS, per costituire un'unica forza politica ispirata al riformismo socialdemocratico, la sua strategia non seppe adeguarsi altro che con la volontà di unificare PSI, PSDI e il nuovo partito, in una logica visibilmente annessionistica che fu particolarmente criticata dai riformisti del PCI (cosiddetta corrente "migliorista"), i quali videro nel mancato tentativo di arruolare Giampiero Borghini nel PSI un'aggressione da rintuzzare con decisione (alla fine fu solo il fratello di Borghini a passare dall'altra parte).

Craxi fu anche favorevole all'entrata del neonato Partito Democratico della Sinistra nell'Internazionale Socialista (di cui Craxi fu vicepresidente fino al 1994 quando fu sostituito proprio da Achille Occhetto). Il progetto di alcune limitatissime liste comuni, sperimentato nelle elezioni amministrative del 1992, (dove non riscosse molto successo) naufragò definitivamente in seguito alle inchieste di Tangentopoli.

[modifica] Il crollo

[modifica] La CAF e i governi Andreotti

Nel 1989, Craxi torna alla carica, deciso a ritornare a Palazzo Chigi. Forma con i democristiani Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani un'alleanza di ferro: la CAF (dalle iniziali dei cognomi dei tre protagonisti), che fu definita la "vera regina d'Italia". Nel LXII congresso del PSI, Craxi dopo essere stato rieletto segretario con una maggioranza schiacciante, fa approvare una mozione di sfiducia al governo De Mita. De Mita rassegna le dimissioni da premier, dopo che aveva perso già la segreteria democristiana che era andata nelle mani di Arnaldo Forlani, alleato di Andreotti.

Quest'ultimo, assume la guida di due governi che reggono fino al 1992. Sono anni "di assoluto immobilismo": il governo sembra incapace di prendere decisioni concrete; nel Paese si diffonde un forte malcontento, accentuato dai sospetti emersi con lo scandalo Gladio. Craxi confida apertamente in un logoramento democristiano e spera nella possibilità di portare il partito socialista al centro della scena politica, assumendo quel ruolo-guida, che fino a quel momento apparteneva alla Dc. Si mostra fiducioso di sé, anche quando il referendum sulla preferenza unica, promosso da Mario Segni – al quale Craxi si era opposto invitando gli italiani ad "andarsene al mare" – raccoglie invece un larghissimo consenso.

Il progetto di Craxi, coltivato a lungo, non si sarebbe però mai realizzato: secondo Giuliano Amato, dopo il crollo del muro di Berlino si finì per contare "più sulla definitiva disfatta dell'ex Pci che non sulla prospettiva di assumere noi la guida della sinistra. Sbagliammo: invece di attendere che il cadavere del Pds passasse sul fiume, avremmo dovuto invocare noi le ragioni della convergenza"[8]. Nella stessa circostanza Amato affermò che "forse ebbe un peso anche la sua malattia, molto seria, alla quale teneva testa solo grazie alla sua fibra veramente robusta, perché nei fatti non si curava, era sregolatissimo. Mi venne detto da medici esperti che l'incedere del diabete determina anche incertezze nuove nel carattere delle persone che ne soffrono. Può essere dunque che il suo ritrarsi da una decisione rischiosa fosse anche la conseguenza di un cattivo stato di salute"[9]; in effetti, all'agosto 1990 risale il primo ricovero di Craxi al San Raffaele di Milano per le complicazioni derivate dal diabete mellito che lo avrebbe portato alla morte dieci anni dopo.

Un'altra chiave di lettura è invece quella secondo cui "per un cattivo governo il momento più pericoloso è sempre quello in cui comincia a riformarsi", secondo la "legge" enunciata da Alexis de Tocqueville e di cui in quegli stessi anni sperimentarono la fondatezza altre "democrazie bloccate" come il Giappone monopolizzato dal partito liberaldemocratico [10].

La recessione economica, la crisi politica della Prima Repubblica, l'aumento del già abnorme debito pubblico e l'affermazione delle liste regionali (in particolare la Lega Lombarda) causarono il crollo del sistema politico di cui egli fu grande protagonista. Inoltre, le inchieste giudiziarie avviate nei suoi confronti causarono la sua caduta, stavolta definitiva.

[modifica] L'inizio di Mani Pulite e le elezioni del 1992

L'epicentro del potere socialista e craxiano era Milano, centro nevralgico della finanza e degli affari, con il cui ambiente il PSI finì per identificarsi. Nel dicembre del 1986 si avvicendarono alla guida del comune Paolo Pillitteri, cognato di Craxi, e una giunta monocolore socialista guidata da Carlo Tognoli ed appoggiata all'esterno da altre forze laiche, con l'astensione del PCI.

Il 17 febbraio 1992, l'ingegnere Mario Chiesa, esponente del Psi, con l'ambizione di diventare sindaco di Milano, viene arrestato dalla polizia e con le confessioni, rende pubblico un complesso sistema di tangenti che coinvolgono i dirigenti milanesi del Psi, primo fra tutti, Paolo Pillitteri cognato di Craxi. Quest'ultimo, al Tg3 respinge ogni accusa, sostenendo che il suo impegno per dare al Paese un governo che affronti i momenti difficili non poteva essere infangato da un "mariuolo che getta un'ombra sull'immagine di un partito, che a Milano non ha mai avuto un esponente condannato per reati contro la pubblica amministrazione".

Intanto il settimo governo Andreotti viene travolto dalle picconate del presidente Cossiga; quest'ultimo, accogliendo le dimissioni di Andreotti, decide di indire elezioni anticipate ad aprile. Craxi, fiducioso che il crollo della Dc sia imminente, organizza una massiccia campagna elettorale, puntando alla presidenza del Consiglio.

Nel frattempo le inchieste di Tangentopoli, guidate da Antonio Di Pietro e dagli altri giudici della Procura di Milano vanno avanti in tutta Italia. In questo clima si tengono dunque le elezioni: l'intero Pentapartito crolla, avanzano formazioni tradizionalmente escluse dal potere come il MSI, il PDS e soprattutto la Lega Nord. Il PSI, dal canto suo, passa dal 14,3 al 13,5%. "Un piccolo calo" commenta Craxi "rispetto alla crisi dei partiti di governo". In virtù di questo, Craxi chiede la guida del nuovo governo, per poter portare "l'Italia fuori dal caos". Ma il nuovo presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro rifiuta di concedere incarichi ai politici vicini agli inquisiti. Craxi è costretto a farsi da parte, al suo posto viene nominato Giuliano Amato.

Craxi già il 3 luglio 1992 alla Camera aveva affermato che tutti i partiti avevano bisogno di denaro ottenuto illegalmente per finanziare le proprie attività, e lo ricevevano. Raggiunto dai primi avvisi di garanzia della Procura di Milano nell'autunno, in un corsivo sull'Avanti – firmato con il consueto pseudonimo "Ghino di Tacco" – attaccò Di Pietro: "non è tutto oro, quello che luccica; col tempo scopriremo che quel giudice di cui si sente tanto parlare è tutt'altro che l'eroe che crede la gente", scatenando dure proteste da parte dell'opinione pubblica.

Poco dopo, Craxi si vide costretto a dimettersi anche dalla segreteria.

[modifica] La fine politica e la fuga ad Hammamet

Il nuovo governo avrà una vita tutt'altro che semplice. Poco dopo una "pioggia di avvisi di garanzia" cade sulle teste dei principali leader politici nazionali. Il PSI è travolto dalle inchieste, la sua dirigenza è letteralmente decimata. Craxi stesso cumula una ventina d'avvisi di garanzia e dopo aver attaccato la Procura di Milano di muoversi dietro "un preciso disegno politico", si presenta alla Camera il 29 aprile del 1993 e in un famoso discorso tuonò: "Basta con l'ipocrisia!", tutti i partiti –secondo Craxi– si servivano delle tangenti per autofinanziarsi anche quelli "che qui dentro fanno i moralisti". La sua linea di difesa non fu insomma dichiarare se stesso innocente, ma sostenere che egli era colpevole né più né meno di tutti gli altri.

Ciò nonostante le indagini dimostrarono come Craxi avesse utilizzato parte dei proventi delle tangenti (circa 50 miliardi di lire) per scopi personali (Finanziamento del canale televisivo Gbr di proprietà della sua amante Anja Pieroni, acquisto di immobili, affitto di una casa in costa Azzurra per il figlio); a dimostrazione del fatto che l'utilizzo delle casse del partito non era finalizzato solo all'attività amministrativa ordinaria del Psi, durante le indagini (dopo un fallito tentativo di farli rientrare in Italia, bloccato dal nuovo segretario del Psi Ottaviano Del Turco) Craxi li versò sul conto di un prestanome, Maurizio Raggio [11] .

Come risulta dalle indagini del pool Mani Pulite, la corruzione ed il finanziamento illecito ai partiti politici, erano endemici nella società italiana. Molti politici, Craxi in testa, classificavano i finanziamenti illeciti come necessari alla vita politica dei partiti e delle loro organizzazioni per il mantenimento delle strutture e per la realizzazione delle varie iniziative. A questa categoria la sua difesa ascrisse anche la maxi-tangente ENIMONT: al processo Cusani essa fu da Craxi definita la "maxi-palla" sia per le dimensioni (che contestò, e che poi tutti i politici ridimensionarono defalcando dal totale loro addebitato le somme restituite da Cusani e Bonifaci) sia per il titolo in virtù del quale fu percepita (che sostenne trattarsi non di corruzione ma di finanziamento illecito di partito); pur dissentendo da tale ricostruzione, il p.m. Di Pietro dopo l'interrogatorio di Craxi sostenne che la sua sincerità "confessoria" giustificava il mancato esercizio di uno stringente controinterrogatorio.

In quello stesso giorno, la Camera dei Deputati negò l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti provocando l'ira dell'opinione pubblica e facendo gridare allo scandalo numerosi quotidiani. Nella stessa aula, seguono momenti di tensione, con cui i deputati della Lega e del MSI gridarono "ladri" ai colleghi che avevano votato a favore di Craxi. Alcuni ministri del governo Ciampi si dimisero in segno di protesta.

Il 30 aprile in tutt'Italia si svolsero manifestazioni di dissenso: a Roma circa 200 giovani dell'istituto Einstein avevano sostato in piazza Colonna scandendo slogan contro governo e Parlamento; un altro centinaio aveva protestato davanti alla sede del PSI in via del Corso; un terzo gruppo, proveniente dal liceo Mamiani, aveva percorso in corteo il centro storico soffermandosi sempre davanti alla sede del PSI dove però era stato disperso dalle forze dell'ordine. C'era una manifestazione del Movimento Sociale Italiano nella galleria Colonna - che aveva preceduto un incontro stampa del segretario Gianfranco Fini per sottolineare l'impossibilità di tenere in vita questo parlamento - ed un'altra dimostrazione si era tenuta in serata per iniziativa del PDS, la cui segreteria era stata all'uopo sospesa. Diverse migliaia di persone si erano radunate in piazza Navona per ascoltare i discorsi del segretario del PDS Occhetto, Rutelli e Ayala: essi tutti avevano incitato i presenti a protestare contro il voto parlamentare a favore di Craxi. Un piccolo corteo, organizzato dalla Lega Nord, sfilava infine da piazza Colonna al Pantheon. In coincidenza con la fine del comizio tenutosi a Piazza Navona, una folla invase Largo Febo ed attese Craxi all'uscita dell'hotel Raphael, l'albergo che da anni era la sua dimora romana.

Quando Craxi uscì dall'albergo, i manifestanti lo bersagliarono con lanci di oggetti, insulti e soprattutto monetine. Con l'aiuto della polizia, Craxi riuscì a salire sull'auto e poi lasciò l'hotel. Quest'episodio, ritrasmesso centinaia di volte dai TG, viene preso come simbolo della fine politica di Craxi. [12]. Egli stesso definì quanto aveva subito "una forma di rogo" in una intervista a Giuliano Ferrara trasmessa su Canale 5.

Nel corso dell'anno emersero sempre più prove contro Craxi: con la fine della legislatura e l'abolizione dell'autorizzazione a procedere, per Craxi si fece sempre più vicina la prospettiva di un arresto e il 5 maggio 1994 decise di scappare ad Hammamet in Tunisia, protetto dall'amico Ben Alì. La latitanza – giustificata dal leader socialista come "esilio" – fu percepita dall'opinione pubblica come una fuga.[citazione necessaria]

[modifica] Il periodo in Tunisia

Dalla latitanza in Tunisia, Craxi continuò con fax e lettere aperte a commentare la politica italiana, continuando ad accusare il PDS e i giudici di Mani Pulite; si soffermò anche su alcuni suoi ex sodali, come Giuliano Amato da lui dipinto come il becchino in alcuni dei quadri in cui si dilettò nella parte finale della sua vita. Dall'estero, assistette alla fine del PSI, con i suoi maggiori esponenti che si dividevano, confluendo alcuni nel Polo delle Libertà, altri nell'Ulivo.

Ormai sfinito, cardiopatico e malato di diabete da anni, affetto da tumore ad un rene, Bettino Craxi morì il 19 gennaio del 2000 per un arresto cardiaco. L'allora presidente del Consiglio e leader dei Democratici di Sinistra Massimo D'Alema propose di indire un giorno di lutto nazionale. Ma la sua proposta non fu accettata né dai detrattori di Craxi né dalla famiglia stessa di Craxi, che accusò l'allora governo di avere impedito al leader socialista di rientrare in patria per sottoporsi a un delicato intervento presso l'ospedale San Raffaele di Milano.

Il funerale di Craxi ebbe luogo ad Hammamet e vide una larga partecipazione popolare. Molti italiani (soprattutto ex militanti del PSI) giunsero in Tunisia per rendere l'ultimo saluto al loro leader. Le precedenti vicende dell'epoca Mani Pulite, ancora vicine, non erano dimenticate dalla folla di socialisti giunta fuori alla cattedrale della città tunisina e la delegazione del governo D'Alema (formata da Lamberto Dini, Marco Minniti e da Gavino Angius), venne bersagliata da insulti e da un lancio di monete che voleva rappresentare la simbolica restituzione di quanto ricevuto con l'episodio all'Hotel Raphael.

[modifica] I ricorsi a Strasburgo contro le sentenze di condanna

Il 5 dicembre 2002 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ha emesso una sentenza che condanna la giustizia italiana per la violazione dell’articolo 6 paragrafo 1 e paragrafo 3 lettera d (diritto di interrogare o fare interrogare i testimoni) della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo in ragione dell’impossibilità di «contestare le dichiarazioni che hanno costituito la base legale della condanna», condanna formulata «esclusivamente sulla base delle dichiarazioni pronunciate prima del processo da coimputati (Cusani, Molino e Ligresti) che si sono astenuti dal testimoniare e di una persona poi morta (Cagliari)». Tuttavia, la Corte ha rilevato anche che i giudici, obbligati ad acquisire le dichiarazioni di questi testimoni dal codice di procedura penale, si sono comportati in conformità al diritto italiano. Per quanto riguarda gli altri ricorsi valutati (diritto ad un equo processo, diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie alla difesa) la corte non ha rilevato violazioni. Per la violazione riscontrata la corte non ha comminato nessuna pena, in quanto ha stabilito che «la sola constatazione della violazione comporta di per sé un’equa soddisfazione sufficiente, sia per il danno morale che materiale».[13]

La Corte ha emesso una seconda sentenza 17 luglio 2003, questa volta riguardante la violazione dell'articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata). La Corte ha rilevato infatti che «lo Stato italiano non ha assicurato la custodia dei verbali delle conversazioni telefoniche né condotto in seguito una indagine effettiva sulla maniera in cui queste comunicazioni private sono state rese pubbliche sulla stampa» e che «le autorità italiane non hanno rispettato le procedure legali prima della lettura dei verbali delle conversazioni telefoniche intercettate». Come equa soddisfazione per il danno morale, la Corte ha elargito un risarcimento di 2000 € per ogni erede di Bettino Craxi.[14]

[modifica] Eredità politica

La forte personalità di Bettino Craxi incise in tal modo sulla strutturazione stessa del PSI da determinarne, dopo la sua uscita di scena e anche a causa delle inchieste di Tangentopoli, il rapido e repentino disfacimento.

Oggigiorno, alcuni esponenti socialisti già a lui fedeli hanno raggiunto l'elettorato socialista aderendo a Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi (tra gli altri, la figlia Stefania, candidatasi per le elezioni politiche del 2006, Fabrizio Cicchitto e Giulio Tremonti), altri sono andati a sinistra , aderendo prima ai Socialisti Italiani e successivamente al partito dei Socialisti Democratici Italiani, guidato da Enrico Boselli (tra cui Ugo Intini e Ottaviano Del Turco, quest'ultimo poi ha aderito al Partito Democratico), o confluendo nei DS (la Federazione Laburista di Valdo Spini e i Riformatori per l'Europa di Giorgio Benvenuto). Anche la corrente di maggioranza della CGIL (oggi vicina ai DS) è guidata da un ex-craxiano, Guglielmo Epifani; socialista era anche il giurista del diritto del lavoro Marco Biagi, poi assassinato dalle Brigate Rosse.

Altro partito erede della politica craxiana è il Nuovo PSI, che vede nelle sue file uno dei più importanti esponenti socialisti degli anni ottanta, Gianni De Michelis, già ministro degli esteri; tuttavia, De Michelis e Bobo Craxi, suo figlio secondogenito, a seguito di un infuocato congresso celebratosi verso la fine del 2005 si sono contesi con reciproche contestazioni la guida del partito, con strascichi anche giudiziari.

L'oggetto del contendere furono le alleanze politiche: Bobo Craxi intendeva far entrare il Nuovo PSI, che finora ha appoggiato i governi berlusconiani, nell'Unione di centrosinistra, mentre De Michelis, pur concordando nel ridiscutere il rapporto con Berlusconi, si dichiarò contrario a questa alleanza; anche Stefania Craxi, in contrapposizione con Bobo, si è fermamente opposta ad un passaggio nella coalizione prodiana. Tuttavia Bobo Craxi ha fondato una sua lista in appoggio della coalizione dell 'Ulivo, denominata I Socialisti. L'anno successivo, però, anche De Michelis ha abbandonato il centro-destra, per avvicinarsi, criticamente, al centro-sinistra.

A parte queste contese strettamente partitiche, l'eredità politica di Craxi è oggi contesa da parte del centrosinistra (Partito Socialista, numerosi esponenti del Partito Democratico, alcuni dei quali provenienti dal PSI craxiano), ma anche del centrodestra (Forza Italia).

Recentemente molti craxiani hanno aderito alla Costituente Socialista di Enrico Boselli, volta a ricostituire il PSI, che ha sancito la rinascita del Partito Socialista, seppur in forma ridotta, rispetto quello dell'epoca craxiana. Altri craxiani hanno invece mantenuto una linea politica autonomista e diretta a rinsaldare l'accordo politico con la Casa delle Libertà seguendo il Nuovo PSI guidato dal segretario Stefano Caldoro.

Nel libro Segreti e Misfatti, scritto dal suo fotografo personale e amico fidato fino agli ultimi giorni tunisini Umberto Cicconi, si scoprono molti retroscena curiosi ma anche di grande valore politico, storico ed umano.
Si apre a fine 2006 un dibattito sull'opportunità o meno di intitolare in Italia una strada al leader socialista. La discussione trae spunto dall'annuncio da parte del governo tunisino che provvederà, il 19 gennaio 2007, in occasione del settimo anniversario della sua morte, ad intitolargli una via. Il 15 gennaio 2007 in un comune laziale di 2.500 anime, Sant'Angelo Romano, a 20 chilometri da Roma, l'amministrazione di centrodestra guidata dal sindaco Angelo Gabrielli, ex socialista, ha inaugurato una piazza all'ex leader socialista. Il primato per il primo toponimo dedicato a Craxi spetta quindi all'Italia, quattro giorni prima della Tunisia. Sempre lo stesso anno, la pubblicazione del libro di Bruno Vespa, L'Amore e il Potere, contenente anche gossip su Craxi e le sue presunte amanti, ha provocato la reazione del figlio Bobo, che definito il carattere del libro "particolarmente odioso".[15]

[modifica] La Fondazione Craxi

« La mia libertà equivale alla mia vita »
(Epigrafe della tomba di Bettino Craxi)

La Fondazione Craxi è una fondazione nata il 18 maggio 2000 allo scopo di tutelare la personalità, l'immagine, il patrimonio culturale e politico di Bettino Craxi attraverso la raccolta di tutti i documenti storici che riguardino la sua storia politica. Principale animatrice è la figlia Stefania Craxi, attualmente deputato di Forza Italia. La sede principale è a Roma, mentre un'altra importante sede si trova ad Hammamet, in Tunisia, luogo dove è sepolto Bettino Craxi.

Tra le attività della fondazione vi è la costituzione e valorizzazione dell'"Archivio Storico Craxi", costituito riunendo documenti conservati in diversi luoghi (Milano, Roma, Hammamet), costituiti essenzialmente da corrispondenza, memorie, discorsi, articoli, interviste, atti processuali.

L'obiettivo generale è quello di "riabilitare" la figura dello statista italiano coinvolto nei processi di Mani Pulite e di riqualificarne l'importanza storica.

La fondazione figura anche come organizzatrice di convegni e mostre inerenti la vita e l'attività politica di Bettino Craxi, cui affianca anche un'attività editoriale.

[modifica] Soprannomi

  • Per alcuni anni, dai suoi detrattori, fu soprannominato il "Cinghialone", dopo esser stato così definito in un articolo di Vittorio Feltri sul quotidiano L'Indipendente; più raffinatamente Indro Montanelli, sul Giornale nel giorno delle sue dimissioni da segretario del PSI, lo definì un "imano", cioè un dignitario levantino. Matt Frei [16] afferma che nella Roma politica il suo epiteto sarebbe stato il "Maestro", in quanto padrone delle mille tattiche utili alla strategia politica che lo aveva posto al centro della vita nazionale per oltre un decennio.
  • In una canzone Francesco De Gregori canta a suo riguardo
«  è solo il capobanda ma sembra un faraone,

ha gli occhi dello schiavo e lo sguardo del padrone,

si atteggia a Mitterrand ma è peggio di Nerone. [17] »
(Francesco de Gregori, La ballata dell'Uomo Ragno)

A distanza di 15 anni, De Gregori - la cui canzone "Viva l'Italia" accompagnò i congressi del PSI per tutti il quindicennio di gestione craxiana - afferma che "se ripenso a Craxi credo che intellettualmente sia molto superiore a tanti politici di oggi". [17]

  • Craxi usò lo pseudonimo Ghino Di Tacco, epiteto datogli da Eugenio Scalfari , per firmare articoli anonimi sul giornale Avanti!. A volte il nome fu storpiato dagli avversari in Ghigno Di Tacco, in riferimento presunto all'espressione facciale di Craxi. Giorgio Forattini, che allora lavorava per la Repubblica, il giornale diretto da Scalfari, storpiò a sua volta questo soprannome in Benito di Tacco, perché era solito rappresentare Craxi in camicia nera e stivali, per via dei suoi modi "da Duce".

[modifica] Pubblicazioni[18] e cinematografia

  • Milano, oh cara [19].
  • Socialismo e realtà – SugarCo
  • Nuove lettere da Praga – SugarCo
  • Socialismo da Santiago a Praga – SugarCo
  • Pluralismo e leninismo – SugarCo
  • Campagna di Primavera – SugarCo
  • Un passo avanti – SugarCo
  • Tre anni – SugarCo
  • Lotta politica– SugarCo
  • Internazionale socialista – Rizzoli
  • Cent'anni dopo – Biblioteca rossa
  • Rosso giallo nero sporco e grigio - Giornalisti editori
  • Ghino di Tacco – Koinè

[modifica] Note

  1. ^ «Il maggior successo repubblicano è stato probabilmente l'annuncio, nel gennaio '87, sotto il governo Craxi, del quinto posto raggiunto tra i Paesi industrializzati del mondo, davanti alla Gran Bretagna»: così Giano Accame, "La storia della Repubblica vista da destra", su Corriere della Sera, 25 ottobre 2000
  2. ^ così Alfredo Pieroni: Dizionario degli italiani che contano. – Milano : Sperling & Kupfer, 1986, dove si ricorda anche l'assai più fredda reazione della platea nel congresso precedente
  3. ^ Video sul "caso Sigonella" tratto da La storia siamo noi
  4. ^ Nel Convegno sul tema "Gli anni di Craxi e Berlinguer. E la sinistra oggi", svoltosi a Firenze il 19 gennaio 2008, Riccardo Nencini (Presidente del movimento Socialismo è Libertà) ha ammonito a non falsare retrospettivamente le dimensioni di questo consenso, che all'epoca non apparve così vasto come avvenne poi nel momento della massima disgrazia politica: la sua chiave interpretativa è che grossolanamente la storiografia sentiva il bisogno di cogliere i chiaroscuri di un personaggio condannato dalla vicenda di Tangentopoli, e lo fece mitizzando l'episodio di Sigonella. [1].
  5. ^ Gianni Riotta, "Sconfitto dalla guerra fredda. La morte di Bettino Craxi", in La Stampa, 21 gennaio 2000
  6. ^ Dalla prefazione di Antonio Ghirelli al libro di Paolo Pillitteri "Quando Benedetto divenne Bettino" (Spirali, 2008)
  7. ^ Claudio Petruccioli, "Rendiconto", Il Saggiatore, 2001, pp. 4-5.
  8. ^ "Io, la sinistra e i meriti di Craxi", Intervista a Giuliano Amato, di Giancarlo Bosetti, «Reset» 22 agosto 2000.
  9. ^ "Io, la sinistra e i meriti di Craxi", Intervista a Giuliano Amato, di Giancarlo Bosetti, «Reset» 22 agosto 2000.
  10. ^ Luigi Covatta sul suo ultimo libro "La legge di Tocqueville. Come nacque e morì la riforma della prima Repubblica italiana" (Edizioni Diabasis)
  11. ^ Sentenza di condanna di Bettino Craxi nel processo All Iberian da parte del Tribunale di Milano
  12. ^ Video Bettino Craxi - Hotel Raphael - 30 aprile 1993
  13. ^ Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo) CASO CRAXI contro ITALIA (n. 2) ( op. cit. )
  14. ^ Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo) CASO CRAXI contro ITALIA (n.1) (op. cit.)
  15. ^ http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200710articoli/27132girata.asp
  16. ^ Matt Frei, «Italy. The unfinished revolution», Sinclair-Stevenson
  17. ^ a b Edmondo Berselli. E De Gregori riabilita Craxi "Era superiore ai politici di oggi". la Repubblica, 4 novembre 2006. URL consultato il 16-11-2007.
  18. ^ Bettino Craxi - Le Pubblicazioni. Fondazione Craxi. URL consultato il 16-11-2007.
  19. ^ Film inchiesta del 1963 di cui Craxi fu sceneggiatore e soggettista e Pillitteri regista; fu presentato alla mostra del Cinema di Venezia di quell'anno

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni

Predecessore: Segretario del PSI Successore: [[Immagine:{{{immagine}}}|30x30px]]
Francesco De Martino 1976 - 1993 Giorgio Benvenuto I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
con
con
Francesco De Martino {{{data}}} Giorgio Benvenuto
Predecessore: Presidente del Consiglio dei Ministri Italiano Successore: Bandiera italiana
Amintore Fanfani 1983 - 1987 Amintore Fanfani I
Presidenti del Consiglio dei Ministri
Repubblica Italiana
Alcide De Gasperi | Giuseppe Pella | Amintore Fanfani | Mario Scelba | Antonio Segni | Adone Zoli | Fernando Tambroni | Giovanni Leone | Aldo Moro | Mariano Rumor | Emilio Colombo | Giulio Andreotti | Francesco Cossiga | Arnaldo Forlani | Giovanni Spadolini | Bettino Craxi | Giovanni Goria | Ciriaco De Mita | Giuliano Amato | Carlo Azeglio Ciampi | Silvio Berlusconi | Lamberto Dini | Romano Prodi | Massimo D'Alema
MPE italiano Gruppo Lista di elezione Partito italiano Area Preferenze
giugno 1979 -
agosto 1983

giugno 1989 -
aprile 1992

Gruppo socialista

Gruppo socialista

PSI

PSI

PSI

PSI

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