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Copyright - Wikipedia

Copyright

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bussola Nota disambigua – Se stai cercando le normative sul diritto d'autore in vigore in italia, vedi diritto d'autore italiano.
Simbolo del copyright
Simbolo del copyright

Il copyright (termine di lingua inglese che letteralmente significa diritto di copia) è l'insieme delle normative sul diritto d'autore in vigore nel mondo anglosassone e statunitense.

Col tempo, ha assunto in Italia un significato sempre più prossimo ad indicare le "norme sul diritto d'autore vigenti in Italia", da cui in realtà il copyright differisce sotto vari aspetti.

È solitamente abbreviato con il simbolo ©.

Indice

[modifica] Storia

Le prime normative sul diritto di copia (copyright) furono emanate dalla monarchia inglese nel XIV secolo, con la volontà di operare un controllo sulle opere pubblicate nel territorio. Col diffondersi delle prime macchine automatiche per la stampa, infatti, inziò ad affermarsi una libera circolazione fra la popolazione di scritti e volumi di ogni argomento e genere. Il governo, poiché la censura era all'epoca una funzione amministrativa legittima come la gestione della sicurezza pubblica, percepì il bisogno di controllare ed autorizzare la libera circolazione delle opinioni.[1] Venne perciò fondata una corporazione privata di censori - la London Company of Stationers (Corporazione dei Librai di Londra) - i cui profitti sarebbero dipesi dall'efficacia del proprio lavoro.[1]

Agli Stationers (ovvero gli editori) furono concessi i diritti di copyright su ogni stampa, con valenza retroattiva anche per le opere pubblicate precedentemente. La concessione prevedeva il diritto esclusivo di stampa, e quello di ricercare e confiscare le stampe ed i libri non autorizzati, financo di bruciare quelli stampati illegalmente.[2] Ogni opera, per essere stampata, doveva essere registrata nel Registro della corporazione, registrazione che era effettuabile solamente dopo il vaglio del Censore della corona o la censura degli stessi editori. La corporazione degli editori esercitava funzioni di polizia privata, dedita al profitto e al controllo da parte del governo.[2]

Ogni nuova opera veniva annotata nel registro della corporazione sotto il nome di uno dei membri della corporazione il quale ne acquisiva il “copyright”, ovvero il diritto esclusivo sugli altri editori di pubblicarla; una corte risolveva le eventuali dispute fra membri.[3] Il copyright, perciò, nasce come diritto dell'editore e non dell'autore.

Nel successivo secolo e mezzo la corporazione dei censori inglesi generò benefici per il governo e per gli editori: per il governo, esercitando un potere di controllo sulla diffusione delle informazioni; per gli editori, traendo profitto dal proprio monopolio. Sul finire del XVII secolo, però, l'imporsi di idee liberali nella società frenò le tradizionali politiche censorie e causò la fine del monopolio degli editori.

Temendo una liberalizzazione della stampa e la concorrenza da parte di stampatori indipendenti ed autori, gli editori fecero leva sul Parlamento. Basandosi sull'assunto che gli autori non disponessero dei mezzi per distribuire e stampare le proprie opere (attività all'epoca assai costosa e quindi riservata a pochi), mantennero i privilegi acquisiti chiedendo l'attribuzione agli autori dei diritto di proprietà sulle opere prodotte con la clausola che questa proprietà potesse essere trasferita ad altri tramite contratto.[1] Di lì in poi gli editori non avrebbero più generato profitto dalla censura sulle opere, ma dal trasferimento dei diritti firmato dagli autori, necessario per la altrimenti troppo costosa pubblicazione delle opere.[1]

Nel 1710 venne perciò emanata la prima norma moderna sul copyright: lo Statuto di Anna (Statute of Anna).

A partire dalla Statuto di Anna, gli autori, che fino ad allora non avevano detenuto alcun diritto di proprietà, ottennero il potere di bloccare la diffusione delle proprie opere, mentre la corporazione degli editori incrementò i profitti grazie alla cessione - sostanzialmente obbligatoria per ottenere stampa e distribuzione - da parte degli autori di vari diritti sulle opere.[3]

Il rafforzamento successivo dei diritti d'autore su pressione delle corporazioni, generò gradualmente il declino di altre forme di sostentamento per gli autori (come il patronato, la sovvenzione, ecc.), legando e sottoponendo indissolubilmente il sostentamento dell'autore al profitto dell'editore[4]

Nel corso dei successivi due secoli anche la Francia, la Repubblica Cisalpina, il Regno d'Italia, il Regno delle Due Sicilie e il resto d'Europa emanarono legislazioni per l'istituzione del copyright (o del diritto d'autore).

  • nel 1836, il Codice civile albertino per la Sardegna.
  • nel 1840, il 22 dicembre, il decreto di Maria Luigia, per il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla.
  • nel 1865, il 25 giugno, nel Regno d'Italia, con legge 2337.

Talune con ispirazioni maggiormente illuministe e democratiche rispetto a quella anglosassone.

Nel 1886, il 9 settembre, fu costituita l'Unione internazionale di Berna, per coordinare i rapporti in questo campo, di tutti i paesi iscritti, ancora oggi operante.

[modifica] Lo sviluppo tecnologico e l'avvento di Internet

Nel XX secolo, l'avvento dei riproduttori ed in particolare del computer e di internet, ha fatto venir meno uno dei cardini alla base del copyright in senso classico: ovvero il costo e la difficoltà di riprodurre e diffondere sul territorio le opere, aspetti fino ad allora gestiti dalla corporazione degli editori dietro congruo compenso o cessione dei diritti da parte degli autori. Ciò ha reso assai difficile la tutela del copyright come tradizionalmente inteso.

Il primo episodio con eco internazionale, si è avuto a cavallo fra il XX e il XXI secolo con il cosiddetto caso Napster, uno dei primi sistemi di condivisione gratuita di file musicali, oggetto di enorme successo negli anni a cavallo del millennio. La chiusura di Napster avvenuta nel 2002 e generata dalle denuce dagli editori che vedevano nel sistema un concorrente ai propri profitti, non ha risolto se non per breve tempo il problema. Nuovi programmi di file sharing gratuito sono sorti rimpiazzando l'originale Napster e vanificandone la chiusura. Una costante ed ingente diminuzione delle vendite di album musicali è scaturita dalla diffusione di questi sistemi[citazione necessaria].

Il file sharing, gestito tramite il sistema del peer-to-peer, e in generale le nuove tecnologie e internet si sono evolute e diffuse con grande velocità, rendendo difficile per le legislazioni internazionali un aggiornamento con la medesima prontezza.

[modifica] Copyleft

Per approfondire, vedi la voce copyleft.

Nel 1984, Richard Stallman e la Free Software Foundation svilupparono un meccanismo originato dal copyright, specifico per la gestione dei diritti sulla proprietà dei software. Utilizzando un doppio senso della lingua inglese (nella quale "right" significa sia "diritto", sia "destra") denominarono questo meccanismo copyleft ("left" significa sia "lasciato", sia "sinistra", a sottolineare una filosofia opposta a quella del copyright); tale principio è stato ampiamente applicato nell'ambito del Software libero.

[modifica] Legislazioni nazionali in materia di copyright

[modifica] Italia

Per approfondire, vedi la voce diritto d'autore italiano.

Il diritto d'autore italiano è disciplinato prevalentemente dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633 e successive modificazioni, e dal Titolo IX del Codice Civile.

La legge italiana sul peer-to-peer punisce:

  1. con una multa chi scarica illegalmente file protetti da diritto d'autore;
  2. con una multa e la reclusione chi fa upload e mette in condivisione file (dell'art. 171, comma 1, lett. a-bis della Legge n.43 del 2005);
  3. con una multa e un periodo di reclusione maggiori chi diffonde materiale protetto da copyright per scopi di lucro.

In tutti e tre i casi le sanzioni sono penali, la multa è in questo caso non una sanzione amministrativa, ma parte di una sanzione penale, in relazione ai "delitti", non una contravvenzione.

La legge del 2005 ha ridotto le multe da un massimo di 15000 euro a un massimo di 3000 per tutte le tipologie, e nel caso b) le pene che prima prevedevano la reclusione d auno a quattro anni. La pena per una sola violazione, un singolo file scaricato, è di circa 1000 euro e può essere al massimo triplicata, in caso di download/upload di più di un file.

L'aver commesso illecito comporta in tutti e tre i casi l'iscrizione di una condanna nella fedina penale, per il quale il giudice può concedere a discrezione il beneficio della non-menzione davanti ai privati (esempio per accertamenti in un colloquio di lavoro), ma che resta interamente visibile alla pubblica amministrazione o per un concorso pubblico.

Sempre, per tutti e tre i casi, la legge ammette l'oblazione: se l'accusato paga prima dell'avvio del procedimento penale, il reato è estinto e la sua fedina è completamente pulita. Pagando prima, la sanzione è dimezzata, e può quindi essere al massimo intorno ai 1500 euro.

Le ultime due tipologie (2 e 3) sono parte dell'utilizzo delle reti P2P per uso non personale, e al loro interno esiste la distinzione di finalità, fra scopo di profitto e scopo di lucro. Nel gergo giuridico, il profitto non necessariamente ha una finalità economica, può essere l'operato di quanti mettono in condivisione file a titolo gratuito, perché non condividono la normativa o per ottenere crediti per il download di altro materiale.

[modifica] Germania

In base ad un disegno di legge proposto del governo del Cancelliere Angela Merkel approvato dal Parlamento Tedesco, in Germania la violazione del diritto d'autore viene equiparata al reato di furto. Le pene detentive per la violazione di copyright, per l'appunto eguali a quelle per il furto, sono di cinque anni di reclusione e sono le maggiori in Europa. Per il reato possono essere inquisiti anche i minori di 18 anni.

[modifica] Francia

In Francia il download illegale di opere da internet è punito con una multa di 30 euro, che aumenta di sei volte per chi mette in condivisione dette opere. Viene punito con la reclusione fino a tre anni chi inventa programmi per il P2P.

Dal novembre 2007 gli ISP (Internet Service Provider), in seguito ad un avvertimento, possono sospendere temporaneamente o definitivamente l'accesso ad internet a coloro che vengono colti a scaricare materiale illegalmente.

[modifica] Stati Uniti

Negli Stati Uniti la legislazione in materia di copyright è contenuta nel Titolo 17 dello United States Code. Le violazioni di copyright sono pertanto considerate reato federale e possono comportare, in sede civile, multe fino a 100.000$.

Tuttavia la legge statunitense prevede il concetto di fair use, che lascia ampi spazi per la riproduzione di opere con scopi didattici o scientifici. In Italia la pretesa della Siae di richiedere compensi per diritto d'autore anche per le attività didattiche è stata oggetto di una interrogazione parlamentare del senatore Mauro Bulgarelli, che ha chiesto di valutare l'opportunità di estendere anche in Italia il fair use.

[modifica] Gran Bretagna e nazioni nel Common Law

In Gran Bretagna è stato annunciato l'intento di non prorogare il diritto d'autore attualmente posto a 50 anni dopo la morte dell'autore e di non imitare gli Stati Uniti che lo hanno portato a 5 anni.

Nei Paesi del Common Law (Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda, Singapore) l'attenuazione alla rigidità del copyright è regolata dal fair dealing, che esenta le attività didattiche ed altre ipotesi dall'usuale normativa.

[modifica] Le direttive europee

Il Parlamento europeo è intervenuto in materia di copyright con una Direttiva nel 2004, con importanti emendamenti a difesa degli utenti. Ha poi emanato nel 2007 una seconda direttiva, a maggiore tutela dei detentori di diritti d'autore.

[modifica] La direttiva Ipred1

Anche l'originaria direttiva conteneva, in fase di presentazione, norme penali, che erano state omesse per riuscire ad ottenere l'approvazione entro il 1° maggio 2004 (v. Testo della Direttiva 2004/48/CE).

Il Parlamento europeo ha votato, in seduta plenaria la relazione che accoglie la proposta della Commissione ma, nello stesso tempo propone una serie di emendamenti. Con uno, in particolare, sulla base del fair use prima esistente solo ne diritto americano, si stabilisce che la riproduzione in copie o su supporto audio o con qualsiasi altro mezzo, a fini di critica, recensione, informazione, insegnamento (compresa la produzione di copie multiple per l'uso in classe), studio o ricerca, «non sia qualificato come reato».

[modifica] La direttiva Ipred2

Il Parlamento di Strasburgo nell'aprile 2007 ha approvato il testo di una nuova direttiva che mira a modificare la direttiva 2004/48/EC sui diritti di proprietà intellettuale.

Poiché è la seconda direttiva sull'argomento ha preso il nome di IPRED2[5].

La Direttiva IPRED2, detta "Ip Enforcement", è stata recepita in Italia a maggio 2007 e introduce diverse misure a maggiore tutela dei detentori di diritti d'autore.

In particolare, obbliga gli Internet Service Provider a fornire i dati personali degli utenti in caso di contestazione da parte dei detentori dei diritti. Si tratta di rivelare i nominativi o i numeri telefonici corrispondenti agli indirizzi IP, rilevati da società specializzate nelle intercettazioni su reti P2P.

L'obbligo in precedenza valeva solamente rispetto a interventi delle forze dell'ordine o di pubblica autorità. La Direttiva riconosce implicitamente un valore probatorio alla rilevazione degli indirizzi IP.

[modifica] Considerazioni generali

[modifica] Deroghe ai diritti per pubblica utilità

La proprietà intellettuale può essere oggetto di "esproprio" per fini di pubblica utilità, che prevalgono sull'interesse del privato. In un caso del genere, rientra la distruzione o lo spostamento ad altro sito di un'opera d'arte anche contemporanea, per realizzare un'autostrada o una ferrovia; oppure la produzione di un farmaco che è troppo costoso acquistare dal legittimo produttore, non riconoscendo validità al brevetto sul territorio nazionale e non pagando il copyright allo scopritore in deroga ad un brevetto internazionale depositato all'estero (si tratta della registrazione parallela).

La definizione di pubblica utilità, per quanto ampia e discrezionale, solitamente riguarda prodotti tangibili, non la fruizione di servizi, come potrebbe essere un intrattenimento musicale.

[modifica] Proprietà intellettuale e bene comune

A sostegno di una disciplina giuridica dei brevetti sorgono una serie di considerazioni in particolare nel settore delel arti.

Le arti (scultura, pittura, etc.) sono considerate un fattore di crescita della società e del cittadino, cui tutti hanno diritto di accesso in base ad un diritto all'istruzione e di un diritto, da questo indipendente, alla fruizione della bellezza, quale bisogno dell'uomo, poiché la legge non deve limitarsi a gantire il soddisfacimento delle necessità primarie della persona, ma la possibilità di una sua completa realizzazione.

Altri sostengono che l'arte non è mai il prodotto di un singolo individuo, e che non è quantificabile il contributo e le influenze che qualunque artista ha avuto, anche in modo inconsapevole, da altri artisti e uomini comuni, passati e contemporanei, e il debito dell'autore nei loro confronti. In questo senso, l'opera è prodotto e proprietà di una società e di un epoca, più che di un individuo e dei suoi eredi.

Il principio di un diritto collettivo alla fruizione della bellezza e all'apprendimento dall'arte, nelle loro opere originali sono state idee che portarono nel '700 alla nascita dei primi Musei che erano concepiti come il luogo in cui l'arte veniva valorizzata e doveva essere conservata, piuttosto che all'interno di collezioni private gelosamente custodite.

Pure per la musica, per quanto sia un' arte non "tangibile", alcune considerazioni spingono per un diritto d'accesso collettivo che può esserci solo a titolo gratuito o comunque a basso costo: il fatto che la musica è cultura e i cittadini hanno diritto d'accesso ai livelli più alti dell'istruzione, il diritto allo studio nei conservatori che richiedono spese notevoli per lo strumento e il materiale didattico musicale, la bellezza come bene comune e valore apartitico.

[modifica] Durata ed ereditarietà del diritto d'autore

La normativa sul diritto d'autore prevede una durata del copyright limitata nel tempo e variabile significativamente a seconda della categoria merceologica tutelata (medicinali, brani musicali, software, ecc.).

Il periodo di copyright dovrebbe consentire di avere un adeguato margine di guadagno e di recuperare i costi che precedono l'entrata in produzione e la distribuzione del prodotto. La durata, in linea di principio, è proporzionale ai costi da remunerare. Tuttavia non sempre la proporzione viene rispettata. Per esempio un brano musicale ha un durata di copyright di 70 anni, mentre per un medicinale, che ha costi di ricerca e sviluppo assai maggiori, il periodo di copertura è di 30 anni.

Storicamente, la morte dell'autore causava l'estizione del copyright. In seguito, il diritto d'autore è passato agli eredi del soggetto e quindi la durata prevista dalla legge è prescrittiva (30/70 anni in ogni caso). È stata modificata anche la distribuzione dei margini: all'editore tocca talvolta più dell'autore, talora più del 50% (a fronte di un equo margine che per un intermediario è generalmente intorno al 20%).

[modifica] Dibattito sulle pene per la violazione del diritto d'autore

Nelle legislazioni internazionali è frequente una tendenza all'equiparazione fra la violazione del diritto d'autore e il reato di furto.

Esiste un dibattito non solo sull'entità delle pene che una simile equiparazione comporta, ma anche sulla reale opportunità di accomunare le due tipologie di reato. L'equiparazione al furto comporta infatti un considerevole inasprimento delle pene.

Analogo dibattito investe il rispetto del proporzionalismo fra le pene rispetto alla gravità del reato. Il plagio, infatti, prevede pene inferiori al furto (sebbene l'utilizzo commerciale sia un'aggravante nella violazione di copyright). In sostanza, chi copia e vende opere in forma identica all'originale commette un reato punito molto più severamente del plagio, ovvero di chi apporta lievi modifiche e, cambiando il titolo, si appropria di una qualche paternità sull'opera.

[modifica] Bibliografia

[modifica] Su Wikipedia

[modifica] Voci correlate

[modifica] Note

  1. ^ a b c d Karl Foegel, "Breve storia sul copyright", Red Bean, 2004
  2. ^ a b Lyman Ray Patterson, "Copyright And `The Exclusive Right' Of Authors", Journal of Intellectual Property, Vol. 1, No. 1, 1993
  3. ^ a b Benjamin Kaplan, "An Unhurried View of Copyright", Columbia University Press, 1967, pp. 4-5.
  4. ^ S. H. Steinberg, "Five Hundred Years of Printing" pp. 218-230, Penguin Books, 1955
  5. ^ Ipred 2

[modifica] Collegamenti esterni


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