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Suicidio - Wikipedia

Suicidio

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Per suicidio s'intende l'atto col quale un individuo si procura volontariamente e consapevolmente la morte.

È il gesto autolesivo più estremo, tipico in condizioni di grave disagio psichico, particolarmente in persone affette da grave depressione e/o disturbi della personalità di tipo psicotico[1].

Il tentato suicidio non viene considerato reato dall'ordinamento giuridico italiano e da molti altri ordinamenti civili moderni, nonostante lo fosse nei periodi anteriori alla Rivoluzione francese. Inoltre, l'articolo 580 del codice penale vieta categoricamente sia l'istigazione sia l'agevolazione in qualsiasi modo del suicidio altrui. In molti stati (p.e. la California, dove sono in molti a recarsi per cercare la morte sul Golden Gate Bridge, a San Francisco) il tentato suicidio continua a costituire reato.

Sociologicamente il suicidio è stato trattato in modo molto approfondito da Émile Durkheim, che lo categorizza in quattro diverse modalità:

Indice

[modifica] Metodi

Per approfondire, vedi la voce metodi di suicidio.
Edouard Manet: Suicidio
Edouard Manet: Suicidio

Le modalità con cui viene messo in pratica un suicidio sono molteplici. A volte, ma non sempre, il metodo usato può essere correlato alla causa che ha spinto il soggetto a togliersi la vita: il depresso spesso preferisce la via che gli appare meno dolorosa, quali overdose di farmaci o stupefacenti, mentre individui psicotici tendono a mettere in opera metodi più "spettacolari", quali l'impiccagione, il salto nel vuoto, il taglio delle vene dei polsi. Si è notata, statisticamente, una certa differenza nelle modalità suicide utilizzate dagli uomini rispetto a quelle applicate dal sesso femminile; le donne, infatti, tendono a prediligere tecniche di suicidio che non comportano danni esterni al corpo e all'ambiente circostante, quali ad es. ingestione di farmaci o avvelenamento da monossido di carbonio, in modo da preservare l'aspetto esteriore.

Di seguito si riporta un elenco dei metodi più comuni, suddivisi in base alla causa della morte.

[modifica] Overdose-avvelenamento

Assunzione di farmaci o veleni in quantità letali.

[modifica] Danni fisici

La categoria comprende tutti i metodi che provocano una morte violenta, dovuta ad un danno da impatto, soffocamento, perforazione, ecc. In genere, questi metodi sono più diffusi di quelli nella categoria overdose-avvelenamento in quanto più accessibili: non è infatti necessaria nessuna sostanza particolare. In compenso, questi metodi sono solitamente più dolorosi e richiedono uno sforzo di volontà maggiore per poter essere utilizzati. Le tecniche più comuni sono:

  • taglio delle vene;
  • precipitazione;
  • impiccagione per sospensione;
  • impiccagione per rottura;
  • uso di armi da fuoco.

Il taglio delle vene è uno dei metodi più diffusi in assoluto. Molto spesso, gli psicologi considerano i tentativi falliti più come richieste d'aiuto che come veri e propri tentati suicidi.

Anche i salti sono abbastanza comuni. Nella categoria possono essere compresi anche i salti contro auto, treni e veicoli in genere.

L'impiccagione per sospensione è la varietà meno conosciuta di impiccagione. Tra le due varietà di impiccagione questa è la più dolorosa: lo strofinio della corda sul collo e i problemi respiratori dovuti alla possibile compressione della trachea sono fonti di dolore non trascurabili.

L'impiccagione per rottura è molto simile a quella per sospensione; la differenza, è che in questo caso è necessario saltare da un punto più in alto del pavimento.

L'uso classico delle armi da fuoco (molto diffuso nei paesi in cui il possesso di armi è poco controllato) è il classico colpo in testa.

[modifica] Sociologia e religione: il suicidio in azioni belliche e terroristiche

In ambito bellico le azioni suicide fanno spesso parte di una precisa strategia, messa in atto da eserciti o formazioni più deboli e tecnologicamente arretrate opposte ad eserciti più potenti e preparati.

Si tratta di un'arma antica (già nell'Antico Testamento si ricorda il caso dell'ebreo Sansone, che ricopriva peraltro la suprema carica di giudice), che viene qualificata come atto eroico da chi lo organizza e terroristico da chi lo subisce. Ha spesso uno spiccato impatto psicologico e propagandistico, come nel caso dei kamikaze giapponesi durante la seconda guerra mondiale.

Negli ultimi anni si è molto diffuso il fenomeno degli attentatori suicidi appartenenti alla cultura islamica, che spesso si fanno esplodere fra gli avversari e cercano di colpire luoghi nemici considerati da questi di alto valore simbolico.

Anche il più imponente attacco terroristico di cui si abbia notizia, l'attacco alle Twin Towers dell' 11 settembre 2001, è stato portato a termine da attentatori suicidi.

Gli attentatori suicidi, in prevalenza uomini, sono, nella maggioranza dei casi, individui con una scarsa formazione scolastica e difficili condizioni di sussistenza[citazione necessaria]. Organizzazioni di resistenza, che non rifuggono l'arma del terrorismo, sono accusate di sfruttare e strumentalizzare tale disagio, arruolandoli ed esortandoli al suicidio con la prospettiva (nel caso dell'appartenenza alla fede islamica) di un Aldilà dove - in virtù del loro atto (qualificato come "martirio" benedetto e non certo "suicidio", categoricamente vietato dall'Islam) - il caduto potrà godere senza fallo delle gioie paradisiache e delle attenzioni a lui riservate da settanta vergini[citazione necessaria], secondo quanto promesso dallo stesso Corano. Il fenomeno si è recentemente diffuso anche tra individui con un livello culturale più elevato e tra le donne. L'ex dittatore iracheno Ṣaddām Ḥusayn donava alle famiglie di ogni kamikaze palestinese un assegno di 50.000 dollari, elogiando indirettamente una simile lotta contro Israele.

[modifica] Il suicidio dimostrativo

Fin dall' epoca dei romani il suicidio veniva utilizzato come strumento di protesta; Marco Porcio Catone Uticense decise di uccidersi proprio per protestare contro Cesare e la sua azione a discapito della repubblica.

Il suicidio come atto di protesta estrema nonviolenta venne alla ribalta negli anni '60 quando alcuni monaci buddhisti si diedero pubblicamente alle fiamme per protestare contro il regime totalitario e corrotto del Vietnam del Sud.

Analogo fu il gesto dimostrativo di Jan Palach, compiuto a Praga in piazza San Venceslao dopo l'invasione della Cecoslovacchia dell'agosto del 1968.

[modifica] I suicidi dei genitori

Una delle cause di suicidio in Italia è quella legata al non affidamento dei figli nelle cause di separazione e divorzio. Il genitore non affidatario, se la separazione è conflittuale, è spesso soggetto a quello che in psicologia è chiamato mobbing familiare. L'allontanamento dai figli può portare a una forte depressione che ha causato solo nel nostro Paese oltre 260 suicidi fra il 2000 e il 2005 [2][3][4][5] di cui quattro erano genitori di sesso femminile e gli altri di sesso maschile, dato che la percentuale di affidamenti ai padri è tuttora intorno al 5% (era il 3,8% nel 2003 nelle separazioni e i 5,7% nei divorzi)[6] nonostante la nuova legge sull'affidamento condiviso. Nell'Unione Europea, nello stesso periodo, i suicidi per il dolore conseguente alla separazione dai figli ha portato a poco più di 2.000 suicidi[7]. A volte questa forma di suicidio prende la forma di suicidio dimostrativo (vedi sezione precedente), come nel caso di due casi in Italia e uno in Svizzera, nei quali i padri separati si sono dati fuoco.

Proprio in relazione a questo tipo di suicidio dimostrativo, il 7 aprile 2007 si è tenuto a Roma il primo World Memorial Day (Giornata Mondiale della Memoria), al quale hanno aderito associazioni di tutto il mondo, per ricordare tutti i padri separati che si sono suicidati per il dolore di essere stati privati dei figli. La data simbolica del 7 aprile è stata scelta in memoria di Andrea Sonatore, il giovane insegnante di Aosta che si suicidò dandosi fuoco di fronte al Tribunale di Aosta nel 1996 per protestare contro il giudice che gli aveva negato il diritto di vedere sua figlia.

[modifica] Il tema del suicidio nella musica

Il gesto disperato e insieme eroico del suicidio è stato spesso drammatizzato, in chiave per lo più sublime, nel teatro d'opera.

È celebre l'aria della protagonista nell'ultimo atto della Gioconda di Amilcare Ponchielli su libretto di Arrigo Boito, che inizia appunto con la parola Suicidio! ("Suicidio! ... in questi / Fieri momenti / Tu sol mi resti ...").

Lo stesso tema è stato affrontato più volte nel Rock, nel Grunge e nell' Emo americani, ma in particolar modo nei generi estremi della musica Metal.

Questo tema viene affrontato molto spesso nel genere chiamato Funeral Doom e Depressive Black. Qui il suicidio è visto come la fonte di liberazione dalle sofferenze, come qualcosa di estremamente romantico e sublime. Un esempio lampante può essere la canzone Whispering Gloom dei Worship:

« nous nous abandonnons dans les bras d'Orphée

pour apprécier les visions décharnées'

de notre suicide ... »

[modifica] Psicologia

È il gesto estremo di una manifestazione psicologica di malessere. Dal punto di vista psicologico, esso può però essere anche interpretato, oltre che come estrema forma di richiesta di aiuto (in questo caso, spesso, il suicidio è la conclusione involontaria di un tentativo che si vorrebbe inconsciamente o consciamente volto al fallimento), come espressione di un bisogno, altrimenti inappagabile, di mettere a tacere una sofferenza, un disagio, cui il soggetto non riesce a dare risposta; nella soppressione della vita, in realtà, il desiderio reale in questa interpretazione sarebbe quello di affermare l'ideale di una vita liberata, finalmente, da una sofferenza rivelatasi ingestibile e insostenibile per colui che la patisce.

[modifica] Filosofia

Il suicidio è stato giudicato in diverse maniere lungo la storia della filosofia.

Nell'Etica Nicomachea Aristotele definisce il suicidio un atto di viltà; del resto, già il suo maestro Platone non ammetteva il suicidio se non per qualche necessità assolutamente ineluttabile, per il filosofo Seneca il saggio piuttosto che compromettere la propria integrità morale, deve essere pronto all'extrema ratio del suicidio.


Lo stoicismo è forse uno degli esempi più noti di filosofia che accetta il suicidio e, anzi, in determinate condizioni, lo descrive come un atto naturale. Seneca, filosofo che ha chiuso la sua vita con un atto volontario (sebbene dettato da Nerone, ma ricordiamo che uno stoico non fa nulla contro il proprio volere) o tecnicamente più di un atto - successivamente: cicuta, taglio delle vene dei polsi e dietro le ginocchia, bagni di vapore per spossare il corpo già dissanguato - spiega in più punti della sua opera che lo stoico, quando ritenga di aver compiuto la parte che il fato gli ha destinato, può decidere di uscire dalla vita. L'accettazione del suicidio è la conclusione di una filosofia che insegna che i mali spesso sono tali solo in apparenza, e la morte non fa eccezione. Bisogna però ricordare sempre che il suicidio è ammesso non come fuga, ma solo quando il proprio dovere è compiuto, e anche in questo caso è chiaramente solo una libera scelta.

Nel III sec. d.C. Plotino scrisse un trattato riguardante il suicidio (Enn. I 9 [16]). Per via della propria impostazione naturalistica, e in parte panteista, egli critica aspramente le posizioni dello stoicismo; ritiene infatti necessario seguire il corso naturale della vita. La vita stessa, in quanto espressione dell'anima che illumina una natura inferiore, è concepita infatti in senso divino, quale prodotto ultimo della processione da Dio. "Non ti toglierai la vita, affinché l'anima non se ne vada", il suicidio provoca, secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio razionale, la violenza al proprio corpo è sempre accompagnata da "angoscia, dolore o ira". La vita è inoltre un percorso evolutivo per il filosofo, che permette di elevarsi attraverso la legge che regola il ciclo delle reincarnazioni: "E se il rango che ciascuno avrà lassù corrisponde alla sua condizione al momento della morte, non bisogna suicidarsi finché c'è la possibilità di progredire".

Se il suicidio affrontato per una causa giusta, come la libertà, è giustificato da alcuni filosofi antichi, la totale condanna di questo gesto, pur nell'umana pietà, è solitamente presente nelle filosofie cristiane o che hanno subito l'influsso del cristianesimo. Il suicidio è infatti condannato come atto immorale o vile di fronte alla vita: "contraddice la naturale inclinazione dell'essere umano a conservare e perpetrare la propria vita", recita infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica; "al tempo stesso è un'offesa all'amore del prossimo perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale ed umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi".

Alfieri intende il suicidio come atto non di debolezza ma di ribellione: quando gli ostacoli della vita diventano insormontabili e l'uomo si sente sopraffatto da un destino che lo condanna inesorabilmente alla sconfitta, egli ricorre al gesto del suicidio, inteso come protesta a ciò che il destino gli ha riservato.

Il protagonista delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, romanzo di Foscolo, si uccide, atto che è insieme una liberazione e una protesta: liberazione dal dolore e protesta contro la natura, che ha destinato l'uomo all'eterna infelicità.

Giacomo Leopardi fa una distinzione su quelli che potevano essere i motivi di suicidio per le genti del passato e quelli della sua epoca. Dice che gli antichi si uccidevano “per eroismo per illusioni per passioni violente”; mentre i suoi contemporanei lo fanno perché sono “stanchi e disperati di questa esistenza”. Sostiene che il suicidio non può essere considerato un atteggiamento folle, ma al contrario la conseguenza di un logico ragionamento di una fredda analisi razionale. Nonostante il suo pessimismo cosmico definisce il suicidio "la cosa più mostruosa in natura”.

Secondo Schopenhauer l'obiettivo per liberarsi dal dolore dell'esistenza è superare la volontà di vivere, ma non attraverso il suicidio, il quale non è una soluzione ma una delle massime manifestazioni della volontà di vivere. Schopenhauer sostiene che proprio perché si ama troppo la vita e non la si vuole vivere in una condizione sgradevole ci si libera con il suicidio.

Secondo Heidegger il suicidio è una forma di anticipazione non autentica della morte; togliendosi la vita, infatti, l'essere umano sfugge alla progettazione di un essere-per-la-morte autentico, ovvero alla comprensione che la sua esistenza è tale nella sua autenticità solo in quanto concepita a partire da un riferimento costante alla propria morte, come momento estremo che definisce il tempo della propria vita come una totalità temporale.

Emil Cioran, in qualche modo ricollegandosi al pensiero di Heidegger, intende il costante riferimento alla morte come indispensabile alla fondazione della morale soggettiva; caratteristica è quindi la sua posizione sul suicidio, senza il pensiero del quale, egli dice esplicitamente, non sarei riuscito a sopravvivere. Il suicidio è interpretato così non come gesto effettivo, ma come possibilità estrema che, in quanto mantenuta nella sua possibilità e non attuata, rende possibile ogni altra azione.

[modifica] Dati statistici

Grafico dei dati istat 2004 sul suicidio diviso per sesso [1]. Gli uomini sono rappresentati dal colore azzurro, le donne dal rosa. I numeri rappresentano il numero di suicidi in Italia per anno per i maschi, le femmine ed il totale

[modifica] Note

  1. ^ http://www.msd-italia.it/altre/manuale/sez15/1901658.html
  2. ^ Eurispes (Ottobre 2002). 3° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell'Infanzia e dell'Adolescenza .
  3. ^ Eurispes (Novembre 2003). 4° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell'Infanzia e dell'Adolescenza .
  4. ^ Eurispes (Novembre 2004). 5° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell'Infanzia e dell'Adolescenza .
  5. ^ Eurispes (Novembre 2005). 6° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell'Infanzia e dell'Adolescenza .
  6. ^ ISTAT (Luglio 2005). Affidamento dei figli minori nelle separazioni e nei divorzi - Anno 2003 .
  7. ^ EU (2006). {{{titolo}}} .

[modifica] Bibliografia

  • Émile Durkheim. Il suicidio. L'educazione morale. UTET, Torino, 1969

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni

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