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Tangentopoli - Wikipedia

Tangentopoli

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Tangentopoli è il nome con cui fu ribattezzata dalla stampa la città di Milano all'inizio delle numerose inchieste per corruzione, concussione e finanziamento illecito dei partiti scattate dopo l'arresto del presidente del Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa, avvenuto a Milano il 17 febbraio 1992. Per estensione il termine Tangentopoli è venuto ad indicare il sistema basato su corruzione, concussione e finanziamenti illeciti che, messo progressivamente a nudo nel corso dell'inchiesta Mani pulite, è stato attribuito ad una parte della storia d'Italia, la cosiddetta prima repubblica (per differenziarla dalla cosiddetta seconda repubblica, cioè l'epoca successiva all'inchiesta).

[modifica] Storia del fenomeno

Le dichiarazioni di Chiesa, rese dopo alcune settimane di carcere e dopo che i magistrati hanno scoperto e sequestrato il suo ingente patrimonio, creato attraverso il pagamento di tangenti, e i dati fino a quel momento raccolti dagli inquirenti su esponenti politici di cui si conosceva - sia pure in assenza di prove processuali - la scarsa onestà, hanno consentito a un gruppo di magistrati della Procura della Repubblica di Milano, di estendere l'inchiesta che nell'arco di pochi mesi ha coinvolto centinaia di esponenti politici e imprenditori. I primi richiedevano o accettavano denaro che i secondi offrivano o accettavano di pagare. Le tangenti e i contributi non registrati ai partiti per ingraziarsi gli esponenti politici che potevano, con la loro attività istituzionale, decidere come assegnare lavori e appalti, erano così diffusi che i magistrati hanno parlato di dazione ambientale, una sorta di imposta implicita che gli uni versavano e gli altri ricevevano a volte senza alcuna richiesta o senza nessuna offerta.

Il quadro iniziale che ne derivò era di una città, Milano, dove la corruzione, la concussione e il finanziamento illecito ai partiti erano reati diffusissimi, gonfiavano le spese dello stato e degli enti locali e mettevano la gestione della cosa pubblica nella mano di persone spregiudicate e disoneste. Qualche giornale parlò allora di Tangentopoli, la città delle tangenti e ribattezzò Mani pulite l'insieme delle inchieste, che presto si estese ad altre città, e in particolare a Roma, coinvolgendo importanti imprenditori e alcuni segretari di partito, fino a provocare lo scioglimento del Parlamento, in seguito alla scoperta che decine di deputati e senatori e numerosi ministri e sottosegretari erano accusati dei reati di corruzione, concussione e finanziamento illecito dei partiti, e persino lo scioglimento di alcuni partiti politici i cui vertici risultavano pesantemente coinvolti nello scandalo.

Ma Tangentopoli fu un fenomeno non solo nazionale e delle grosse città, ma anche locale, soprattutto nel Meridione. Tale aspetto localistico, però, non ebbe a livello mediatico il rilievo che avrebbe meritato e di fatto non ha prodotto conseguenze importanti sul piano sanzionatorio. Probabilmente su ciò ha influito il contesto socio-politico-giudiziario che si era creato in Italia dopo l'esplosione dell'inchiesta portata avanti dal pool milanese.

[modifica] La proposta di Commissione parlamentare di inchiesta

L'accertamento dei patrimoni, illecitamente accumulati da chi doveva invece fornire un servizio alla collettività, e l'adeguamento della legislazione al fine di perseguire i reati contro la pubblica amministrazione, fin dal 1992 fu oggetto di varie proposte di legge (Atti Camera nn. 660, 1107, 1334, 2080, 2356 e 2358, d'iniziativa di oltre settanta deputati iscritti a tutti i gruppi parlamentari, tra i quali Cariglia, Mattioli, Elio Vito, Pecoraro Scanio, Tassi) per l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta per accertare gli illeciti arricchimenti conseguiti da titolari di cariche elettive e direttive, nonché per formulare idonee proposte per la devoluzione allo Stato dei patrimoni di non giustificata provenienza e per la repressione delle associazioni a delinquere di tipo politico. Nella XI legislatura la Camera dei deputati giunse ad approvare all'unanimità, il 7 luglio 1993, un testo unificato che recepiva l'esigenza della Commissione d'inchiesta, ma il relativo disegno di legge (divenuto Atto Senato n. 1369) si arenò in Commissione al Senato.

Nella XII legislatura, il relativo disegno di legge fu ripresentato come Atto Senato n. 405, ma non venne mai esaminato se non per ottenere parere favorevole dalla Commissione giustizia nel febbraio del 1995. In compenso alla tematica "eziologica" dell'inchiesta sulla corruzione, s'andò affiancando - in consonanza con le richieste avanzate dalla latitanza dal più noto degli inquisiti, l'ex presidente del Consiglio Craxi - una ricerca "storiografica" che intendeva accertare se la conduzione delle inchieste avesse riscontrato omissioni o "zone bianche", che facessero pensare ad una loro conduzione selettiva o "mirata". L'assoluta divergenza tra queste due concezioni dell'inchiesta parlamentare trovò espressione nel voto dell'Assemblea della Camera del 3 novembre 1998: vennero rigettate le proposte d'inchiesta presentate - con finalità tra loro dichiaratamente diverse - all'esordio della XIII legislatura, da gruppi della maggioranza e dell'opposizione (Pecoraro Scanio per i Verdi, Mammola per Forza Italia, Gasparri per Alleanza nazionale, Pisanu-Frattini per Forza Italia, Giovanardi per il Ccd, Soda per i Ds, Giovanni Crema per i Socialisti democratici).

La maggioranza dell'Ulivo già ad inizio della legislatura era partita a livello governativo coll'istituzione (dal presidente del Consiglio Prodi il 18 ottobre 1996) di una Commissione di studio, la quale depositò, nel giugno 1997, un'ampia relazione volta a contrastare i fenomeni di corruzione e migliorare l'azione della pubblica amministrazione. I risultati di quella che è meglio nota come "Commissione Minervini", contribuirono ad individuare nell'ambito del Ministero del tesoro un organismo specializzato, che potesse ovviare alla disomogeneità ed eccessiva onerosità dei prezzi praticati alle varie amministrazioni per l'acquisto di beni e servizi, attraverso l'esercizio di un controllo di congruità tecnico-economica: vedasi la direttiva 18 giugno 1998 del Ministero del tesoro (in Gazzetta Ufficiale n. 156 del 7 luglio 1998) recante "Nuove norme disciplinanti l'attività del Provveditorato generale dello Stato". Fu però il livello parlamentare a registrare il maggior profluvio di iniziative dell'allora maggioranza: si iniziò con la delibera dell'Assemblea della Camera dei deputati del 26 settembre 1996, che scelse di istituire una Commissione Speciale per l'esame dei progetti di legge recanti misure per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di corruzione. Per istruirne i lavori, il Presidente della Camera Violante costituì anzi, con suo decreto, un Comitato di studio formato dai professori Sabino Cassese, Arcidiacono e Pizzorno, con il compito di svolgere un'analisi sul fenomeno della corruzione e di indicare orientamenti per l'intervento legislativo, tenendo conto delle caratteristiche del sistema delle imprese, nonché delle principali esperienze straniere in materia. Quando il Comitato depositò il suo rapporto, il 23 ottobre 1996, avvenne l'insediamento della Commissione speciale: ad essa furono assegnati i progetti di legge recanti misure per la prevenzione e repressione dei fenomeni di corruzione presentati alla Camera entro il 31 ottobre 1996. Si trattava di 20 testi, con quattro temi principali: controllo della legalità e della trasparenza della pubblica amministrazione, trasparenza dell'attività politica e rapporto tra questa e l'attività economica, attività contrattuale della pubblica amministrazione, norme penali in tema di reati contro la pubblica amministrazione e rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti.

La scelta di mantenere anche per l'Assemblea la stessa pluralità di relatori (Serra , Veltri, Bonito, Li Calzi e Martinelli) che aveva caratterizzato i lavori della Commissione, non fu di buon auspicio: il 21 gennaio 1998 la Camera votava ben quattro stralci del disegno di legge, trasmettendo al Senato un ben più modesto testo intitolato "Norme per la prevenzione dei fenomeni di corruzione" (Atto Senato n. 3015): il suo esame al Senato fu costellato da un'intensa attività istruttoria della Commissione affari costituzionali, che svolse una serie di audizioni formali in cui furono stati ascoltati dirigenti pubblici, Ministri, magistrati di varie procure ed un nutrito numero di soggetti tra quelli primariamente interessati all'attività di contrasto della corruzione. Da questa serie di audizioni emersero, secondo il relatore Villone, indirizzi, indicazioni e suggerimenti che poi la Commissione ha tradusse nelle modifiche introdotte al testo proposto dalla Camera dal Senato il 17 febbraio 1999. La scelta di fondo operata nel testo iniziale era orientata nel senso della istituzione di un sistema centralizzato di controllo e di prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione; al Senato sembrò invece più produttiva un’impostazione che diffondesse nelle amministrazioni pubbliche la prevenzione e il contrasto alla corruzione, secondo la logica di sviluppare la loro capacità di resistere a fenomeni di corruzione. Ne era riprova, tra l'altro, la parte relativa alla trasparenza con gli obblighi di presentazione di dichiarazioni patrimoniali e di reddito, che vedeva in particolare l’obbligo delle singole amministrazioni di istituire anagrafi patrimoniali: si prevedeva anzi un meccanismo automatico di sospensione dalle funzioni per coloro che non presentano la dichiarazione, oltre ad attivare automaticamente nei loro confronti accertamenti patrimoniali da parte dell’amministrazione finanziaria.

Il vero e proprio tornante della seconda parte della vicenda parlamentare su Tangentopoli avvenne con le riforme giudiziarie del centro-sinistra: esso fu rappresentato dalle leggi 16 luglio 1997 n. 234 (di modifica dell'articolo 323 c.p. sull'abuso d'ufficio) e 7 agosto 1997, n. 267 (in tema di valutazione delle prove nel processo penale), e che conobbe altri importanti sviluppi, culminati nell'approvazione della legge costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999 (Inserimento dei principi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione) e nella conseguente legislazione ordinaria. Mentre l'intesa bipartisan avvolgeva tematiche fino ad allora oggetto di polemica furente pro e contro il giustizialismo, caddero nello stallo le iniziative originarie della "maggioranza di Prodi": le "Norme per la prevenzione dei fenomeni di corruzione" ripresero la strada di una "navetta" resa ancor più travagliata dall'ostinazione delle due Camere. Il 13 luglio 1999 l’Assemblea della Camera riapprovava il testo senza convenire sul molte delle modifiche del Senato (tornando anche sulle funzioni della proposta Commissione di garanzia per la trasparenza e l'imparzialità delle pubbliche amministrazioni). Non era quindi più pensabile che l'iter proseguisse speditamente, ed infatti il testo si arenò definitivamente in Senato.

In compenso, riprendeva velocità la proposta di commissione d'inchiesta: il gruppo di Forza Italia (primi firmatari sempre i deputati Pisanu e Frattini) depositò il 28 settembre 1999 una proposta di Commissione bicamerale di inchiesta sui comportamenti dei responsabili pubblici, politici e amministrativi, delle imprese pubbliche e private e sui loro reciproci rapporti (A.C. 6386); e una proposta identica di Commissione monocamerale, da istituire presso la Camera dei deputati, sempre ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione (Doc. XXII, n. 61).

Lo stesso giorno i deputati socialisti Giovanni Crema, Enrico Boselli ed altri presentavano una loro proposta per l'istituzione di una Commissione d'inchiesta "sul fenomeno comunemente definito Tangentopoli" (A.C. 6389). Infine, il 12 ottobre 1999, i deputati Soda, Mussi ed altri del gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo proponevano una "Commissione parlamentare d'indagine sui comportamenti dei responsabili pubblici, politici e amministrativi delle imprese pubbliche e private e sui loro reciproci rapporti": quest'ultima proposta riprendeva il modello delle "Commissioni di saggi" istituite ad inizio legislatura, proponendo che fosse costituita per legge una Commissione di indagine, composta da persone di alto prestigio professionale e di notorie moralità e indipendenza, nominati con determinazione adottata di intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.

Il principio della Commissione composta da parlamentari, con i poteri dell'inchiesta, venne definitivamente accolto dalla maggioranza solo il giorno dopo che il presidente del Consiglio D'Alema]] dichiarò, all'Assemblea della Camera: "Io mi auguro che (…) anche il Parlamento possa volgersi ad una riflessione serena sulla crisi del sistema politico democratico, sulle sue cause, sul rapporto fra politica, economia, corruzione, nello spirito della verità di cui il cammino democratico del paese ha bisogno per andare avanti". Nella relazione presentata il 21 gennaio 2000 alla Camera dal deputato Federico Orlando, infatti, si proponeva l'"istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno degli illeciti rapporti tra sistema politico e sistema economico-finanziario e dell'illecito finanziamento dei partiti".

La "battaglia" si spostò sull'oggetto dell'inchiesta, che per la maggioranza di centro-sinistra avrebbe dovuto includere le possibili interrelazioni tra politica ed economia come possibile chiave interpretativa di una vicenda di cui si ammetteva l'eccezionalità: il profilo "storiografico" diventava quindi la vera caratteristica dell'inchiesta accettata dalla maggioranza dell'epoca, che ammetteva che "mai un sistema politico, intendendo per tale un sistema di partiti e anche di regole che li muovono, a cominciare dalle regole elettorali, era stato travolto (com'è invece accaduto con Tangentopoli) nei 140 anni di storia italiana unitaria, né viene travolto oggi in altri Paesi democratici, scossi al pari del nostro da fenomeni di corruzione politica". Approvata nella versione "garantista" il 26 gennaio 2000 dalla Camera, la proposta giunse in Senato dove i Gruppi parlamentari si dimostravano meno sensibili alle istanze fatte proprie da D'Alema: ne derivò che alcuni elementi qualificanti del disegno di legge furono modificati. Sparì la (assai dubbia) norma "anti-Di Pietro" ("I Presidenti delle Camere assicurano che non vengano nominati parlamentari che abbiano svolto indagini giudiziarie o abbiano giudicato o che siano stati condannati o siano attualmente sottoposti ad indagini per fatti concernenti l'oggetto dell'attività della Commissione") e, tra gli scopi dell'inchiesta, "le ragioni che abbiano determinato eventuali incompletezze o lacune nell'azione della magistratura e degli organi ausiliari di essa" divennero una più modesta ricerca dei "motivi che hanno impedito alla magistratura di reprimere gli illeciti prima del 1992". Lo stallo tra le due Camere, anche stavolta coincidente con un cambio di "azionista di riferimento" nel maggior partito di governo, fece sì che la nuova versione del testo - approvata dal Senato il 16 marzo 2000 - rimanesse giacente in Commissione fino alla fine della XIII legislatura.

Lo "scivolamento" dello strumento dell'inchiesta nell'intento di riscrittura della storia del decennio passato, paradossalmente, è divenuto esplicito nella XIV legislatura. Paradossalmente, dai eredi (anche familiari) del latitante di Hammamet non è giunta che una riedizione del testo licenziato dalla Camera il 26 gennaio 2000 (vedasi l'Atto Camera 1427, mentre l'Atto Camera 1867 riproduce il testo del Senato): la pacatezza della proposta deriva probabilmente dal diverso strumento prescelto per ottenere la "riabilitazione" del defunto, e cioè i due ricorsi dichiarati ammissibili dinanzi alla Corte dei diritti umani di Strasburgo. È invece proprio del progetto di legge n. 2019 (d'iniziativa Cicchitto e Saponara) l'aver proposto l'istituzione di una "Commissione parlamentare di inchiesta sull'uso politico della giustizia", che oltre a "disfunzioni" accerti "l'eventuale presenza all'interno dell'ordine giudiziario di orientamenti politico-ideologici e rapporti di interdipendenza con forze politiche parlamentari o extra parlamentari; l'eventuale influenza di motivazioni politiche sui comportamenti delle autorità giudiziarie; le conseguenti deviazioni della giustizia determinate dalla gestione politicamente mirata dell'esercizio dell'azione penale; l'effettività del principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, e l'eventuale esistenza di un esercizio discrezionale e selettivo della funzione giudiziaria; gli eventuali tentativi di interferenza di magistrati, singoli o associati, con l'attività parlamentare e di Governo, in contrasto con il principio costituzionale della separazione dei poteri".

La concezione "storiografica" dell'inchiesta parlamentare acquista così addirittura una valenza punitiva: la pubblica berlina per coloro che - probabilmente non perseguibili neppure disciplinarmente - incisero così pesantemente sul corso della storia patria, in una sorta di "contrappasso" per le traversie giudiziarie in cui ancora versano esponenti politici di primissimo piano. Si comprende bene perché - alla fine - tale proposta non abbia avuto alcun seguito, e come la materia della ricostruzione storiografica di Tangentopoli sia stata alfine lasciata alla indagine storiografica tout court, senza bisogno di intermediazioni politiche o lottizzazioni di sorta.

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