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Oscar Luigi Scalfaro - Wikipedia

Oscar Luigi Scalfaro

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Bandiera italiana
Stemma Presidente della Repubblica
IX Presidente della
Repubblica Italiana
Oscar Luigi Scàlfaro
Luogo di nascita Novara
Data di nascita 9 settembre 1918 (1918-09-09) (età 89)
Luogo di morte
Data di morte
Titolo di studio Laurea in Giurisprudenza
Professione Politico ed ex magistrato
Partito politico Partito Democratico
Mandato Presidenziale dal 28 maggio 1992 al 15 maggio 1999
Elezione 25 maggio 1992
16° scrutinio con 672 voti su 1.002
Predecessore Francesco Cossiga
Successore Carlo Azeglio Ciampi
Coniuge Maria Inzitari (1924-1944)

Oscar Luigi Scàlfaro (Novara9 settembre 1918) è un politico italiano.

Nono Presidente della Repubblica dal 1992 al 1999 e in seguito senatore a vita. In precedenza era stato Ministro dell'Interno nel Governo Craxi I e Presidente della Camera dei deputati nella XI Legislatura nel 1992 (lasciò l'incarico dopo un mese perché fu eletto al Quirinale). Appartiene al Partito Democratico.


Indice

[modifica] Biografia

Cresciuto in ambienti cattolici, sin da giovanissimo partecipò all'attività dell'Azione Cattolica, in un periodo in cui veniva perseguitata dal fascismo, esperienza che tuttora richiama indossandone la spilla distintiva. Durante la lotta partigiana, ebbe contatti con il mondo degli antifascisti.

Si laureò in Giurisprudenza nel 1941 all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed entrò in magistratura l'anno successivo. Durante tale periodo ebbe a richiedere (ed ottenere) in veste di pubblico ministero una condanna a morte. La condanna tuttavia non fu eseguita a causa del ricorso (accolto) in Cassazione da parte del condannato, certo Stefano Zurlo.[1]

Tale pena era prevista per alcuni crimini di guerra dalla legislazione di guerra in vigore pro-tempore.
La pena di morte fu espunta dal Codice penale di pace appena questo rientrò in vigore e vennero soppresse le Corti d'assise straordinarie.

Lasciò la toga per la politica nel 1946: fu eletto a Torino, fra i più giovani nelle file della Democrazia Cristiana, all'Assemblea Costituente che doveva redigere una nuova Carta Costituzionale. In seguito venne eletto deputato ininterrottamente fino al 1992, quando, durante la sua presidenza della Camera dei Deputati, fu eletto Presidente della Repubblica.

Scalfaro è l'unica persona, insieme ad Alessandro Pertini (che presiedette come membro anziano il Senato nel 1987) ed Enrico De Nicola (presidente della Camera, del Senato e della Repubblica dal 1° gennaio all'11 maggio 1948), ad avere ricoperto tutte le tre più alte cariche dello Stato: è infatti stato Presidente della Repubblica e Presidente della Camera, oltre ad avere presieduto provvisoriamente il Senato all'inizio della XV legislatura.

Egli è stato l'unico Capo dello Stato (tra quelli cessati di carica) della storia d'Italia a non aver nominato nessun senatore a vita, questo a causa di un problema legato all'interpretazione della Costituzione: non è chiaro infatti se il limite di 5 senatori a vita sia da intendersi come limite massimo di nomine a disposizione di ciascun Presidente oppure a disposizione del Presidente della Repubblica come figura istituzionale (quindi comprendendo anche quelli nominati dai predecessori). Il Presidente Scalfaro era fedele alla seconda interpretazione, a differenza dei suoi due predecessori Pertini e Cossiga, che nominarono 5 senatori a testa.

Stemma del Senato della Repubblica Italiana Parlamento Italiano
Senato della Repubblica
Sen. Oscar Luigi Scalfaro
[[Immagine:|200px]]
Luogo nascita Novara
Data nascita 9 settembre 1918
Luogo morte
Data morte
Titolo di studio
Professione Politico, ex magistrato
Partito Partito Democratico
Legislatura
Gruppo
Coalizione
Circoscrizione
Regione {{{regione}}}
Collegio {{{collegio}}}
{{{mandato}}}
Elezione {{{elezione}}}
Senatore a vita
Nomina Ex Presidente della Repubblica
Data nomina 15 maggio 1999
Incarichi parlamentari
[{{{sito}}} Pagina istituzionale]

[modifica] Le cariche

[modifica] L'attività di magistrato

Alla fine della Seconda guerra mondiale, nel 1945 a Novara le Corti di Assise speciali avevano una quantità insufficiente di magistrati, per questo Oscar Luigi Scalfaro si trovò a rivestire il ruolo di pubblico ministero, nonostante non fosse stata questa la sua nomina originaria, per un processo che riguardava un assassinio compiuto dalla polizia della Repubblica di Salò. Si trattava di un crimine per il quale, secondo il codice penale di guerra allora in vigore, veniva richiesta la pena capitale.

La richiesta di condanna a morte, contraria ai principi cattolici professati da chi doveva rappresentare l'accusa, era ritenuta un atto dovuto. Scalfaro racconta che, verificate le informazioni legate al processo, turbato all'idea dell'azione che doveva compiere, si consultò con un sacerdote laureato in diritto civile e canonico, il quale cercò di sollevare dalle sue spalle la responsabilità, considerando che la Chiesa cattolica riconosce allo Stato il diritto di comminare la pena di morte in casi eccezionalmente gravi.

Al dibattimento, come pubblico ministero quindi, espose i fatti ed indicò i colpevoli, facendo presente che la pena stabilita per i reati era la morte, ma aggiunse che si opponeva personalmente a questa soluzione. Disse che si sarebbe dimesso dalla magistratura se avesse trovato un conflitto tra gli imperativi della sua religione e la pena di morte, ma siccome la religione lo autorizzava a prestare comunque il suo servizio allo Stato, si appellava alla Corte affinché non venisse applicata quella pena.

Come membro dell'Assemblea Costituente Scalfaro si impegnò affinché fosse eliminata la pena di morte dalle leggi della Repubblica italiana.

[modifica] Mezzo secolo in Parlamento

[modifica] I primi passi

Ancora dodicenne Scalfaro si iscrisse alla GIAC (Gioventù Italiana di Azione Cattolica), appartenenza che ostenterà senza tentennamenti per tutta la vita (portò sempre all’occhiello della giacca il distintivo rotondo dell’Azione Cattolica: lo si poteva vedere anche quando, appena eletto alla massima carica pubblica italiana, fece in televisione le brevi dichiarazioni di rito).

Arriverà, prima dell'inizio della carriera politica, alla carica di segretario provinciale (Novara) dell’associazione cattolica. Alle elezioni per l’Assemblea costituente si presentò, dicono i suoi biografi, con una certa riluttanza, candidato indipendente nella DC, dopo che a livello nazionale fu deciso l’appoggio aperto della gerarchia ecclesiastica e delle organizzazioni cattoliche al partito, in funzione di resistenza alla possibile conquista del potere da parte dei social-comunisti (Fronte popolare). Conosciuto ed apprezzato da tutte le organizzazioni cattoliche del novarese venne eletto con un numero di preferenze (oltre quarantamila) eccezionale per i tempi e ben superiore a quelle di personaggi politici del collegio decisamente più noti ed usi alla politica quali Giuseppe Pella e Giulio Pastore.

Decisamente e fieramente anticomunista e antifascista, si iscrisse finalmente alla DC e partecipò alla battaglia politica del 1948 senza abbandonare per questo l’Azione Cattolica che, presieduta da Luigi Gedda, apporterà un contributo determinante all’affermazione della DC con i suoi Comitati Civici, istituiti per l’occasione. In un clima da barricate uscirà eletto con risultati eccellenti: oltre cinquantamila preferenze. La sua fu sempre un’oratoria chiara, retorica ma non troppo, sapientemente intercalata da frasi e detti in latino e quando attaccava gli avversari (o le loro idee) lo faceva con un'ironia leggera, mai greve ma incisiva seppur priva di astio, che destava il sorriso dell’uditorio, tutto sommato molto piacevole a sentirsi e, soprattutto, molto convincente. Caratteristiche che conserverà a lungo nel futuro, anche se ad un certo punto lo stile apparirà un po' datato.

[modifica] Il caso detto "del prendisole"

Considerato persona di rigide vedute in tema di morale fu protagonista nel luglio 1950, all'inizio della sua attività parlamentare, di un episodio che fece molto scalpore e che è indicativo del carattere del personaggio. L'episodio, noto poi come "il caso del prendisole", ebbe luogo in un ristorante romano quando, insieme ai colleghi di partito Umberto Sampietro e Vittoria Titomanlio, Oscar Luigi Scalfaro ebbe un vivace alterco con una giovane e bella signora, Edith Mingoni Toussan, da lui pubblicamente ripresa in quanto il suo abbigliamento, a parere dell'onorevole, era sconveniente (la signora mostrava le spalle nude). L'episodio terminò in questura e la giovane donna denunciò Scalfaro ed il collega per ingiurie (il processo non fu mai celebrato per sopravvenuta amnistia nel 1953). La vicenda tenne banco sui giornali e riviste italiane per lungo tempo: la stampa laica accusava Scalfaro di "moralismo" e "bigotteria", quella cattolica lo difendeva. Intervennero nella polemica autorevoli firme, come il giornalista Renzo Trionfera, il latinista Concetto Marchesi, ed altri più o meno famosi. Alla Camera le polemiche furono roventi per le interrogazioni e durante le sedute destinate a deliberare sull'autorizzazione a procedere contro i due parlamentari a seguito della denuncia sporta dalla signora.[2]

[modifica] L'area politica di appartenenza

Politicamente Scalfaro fu sempre schierato all'ala destra della Democrazia Cristiana. Pur avendo sempre avuto una grande stima (ricambiata) di Alcide De Gasperi, il suo punto di riferimento fu Mario Scelba, di cui era ammiratore ed amico[3], e che durante il suo governo lo chiamò a ricoprire (fu il suo primo incarico di governo) il ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ed al Turismo e spettacolo.[4]

Nel 1958 Mario Scelba formò nella DC una "corrente" (Centrismo popolare) di politici conservatori che aveva come referenti principali, oltre a lui stesso, che ne era il leader, Guido Gonella, Roberto Lucifredi, Mario Martinelli ed Oscar Luigi Scalfaro, tutti componenti il Comitato di direzione. La corrente aveva ne: "Il Centro" il suo organo di stampa, e verrà sciolta dal suo stesso leader otto anni dopo.

Coerente alla sua concezione anticomunista, all'inizio degli anni sessanta Scalfaro si oppose fermamente alla cosiddetta "apertura a sinistra" cioè all'ingresso del Partito Socialista Italiano, che egli considerava "il cavallo di Troia" del comunismo, nella compagine governativa (centrosinistra). In questa battaglia interna al partito ebbe come alleato Giulio Andreotti e la sua corrente. L'alleanza con il partito di Pietro Nenni, auspicata dall'allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, fu poi realizzata da Amintore Fanfani e da Aldo Moro a partire dal 1963.

[modifica] Il periodo di ombra

L'avvento del centrosinistra segnò il declino definitivo del suo referente Mario Scelba e nell'aprile del 1969 Scalfaro fondò, all'interno della DC, una sua corrente, "Forze libere", ma la scarsa adesione al congresso del partito svoltosi a giugno di quell’anno (meno del 3% dei voti e quattro seggi) non fu incoraggiante: la corrente verrà sciolta ufficialmente quattro anni dopo.

Nel 1972 polemizzò aspramente contro i socialisti, il cui neo segretario Francesco De Martino auspicava per il governo "equilibri più avanzati", cioè l'ingresso del PCI nella maggioranza di governo. Si batté altrettanto vigorosamente contro l'approvazione della legge Fortuna-Baslini, che introdusse il divorzio in Italia e fu un sostenitore del ricorso al referendum abrogativo della stessa legge, nel quale tuttavia non fu raggiunta la maggioranza dei voti necessaria per l’abrogazione (12 maggio 1974: in quell'occasione fu alleato di Amintore Fanfani che aveva promosso la consultazione elettorale abrogativa).

Come esponente dell'ala destra della DC ricoprì comunque molte cariche di governo anche nei primi anni del centrosinistra ma nella seconda metà degli anni settanta la sua figura nel quadro politico generale rimase un po’ in ombra, ed in quel periodo ebbe come unica carica istituzionale la vicepresidenza della Camera dei Deputati (da ottobre 1975), che mantenne per quasi otto anni.

[modifica] Il ritorno alla ribalta

Nell'agosto 1983 fu chiamato da Craxi, non senza che ciò destasse un certo stupore nei commentatori politici di allora, a ricoprire una delle cariche più delicate ma prestigiose del governo: la titolarità del ministero dell'Interno, carica che mantenne ininterrottamente fino al luglio del 1987. Nel 1989 fu nominato presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla ricostruzione in Irpinia dopo il terremoto del novembre 1980: un incarico difficile e scabroso, che impegnò Scalfaro per due anni e che, a commento quasi unanime della stampa, condusse con notevole e rara indipendenza di giudizio.

Eletto Presidente della Camera dei Deputati il 24 aprile del 1992, vi rimase poco. Scaduto il mandato di Francesco Cossiga come Presidente della Repubblica, l'elezione del successore si stava trascinando in una serie di votazioni parlamentari senza risultato, quando la strage di Capaci dette uno scossone alla vita politica italiana e Scalfaro, un outsider nella corsa al Quirinale, fu eletto alla massima carica istituzionale del Paese subito dopo il tragico evento. "Sponsor" politico di Scalfaro fu allora Marco Pannella, leader del Partito Radicale.

[modifica] Scalfaro Presidente della Repubblica

Si è trattato di una delle presidenze più controverse della storia repubblicana: benché fortemente sostenuto dai partiti politici sopravvissuti al turbine di Tangentopoli, ha ingenerato forti contrapposizioni, fronteggiate con una decisione che nessuno avrebbe saputo prevedere da un politico approdato quasi per caso al Quirinale.

Cominciò con il nominare Giuliano Amato presidente del consiglio, avanzando riserve nei confronti dell'autocandidatura di Craxi, che non aveva ancora ricevuto nessun avviso di garanzia (ma il mandato di cattura nei confronti di Silvano Larini già faceva parlare di un avvicinamento degli inquirenti al leader socialista). Nelle memorie di Enzo Scotti, si apprese che il suo segretario generale Gaetano Gifuni avrebbe contattato sia Scotti sia Claudio Martelli per sondare la possibilità di una nomina nelle "seconde file" dei due principali partiti della coalizione di governo, allo scopo di propiziare un avvicendamento generazionale alla guida dei rispettivi partiti.

Accompagnò la riluttanza di Craxi a dimettersi dalla segreteria del PSI con le sferzanti parole "chi ha salito le scale del potere deve saperle discendere con uguale dignità". Il rifiuto di firmare il decreto-legge Conso sul finanziamento illecito dei partiti lo mise alla testa del moto popolare di ostilità verso il "Parlamento degli inquisiti", e dopo il referendum che abrogò il sistema proporzionale fu tra quelli che spinse per una legge elettorale nuova, in cui il Parlamento operasse "sotto dettatura" dell'esito elettorale.

Con il messaggio televisivo in cui pronunciò le celebri parole "Non ci sto",[5]accreditò la chiave di lettura dello scandalo SISDE - che coinvolse alcuni dipendenti dei servizi segreti civili che avevano operato anche sotto la sua gestione del Viminale - come rappresaglia della classe politica travolta da Tangentopoli nei suoi confronti. In questo trovò l'alleanza dei nuovi partiti emersi dal crollo della cosiddetta "Prima Repubblica", ma tale alleanza si spaccò quando - nel dicembre del 1994 - invece di sciogliere le Camere dopo le dimissioni del primo governo Berlusconi, propiziò il governo Dini.

Negli ambienti del centro-destra, la stessa defezione di Bossi dal governo Berlusconi fu presentata come frutto delle manovre del Quirinale, che aveva ricevuto informalmente notizia da Francesco Saverio Borrelli dell'imminente invio dell'avviso di garanzia ricevuto a Napoli dal presidente del consiglio. Quando Scalfaro svolse le consultazioni, ascoltò anche le componenti interne ai partiti per comprendere se vi erano in Parlamento i voti per un'ipotesi di "governo tecnico": ricevutane rassicurazione - anche grazie l'opposizione dei presidenti delle Camere Scognamiglio e Pivetti alla fine anticipata della legislatura - in un famoso discorso di fine anno invitò Berlusconi ad un passo indietro, promettendo che il nuovo governo avrebbe avuto un incarico a termine ed un presidente di fiducia dello stesso Berlusconi. Questi scelse il suo ministro dell'economia Lamberto Dini, ed assistette nell'anno successivo al progressivo spostamento dell'asse del governo così nato verso il centro-sinistra, che vinse le successive elezioni.

Lo snodo decisivo per tale spostamento fu la sfiducia individuale votata al ministro della giustizia Filippo Mancuso: questi, accusato di opporsi alla deriva giudizialista del centro-sinistra con una serie di ispezioni ministeriali nei confronti dei giudici che indagavano su Berlusconi, si difese in Senato con un feroce discorso in cui scelse come testa di moro proprio il Quirinale. Ripescando la vicenda SISDE, Mancuso affermò che Gaetano Gifuni avrebbe cercato di orientare la sua relazione nella precedente veste di presidente della commissione governativa di indagine: la relazione sarebbe dovuta cambiare, e l'affermazione della non illiceità della dazione mensile di danaro da parte del SISDE - a Scalfaro quando era ministro dell'interno - si sarebbe dovuta trasformare nell'affermazione dell'inesistenza del fatto storico di tale percepimento di somme.

Queste ed altre circostanze (tutte riconducibili, comunque, al "ribaltone" del dicembre 1994) portarono, nel centro-destra, alla nascita di una diffusa ostilità verso il Capo dello Stato, accentuata dopo la vittoria del centro-sinistra nelle elezioni del 1996: segnatamente, la legge sulla "par condicio" (termine da lui stesso impiegato in più di una pubblica esternazione, per affermare la sacrosanta esigenza della parità delle armi comunicative sulle reti televisive per tutti gli attori politici) fu vista come un attacco alla potenzialità più dirompente del sistema mediatico di Berlusconi.

Nell'ultima parte del settennato gli attivisti giovanili di Alleanza nazionale contestarono rumorosamente il Capo dello Stato nei suoi viaggi nelle città italiane. Mentre la sua caratteristica più gelosamente custodita era stata l'affermazione di un ruolo super partes, agli attacchi ricevuti rispose invocando sempre più esplicitamente il sostegno dalla maggioranza di governo. Ne derivò un ruolo più dipendente da quest'ultima, coronato dal fatto che appena divenuto senatore a vita votò la fiducia al secondo governo D'Alema, cioè ad un presidente del consiglio da lui stesso nominato per il primo mandato (cosa che nel 1986 Pertini non aveva fatto, non partecipando alla votazione sulla fiducia al secondo governo Craxi).

[modifica] Nomine Presidenziali

Governi

Senatori a vita

  • Non ha proceduto ad alcuna nomina

[modifica] Attività successive alla Presidenza della Repubblica

Il Senatore Scalfaro
Il Senatore Scalfaro

Terminato il suo mandato da Capo dello Stato, Scalfaro divenne Senatore a vita in quanto ex Presidente della Repubblica, aderendo al gruppo misto.

Nel corso della XIV legislatura ha presentato numerosi disegni di legge riguardanti l'emigrazione e ha manifestato il dissenso soprattutto per la proposta di riforma costituzionale avanzata dalla Casa delle Libertà e dal terzo governo Berlusconi.

Durante la primavera del 2006 è stato Presidente del Comitato "Salviamo la Costituzione" e a capo del Comitato per il No al Referendum sulla Riforma Costituzionale, composto dai partiti del centrosinistra, dalle principali organizzazioni sindacali, dai Comitati Dossetti, dalle associazioni ASTRID, Libertà e Giustizia, ANPI, ACLI e altri. Promosse dunque una bocciatura per via referendaria, poi avventua col 61,3% il 25 e 26 giugno 2006. In questa veste è stato nuovamente oggetto delle critiche del centrodestra, promotore della riforma poi bocciata, insieme al suo successore al Quirinale Carlo Azeglio Ciampi, anche lui schieratosi per il No al referendum (tuttavia successivamente, poiché ancora in carica sul Colle fino al mese di maggio).

In apertura della XV Legislatura è stato Presidente provvisorio del Senato della Repubblica (perché senatore più anziano dopo Rita Levi Montalcini che si era dichiarata non in grado di svolgere quel compito), fino all'elezione alla presidenza di Franco Marini, da lui sostenuto.

Il 19 maggio 2006, come già aveva anticipato, ha votato la fiducia al governo Prodi II. Durante la XV legislatura ha votato più volte in favore del governo Prodi e della maggioranza di centro-sinistra, anche in occasioni determinanti e con voti di fiducia.

Nel 2007 ha aderito al Partito Democratico, ed è stato presidente del Comitato pro Veltroni-Franceschini nel Lazio per le primarie del 14 ottobre 2007.

[modifica] Ascendenze

Gli Scalfaro acquisirono un titolo baronale, poi naturalmente cessato con l'avvento della Repubblica. Esso fu concesso da Gioacchino Murat all'antenato Luigi, colonnello calabrese dell'esercito napoletano. Luigi Scalfaro avrebbe in seguito presieduto il consiglio di guerra che nel 1815 condannò a morte lo stesso Murat.

[modifica] Onorificenze

Oscar Luigi Scalfaro è balì gran croce d'onore e devozione del Sovrano militare ordine di Malta.

[modifica] Note

  1. ^ Lo Zurlo ricorse contro la sentenza, pare dietro successivo consiglio dello stesso Scalfaro, in Cassazione. La Suprema Corte riconobbe fondato il ricorso e rinviò il caso alla Corte d’Assise di Torino, la quale condannò l’imputato a trent’anni di carcere, ridotti poi a sei dall’intervenuta amnistia generale (dal testo Scalfaro, una vita da Oscar di cui alla bibliografia).
  2. ^ Il padre della Mingoni in Toussan (colonnello pluridecorato dell'aviazione, ormai a riposo) ritenendo offensiva nei confronti della figlia una frase pronunciata da Scalfaro durante un dibattito parlamentare, lo sfidò a duello. Subentrò poi al padre come sfidante il marito della signora, anch'egli ufficiale dell'aeronautica, che, ironia della sorte, si chiamava Aramis. La sfida fu ovviamente respinta, la qual cosa, risaputa pubblicamente, fece indignare Totò che inviò a Scalfaro una vibrante lettera aperta, a firma "principe Antonio Focas Flavio Comneno De Curtis", pubblicata dall'Avanti.
    Di questo episodio si ricorderà poi Federico Fellini nel 1962, inserendolo pedissequamente nell'episodio "Le tentazioni del dottor Antonio" inserito nel film Boccaccio '70. La procacissima Anita Ekberg è riprodotta sul manifesto, e Peppino De Filippo impersona il dottor Antonio Mazzuolo: un ottuso, bigotto, pretesco censore, in realtà profondamente eccitato dalla bellezza della Ekberg. Nella follia pazzoide del censore, la Ekberg arriva a "scendere" dal manifesto per materializzarsi in carne ed ossa, ma più in carne che in ossa. Il film termina col dottor Mazzuolo aggrappato al manifesto, che con l'aiuto dei pompieri e di una ambulanza viene trasferito, ancora sofferente per non aver purificato il mondo, in un centro per malattie mentali.
  3. ^ Divenuto Presidente della Repubblica, Scalfaro nominerà suo portavoce il nipote di Mario, Tanino Scelba
  4. ^ Questo incarico gli procurò molte noie (e molta pubblicità). Nelle competenze del sottosegretario c’era anche quella censoria nei confronti dei film, la cui ammissione al circuito nazionale poteva essere negata se considerati contrari alla pubblica decenza od ammessa solo a condizione cha alcune scene (poche o tante che fossero) venissero "tagliate". Poiché Scalfaro assolveva al suo compito con molto zelo, fu tutto un fiorire di attacchi ironici da parte della stampa laica che lo gratificò dei nomignoli più bizzarri e sarcastici. Contro di lui si spesero penne come Giovannino Guareschi e Curzio Malaparte. Ecco come si espresse quest'ultimo nei suoi confronti:
    « A giudicare dai lamenti, dalle minacce, dalle esortazioni e dalle preghiere dell’on. Scalfaro, si direbbe che l'Italia sia un sobborgo di Sodoma, la Bestia dell'Apocalisse, un museo dei vizi, una scuola di depravazione, una sentina d'impurità ed una nazione infine senza pudore né dignità »
    (Curzio Malaparte)
  5. ^
    « A questo gioco al massacro io non ci sto »
    (Oscar Luigi Scalfaro. Dal messaggio straordinario alla nazione andato in onda a reti unificate alle ore 22 e 30 circa del 3 novembre 1993)

[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia

  • Filippo Ceccarelli,Il letto e il potere, Milano, TEADUE, Tascabili degli Editori Associati (licenza Longanesi), 1996
  • Giorgio Caldonazzo – Paolo Fiorelli, Scalfaro, una vita da Oscar, Bergamo, Ferruccio Arnoldi Editore, 1996
  • Massimo Franco,Il re della Repubblica, Milano, Badini & Castoldi, 1997, ISBN 88-8089-327-0

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni

Predecessore: Ministro dei Trasporti e dell'Aviazione Civile della Repubblica Italiana Successore:
Angelo Raffaele Jervolino 23 febbraio 1966 - 12 dicembre 1968 Luigi Mariotti I
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Italo Viglianesi 12 febbraio 1972 - 26 giugno 1972 Aldo Bozzi III
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Angelo Raffaele Jervolino {{{data}}} Luigi Mariotti
Predecessore: Ministro dell'Interno della Repubblica Italiana Successore:
Virginio Rognoni 1983 - 1987 Amintore Fanfani I
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Virginio Rognoni {{{data}}} Amintore Fanfani
Predecessore: Ministro della Pubblica Istruzione Successore:
Riccardo Misasi 26 luglio 1972 - 7 luglio 1973 Franco Maria Malfatti I
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Riccardo Misasi {{{data}}} Franco Maria Malfatti
Predecessore: Presidente della Camera dei Deputati Successore:
Leonilde Iotti 24 aprile 1992 - 25 maggio 1992 Giorgio Napolitano I
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Leonilde Iotti {{{data}}} Giorgio Napolitano
Predecessore: Presidente della Repubblica Italiana Successore: Bandiera italiana
Francesco Cossiga 28 maggio 1992 - 15 maggio 1999 Carlo Azeglio Ciampi
Presidenti della Repubblica Italiana
Stendardo Presidente della Repubblica Italiana
Enrico De Nicola (1946-1948) | Luigi Einaudi (1948-1955) | Giovanni Gronchi (1955-1962) | Antonio Segni (1962-1964) | Giuseppe Saragat (1964-1971) | Giovanni Leone (1971-1978) | Sandro Pertini (1978-1985) | Francesco Cossiga (1985-1992) | Oscar Luigi Scalfaro (1992-1999) | Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006) | Giorgio Napolitano (2006-in carica)


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