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Operette morali - Wikipedia

Operette morali

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Operette morali
Titolo originale
Frontespizio delle Operette morali, pubblicato a Napoli per i tipi di Saverio Starita nel 1835.
Autore: Giacomo Leopardi
Anno
(1ª pubblicazione):
1827
Genere: Novelle e Dialoghi
Sottogenere: Morale
Ambientazione:
Anno di ambientazione:
Protagonista:
Coprotagonisti:
Antagonista:
Personaggi secondari:
Serie:
Preceduto da:
Seguito da:
EDIZIONE RECENSITA
Anno: 1993
Editore: Sansoni
Edizione:
Traduzione:
Collana: Tutte le opere
Pagine: 135 (su due colonne)
Capitoli
ISBN
ISSN
Progetto Letteratura
« Dicono i poeti che la disperazione ha sempre nella bocca un sorriso. Non dovete pensare che io non compatisca all’infelicità umana. Ma non potendovi riparare con nessuna forza, nessuna arte, nessuna industria, nessun patto; stimo assai più degno dell’uomo, e di una disperazione magnanima, il ridere dei mali comuni; che il mettermene a sospirare, lagrimare e stridere insieme cogli altri, o incitandoli a fare altrettanto. In ultimo mi resta a dire, che io desidero quanto voi, e quanto qualunque altro, il bene della mia specie in universale; ma non lo spero in nessun modo. »


Le Operette morali sono una raccolta di ventiquattro componimenti in prosa, tra dialoghi e novelle dallo stile medio e ironico, scritte tra il 1824 ed il 1832 dal poeta e studioso letterario Giacomo Leopardi.

Sono state pubblicate definitivamente a Napoli nel 1835,[1] dopo due edizioni intermedie nel 1827 e nel 1834.

Le Operette sono l'approdo letterario di quasi tutto lo Zibaldone.[2]

I temi sono quelli cari al poeta: il rapporto dell'uomo con la storia, con i suoi simili e in particolare con la Natura, di cui Leopardi matura una personale visione filosofica; il confronto tra i valori del passato e la situazione statica e degenerata del presente; la potenza delle illusioni, l'infelicità, la gloria e la noia.

Sono tematiche riproposte alla luce del cambiamento radicale avvenuto nel cuore dello scrittore:[3] la ragione non è più un ostacolo all'infelicità, ma l'unico strumento umano per sfuggire alla disperazione.

A differenza dei Canti, l'opera è stata concepita interamente nell'anno 1824. Le differenti edizioni testimoniano integrazioni di dialoghi successivi e aggiustamenti circa il messaggio finale del testo.

Le Operette furono spesso confuse con un progetto parallelo del padre Monaldo, che ebbe molto successo,[4] e Giacomo era citato spesso come l'autore, procurando al poeta forte imbarazzo e frustrazione.

Gli argomenti delle Operette, in particolar modo quelli sviluppati nel Dialogo della Moda e della Morte e Dialogo di Tristano e di un amico, saranno ribaditi con decisione, come un corollario della filosofia leopardina, da Carlo Michelstaedter ne La persuasione e la rettorica.

Imago index
Recanati

Torre civica (Recanati)

Municipio (Recanati)

Resti della tomba (Giardino Casa Leopardi)

Piazzetta del Sabato del villaggio (vista dalla stanza privata di Leopardi)

Il sentiero che conduce al colle de L'infinito

Indice

[modifica] Genesi dell'opera

[modifica] Le prosette satiriche

Leopardi accarezzava già dal 1820 l'idea di scrivere delle Prosette satiriche,[5] ma solo nel 1824 il progetto matura e coinvolge più argomenti ed esperienze. Sono gli anni del trasferimento a Roma, nel tentativo di lasciare Recanati, la tomba de' vivi, per trovare la felicità (illusione presto svanita); della crisi poetica (l'inaridimento della vena lirica della prima gioventù) e filosofica (il passaggio dal materialismo storico-progressivo a quello cosmico).
In un passo dei Disegni letterari ricostruito sulle carte autografe recanatesi, Leopardi rivela di voler scrivere dei:

« Dialoghi satirici alla maniera di Luciano, ma tolti i personaggi e il ridicolo dai costumi presenti e moderni, e non tanto tra i morti [...], quanto tra personaggi che si fingano vivi, ed anche volendo, fra animali [...]; insomma piccole commedie, o Scene di Commedie [...]: le quali potrebbero servirmi per provar di dare all’Italia un saggio del suo vero linguaggio comico che tuttavia bisogna assolutamente creare [...]. E questi dialoghi supplirebbero in certo modo a tutto quello che manca nella Comica Italiana, giacché ella non è povera d’intreccio d’invenzione di condotta ec., e in tutte quelle parti ella sta bene; ma le manca affatto il particolare cioè lo stile e le bellezze parziali della satira fina e del sale e del ridicolo attico e veramente e plautino e lucianesco [...].[6] »
(Giacomo Leopardi, Disegni letterari, Recanati, 1819 (in Scritti vari e inediti a cura di O. Besomi))

Al Besomi spetta il merito di aver ricostruito, il più fedelmente possibile, la data di composizione di questi primi abbozzi. Non estranea l'influenza della delusione dei moti rivoluzionari del '20-'21 a Napoli che, successivamente, farà sparire la coloritura politica di queste prime prove. Il Blasucci e il Secchieri considerano i tempi delle prosette satiriche, momenti distinti dalle Operette vere e proprie.

[modifica] Il primo nucleo

Sebbene di data incertissima si possono datare al 1820-'21,[7] i seguenti esperimenti di prosette. Dallo sporadico accenno del 1820, l'opera cresce fino alle dichiarazioni esplicite del 1821 al Giordani:[8]

Nei dialoghi sono presenti alcune caratteristiche tipiche delle stile lucianeo (conversazione agli inferi, forme di comicità bassa, ecc.) che diventeranno proprie della produzione maggiore.

Il tema principale di questo nucleo è la penitenza della virtù,[9] ovvero la scelta di una scrittura morale che non può più insegnare quegli errori magnanimi che abbelliscono la nostra vita[...]. Questi errori sono la virtù e la gloria. La nuova scrittura rinuncia alla poesia (lirica) e alla persuasione dell’entusiasmo; e consiste, molto praticamente, nell'astensione dall'impegno politico e filantropico. Resta solo l'ironia e il gioco fine a sé stesso: a confronto sono presi Senofonte e Machiavelli, la Ciropedia e il Principe.

I dialoghi e le novelle sono costantemente intrecciati e variati: è difficile se non impossibile tracciare un quadro d'insieme. Mutano continuamente situazioni, personaggi, luoghi e tempi; «emerge un mondo bizzarro di gusto popolare e fanciullesco, pieno di grazia e di geniale vanità».[10] Ben rappresentato appare il piacere della variazione, della discontinuità: il lettore è provocato e stimolato; la conclusione del libro viene lasciata alla sua responsabilità. Questo aspetto troverà la sua più compiuta attuazione nel Dialogo di Plotino e di Porfirio.

Gli abbozzi del '20-'21 riportano temi antitirannici e contro l'antropocentrismo. La forte coloritura politica, che sparirà successivamente per essere ripresa solo nelle ultime operette, costituirà uno spunto di riflessione talemente profondo da far mutare l’atteggiamento psicologico, filosofico-morale e letterario dell'autore, tanto da riconsiderare la forma stessa dell'espressione: è questo il passaggio dalla poesia alla verità, alla prosa:

« [...] Non solo alla lingua francese (come osserva la Staël), ma anche a tutte le altre moderne, pare che la prosa sarebbe più confacente del verso alla poesia moderna »
(Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, pp. 2171-2172, 26 novembre 1821)
Pietro Giordani. Letterato d'indole liberale, nel 1816 iniziò un rapporto epistolare con Leopardi, a cui fece visita nel 1818. Il Giordani incoraggiò e favorì la conoscenza del recanatese presso gli ambienti culturali più importanti dell'epoca. Provava per il poeta grande stima ed affetto: Giacomo lo definì cara e buona immagine paterna.
Pietro Giordani. Letterato d'indole liberale, nel 1816 iniziò un rapporto epistolare con Leopardi, a cui fece visita nel 1818. Il Giordani incoraggiò e favorì la conoscenza del recanatese presso gli ambienti culturali più importanti dell'epoca. Provava per il poeta grande stima ed affetto: Giacomo lo definì cara e buona immagine paterna.[11]

Tra il '22 e il '23 il poeta trascrive in una pagina dello Zibaldone, indicata come progetti letterari un indice approssimativo di 17 operette. Molti dialoghi e novelle sono già presenti ma con un titolo provvisorio:

  1. Salto di Leucade
  2. Egesia pisitànato
  3. Timone e Socrate
  4. Natura ed anima
  5. Principe del nuovo Cinosarge
  6. Seconda gioventù
  7. Misènore e Filènore
  8. Beppo
  9. Tiresia
  10. Astuzia e Forza
  11. Tasso e Genio
  12. Galantuomo e Mondo
  13. Asinaio ed Asino o l'Aponòsi
  14. I due topi
  15. Ippocrate e Democrito
  16. Il rosignuolo e la rosa
  17. Il sole e l'ora prima, o, Copernico

[modifica] Tematiche e contenuti

[modifica] Il titolo

Il titolo lega insieme i due aspetti principali dell’opera leopardiana: il carattere satirico e il fine morale.[12]

Operette è un diminutivo di umiltà: si tratta di componimenti brevi, considerati piccoli in mole e in valore dall'autore. La loro minuzia contribuisce a renderli, però, di un'efficacia filosofica e poetica lucida, programmatica e chiara. Il termine morali segna il contenuto filosofico: i mores, i costumi, indicano la volontà di individuare nuovi modelli di comportamento, mettendo a confronto l'antichità e la modernità: implicito il richiamo agli Opuscula Moralia di Plutarco.

L'attenuazione canonica del genere morale antico e umanistico, riporta a Isocrate, di cui Leopardi volgarizza alcune Operette morali[13] e Plutarco, fino a Machiavelli e al moralismo illuministico. Le Operette prendono il titolo anche dal messaggio pratico, non solo teoretico che danno: proponendo un umile rimedio, agli effetti funesti della filosofia moderna o della verità, recuperano l'inesperienza, le passioni e l'immaginazione dell'antichità (fondate sul falso), unico rimedio per migliorare la qualità della vita umana, e, in alternativa, suggeriscono delle tattiche di narcotizzazione per alleviare il dolore.

Un impegno simile sarà profuso in un altro scritto del 1826, il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani, in cui sono evidenti le finalità politiche, morali e storiche.

[modifica] Fase materialista

Alla fine del '24 il pensiero Leopardi è orientato verso il materialismo, come attestano le letture del barone d’Holbach annotate nello Zibaldone. L'aspetto pessimistico, usato da una parte della critica per riferirsi alla sua filosofia è da riconsiderare perché non accettata dall’autore:

« Tutto è male. [...] ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; il fine dell’universo è il male; [...]Non v’è altro bene che il non essere: non v’ha altro di buono che quel che non è; [...] tutte le cose sono cattive. [...] L’esistenza per sua natura ed essenza propria e generale, è un’imperfezione, un’irregolarità, una mostruosità. Ma questa imperfezione è una piccolissima cosa, [...] perché tutti i mondi che esistono, [...] non essendo però certamente infiniti, né di numero né di grandezza, sono per conseguenza infinitamente piccoli a paragone di ciò che l’universo potrebbe essere se fosse infinito; e il tutto esistente è infinitamente piccolo a paragone della infinità vera, [...] del non esistente, del nulla. Questo sistema, benché urti le nostre idee, [...] sarebbe forse più sostenibile di quello del Leibnitz, del Pope ec. che tutto è bene. Non ardirei però estenderlo a dire che l’universo esistente è il peggiore degli universi possibili, sostituendo così all’ottimismo il pessimismo. Chi può conoscere i limiti della possibilità? »
(Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, p. 4174, 22 aprile 1826.)

Il Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco è il culmine filosofico del libro. Insieme con l'Islandese e il Metafisico formano il gruppo di operette che definicse più compiutamente il materialismo leopardiano. Il fine della natura non è il bene ma la conservazione in vita degli esseri (Natura e Islandese). La vita è infelice: meglio un’esistenza breve ma intensa e ricca di forti illusioni, che una lunga, piena di emozioni dilatate e narcotizzanti.
A chi piace e a chi giova questa infeliscissima vita dell'universo? Nessun filosofo sa rispondere alla domanda. È una sconfitta del pensiero filosofico e in generale la rappresentazione dell’inadeguatezza della filosofia a spiegare la condizione del genere umano nell’universo. Il Cantico del gallo silvestre, con il suo andamento lirico, snocciola monolitiche sentenze mettendo il lettore nell'attesa di una soluzione filosofica, Così questo arcano mirabile e spaventoso dell'esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi, fornita nel Frammento:

« I diversi modi di essere della materia [...] sono caduchi e passeggeri; ma nessun segno di caducità né di mortalità si scuopre nella materia universalemente, e però niun segno che ella sia cominciata, né che ad essere le bisognasse o pur le bisogni alcuna causa o forza fuori di sé.  »
(Giacomo Leopardi, Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco, rr. 33-38.)

Malgrado le apparenze, resta un non finale e sarà il punto modificato più spesso dall'autore.

[modifica] Leggerezza apparente

All'interno delle operette si rincorrono e si sovrastano diversi temi, particolarmente cari al poeta. Un argomento spesso presente è la perfezione naturale. Tale condizione implica uno stato di felicità che per natura agli uomini è impossibile conseguire (Scommessa di Prometeo, Dialogo di un Fisico e un Metafisico), mentre è concessa ad altre specie, come gli uccelli (Elogio degli uccelli), simbolo del movimento continuo e armonico, rapido ed elegante. L'assenza della felicità nel mondo è la prova della sua imperfezione e la miserabile condizione umana verificata da Prometeo una verità inoppugnabile, simbolicamente costata una scommessa. Impossibilitato a raggiungere una perfezione naturale, l'uomo può conseguire uno stato di eccellenza attraverso l'intelletto e la ragione: il genio. È la tematica del Parini chiamato a rinnegare la gloria a causa della sproporzione esistente tra il progresso del sapere e la condizione del genio. Situazione toccata anche nel Dialogo della Natura e di un’Anima dove la gloria è associata ad una condizione umana miserevole in cui grandezza e infelicità sono due aspetti inseparabili e i grandi ingegni mal si relazionano col resto del mondo (vedi anche l'Ottonieri). L'Anima pertanto chiederà d'essere alluogata nell'essere umano più imperfetto e stupido.

Altro tema che ricorre attraverso più operette è il suicidio indicata nella Storia del genere umano come morte preposta o preponibile alla vita. È un desiderio proprio dell'essere umano, estraneo a tutti gli altri esseri viventi. Nel Fisico e Metafisico, Leopardi spiega come non la vita ma la felicità è amata dall'uomo.

L'analisi tra antichi e moderni è esplorata nel Timandro, nel Tristano, nel Dialogo d'Ercole e Atlante, e Moda e Morte. La vitalità antica si oppone all’inerzia moderna: Ercole e Atlante giocano a palla con la terra, leggera e senza vita; la Moda ha fatto sparire gli esercizi e le fatiche che fanno bene al corpo e spento nell’uomo il desiderio di gloria e d’immortalità, proprio degli antichi; nel Parini si svolge l’argomentazione della superiorità dell’azione sul pensare e lo scrivere.[14]

La teoria del piacere derivante dall'idea di vastità e indefenito è l'argomento più famoso e conosciuto dell'autore, ampiamente esplorato nelle altre opere maggiori, Zibaldone[15] e Canti. Ad essa si ricollegano diversi temi minori: la noia, che deriva dall'assuefazione e da una vita priva di grandi azioni (Tasso, Porfirio); il rischio e la distrazione, che allontanano l'uomo dal tedio e per pochi attimi catturano l’essenza della vita, tanto più la si mette in gioco (Colombo, Elogio degli uccelli, Storia del genere umano); i grandi sentimenti, gli unici in grado di mover il core a grandi azioni; e infine lo stupore, vissuto nel sogno, attraverso la meraviglia degli antichi, nei fanciulli, nei non civilizzati e nei solitari.

Per Leopardi la vita è dolore, mentre la morte è cessazione del dolore. È un tema molto ricorrente, quasi il pilastro del suo pensiero. Il poeta propone vari modi per combattere il dolore. Lo stesso sonno (Dialogo Malambruno e Farfarello) aiuta quando rende la relatà vaga e incerta, mai ben definita (secondo la teoria del piacere), oppure attraverso l’assunzione di sostanze narcotiche come gli alcolici (Tasso). La morte non è molto dissimile dal diletto che è cagionato agli uomini dal languore del sonno, nel tempo che si vengono addormentando (Ruysch).

« Pare che l’essere delle cose abbia per suo proprio e unico obbietto il morire [...] le creature animate [...] in tutta la loro vita, ingegnandosi adoperandosi e penando sempre, non patiscono veramente per altro, e non si affaticano, se non per giungere a questo solo intento della natura, che è la morte »
(Giacomo Leopardi, Cantico del gallo silvestre, rr. 68-79.)

La noia può essere combattuta con il sonno (effetto narcotizzante: l'oppio) ma è il dolore, il rimedio (Tasso). Ė il sentimento più potente di tutti, perché l'uomo mentre patisce, non si annoia per niuna maniera. Per Leopardi è impossibile la felicità, mentre il patimento è necessario alla vita.

[modifica] Bazzecole grammaticali

Le Operette morali si presentano come una raccolta di testi apparentemente slegati, senza una cornice o espliciti collegamenti tematici. Formalmente mostrano l'impiego di un elevato registro espressivo; le tecniche paratestuali coinvolgono testi fittizi, manoscritti ritrovati o volgarizzati, apocrifi. Il lettore è spinto a seguire il ragionamento da angolazioni sempre diverse.

Questa sistematica variazione fornisce ai testi un'inconfondibile originalità filosofica, morale e poetica. Il pensiero dell'autore non appare circostritto ad un determinato testo, ma sconfina volutamente in altre parti del libro senza soluzione di continuità. La curiosità del lettore su tematiche sensibili troverà soddisfazione proprio procedendo con la lettura.

Si può considerare un’opera aperta proprio per quel trionfo dell’immaginazione e dell’estro che governa l’invenzione in conflitto con l’attesa di una sistematicità che il titolo promette.[10]

Leopardi attendeva di leggere le prosette alla maniera di Luciano del Monti.[16] Il poeta romagnolo aveva rivisitato il genere, evitando l'abusato dialogo dei morti, e aveva inserito alcuni componimenti nei quattro volumi della Proposta di alcune correzioni e aggiunte al vocabolario della Crusca, editi tra il 1817 e il 1824. Leopardi aspettò di vedere nel marzo del 1821 gli esemplari montiani prima di cominciare a lavorare al suo progetto già concepito da tempo.

[modifica] Modelli e fonti

Satira Menippea
Genere di satira risalente all’opera del polemista greco Menippo di Gadara (II secolo a. C.), praticato poi da Varrone; ebbe profondi influssi su Petronio e soprattutto su Seneca (Apokolokyntosis) e Luciano di Samosata. La menippea è caratterizzata da mescolanze volutamente disarmoniche tra prosa e versi: la forma letteraria da cui deriva è il prosimetro.

Lo scrittore produce un’alternanza frequente, non episodica, di prosa e versi, esempi – oltre i classici, la Vita Nuova di Dante, l’Ameto di Boccaccio, l’Arcadia di Sannazzaro); di serietà e comicità (vedi spoudogeloion: è lo stile serio-comico usato dal filosofo greco Menippeo e dalla menippea in generale, in cui è data formulazione scherzosa e trattamento comico ad argomenti filosofici); di realismo popolare e di raffinate citazioni o parodie letterarie.

Luciano di Samosata, è stato un retore-narratore dalla ricca vena umoristica vissuto nel II sec. d. C. Nella sua opera imprime nuove tendenze al dialogo, alla parodia e alla satira menippea. Nel corpus di Luciano figura (non è suo, ma forse deriva da una sua opera narrativa andata perduta) quel Lucio o l’Asino che documenta un perduto modello del romanzo di Apuleio.[17]

Il modello principale è l'antica satira menippea. Nelle Operette domina l'imitazione di Luciano, che per Leopardi è un modello di stile. In Italia non è mai esistito niente di simile. Ne imita la comicità e le mosse umoristiche e argute, muovendosi dal sostenuto al dialogo basso (imitazione gratuita). L’orchestrazione dei diversi stili sembra prendere il sopravvento quando s’inizia un discorso sul vero.

Molto importante è la variazione all’interno delle stesse Operette, in cui i numerosi inserti enfatizzano il paratesto per svuotarlo di significato:[10] su tutte Federico Ruysch, in cui troviamo contemporaneamente, novella fantastica, teatro comico, dialogo dei morti e coro finale – che ripropone un genere molto antico-, Il cantico, canto ridotto in prosa, temi comici accanto a temi biblici, contrasti che nella scrittura ricordano lo stile ebraico o il moderno francese ecc.

« Lo scriver francese tutto staccato, dove il periodare non è mai legato col precedente[...], il cui stile non si dispiega mai, [...] è una specie di Gnomologia. In questa qualità, lo scriver francese rassomiglia allo stile orientale il quale anch’esso [...] è tutto spezzato come si vede ne’ libri poetici e sapienzali della scrittura. »
(Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, pp. 2615-16.)

La finzione del manoscritto ha come prototipo il Pulci,[18] mentre il Prometeo e l’Islandese sono il miglior esempio di fusione narrazione e dialogo. Il Parini in alcune sue parti appare come un trattato alla maniera di Cicerone.

La scrittura alla maniera di Luciano è una scelta che mira ad innalzare la commedia e il miglior procedimento per assecondare la sua immaginazione, sicuramente non un semplice esercizio retorico, o bazzecole grammaticali.

Non si trova nella letteratura italiana un modello per le Operette ovvero un altro libro di argomento profondo e tutto filosofico e metafisico.[19] Per la contaminazione di generi e la vari registri stilistici interni Leopardi è stato preceduto dall’Alberti delle Intercenales.[20] L’erudizione, quindi le sterminate fonti e riferimenti culturali, dotti, sono un travestimento letterario responsabile del tono ludico e parodico del testo.[10]

Leopardi si rifà al genere espresso da Luciano e gli autori che ad esso si sono ispirati, come il Machiavelli di Vita di Castruccio Castracani o la Vita di Leon Battista Alberti, in chiave moderna Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman (vedi l’Ottonieri[21]) di Thomas Luis Sterne.[22] Per la battuta di Malambruno (Fammi felice per un momento di tempo) e il gioco a palla di Ercole e Atlante è stato tirato fuori il Faust di Goethe.[23]

Socrate rappresenta un modello di filosofia, fondatore della morale della cultura occidentale: Leopardi riteneva proprio l’etica la parte più importante della filosofia in generale. Tuttavia in alcuni momenti dell’Ottonieri, finisce per costruire un testo di maniera, molto libresco e poco vero.

Buona parte dei dialoghi leopardiani possiede una natura filosofica di matrice scettica, caratteristica della letteratura moralistica, sia antica (Luciano) che moderna (Illuminismo). Per difendere le sue convinzioni dall’attacco del Tommaseo, il poeta si rifà, per esempio, al pirronismo di Bayle:

« Che i miei principi sieno tutti negativi, io non me ne avveggo; ma ciò non mi farebbe gran meraviglia, perché mi ricordo di quel detto di Bayle; che in metafisica e in morale, la ragione non può edificar, ma solo distruggere »
(Giacomo Leopardi, lettera ad Antonio Fortunato Stella del 23 agosto 1827, n°541.)

Tolto Luciano, i modelli più significativi da un punto di vista di gusto meramente letterario sono principalemtne illuministi. Di Fontanelle apprezza la superficialità e la leggerezza; il cinismo di Voltaire nel suo Candido si affaccia sullo stato d’animo dell’Islandese. La battuta di un personaggio di Christoph Martin Wieland sono all’origine della misantropia di Eleandro. Sul fronte italiano Ariosto è un autore particolarmente caro al nostro che nel Dialogo terra Luna esprime al meglio il suo stile comico. Vastissima invece la mole di fonti letteraie citate più o meno direttamente dall’autore e che appartengono al suo bagaglio culturale,[24] sono informazioni importanti funzionali alla creazione di un’atmosfera di divertita erudizione all’interno del testo, uno sfoggio di cultura ironica perché volutamente frivola.[25] Non semplice è il lavoro stesso di ricerca data l’alta frequenza di informazioni puntuali e dottrine in cui s’inseriscono, secondo il gusto tipico dell’autore, notizie curiose e bizzarre. Difficile quindi distinguere all’interno del teso l’ironia allusiva da ciò che è riuso poetico, memoria (volontaria o involontaria). Resta che la scrittura di Leopardi comporta sempre un fitto dialogo intertestuale.[10]

[modifica] Lingua e stile

La scelta della lingua va inquadrata all’interno di un ambizioso progetto letterario:

« Chiunque vorrà far bene all’Italia, prima di tutto dovrà mostrarle una lingua filosofica, senza la quale io credo ch’ella non avrà mai letteratura moderna sua propria, e non avendo letteratura moderna propria, non sarà mai più nazione. »
(Lettera a Pietro Giordani del 13 luglio 1821, n°.)

Lo stile delle Operette è incisivo, ironico e serrato, caratterizzato da un linguaggio chiaro e puntuale, con l'effetto di trattare con estrema lucidità le tematiche fondamentali.

Leopardi rifiuta le due soluzioni moderne: puristica da un lato, francesizzante dall’altro. Scartato anche il modello ipotattico, latineggiante, caro all’amico Giordani. La scelta è per il recupero nell’italiano, a tutti i suoi livelli (popolare incluso), di tutto quello che c’era di analogo al greco attico.

La ricchissima varietà della lingua italiana,[26] avrebbe permesso di recuperare un linguaggio antica ma funzionale, col quale l’autore avrebbe ottenuto principalmente una semplificazione sintattica: meno ricorso all’ipotassi, alle figure retoriche e all’inversione dell’ordine delle parole.

Importanti sono i procedimenti che individuano l’intensificazione emozionale: moltiplicazione verbale e accumulo di proposizioni; uso di elativi e di voci perplesse e indefinite.

Molte Operette hanno la struttura del dialogo, sulla base dello stile della trattazione filosofica dell'antica Grecia o del settecento illuminista; le narrative mostrano l’impronta di Cicerone, Machiavelli, Cervantes, Foscolo, Goethe, Sterne e l’Alfieri.

[modifica] Uso del paradosso

La tecnica usata dall’autore viaggia come altre soluzioni su due piani: uno strutturale, lo scrivere un libro di filosofia morale per vivere meglio, consapevole dell’impossibilità di arrecare qualche bene; l’altro microstrutturale, il riprendere all’interno dei dialoghi sentenze antiche e motti moderni.[27]

Lo strumento del paradoso è parte necessaria del suo pensiero filosofico e insieme con l’ironia non può essere separato dal discorso leopardiano. Nelle Operette predomina un intento ludico studiato per far sorridere il lettore. La presenza di una volontà di distruggere i costumi del tempo, implica l'intenzione di proporre un nuovo modello di vita: l'ironia diventa quindi un altro strumento fondamentale. L'azione ironica porta infatti un rifiuto dell'oggetto di derisione ma anche a una proposta di un modello differente:[12] ciò permette all'autore di giocare e scherzare con i comportamenti umani contemporanei e allo stesso tempo mantenere la finalità morale dell'opera. Il riso ha poi una funzione medicamentosa, che allevia i dolori dell'essere umano causati dalla nuda verità. Secondo Leopardi è uno dei pochi mezzi con cui l'uomo può accrescere la propria vitalità (Elogio degli uccelli).

[modifica] Prosopopea

Il continuo ricorso di Leopardi ad esseri immaginari, (gnomi, folletti, mummie...), storici (Torquato Tasso, Cristoforo Colombo, il Parini...), mitologici (Ercole, Atlante, Giove...), filosofici ( Plotino, Porfirio, Amelio...), letterari (Malambruno, Farfarello...), comuni (passeggeri, islandesi, venditori ambulanti...), inanimati (la Terra, la Luna...), simbolici (la Natura, l'Anima, la Morte, la Moda...) sono una satira dell’antropocentrismo, la derisione del progresso moderno e di una società in cui prevale un odio distruttore. Tutti i protagonisti possiedono una forte rappresentatività simbolica, ottenuta attraverso la tecnica dello straniamento e della prosopopea che rende animati elementi che non lo sono.

Leopardi non ha mai voluto comparire nel testo. Nega la sua realtà di personaggio ideologico.

« Avrei voluto fare una prefazione alle Operette morali, ma mi è paruto che quel tuono ironico che regna in esse, e tutto lo spirito delle medesime escluda assolutamente un preambolo; e forse Ella, pensandovi, converrà con me che se mai opere dovette essere senza prefazione, questa lo debba in particolar modo. »
(Giacomo Leopardi, lettera ad Antonio Fortunato Stella del 10 giugno, 1826.)

Nessun protagonista è Giacomo, tutti sono complici, portavoci del suo pensiero: il ricorso alla citazione continua, all’argomentazione discorsiva da un lato, le preoccupazioni didascaliche, il paradosso e l'ironia dall’altro, provocano nel lettore un senso di straniamento e sorpresa; una condizione, fortmente cercata dall’autore, che la personificazione, a qualsiasi livello, finirebbe per annullare.

[modifica] Storia delle edizioni

[modifica] Edizione del '24

Indice autografo del '24
1. Storia del genere umano (dal 19/01-7/02/1824)
2. Dialogo d'Ercole e Atlante (10-13/02/1824)
3. Dialogo della Moda e della Morte (15-18/02/1824)
4. Proposta di premi fatta all'Accademia del Sillografi (22-25/02/1824)
5. Dialogo di un lettore di umanità e di Sallustio[28] (26-27/02/1824)
6. Dialogo di un folletto e di uno gnomo (2-6/03/1824)
7. Dialogo di Malambruno e di Farfarello (1-3/04/1824)
8. Dialogo della Natura e di un'anima (9-14/04/1824)
9. Dialogo della Terra e della Luna (24-28/04/1824)
10. La scommessa di Prometeo (30/04-8/05/1824)
11. Dialogo di un fisico e di un metafisico (14-19/05/1824)
12. Dialogo della Natura e di un Islandese (21-27-30/05/1824)
13. Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare (1-10/06/1824)
14. Dialogo di Filénore e Misénore[29] (14-24/1824)
15. Il Parini ovvero della gloria (6/07-13/08/1824)
16. Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie (16-23/08/1824)
17. Detti memorabili di Filippo Ottonieri (29/08-26/09/1824)
18. Dialogo di Cristoforo Colombo e Pietro Gutìerrez (19-25/10/1824)
19. Elogio degli uccelli (29/10-5/11/1824)
20. Cantico del Gallo silvestre [30](10-16/11/1824)
21. Note (7-13/12/1824)

Nel 1888 al passaggio delle carte da Antonio Ranieri alla Biblioteca Nazionale di Napoli emerse un autografo che riporta un indice per le venti operette fino ad allora composte, diverso dalla prima e da ogni edizione a stampa nota.[31]
Questo autografo è una bella copia abilmente predisposta con ampi margini per contenere note e appunti soprattutto di carattere grammaticale e stilistico. In base ai diversi colori degli inchiostri usati è stato possibile distinguere tre fasi correttorie anteriori al maggio del 1826.[32] A differenza dei Canti, le Operette morali non hanno subito grandi cambiamenti.[33]

Nella prima prova mai data alle stampe, è interessante la chiusura affidata al Cantico del Gallo Silvestre che richiama la novella iniziale Storia del genere umano: Leopardi affida ad un essere soprannaturale un messaggio escatologico che integra il tema della morte, facendo prevalere nel libro l'aspetto più filosofico del suo pensiero. Questa immagine svanirà nelle successive edizioni per poi essere recuperata nel dittico che il Cantico formerà con il Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco, introdotto da un piccola nota in calce nell'edizione del 1835.

[modifica] Edizione del '27

Conosciuta come la prima edizione ufficiale delle Opertte morali è stata pubblicata a Milano da Antonio Fortuna Stella, intelligente editore che seppe mediare con i rigidi censori dell'epoca. Lo Stella è da annoverare, insieme con Giordani e Montani tra quei personaggi che seppero comprendere lo spirito dell'opera, anche se l'Italia non era abituata a quel genere di letture. Tra il 1825 e il 1827[34] Leopardi scrive tre nuove prose[33] ma qui non ve n'è traccia.[35] Dalla fitta corrispondenza del periodo, testimone delle correzioni, revisioni e commenti dell'auotre, emerge l'unitarietà del registro retorico delle Operette[10] che giustifica l'assenza di un'introduzione che spieghi il suo disegno programmatico. Nello spostamento del Timandro la critica ha intravisto una sorta di apologia dell'opera contro i filosofi moderni:[36] la composizione del Frammento apocrifo che con il Cantico andrà a formare il pilastro del concetto leopardiano del tutto è male, ha condizionato il cambiamento del finale. Lo spostamento del Dialogo della Natura e di un Islandese, inserito tra il Tasso e il Parini è dettato da variatio letteraria: l'autore evita la successione di due opertte che hanno per protagonisti due storici poeti e letterati.

[modifica] Edizione del '34

La seconda edizione delle Operette fu pubblicata sei anni dopo, nel 1833, perché la prima era letteralmente, introvabile. In quel periodo Leopardi soffriva di un fastidioso male agli occhi e a causa del problema alla vista, fu Antonio Ranieri ad occuparsi materialmente della stampa, presso l'editore Guielmo Piatti di Firenze, che nel 1831 aveva già pubblicato i Canti. Nel 1832, il poeta aveva composto: Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere e Dialogo di Tristano e di un amico, quest'ultimo è un testo polemico legato alla rottura col gruppo fiornetino dell'Antologia.[37]

La nuova edizione è una risposta alle opinioni ostili mosse nei suoi confronti e un'occasione per riprendere in modo più radicale le riflessioni in essa contenute. Delle operette del '25-'27 ancora nessun segno, tuttavia il contenuto del Frammento si fa sentire in una nota posta al Cantico in cui l'autore dichiara: Questa è conclusione poetica non filosofica; il passo successivo sarà quello di approfondire questa conclusione in un testo più ampio e articolato.

Ancora una volta problemi di censura fanno il resto: nella Storia del genere umano compare una nota posta dal censore fiorentino Mauro Bernardini:

« L'autore protesta [...] che non ha fatta alcuna allusione [...] a veruna delle tradizioni e dottrine del Cristianesimo.  »

Cassate per il momento anche Porfirio e il Copernico, probabilmente più per indecisione dell'auotre che per paura della censura.[38]

[modifica] Edizione del '35

Prima edizione delle opere leopardiane pubblicata a Napoli per i tipi di Saverio Starita nel 1835.
Prima edizione delle opere leopardiane pubblicata a Napoli per i tipi di Saverio Starita nel 1835.

La terza edizione delle Operette presso l'editore Saverio Starita di Napoli, corretta e accresciuta,[39] fa parte di un progetto per la stampa completa delle opere poetiche e in prosa di Giacomo Leopradi in tre volumi: il primo per i Canti e il secondo, diviso in due tomi, per le Operette. Sfortunatamente la pubblicazione fu interrotta dalla censura e solo le prime tredici videro la luce. Leopardi aveva finalmente risolto di pubblicare Il Copernico ovvero della gloria e il Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco.[40]

« L'edizione delle mie opere è sospesa, e più probabilmente abolita, dal secondo volume in qua, il quale ancora non si è potuto vedere a Napoli pubblicamente, non avendo ottenuto il publicetur. La mia filosofia è dispiaciuta ai preti, i quali e qui e in tutto il mondo, sotto un nome e sotto un altro, possono ancora e potranno eternamente tutto. »
(Giacomo Leopardi, lettera a Luigi De Sinner del 22 dicembre, 1836.)

Nonostante la soppressione molte copie del primo volume furono vendute con uno stratagemma: il frontespizio originale fu sostituito con il seguente: Prose di Giacomo Leopardi, Edizione corretta, accresciuta e sola approvata dall'autore, Napoli, Italia 1835.

[modifica] Edizione del '45

Antonio Ranieri
Antonio Ranieri

Nel 1845 uscì la prima edizione postuma presso l'editore di Firenze, Le Monnier curata gelosamente[10] da Antonio Ranieri che, sebbene piena di errori, fu costruita sull'autografo dell'auotore e su i suoi appunti preaparatori per l'edizione Starita e quella parigina.[40] Ranieri aggiunse alcune note al testo ma non sempre in modo puntuale.[41]

Il Frammento trova posto dopo il Cantico.[42] Il Copernico e il Porfirio sono interposti a Timandro e alle operette composte per ultime. La palinodia del Tristano si conferma a conclusione dell'opera. Escluso il Dialogo di un lettore di umanità e di Sallustio, per volontà dell'autore, ma nessun documento ne spiega i motivi.

Ad avvalorare il lavoro, che testimonia sia stata attuata la volontà di Leopardi e non quella di Ranieri, un esemplare del primo volume della Starita e un'edizione della Piatti corretta dall'autore, più alcuni autografi e bozze.[43]

Nella stampa era presente un'avvertenza, imposta a varie operette dal censore fiorentino, padre Amerigo Barsi, per proteggere il lettore, in nome del sistema cattolico dagli errori del poeta.

[modifica] Edizioni postume

Le basi per la prima edizone critica furono gettate dal Mestica che concentrò la maggior parte del suo lavoro sulla carte napoletane. Nonostante la morte prematura del curatore, avvenuta prima del compimento dell'opera, la casa editrice Le Monnier, approntò una nuova edizione che si basava su i suoi studi nel 1906. Ad essa seguì l'edizione di Giovanni Gentile, Zanichelli, Bologna nel 1918 che si rifaceva all'ultima edizione curata da Leopardi, più l'autografo napoletano.

A questo punto l'edizione critica ufficiale fu portata a termine da F. Moroncini, e ad esse si rifanno tutte le successive edizioni. Il Moroncini, come il Ranieri ma perfezionandolo, si basò su una copia del primo volume della Starita corretta da Leopardi stesso e sulla Piatti con correzioni a mano del Ranieri dettate dal poeta. Per Copernico utilizzò una bozza corretta per il terzo volume delle Opere edizione Starita che non uscì mai, mentre per Porfirio l'edizione del '45 più riscontri con autografi.

[modifica] Anteprima in riviste e giornali

Giovan Pietro Vieusseux
Giovan Pietro Vieusseux

Le predilette Operette sono state pubblicate da Leopardi anche su riviste e giornali e hanno preceduto l'edizione in volume. Queste anticipazioni autorizzate più di una volta sono state motivo di grande frustrazione. Molti gli errori e le sviste. Nella prima edizione dell'Antologia, contenente solo tre dialoghi[44] e apparsi sul numero LXI del gennaio 1826, l'ultima operetta è stata inserita come prima, stravolgendo il significato del libro.

« I miei Dialoghi stampati nell'Antologia, non avevano ad essere altro che un Saggio,[45] e però furono così pochi e brevi. La scelta fu fatta dal Giordani, che senza mia saputa mise l'ultimo per primo. »
(Lettera a Francesco Puccinotti del 22 giugno 1826, n. 454.)
« [...] Vi ringrazio dell'onore che avete fatto ai miei dialoghi di pubblicarli nel vostro Giornale, benché io m'avvegga di non aver saputo spiegare a Giordani il mio desiderio in questo proposito, e benché mi abbiano un poco umiliato i molti e tremendi errori che sono corsi nella stampa (tali che spesso nel leggerla non m'intendeva io stesso), e l'ortografia barbare che vi regna. »
(Lettera a Giampietro Vieusseux del 4 marzo, 1826, n. 422.)

La seconda edizione, emendata di molti errori, è apparsa sul Nuovo Ricoglitore:[46] la prima operetta sul numero del 15 marzo 1826, le altre due sul numero del 16 aprile 1826.

Un'altra preoccupazione per Leopardi era la pubblicazione spezzata: l'esordio con La storia del genere umano e la chiusura sempre diversa da un'edizione all'altra testimoniano un disegno ben preciso e articolato.

« L'uscir fuori a pezzi [...] nuocerà sommamente ad un opera che vorrebb'esser giudicata nell'insieme, e dal complesso sistematico, come accade a ogni cosa filosofica, benché scritta con leggerezza apparente »
(Giacomo Leopardi, lettera ad Antonio Fortunato Stella del 6 dicembre, 1826, n. 494.)
« É vero che darà poi tutto il libro in una copia, ma il primo giudizio del pubblico sarà già stato formato sopra quei pezzi usciti a poco a poco, e molto lentamente: e il primo giudizio, è quello che sempre resta »
(Ibidem, ss.)

Il fianco a malintesi, anche da parte degli editori, si presta principalmente per l'assenza nella struttura di qualsiasi elemento di sistematicità.[10]

[modifica] Analisi delle Operette

É qui riportato per completezza di trattazione un sunto delle operette e dei testi ad esse legati. Per ulteriori approfondimenti, dove indicato, si rimanda alle singole voci.[47]

[modifica] Storia del genere umano

Adamo ed Eva, secondo una genesi tradizionale della Chiesa, profondamente rivista da Leopardi: causò dapprima un'avvertenza ai lettori sugli errori del poeta, poi la messa all'Indice dell'intero libro. Dürer, incisione su rame, 1504.
Adamo ed Eva, secondo una genesi tradizionale della Chiesa, profondamente rivista da Leopardi: causò dapprima un'avvertenza ai lettori sugli errori del poeta, poi la messa all'Indice dell'intero libro. Dürer, incisione su rame, 1504.
« Perciocché s'ingannano a ogni modo coloro i quali stimano essere nata primieramente l'infelicità umana dall'iniquità e dalle cose commesse contro agli Dei; ma per lo contrario non d'altronde ebbe principio la malvagità degli uomini che dalle loro calamità. [48] »
(Storia del genere umano, rr. 131-135.)

Composta a Recanati, tra il 19 gennaio e il 7 febbraio 1824.[49] La novella racconta la storia dell’umanità attraverso quattro epoche segnate dal desiderio del piacere, attraverso la lente classicista dell’autore.

La storia umana è distinta in quattro età, due anteriori al diluvio e due posteriori. Si parte da un’infanzia generale dell’umanità ad una condizione di vita che ha accolto tutti i riferimenti della natura e della vita sociale. Immaginazioni e illusioni, scaturiti dai sensi, armonizzano l’uomo con la vita; i fantasmi del bene (Giustizia, Virtù, Gloria, Amor patrio), lo illudono, rendendogli meno gravoso il patimento. Ma all’apparire della Sapienza e della Verità, il passaggio dall’antichità alla modernità, l’uomo riconosce la sua irrimediabile infelicità, che solo Amore, talvolta, ha il potere di alleviare, avvicinando la loro vita a quella degli dèi.

Nell’edizione fiorentina Piatti del 1834, è apparsa la seguente nota, per esigenze di censura:

« Protesta l’autore che in questa favola, e nelle altre che seguono, non ha fatto alcuna allusione alla storia mosaica, né alla storia evangelica, né a veruna delle tradizioni e dottrine del Cristianesimo. »

Nel testo viene citata la terra di Atlantide, di cui il Leopardi aveva già parlato nel Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, cap. XII e nei Paralipomeni, VIII, ottave 33-34; dello strepito sordo e profondo che percorre le selve, si parla nel Saggio cit. cap. XIV.

Sempre al Saggio appartengono i passi sulla presenza degli Dei sulla terra (cfr. Saggio cit. cap VII e l’abbozzo dell'Inno ai Patriarchi). Leopardi riporta anche la dottrina dell’amore sviluppata da Platone nel Convito.[50]

[modifica] Dialogo d'Ercole e di Atlante

Composto a Recanati, tra il 10 e il 13 febbraio, 1824,[49] ha subito dei cambiamenti nelle varie edizioni.[51]

Con sequenze di parlato di stampo toscano, l'operetta riporta un dialogo tra Atlante, che sorregge l’asse del mondo, ed Ercole, che è venuto a sostituirlo. Dopo aver ricordato il precedente,[52] Ercole scopre che, a diiferenza dell'altra volta, la Terra si è fatta così leggera e silenziosa, di un sonno simile alla morte, che il Titano se la pottebbe attaccare come ciondolo e andare per le sue faccende, se Giove non l'obbligasse a rispettare i suoi voleri.

Ercole non sente più alcun rumore o movimento tanto che dubita sia ancora viva. Propone ad Atlante di colpirla con la sua clava per vedere cosa succede, ma temono che la crosta terrestre, possa rompersi come un uovo oppure che il colpo possa schiacciare e uccidere tutti gli uomini all'istante. Per svegliarla, i due decidono di giocare a palla e tra una battuta e l'altra confrontano le rispettive abilità. La caduta della sfera pone termine al gioco e al dialogo con Atlante che si raccomanda ad Ercole per non far scoprire a Giove il breve momento ludico a cui si sono abbandonati, trascurando le proprie responsabilità.[53]

Primo esempio di dialogo dallo stile medio, ricco di espressioni vernacolari, rapido e tagliente come i lavori lucianei. Molto curate le citazioni classiche[54] che alludono a miti strettamente connessi con la salute della Terra: dal mito di Fetonte (cielo e terra in fiamme!) a quello di Apollo e Dafne (con la Terra trasformata in essere esclusivamente vegetale), mentre, tra favola e storia, i riferimenti antropomorfi alla calma mortale che la segna: il lunghissimo sonno di Epimenide e la transmigrazione dell'anima di Ermotino.

Il dialogo è anche la prima operetta in cui Leopardi usa una terminologia volutamente caricaturale per descrivere la Terra nel tentativo si spostarla dal centro dell'universo non in senso fisico ma culturale. Questo studio corre parallelo alla visione scientifica della natura e del mondo, come emerge da altre operette (Natura e Islandese, Colombo e Gutierrez, Il Frammento, Il Copernico, gli Uccelli ecc.)

Le immagini sono tutte dissacranti: ciondolo attaccato ad un pelo della barba; forma di pagnotta; orologio dalle molle rotte; sferuzza; fragile uovo; palla sgonfia, neanche tanto buona per giocarci! Emblematica la battuta finale di Ercole quando la palla cade:

« Crederò che oggi tutti gli uomini sieno giusti perché il mondo è caduto e niuno s'è mosso »

[modifica] Dialogo della Moda e della Morte

La Morte e la Moda in un superbo gioco degli specchi sui luoghi comuni della conservazione della bellezza femminile.
La Morte e la Moda in un superbo gioco degli specchi sui luoghi comuni della conservazione della bellezza femminile.


Composto a Recanati tra il 15 e il 18 febbraio, 1824.[49]

La Moda, dopo essersi presentata come sua sorella, spiega alla Morte in cosa è del tutto simile a lei. In suo nome gli esseri umani di ogni epoca, hanno seguito tutte le stravaganze possibili fino al punto di perdere qualsiasi speranza d’immortalità e invocare la morte. Viene affermato che tutto è passeggero e incostante sulla terra: a triofare, è sempre lei, sua sorella maggiore la triste Mietitrice.

Il verso citato dalla Morte è il 77 della canzone Spirto gentil, che quelle membra reggi di Francesco Petrarca (R.V.F. LIII) e l’allusione successiva riguarda il III dei Trionfi, Triumphus mortis.

[modifica] Proposta di premi fatta all'Accademia del Sillografi

Composto a Recanati, tra il 22 e il 25 febbraio, 1824.[49]

[modifica] Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo

Composto a Recanati, tra il 2 e il 6 marzo, 1824.[49]

[modifica] Dialogo di Malambruno e di Farfarello

Composto a Recanati, tra l'1 e il 3 aprile, 1824.[49]

[modifica] Dialogo della Natura e di un'Anima

Composto a Recanati, tra il 9 e il 14 aprile, 1824.[49]

[modifica] Dialogo della Terra e della Luna

Composto a Recanati, tra il 24 e il 28 aprile, 1824.[49]


[modifica] La scommessa di Prometeo

Composta a Recanati, tra il 30 aprile e l'8 maggio, 1824.[49]

[modifica] Dialogo di un fisico e di un metafisico

Composto a Recanati, tra il 14 e il 19 maggio, 1824.[49]

In questa “operetta morale” l’autore fa parlare due personaggi anonimi, portavoce ognuno di un tipo di prospettiva di vita. Uno è un fisico, scopritore e sostenitore dell’arte di vivere lungamente, l’altro è un metafisico che reputa quella scoperta un bene solo se affiancata all’arte di vivere felicemente. Il metafisico, coerentemente al suo pensiero, considera la scoperta del fisico un pericolo e un’ulteriore fonte di infelicità per l’umanità e lo esorta a celarne l’esistenza fino a che non verrà trovato il modo di vivere felicemente. Il fisico si fa portavoce di una sorta di teoria “macrobiotica” che regge unicamente sulla tesi che vuole l’uomo, spinto per istinto naturale, al desiderio di vivere in eterno. Il metafisico confuta questa teoria osservando che ciò che l’uomo identifica come desiderio di vita eterna, in verità è desiderio di felicità e che, infatti, quando questa viene meno, spesso gli uomini meditano il suicidio. All’ostinazione del fisico il metafisico oppone la saggezza degli antichi, espressa sotto forma di mito, proponendo esempi di alcuni che ricevettero come sommo bene la morte piuttosto che la vita. Esistono poi uomini la cui speranza di vita è la metà di quella degli europei, ma mentre il fisico li biasima per questo, il metafisico ne invidia la natura in quanto la loro vitalità è concentrata nella metà tempo ed ogni istante è più vivido e lungi dalla noia. Sono quindi più invidiabili quegli insetti che vivono un solo giorno, ma che riescono a far susseguire più generazioni maturando più in fretta, in modo da diventare bisavoli e trisavoli in un lasso di tempo più breve e più intenso. Il divario tra i due si fa più aspro nel finale quando il metafisico ribadisce che preferirebbe vivere solo i giorni felici concessigli dalla natura (anche se pochi) mentre il fisico vorrebbe poterne aggiungere (conformemente alla sua scoperta) anche se infelici, in quanto ciò che conta è vivere di più. Il dialogo si conclude con la rinnovata richiesta del metafisico al fisico di nascondere il segreto della lunga vita, nella speranza che nel mentre venga trovata la soluzione all’infelicità e alla noia che altrimenti causerebbero quegli smisurati intervalli di tempo in cui gli uomini “durano” anziché vivere.

Molte sono le citazioni dotte nel testo.

Di particolare rilievo troviamo il riferimento alla terra degli Iperborei (tratto da autori come Strabone, Pindaro, Mela e Plinio) e ai miti di Bitone e Cleobi e di Agamede e Trofonio (presi da Plutarco e Stobeo). Questi si legano perfettamente alle tematiche del metafisico: gli Iperborei incarnano la prospettiva di noia della vita eterna e infatti si tolgono volontariamente la vita una volta che questa non ha più nulla da offrire, avvalorando cosi la tesi secondo la quale gli uomini non amano la vita, ma la felicità, e l’unico modo per essere felici è attraverso la vita. Gli altri due miti ironizzano sul massimo dono che gli dei possono concedere, infatti, mentre i mortali si aspettano l’immortalità come bene più grande, i protagonisti dei due miti si vedono offrire dalla saggezza degli dei una prematura dipartita come compenso ai servigi prestati alle due divinità (Giunone e Apollo).

Ben più visibile è l’ironia che si abbatte sulle citazioni di carattere scientifico che colpiscono alcuni scienziati moderni. Il Leeuwenhoek attribuiva ad alcuni pesci “l’immortalità” la quale, per il metafisico, è meglio resti loro esclusiva. Il Maupertuis sosteneva di aver scoperto che il ritardare o l’interrompere la proliferazione di certi organismi microscopici allungherebbe la vita degli uomini, prospettiva tutt’altro che auspicabile per il metafisico che anzi vorrebbe si scoprisse un modo per accelerare quella proliferazione affinché la vita duri meno. Vengono poi indirettamente citati il naturalista Buffon il quale racconta di uomini che vivendo metà della media europea, trascorrono una vita più intensa e “concentrata” e, parallelamente, si cita la voce enciclopedica sull’effimera, insetto che vede la sua vita ridotta a una sola giornata, lungi dalla noia perché deve espletare le sue funzioni vitali in un lasso di tempo brevissimo.

Ultimo esempio di citazione è quello di Pirrone di Elide, il quale afferma che “dalla vita alla morte non è divario” in quanto se la vita è in maggior parte piena di inattività e noia allora essa è “vuota” e ciò la renderebbe paradossalmente simile alla morte, la quale diverrebbe preferibile se la vita stessa mancasse di felicità.


[modifica] Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare

Composto a Recanati, tra l'1 e il 10 giugno, 1824.[55]


[modifica] Dialogo della Natura e di un Islandese

Composto a Recanati, tra il 21 e il 30 maggio, 1824.[49]

[modifica] Il Parini, ovvero Della Gloria

Composto a Recanati tra il 6 luglio e il 13 agosto, 1824.[49]

Il Parini mette in guardia un promettente allievo dagli ostacoli che incontrerà se vorrà perseguire la gloria nelle lettere o nella filosofia, tenendo sempre presente che la gloria non porta grandi premi: il maggior diletto dei poeti e dei filosofi si trova nei loro studi, nel compiacimento dei loro progressi nella solitudine, poiché essi «hanno per distino di condurre una vita simile alla morte, e vivere, se pur l’ottengono, dopo sepolti». La Gloria è un ombra vana. [56]

Capitolo primo
Svolge l'argomento
Capitolo secondo
Capitolo terzo
Capitolo quarto
Capitolo quinto
Capitolo sesto
Capitolo settimo
Capitolo ottavo
Capitolo nono
Capitolo decimo
Capitolo undecimo
Capitolo duodecimo

[modifica] Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie

Una Mummia
Una Mummia

Composto a Recanati, tra il 16 e il 23 agosto, 1824.[49]

Fredrik Ruysch[57] all’apice del suo successo internazionale come archeologo e scienziato,[58] una sera dopo mezzanotte, è sorpreso e spaventato da uno strano fenomeno che si sta verificando all’interno del suo laboratorio dove si trovano una serie di mummie, oggetti del suo ultimo esperimento.[59]

Le mummie stanno declamando dei versi in coro sulla morte e il destino che accomuna la sorte dei vivi e quella dei morti. Accostatosi alla soglia e vinte le paure in nome della curiosità, il Ruysch irrompe nella stanza e le interroga su questo strano caso.

L’archeologo scopre che tutti i morti dell'universo, recitano i versi appena ascoltati, ogni volta che si compie un anno grande e matematico[60] e che hanno facoltà di continuare a parlare per un quarto d’ora se interrogati dai vivi. Sempre più stupito il Ruysch, rammaricandosi di non poter ascoltare un dialogo solamente tra persone morte, porge una serie di domande alle mummie circa la consapevolezza della loro condizione di defunti e in special modo la scoperta del suo inizio e le emozioni ad essa associate. Con profonda sopresa, contravvenendo all’opinione comune, il morire è simile alle fasi del sonno, mentre la morte di per sé non è dolorosa anzi lenisce tutti i mali.[61]

« [...] spessissime volte la stessa languidezza è piacere; massime quando vi libera da patimento; poiché ben sai che la cessazione di qualunque dolore o disagio, è piacere per sé medesima, sicché il languore della morte debbe esser più grato secondo che libera l’uomo da maggior patimento. »
(Ibidem, rr.)

L’ultima domanda sulla scoperta della condizione di defunti rimane senza risposta perché il tempo a disposizione è ormai scaduto.

Dal punto di vista stilistico è un dialogo in cui è presente un raffinato lavoro intertestuale: molto studiato è il coro dei morti[62] che segnerà la produzione degli anni successivi la crisi poetica. Insieme con la poesia Alla sua donna e ad alcuni Volgarizzamenti di Simonide, è la prima testimonianza della rottura da parte di Leopardi con la struttura metrica della canzone tradizionale.

L’atto unico riprende progetti di tragedia giovanile[63] e un mai sopito rapporto con il dramma pastorale (vedi Aminta del Tasso).

Nel dialogo, secondo tradizioni diffusissime nel XVIII secolo, si fa acceno ai vampiri come esempio di morti dannati che succhiano il sangue delle loro vittime. L’accostamento nasce dalla sostanza che il Ruysch inniettava nelle vene delle sue mummie, simile al sangue.

I versi del «poeta italiano» sono di Francesco Berni (1498-1535) che rifece l'Orlando innamorato del Boiardo; si riferiscono alla parte II, Canto XXIV, strofa 60.

[modifica] Detti memorabili di Filippo Ottonieri

Composto a Recanati, tra il 29 agosto e il 26 settembre, 1824.[49]

[modifica] Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez

Composto a Recanati, tra il 19 e il 25 ottobre, 1824.[55]


[modifica] Elogio degli uccelli

Un Passero domestico
Un Passero domestico

Composto a Recanati, tra 29 ottobre e il 5 novembre, 1824.[49]

[modifica] Cantico del gallo silvestre

Composto a Recanati, tra il 10 e il 16 novembre, 1824.[49]


[modifica] Frammento apocrifo di Stratone di Lampsaco

Composto probabilmente nell'autunno 1825 a Bologna.[64]

[modifica] Dialogo di Timandro e di Eleandro

« Nessuna cosa credo sia più manifesta e palpabile, che l'infelicità necessaria di tutti i viventi.
Dialogo di Timandro e di Eleandro, rr. 189-192 »

Composto a Recanati, tra il 14 e il 24 giugno, 1824.[55]

[modifica] Il Copernico

Composto nel 1827.[64]

Leopardi. intendeva inserire questa operetta nell'edizione Starita che rimase interrotta e nella progettata edizione parigina.

Il sole, che è stanco di fare il suo giro, desidera che un filosofo annunci la nuova condizione, e quindi dà modo a Copernico di fare la sua osservazione astronomica sul sistema solare, con la terra che non è più al centro dell’universo.

Ad un Copernico preoccupato delle conseguenze (il rogo!), l'astro consiglia di dedicare la scoperta al papa.

L'operetta svolge il concetto della nullità del genere umano, ed si schiera contro quei filosofi che dichiarano l’uomo signore dell’universo.

Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Storia dell'astronomia capp. iii, iv, v e Zib., 84. « Quella certa aria da servire per ardere » è il gas illuminante.

Almagesto è il titolo della traduzione latina dall'arabo (secolo IX) del trattato di astronomia Sintassi matematica, cosiddetta grandissima (Meytczn), di Claudio Tolomeo. Giovanni di Sacrobosco - nome latino della città di Holywood in Inghilterra - vissuto fra l'inizio del XIII secolo e il 1256 fu astronomo e autore del trattato De sphaera Mundi nel quale è esposto il sistema tolemaico. « Uno spagnuolo » è Pedro de Cieza autore di una Chronica del Perù (1550). Il « vostro matematico antico » è Archimede di Siracusa (287-212 a. C.). Il passo di Cicerone cui fa riferimento il Sole (scena tv) si legge nell'orazione Pro Sestio, XLV, 98: « Neque enim rerum gerendarum dignitate homines ecferri ita convenit ut otio non prospiciant, neque ullum amplexari otium quod abhorreat a dignitate ».

[modifica] Dialogo di Plotino e di Porfirio

Composto, probabilmente a Firenze, nel 1827.[64]

[modifica] Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere

Composto a Roma o a Firenze, nel 1832.[65]

[modifica] Dialogo di Tristano e di un amico

Composto nel 1832, non prima del maggio, a Firenze.[65]

[modifica] Appendice alle Operette morali

Questa Appendice, messa insieme per la prima volta in un'edizione critica, dal Moroncini, raccoglie testi di provenienza diversa ma riconducibili al disegno programmatico dell'autore, in particolar modo il nucleo primordiale delle Operette, costituito dalla famose Prosette satiriche.[5]

[modifica] Comparazione delle sentenze di Bruto Minore e di Teofrasto vicini a morte

Fu composta a Recanati, in otto giorni, nel marzo 1822. La prima edizione è stata premessa al Bruto minore, nelle dieci canzoni pubblicate a Bologna 1824; la seconda, con varianti, è apparsa solo postuma nell'edizione Le Monnier del '45.

[modifica] Dialogo di un lettore di umanità e di Sallustio

Composto a Recanati, tra il 26 e il 27 febbraio 1824. Occupava il quinto posto delle Operette nelle edizioni milanese e fiorentina, ma fu escluso da quella del '35 «per volontà dell'autore». Il testo di riferimento è secondo l'edizione del Flora.

Scrive il Mestica che l'esclusione probabilmente è da attribuire ad una precisa scelta stilistica:

« [...] forse perché gli parve troppo scolastico e di materia non abbastanza originale, sebbene i pesnsieri in esso contenuti siano conformi al suo filsofare »
(Mestica, Scritti letterari di GL, Firenze Le Monnier 1924.)

[modifica] Novella: Senofonte e Niccolò Machiavello

Novella: Senofonte e Niccolò Machiavello. t Datata 1822 dal primo editore, ma da assegnarsi con tutta probabilità al 1820, secondo la proposta dello Scarpa, che la pone in rapporto ( ai pensieri politici che si leggono nello Zibaldone di quell'anno. la ed: Scritti vari inediti cit. Testo secondo l'ed. Flora.

Per la novella Senofonte e Machiavello. Autografo, fra le carte napoletane, datato 13 giugno 1822. la ed.: Scritti vari inediti cit. Testo secondo l'ed. Flora.

Alla novella Senofonte e Machiavello. Autografo fra le carte napoletane. 1+ ed.: Poesie e prose a c. di F. FLORA cit. I.

[modifica] Dialogo: ...filosofo greco, Murco senatore romano, popolo romano, congiurati

Ispirato ai moti carbonari napoletani dello stesso anno.

Assegnato al '22 dal primo editore, fu datato agosto 1820 dallo Scarpa in rapporto alla lettera al Giordani del 4 settembre 1820: « In questi giorni, quasi per vendicarmi del mondo, e quasi anche della virtù, ho immaginato e abbozzato certe prosette satiriche ».

la ed.: Scritti vari inediti, edizione secondo Flora.

[modifica] Dialogo tra due bestie, p. e. un cavallo e un toro

[modifica] Dialogo di un cavallo e un bue

Bue

Amara satira contro l’antropocentrismo, primo nucleo delle prosette satiriche e diretta conseguneza dei moti napoletani del '20-'21: Dialogo tra due bestie p. e. un cavallo e un toro. Dialogo di un cavallo e un bue. Al dialogo del cavallo e del bue.

Sono stati composti presumibilmente, secondo un'ipotesi dello Scarpa, nell'agosto del 1820 in quanto farebbero parte delle « prosette satiriche » di cui Leopardi scrisse al Giordani il 4 settembre 1820.

La prima edizione è in Scritti vari inediti, con l'aggiunta di due foglietti ed una schedina dei manoscritti napoletani, omessi dal primo editore, secondo l'edizione del Flora.

[modifica] Dialogo: Galantuomo e Mondo

Questo dialogo svolge il concetto che nella vita la virtù e inefficace, mentre conta la prepotenza la bassezza d’animo, l’adulazione e il denaro.

I primi editori lo assegnarono al periodo '22-'24, mentre il Levi stabilì la data del dialogo al giugno 1821.[66]

Apparve per la prima volta negli Scritti vari inediti, secondo l'edizione del Flora.

[modifica] Frammento sul suicidio

Questo Framnmento, per struttura e contenuto diversissimo da quello canonico usato nel testo, il cui titolo è frutto dei primi editori che non seppero collocarlo, è datato dubitativamente al 1832. Una datazione più precisa la si deve allo Scarpa che lo pubblicò con un diverso titolo, Frammento di un trattato filosofico, e lo fece risalire al 1820.

« I concetti espressi nel frammento limitano il tempo della sua probabile composizione, che noi poniamo fra la canzone al Mai e il Dialogo del filosofo greco e del senatore romano »
(Scarpa,(Opere cit., p. 1291).)

Apparve in Scritti vari inediti secondo l'edizione del Flora.

[modifica] Appunti per le Operette

Il primo appunto, si riferisce al Dialogo della Terra e della Luna e fu pubblicato dal Moroncini in una nota dell'edizione critica delle Operette morali (II, pp. 737); il secondo, sempre sullo stesso foglio delle carte napoletane, dal Flora (I, p. 1085 con il titolo Stralci per le Operette).

[modifica] Notizia intorno a queste Operette

La Notizia è stata Premessa al II volume delle Opere (Napoli, Starita, 1835) e riprodotta dal Flora sulla base dell'esemplare corretto, di cui si è detto nella prima nota al I testo delle Operette nella sezione precedente.

[modifica] Note

Le Note delle Operette morali, in totale sessantadue,[67] sono state scritte da Leopardi tra l'ottobre e il dicembre del 1824. Nelle varie edizioni hanno subito poche modifiche: si ricordano alcune integrazione di mano del Ranieri, espunte nell'edizione critica dal Moroncini. Nel complesso si tratta di informazioni puntuali circa alcuni argomenti trattati o curiosità di ordine storico, filosofico, filologico, ma anche cronaca dell’epoca. Sarà lo stesso poeta a spiegarne il senso e la collocazione:

« Avverto che le note, non dovranno esser collocate a piè di pagina, ma appiè del volume, o di ciascun volume per la sua parte. E’ vero che io altre volte ho insistito che le note si ponessero appiè di pagina; ma qui il caso è diverso: esse non servono né all’intelligenza né ad illustrazione del testo; sono un lusso di erudizioncella, che imbarazzerebbe il lettore se si trovasse nel corso dell’opera appiè di pagina. »
(Lettera ad Antonio Fortunato Stella del 19 gennaio, 1827.)

[modifica] Note

  1. ^ Edizione censurata, ma ristampata dieci anni dopo dall'amico Antonio Ranieri, per l'editore Le Monnier. Vedi anche l'Edizione del '35 e quella del '45.
  2. ^ Scrive Leopardi:
    « Il frutto della mia vita finora passata [...] »
    (Lettera ad Antonio Fortunato Stella, 12 marzo 1826.)
  3. ^ In questo punto la critica colloca il passaggio di Leopardi da un materialismo storico-progressivo (ovvero, la tesi in base alla quale l'uomo ha perso la possibilità di essere felice quando all'immaginazione si è sostituito il raziocinio) ad un materialismo cosmico (ovvero, la tesi che l'uomo sia infelice a causa della natura indifferente).
  4. ^ L'opera maggiore di Monaldo Leopardi sono i Dialoghetti sulle materie correnti nell'anno 1831, usciti nel gennaio 1832 con lo pseudonimo di 1150, MCL in cifre romane, iniziali di Monaldo Conte Leopardi. Ebbero immediatamente un grande successo, sei edizioni in pochi mesi, e sono stati tradotti in più lingue. Giacomo, da Roma, ne informa il padre in una lettera dell'8 marzo:
    « I Dialoghetti, di cui la ringrazio di cuore, continuano qui ad essere ricercatissimi. Io non ne ho più in proprietà se non una copia, la quale però non so quando mi tornerà in mano.  »
    I suoi scritti esprimevano gli ideali dell'assolutismo e della reazione. Tra le tesi sostenute, la necessità di restituire la città di Avignone al papato e il ducato di Parma ai Borbone; la critica a Luigi XVIII di Francia per la concessione della costituzione e la proposta della suddivisione del territorio francese fra Inghilterra, Spagna, Austria, Russia, Olanda, Baviera e Piemonte; la difesa dell'oppressione turca sul popolo greco.
  5. ^ a b
    « In questi giorni, quasi per vendicarmi del mondo, e quasi anche della virtù, ho immaginato e abbozzato certe prosette satiriche »
    (Lettera a Pietro Giordani del 4 settembre 1820, n°166)
    Prima testimonianza della conclusione di un ciclo di prose iniziate presumibilmente tra il '18e il '19 in seguito al progetto letterario di dare all’Italia una lingua filosofica e moderna, ispirata sul piano della scrittura dai moralisti greci e dalla satira menippea.
  6. ^ Leopardi inizia un traduzione del Caronte e Menippo di Luciano tra la primavera e il luglio 1818 secondo il Flora, ma secondo il Besomi nel 1819 cfr. Giacomo Leopardi; O. Besomi (edizione critica a cura di ). Operette morali. Milano, 1979.
  7. ^ Besomi risale alle probabili date in base agli autori e ai testi classici in esse citate e riportate nelle pagine dello Zibaldone: Velleio Patercolo, 22 dicembre 1820; De bellis civilibus di Appiano, 29 aprile 1821; Floro, 7 gennaio 1821; Tacito 2 gennaio 1821 ecc.
  8. ^ Zibaldone di pensieri, pp. 1393-94, 27 luglio 1821; [...]trattato in prosa alla maniera di Luciano, da una lettera a Pietro Giordani del 6 agosto 1821, n° 202.
  9. ^ Concetto introdotto nel Bruto minore e nella Comparazione delle sentenze di Bruto Minore e di Teofrasto vicini a morte è approfondito nella Novella: Senofonte e Niccolò Machiavello e nel Dialogo: Galantuomo e Mondo: vi compare la concezione della vanità della vita e della sapienza, che si traduce in un'apostasia della stessa gloria e della stessa virtù che non è una situazione propria degli antichi ma solo dei moderni. Cfr. W. Binni, La protesta di leopardi pp.136-167.
  10. ^ a b c d e f g h L. Celerino. Giacomo Leopardi, Operette morali, Letteratura italiana – Le Opere vol. III. Torino, UTET, 1995.
  11. ^ Giordani rimase molto colpito dalla morte del poeta, come esprimono alcune lettere inviate agli amici:
    « L’afflizione per Leopardi è nelle midolle; e vi durerà. Non è da dolere che abbia finito di penare; ma sì che per 40 anni abbia dovuto desiderar di morire: questo è il dolore immedicabile [...]. Io confesso di non aver pianto: ma una tristezza invincibile mi avvelena ogni piacere che qui potrei gustare. »
    In seguito i suoi pensieri riguardo la memoria dell’amico cambiarono radicalmente:
    « Quando cominciò ad essere conosciuto, non mi scrisse più: quando a Firenze andavo a trovarlo, non mi parlava. Nelle sue scritture ha posto molti, di me non mai parola. Pare che il cuore non corrispondesse all’ingegno, altri ancora l’han detto ingrato. Ma questo non fa nulla. »
    « Io credo che originalmente Giacomo avesse cuor buono ed affettuoso, ma credo che poi si fosse fatto molto egoista. Per me passò dalle smanie amorose a più che indifferenza, ed ebbe gran torto. »
  12. ^ a b R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, La scrittura e l'interpretazione: storia e antologia della letteratura italiana nel quadro della civilta europea, ed. blu, vol. 2, Palumbo Editore, Palermo.
  13. ^ Tra il '24 e il '25 Leopardi s’era imbarcato in un progetto editoriale che prevedeva la traduzione di una Scelta di Moralisti greci (Luciano di Samosata, Isocrate, Plutarco, ecc.), per l’editore Stella, che non fu mai realizzata a causa della censura milanese. Faceva parte della raccolta anche il volgarizzamento del Manuale di Epitteto, l’unico completato del tutto nel dicembre del 1825.
  14. ^ Il ripiego dell’uomo sulle lettere e la filosofia è pensiero alfieriano che il Parini cita esplicitamente, r.42 p.185.
  15. ^ Vedi Zibaldone pp. 51, 77, 105, 157-158, teoria del piacere 165-189, 230, 246, 271, 384, 400-401, 532-535, 646-650, 826-829, 1025, 1044, 1382, 1456-1457, 1464-1465, 1507-1508, 1574-1575, 1580-1581, 1583, 1746, 1758-1759, 1777-1778, 1779, 1826-1827, 1916, 2017-2018, 2157-2159, 2526-2527, 2528-2529, 2549-2555, 2599-2602, 2629, 2685, 2702-2703, 2883-2884, 3315-3316, 3501-3502, 3514, 3525, 3550-3552, 3622, 3713-3715, 3745-3747, 3814, 3823-3824, 3835, 3876-3878, 3895, 3909-3910, 3921, 4043, 4061, 4074, 4087, 4095, 4126, 4127-4132, 4175, 4180-4181, 4250, 4266-4267, 4273-4274, 4283-4284, 4288, 4305, 4415, 4418, 4472.
  16. ^ Definite dall’autore bazzecole grammaticali in un passo dello Zibaldone (p. 1393, e in un lettera a Pietro Giordani del 4 agosto 1823, n°202.
  17. ^ Vedi anche Lucio di Patre: presunto autore di un romanzo Metamorfosi: le generalità concordano con il protagonista del Lucio o l’Asino attribuito a Luciano, e la notizia rinvia al complicato problema delle fonti delle Metamorfosi apuleiane.
  18. ^ L. Pulci, Morgante maggiore, XIX vv. 153-54
  19. ^ Lettera ad Antonio Fortunato Stella, del 6 dicembre 1826.
  20. ^ Testo che il Leopardi non conosceva.
  21. ^ La novella Detti memorabili di Filippo Ottonieri riprende anche i memorabilia di Socrate, stesi dai suoi allievi, in particolare Senofonte.
  22. ^ Modello ripreso già da Foscolo con la Notizia intorno a Didimo Chierico.
  23. ^ G. Marzot, Storia del riso leopardiano, Messina-Firenze 1966.
  24. ^ Spesso Leopardi riporta studi e teorie di lavori precedenti come il Saggio sugli errori popolari degli antichi, Storia dell’Astronomia, Discorso sullo stato presente dei costumi degli italiani, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica.
  25. ^ Non è stato ancora svolto, come nei lavori filologici per lo Zibaldone e i Canti, uno studio comparato degli autori e dei testi che hanno influenzato la stesura delle Operette.
  26. ^ Scrive Leopardi:
    « [...] quella sua immensa facoltà di dare ad una stessa parola, diverse forme, costruzioni, modi [...]. »
    (Zibaldone, pp. 1332-34, 17 luglio 1821.)
  27. ^ Uno di D’Alambert:
    « Va figliuola mia prediletta, che tale sarai tenuta e chiamata per lungo ordine di secoli. Vivi e sii grande e infelice »
    e uno di Pirrone:
    « [...] (La vita) dà luogo a creder vera quella sentenza di Pirrone, che dalla vita alla morte non è divario. Il che se io credessi, ti giuro che la morte mi spaventerebbe non poco. Ma in fine, la vita debb’essere viva, cioè vera vita; o la morte la supera incomparabilmente di pregio »
    .
  28. ^ Escluso dall'edizione finale Starita di Napoli.
  29. ^ Già corretto sull'autografo in Dialogo di Timandro e di Eleandro.
  30. ^ Primo dei tre finali che Leopardi cambierà nel corso delle varie edizioni, modificandone via via il messaggio.
  31. ^ In un altra pagina compare un indice corrispondente all'edizione Stella del 1827.
  32. ^ Periodo della copia definitiva inviata a Milano all'editore Stella nel 1827.
  33. ^ a b Quasi tutte furono composte tra il gennaio e il novembre del 1824 eccetto: Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco (autunno 1825); Il Copernico ovvero della gloria e Dialogo di Plotino e di Porfirio (1827); Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere e Dialogo di Tristano e di un amico (1832).
  34. ^ Impossibile precisare meglio la data; l'unico appunto consiste in una mezza pagina dello Zibaldone, datata 8 gennaio 1827 in cui l'autore riporta alcuni ragionamenti, compiutamente poi esposti nel Dialogo di Plotino e di Porfirio. Altre tracce non si trovano.
  35. ^ La paura della censura indussero Leopardi ad attendere tempi migliori per la pubblicazione di quei testi.
  36. ^ Vedi Giacomo Leopardi, Operette morali, edizione critica a cura di F. Moroncini, Bologna, 1928.
  37. ^ Le posizioni estreme di Leopardi si scontrarono con gli aspetti più moderati dei pensieri politici e culturali di G. Vieusseux e N. Tommaseo.
  38. ^ Leopardi le aveva promese a Luigi De Sinner nell'estate del 1832: Non vi mando le due prose, perché avendole rivedute, ne sono stato pochissimo contento, e credo che le sopprimerò tutte e due o almeno l'una di esse. Lettera a L. De Sinner 31/07/1832.
  39. ^ Vedi Notizia intorno a queste Operette.
  40. ^ a b La testimonianza si trova nei carteggi preparatori per un'edizione francese presso l'editore Baudry di cui si sarebbe occupato L. De Sinner e che solo la morte dell'autore impedì di realizzare. I materiali pronti per la tipografia sono stati conservati e usati, pur con numerose sviste, da Antonio Ranieri per la successiva edizione Le Monnier.
  41. ^ Numerose le sviste e gli errori, corretti nelle successive edizioni critiche, a partire dai primi del '900.
  42. ^ Leopardi ne discute ancora col De Sinner per l'edizione parigina nel 1835.
  43. ^ Gli stessi testi serviranno a F. Moroncini per fissare l'edizione critica definitiva delle Operette morali di Giacomo Leopardi.
  44. ^ Dialogo di Timandro e di Eleandro, Dialogo di Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez, Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, scelti e curati da Pietro Giordani.
  45. ^ Delle operette morali del conte Giacomo Leopardi / Primo Saggio, Antologia, LXI, gennaio 1826.
  46. ^ Dal nuovo Ricoglitore furono tratti nello stesso anno alcuni estratti dall'editore Stella.
  47. ^ Edizione di riferimento: Giacomo Leopardi, Tutte le opere, a cura di W. Binni ed E. Ghidetti, Sansoni editore, Milano, 1993
  48. ^ Secondo il Timpanaro fu proprio questo pensiero a destare il maggior scandalo quando furono pubblicate le Operette. Le convinzioni leopardiane si sarebbero scontrate frontalmente con l’ottimismo provvidenziale della Chiesa cattolica
  49. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p 1ª edizione Stella, Milano, 1827.
  50. ^ Cfr. Zibaldone p. 3909 e ss.
  51. ^ [a p. 87 A r. 1] nella prima edizione Ercole continua:
    « Eccetto che il sole, pensando che fosse una focaccia, non l’abbia cotta, in modo che sfumata via l’umidità, sia calato il peso »

    e Atlante soggiunge:

    « Ch’io sappia, il sole non ha più forza oggi che prima; e certo che il mondo non è più caldo che per l’addietro. Ma della leggerezza… »

    [a p. 88 B r. 15] nella prima edizione il passo relativo ad Orazio è più ampio.

    « Questo poeta, che è un bassotto e panciuto, beendo, come fa la più parte del tempo, non mica nettare, che gli sa di spezieria, ma vino, che Bacco gli vende a fiasco per fiasco, va canticchiando... »
  52. ^ Ercole ricorda la sua avventura con gli Argonauti, 50 eroi greci capitanati da Giasone alla conquista del Vello d'oro nella Colchide (Asia Minore), così appellati dal nome della nave che li trasportava, Argo.
  53. ^ Sul motivo dei poeti e della fondazione della civiltà cfr. Zibaldone p. 3432.
  54. ^ Altri miti citati: Orfeo, famoso per la bellezza del suo canto; Anfione, che col suono della lira costruì le mura di Tebe; Andromeda, figlia di Cefeo e Cassiopea, fu giudicata dalla madre più bella delle stesse nereidi, scatenando l'ira di Nettuno che mandò un mostro a divorarla, per salvare il suo paese dalla devastazione. Salvata da Perseo che poi la sposò, fu trasformata in costellazione dagli Dei; Callisto, cacciatrice arcade, amata da Giove, a cusa della gelosia di Giunone, fu trasformata in orsa e poi uccisa. Diventerà una costellazione (l'Orsa maggiore) per volere divino; viene fatto anche un riferimento alla Gigantomachia, con due giganti, Encelado e Tifeo, sepolti vivi sotto l'Etna.
  55. ^ a b c 1ª edizione «Antologia», gennaio 1826.
  56. ^ Per i motivi svolti in questa operetta cfr. Zibaldone pp. 2453-2454 (e la a dedicatoria » al Trissino della canzone Ad Angelo Mai); 2676; 2682-2683; 2796-2799; 4021; 3673-3675; 1788-1789; 3769; 227-228; 2233-2236; 192; 1883-1885; 2600; 345-347; 359; 1650; 1833-1840; 3245; 3382-3383; 4108-4109; 1720-1721; 1729-1732; 455; 263-264; 273-274; 3975-3976; 2544-2545; 3383-3385; 271; 826-829; 593; 306-307; 643-644; 3027-3029; 1531-1533; 1708-1709.
  57. ^ Medico e anatomista olandese (1638-1731), scoprì un metodo per la preservazione dei cadaveri dalla putrefazione.
  58. ^ Il Ruysch ricevette due volte la visita dello Zar Pietro I, il quale, tempo dopo, lo convinse a trasferirsi a Pietroburgo.
  59. ^ Il mezzo usato dal Ruysch a conservare i cadaveri, furono le inienzioni di una certa materia composta da esso, la quale faceva effetti maravigliosi. Nota di Leopardi sul testo.
  60. ^ Con questa espressione gli antichi indicavano una concezione dell’esistenza secondo cui, la vita del mondo descriverebbe un cerchio: le stelle, compiuta la loro rivoluzione, tornerebbero al punto di parteza. Il tempo di percorrenza, di circa dieci secoli, poteva avere varia durata: 49.000 anni per alcuni, 23.760 o anche 12.954 per altri. Allo scadere di queste ricorrenze era noto che si verificassero dei fatti incredibili.
  61. ^ Per i motivi sviluppati nell'operetta cfr. Zibaldone, pp. 281-283; 290-292; 599; 2182-2184.
  62. ^ Canzone libera di endecasillabi e settenari con rime al mezzo; schema: A
  63. ^ La virtù indiana e Pompeo in Egitto
  64. ^ a b c 1ª edizione Le Monnier, Firenze, 1845.
  65. ^ a b 1ª edizione Piatti, Firenze, 1834.
  66. ^ Inizi romantici e inizi satirici del Leopardi, « Giornale storico della letteratura italiana », XCIII, 1929.
  67. ^ Dagli autografi emerge un gran numero di appunti e annotazioni marginali, lasciati successivamente cadere dall’autore.

[modifica] Bibliografia

[modifica] Testo critico

  • Giacomo Leopardi; F. Moroncini (edizione critica a cura di). Operette morali. Bologna, 1928.
  • Giacomo Leopardi; O. Besomi (edizione critica a cura di). Operette morali. Milano, 1979.

[modifica] Testo commentato

  • Giacomo Leopardi; a cura di G. Chiarini e P. Giordani (introduzione). Operette morali. Livorno, 1870.
  • Giacomo Leopardi; G. Gentile (a cura di). Operette morali. Bologna, 1918.
  • Giacomo Leopardi; M. Porena (a cura di). Operette morali. Milano, 1921.
  • Giacomo Leopardi; F. Flora (a cura di). Operette morali. Milano, 1949.
  • Giacomo Leopardi; M. Oliveri (a cura di). Operette morali. Milano, 1951.
  • Giacomo Leopardi; I. Della Giovanna (a cura di); G. De Robertis (introduzione). Operette morali. Firenze, 1957.
  • Giacomo Leopardi; M. Fubini (a cura di). Operette morali. Torino, 1966.
  • Giacomo Leopardi; C. Galimberti (a cura di). Operette morali. Napoli, 1977.
  • Giacomo Leopardi; G. Getto, E. Sanguineti (a cura di). Operette morali. Milano, 1982.
  • Giacomo Leopardi; M. A. Bazzocchi. Operette morali. Milano, 1991.

[modifica] Critica

  • W. Binni. La nuova poetica leopardiana. Firenze, 1947.
  • G. Marzot, ‘’Storia del riso leopardiano’’, Messina-Firenze 1966
  • W. Binni, La protesta di Leopardi, Firenze, 1973
  • C. Galimberti, Linguaggio del vero in Leopardi, Firenze, 1973
  • A. Borlenghi, Leopardi. Dalle “Operette morali”, ai “Paralipomeni”, Milano, 1973.
  • S. Campailla, La vocazione di Tristano. Storia interiore delle “Operette morali”, Bologna, 1977.
  • V. Melani, Leopardi e la poesia del Cinquecento, Messina-Firenze, 1979.
  • A. Tartaro, Leopardi, Bari, Laterza', 1978.
  • W. Binni, Lettura delle “Operette morali”, Genova, 1987
  • L. Blasucci, ‘’I tempi della satira leopardiana’’, Napoli 1989
  • A. Ferraris, La vita imperfetta. Le “Operette morali” di Giacomo Leopardi, Genova, 1991.
  • A. Frattini, Leopardi. Il problema delle fonti alla radice della sua opera, Roma, 1990
  • A. Valentini, Leopardi. Idillio metafisico e poesia copernicana, Roma, 1991.
  • F. Secchieri, ‘’Con leggerezza apparente. Etica e ironia nelle “Operette morali”, Modena, 1992.
  • W. Binni, Lezioni leopardiane, Firenze, 1994.
  • L. Celerino, Giacomo Leopardi, Operette morali, Letteratura italiana – Le Opere vol. III, Torino, UTET, 1995.
  • G. Macciocca, ‘’Letteratura Italiana, Dizionario delle opere M-Z’’, Einaudi, Torino, 2000.

[modifica] Strumenti di lavoro

  • Luigi Castiglioni, Scevola Mariotti (con la collaborazione di Arturo Brambilla e Gaspare Campagna). IL – Vocabolario della lingua latina. Loescher editore. Torino, 1990. Pp. 1971.
  • Lao Paletti. Corso di lingua latina. I. Fonetica, Morfologia, Sintassi. Paravia. Torino, 1974. 16ª rist. 1987 pp. 604. ISBN 8839503879
  • Luca Serianni (con la collaborazione di Alfredo Castelvecchi). Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. UTET libreria, Linguistica. Torino, ed. 1989 seconda ed. 1991. Pp. 752 ISBN 8877500336.
  • P.G. Beltrami, La metrica italiana, Il Mulino, Bologna, 1991.
  • R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, La scrittura e l'interpretazione: storia e antologia della letteratura italiana nel quadro della civilta europea, ed. blu, vol. 2, Palumbo Editore, Palermo.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Personaggi

[modifica] Luoghi

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni

Giacomo Leopardi (1798 - 1837)
Opere - Poetica - Epistolario
Prosa: Zibaldone e Operette morali
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