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Josip Broz Tito - Wikipedia

Josip Broz Tito

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Josip Broz Tito, 1971

Josip Broz (grafia cirillica: Јосип Броз, più conosciuto con il nome di battaglia di Tito (Тито); Kumrovec7 maggio 1892 – Lubiana4 maggio 1980) è stato un politico e militare jugoslavo, a capo della Repubblica Jugoslava dalla fine della Seconda guerra mondiale sino alla morte.

Durante la Seconda guerra mondiale, Tito organizzo il movimento di resistenza antifascista dei Partigiani Jugoslavi. Più tardi fu uno dei membri fondatori del Cominform [1] , ma resistette all'influenza sovietica (cfr. Titoismo) e divenne uno dei maggiori promotori del Movimento dei Non-Allineati.

Indice

[modifica] Gioventù

Francobollo dell’Unione Sovietica, Josip Broz Tito, 1982 (Michel № 5151, Scott № 5019)
Francobollo dell’Unione Sovietica, Josip Broz Tito, 1982 (Michel № 5151, Scott № 5019)

Josip Broz nasce a Kumrovec (oggi nel nord-ovest della Croazia), un paesino della regione dello Zagorje, all'epoca parte dell'Impero Austro-Ungarico. E' il settimo dei quindici figli di Franjo e Marija Broz, nata Javeršek. Suo padre è croato, mentre la madre è slovena.

Dopo aver trascorso alcuni anni della sua infanzia col nonno materno a Podsreda (oggi in Slovenia), frequenta a Kumrovec la scuola elementare fino al 1905. Nel 1907 lascia l'ambiente rurale del paese natale per trasferirsi a Sisak, dove lavora come apprendista fabbro. A Sisak si confronta con le idee e le istanze del movimento dei lavoratori e nel 1910 partecipa alla celebrazione del primo maggio (festa del lavoro).

Nel 1910 entra a far parte del Sindacato dei lavoratori metallurgici e del Partito Social-Democratico della Croazia e della Slovenia. Tra il 1911 e il 1913 lavora brevemente a Kamnik (Slovenia), Cenkovo (Boemia), Monaco, e Mannheim (Germania), dove lavora alla fabbrica automobilistica della Benz. Si sposta quindi a Wiener Neustadt, in Austria, dove lavora alla Daimler come pilota collaudatore. Nel maggio del 1912, intanto, vince una medaglia d'argento ad un torneo di scherma a [Budapest]].

[modifica] Nell'esercito austro-ungarico

Nell'autunno del 1913, Josip Broz viene arruolato nell'esercito austro-ungarico. Allo scoppio della prima guerra mondiale Tito, inviato a Ruma, è arrestato per aver svolto propaganda contro la guerra. Imprigionato nella fortezza di Petrovaradin, nel 1915 è trasferito in Galizia a combattere sul fronte russo, dove si distingue come abile soldato e viene raccomandato per una decorazione militare. Il 25 marzo 1915, giorno di Pasqua, in Bucovina la granata di un obice lo ferisce gravemente e in aprile il suo intero battaglione è catturato dai Russi.

[modifica] Prigioniero e rivoluzionario in Russia

Dopo tredici mesi trascorsi in ospedale, nell'autunno del 1916 Tito è inviato in un campo di lavoro negli Urali, dove i prigionieri lo eleggono proprio leader. Nel febbraio 1917, lavoratori in rivolta entrano nella prigione e liberano i prigioneri. Tito si unisce quindi ad un gruppo bolscevico.

Nell'aprile del 1917 è arrestato di nuovo, ma riesce a fuggire per unirsi alle dimostrazioni del 16 e 17 giugno del 1917 a San Pietroburgo. Per fuggire Tito scappa quindi verso la Finlandia. Di nuovo arrestato è costretto a trascorrere tre settimane nella fortezza di Petropavle, per poi essere trasferito nel campo di prigionia a Kungur, riuscendo però a fuggire durante il tragitto in treno. Si nasconde presso una famiglia russa, dove incontra e sposa Pelagija Belousova.

Nel novembre dello stesso anno entra a far parte dell'Armata Rossa ad Omsk (Siberia). Nella primavera del 1918 Tito chiede di essere ammesso nel Partito Comunista Russo. La domanda è accolta. In giugno lascia Omsk per trovare lavoro. E' impiegato come meccanico vicino ad Omsk per un anno. Quindi, nel gennaio 1920, Tito e Pelagija compiono un lungo e difficile viaggio di ritorno in Jugoslavia, dove arrivano in settembre.

[modifica] Ritorno in Jugoslavia

Nel 1920 partecipa a Zagabria alla fondazione del Partito Comunista Jugoslavo (KPJ), che nelle elezioni dello stesso anno si dimostra il terzo partito del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, per essere poi messo al bando dal Re Aleksandar I Karađorđević. Tito continua la sua attività politica in clandestinità, nonostante le pressioni del governo sui militanti comunisti. All'inizio del 1921, Tito si sposta a Veliko Trojstvo, vicino a Bjelovar, dove trova lavoro come macchinista.

Nel 1925, Tito si sposta a Kraljevica, dove inizia a lavorare in un cantiere navale. Viene eletto rappresentante sindacale e l'anno successivo guida uno sciopero. Viene quindi licenziato, e si sposta a Belgrado, dove lavora in una fabbrica di locomotive a Smeredevska Palanka. Viene eletto commissario dei lavoratori ma è di nuovo licenziato non appena viene rivelata la sua appartenenza al Partito Comunista. Si sposta infine a Zagabria, dove è nominato segretario del sindacato croato dei lavoratori metalmeccanici.

Nel 1934 Josip Broz diviene membro del Dipartimento Politico del Comitato Centrale del KPJ, con sede a Vienna. Assume - anche per non essere scoperto - il nome in codice di Tito.

Nel 1935, Tito viaggia in Unione Sovietica, lavorando per un anno nella sezione Balcani del Comintern. E' membro del Partito Comunista dell'Unione Sovietica e della polizia segreta sovietica (NKVD). Nel 1936, il Comintern invia il compagno "Walter" (cioè Tito) in Jugoslavia per attuare una purga nel Partito Comunista Jugoslavo. Nel 1937, il segretario generale del KPJ, Milan Gorkić, è assassinato a Mosca su ordine di Stalin. Lo stesso anno, Tito ritorna in Jugoslavia dopo essere stato nominato da Stalin come segretario generale dell'ancora illegale KPJ. Secondo lo storico Jean-Jacques Marie, c'era un piano per liquidare Tito a Mosca, ma Stalin vi si oppose e lo lasciò ripartire dall'URSS, comunque non prima di aver fatto fucilare sua moglie. [2]

Durante questo periodo, Tito segue fedelmente le politiche del Comintern, criticando l'Italia fascista e la Germania nazista fino al Patto Molotov-Ribbentrop del 1939, per rivolgere quindi la critica alle democrazie occidentali fino al 1941.


[modifica] La Resistenza

Tito e Ivan Ribar a Sutjeska, 1943
Tito e Ivan Ribar a Sutjeska, 1943

La Jugoslavia il 24 marzo 1941 aderisce al patto tripartito sotto le minacce di Adolf Hitler. Il colpo di stato del 27 marzo 1941, maturato in ambienti militari e auspicato dai servizi segreti inglesi rompe l'accordo con il patto tripartito. Seguono manifestazioni di delirante entusiasmo popolare, al quale non è estranea l'attività sotterranea del KPJ. Dopo pochi giorni la Jugoslavia firma un trattato di amicizia con l'URSS.

Il 6 aprile, le forze tedesche, italiane e ungheresi lanciano l'invasione della Jugoslavia. L'esercito tedesco (Wehrmacht Heer) inizia un'avanzata su tre direttrici verso Belgrado, che viene intanto bombardata dalla Luftwaffe, assieme alle altre città jugoslave (Operation Punishment). Attaccate su più fronti, le forze armate del Regno di Jugoslavia non possono resistere più di tanto, e l'operazione di invasione si conclude in 11 giorni (6-17 aprile 1941). Re Pietro II e alcuni membri del governo si rifugiano in esilio a Londra, mentre altri ministri e militari firmano l'armistizio.

La prima risposta di Tito all'invasione tedesca è la fondazione di un Comitato Militare come parte del Comitato Centrale del Partito Comunista (10 aprile 1941).

Il 28 aprile, a Lubiana (Slovenia), si registra la formazione del primo gruppo di resistenza partigiana comunista.

Il 1° maggio 1941 viene distribuito un pamplhlet redatto da Tito, che chiama la popolazione a raccolta nella battaglia contro l'occupazione [3].

Dal 13 maggio 1941, Tito e i partigiani comunisti devono affrontare la competizione dell'Esercito Jugoslavo della Patria (Jugoslovenska vojska u otadžbini, JVUO), l'armata dei cetnici. Si trattava di una forza di resistenza anti-comunista, anti-nazista, monarchica e comandata dal Generale Draža Mihailović, che aveva incluso interi settori dell'esercito jugoslavo rimasti allo sbando. A lungo i cetnici ricevono aiuti dai britannici, dagli Stati Uniti e dal governo jugoslavo in esilio di Re Pietro II.

Il 22 giugno (giorno del lancio dell'Operazione Barbarossa contro l'Unione Sovietica), nella foresta di Brezovica presso la città di Sisak, in Croazia, i partigiani jugoslavi formano la famosa Prima Brigata Partigiana di Sisak, per la maggior parte composta di croati della vicina città, una delle prime formazioni militari antifasciste in Europa. Lo stesso giorno, 49 uomini della Brigata attaccano un treno della riserva tedesca[1].

Il 4 luglio, in una riunione del Comitato Centrale, Tito viene nominato Comandante Militare dell'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia e lancia la mobilitazione generale per la resistenza.

I partigiani comunisti iniziano presto un'estesa e vittoriosa campagna di guerriglia, iniziando a liberare parti del territorio. Le attività dei partigiani provocano diverse ritorsioni dei tedeschi e degli ustascia, collaborazionisti insediatisi in Croazia, contro i civili, che sfociano in omicidi di massa (100 civili per ogni soldato tedesco ucciso, 50 per ogni ferito). L'accettazione, da parte di Tito, di queste dure ritorsioni, alle spese per la maggior parte di civili innocenti, diviene uno dei principali punti di dissenso tra Tito e Mihailović.


Tito nominato dall'AVNOJ Maresciallo di Jugoslavia, 1943
Tito nominato dall'AVNOJ Maresciallo di Jugoslavia, 1943

Nei territori liberati, i partigiani organizzano comitati popolari con funzioni di governo civile. Tito è il principale leader del Comitato Antifascista di Liberazione Nazionale della Jugoslavia - AVNOJ, riunitosi a Bihac il 26 novembre 1942, e quindi a Jaice il 29 novembre 1943. Nelle sue due sessioni, l'AVNOJ stabilisce le basi federali della Jugoslavia postbellica. A Jaice, Tito è nominato Presidente del Comitato Nazionale di Liberazione. Il 4 dicembre 1943, mentre la maggior parte del paese è ancora occupata dalle forze naziste, ma dopo l'armistizio richiesto dall'Italia, Tito proclama un Governo provvisorio democratico di Jugoslavia.

Dopo la resistenza dei partigiani comunisti agli intensi attacchi dell'Asse tra gennaio e giugno 1943, i leader degli Alleati tolgono il loro supporto ai cetnici per sostenere i partigiani titini. I cetnici infatti consideravano prioritaria la lotta ai partigiani comunisti, prima di quella contro gli occupanti nazifascisti. Re Pietro II di Jugoslavia, Franklin Delano Roosevelt (USA) e Winston Churchill (UK) si allineano con Stalin nel riconoscere ufficialmente Tito e i suoi partigiani durante la Conferenza di Teheran. Gli aiuti degli Alleati vengono paracadutati ai partigiani direttamente dietro le linee dell'Asse.

Come leader della resistenza comunista, Tito diviene un obiettivo delle forze dell'Asse. I tedeschi arrivano vicini a catturare o uccidere Tito in almeno tre occasioni: nell'offensiva (Fall Weiss) del 1943; nella seguente offensiva (Fall Schwarz), in cui, il 9 giugno, Tito viene ferito, ma si salva grazie al sacrificio del suo cane; e il 25 maggio 1944, in cui riesce fortunosamente a scampare ai tedeschi durante l'Operazione Rösselsprung, un lancio di paracadutisti di fronte al quartier generale di Tito a Drvar.

Il Maresciallo Tito durante la Resistenza, 1944
Il Maresciallo Tito durante la Resistenza, 1944

I partigiani vengono supportati direttamente da lanci aerei degli Alleati sui loro quartieri generali; in ciò gioca un ruolo rilevante come collegamento il Brigadiere Fitzroy Maclean. La Balkan Air Force della RAF viene formata nel giugno 1944 per controllare le operazioni di aiuto alle forze partigiane. A causa degli stretti legami con Stalin, Tito si trova spesso in contrasto con gli ufficiali britannici e americani collegati al suo quartier generale.

Il 28 settembre 1944, [4], la TASS riporta la firma di Tito ad un accordo con l'URSS che consente un "temporaneo ingresso delle truppe sovietiche nel territorio jugoslavo". Con l'aiuto dell'Armata Rossa, i partigiani jugoslavi liberano Belgrado il il 18 ottobre 1944, e il resto della Jugoslavia entro il 1945.

Alla fine della guerra, a tutte le forze straniere viene ordinato di lasciare il territorio jugoslavo.

[modifica] L'identità di Tito

A partire dagli anni trenta fu noto con il nome di Tito. L'uso di "nomi di battaglia" era diffuso presso i militanti dell'illegale partito comunista affinché, in caso di arresto, non si potesse risalire alla famiglia dell'arrestato. Durante la resistenza il personaggio di Tito fu investito da un alone di mistero. I referti delle SS lo descrivono come un personaggio di cui si sa poco, salvo vaghe caratteristiche fisiche (anche queste spesso distorte), molto pericoloso, astuto e pieno di risorse. Goebbels non nascose la propria ammirazione per un uomo di cui era difficile seguire le tracce e che anche quando si credeva di averlo intrappolato riusciva a cavarsela. Goebbels aggiunge che chiunque stia dietro a questo nome è un nemico da eliminare a tutti i costi.
Esiste una quantità di documenti che testimonia le sue molteplici identità. Lo stesso uomo viene fatto risalire a sei, sette identità, tra cui Ivan Brozović e Tito. Le origini del soprannome "Tito" non sono certe, ma la teoria più accreditata, benchè non verificata, è che derivi dal fatto che usasse spesso la locuzione "ti to" (in serbocroato "tu questo") per impartire ordini ai suoi uomini. Tuttavia il biografo di Tito, Vladimir Dedijer, afferma che il nome derivi dall'autore croato Tituš Brezovački.


[modifica] A capo della Jugoslavia socialista e federale

[modifica] Conseguenze della guerra

A fine 1944, l'Accordo di Vis (Viški sporazum), conosciuto anche come Accordo Tito-Subasic, rappresentò un tentativo di fondere il governo comunista di Tito con il governo in esilio di re Pietro II.

Il 7 marzo 1945, il governo provvisorio della Repubblica Democratica Federale di Jugoslavia (Demokratska federativna republika Jugoslavija, DFRJ) si riunì a Belgrado. Il governo provvisorio era capeggiato da Tito e non aveva relazioni con il governo jugoslavo in esilio e re Pietro II. Dopo le elezioni dell'11 novembre 1945 (secondo molti di fatto controllate e massicciamente inquinate dai titoisti), il fronte nazionale capeggiato da Tito ottenne la maggioranza assoluta. Tito venne nominato Primo Ministro e ministro degli Esteri della DFRJ.

È durante questo periodo che le forze jugoslave e l'Armata Rossa vennero coinvolte nella deportazione delle popolazioni etnicamente tedesche (Volksdeutsche) dalla Jugoslavia, considerate collaborazioniste. Tedeschi etnici, cetnici, ustascia e altre formazioni militari croate e slovene vennero catturati durante gli spostamenti tra le masse di rifugiati, e nonostante le promesse di Tito ai collaborazionisti di una resa sicura, un gran numero di collaborazionisti e supposti tali finirono uccisi (Massacro di Bleiburg).

Altre uccisioni di massa, ad opera dei partigiani jugoslavi, coinvolsero italiani, ungheresi e croati. La popolazione italiana dell'Istria, giudicata sommariamente come collaborazionista, subì i Massacri delle foibe [5].

I supposti "fascisti ungheresi" subirono massacri nella Bačka tra 1944 e 1945, mentre con l'Operazione Keelhaul venne ucciso un gran numero di ustascia croati, consegnati dai britannici agli jugoslavi.

Critici hanno sostenuto che fosse impossile che Tito non sapesse di un tale numero di massacri, e avrebbe dovuto fermare le uccisioni, che durarono per molti giorni. Comunque, non c'è evidenza che tali massacri siano stati ordinati da Tito o dal comando partigiano. Essi sarebbero inoltre da mettere in relazione, per la maggior parte, con popolazioni locali e capi partigiani in cerca di giustizia sommaria contro collaborazionisti e popolazioni considerate collegate alle forze occupanti, che durante il periodo di occupazione avevano causato circa 1.700.000 morti in Jugoslavia.

Nel novembre 1945 venne redatta una nuova Costituzione, promulgata il 31 gennaio 1946, sul modello centralista sovietico. Intanto il movimento partigiano venne organizzato come esercito, l'Eservito Popolare Jugolavo (Jugoslavenska narodna armija, JNA), inizialmente considerato il quinto più potente esercito in Europa. Tito organizzò anche una forza di polizia segreta, l'Amministrazione di Sicurezza dello Stato (Uprava državne bezbednosti/sigurnosti/varnosti, UDBA). Sia l'UDBA sia il Dipartimento per la Sicurezza del Popolo (Organ Zaštite Naroda (Armije), OZNA) furono incaricati, tra le altre cose, di ricercare, imprigionare e processare un largo numero di collaborazionisti. Essi inclusero anche preti cattolici, a causa del coinvolgimento del clero cattolico croato con il regime ustascia durante la guerra.

Il 29 novembre 1945, re Pietro II di Jugoslavia venne deposto dall'Assemblea Costituente Jugoslava, e il 13 marzo 1946 il generale Draža Mihailović venne catturato dall'OZNA, e quindi ucciso il 18 luglio.

La posizione politica di Tito in Jugoslavia aveva molte della caratteristiche di una dittatura, nonostante ciò fosse in comune con gli altri stati comunisti dopo la Seconda guerra mondiale. La Lega dei Comunisti Jugoslavi vinse le prime elezioni del dopoguerra, nelle quali schede semplificate consentivano solo un'alternativa tra "si" e "no". Nonostante la natura controversa di queste votazioni, bisogna notare che Tito riportava al tempo un massiccio supporto popolare. Il partito usò immediatamente i propri poteri per stanare gli ultimi collaborazionisti, nazionalisti e anti-comunisti, usando in parte metodi caratteristici dello Stalinismo (es. i cosiddetti "Processi di Dachau", svoltisi a Lubiana tra il 1947 e il 1949). [6]. Il governo di Tito riuscì comunque a unificare un paese che era stato severamente colpito dalla guerra e a reprimere efficacemente i sentimenti nazionalisti delle popolazioni, in favore di un comune obiettivo jugoslavo

Nell'ottobre 1946, nella sua prima sessione speciale in 75 anni, il Vaticano scomunicò Tito e il governo jugoslavo per aver condannato l'arcivescovo cattolico Alojzije Viktor Stepinac a 16 anni di prigione per aver aiutato terroristi e aver forzato conversioni di Serbi al cattolicesimo[7]. La sentenza fu successivamente commutata. Con il tempo, la Jugoslavia divenne di gran lunga la più liberale tra gli stati socialisti, per quanto riguarda le libertà religiose, in quanto Tito credeva che solo l'oppressione facesse espandere la religione. Tito considerò sempre l'agitazione religiosa come una forte minaccia.

[modifica] La rottura con Stalin

Nel 1948, motivato dal desiderio di creare un'economia forte e indipendente, Tito divenne il primo leader socialista (e il solo ad aver successo) a sfidare la leadership di Stalin nel Cominform e le sue richieste di lealtà assoluta.

L'adesione della Jugoslavia al Cominform esigeva un'obbedienza assoluta da parte di Tito alla linea fissata dal Cremlino. Tito, forte della gloriosa liberazione della Jugoslavia dall'occupazione nazifascista da parte dei partigiani, desiderava invece restare indipendente dalla volontà di Stalin. Le relazioni tra URSS e Jugoslavia ebbero da subito dei momenti di tensione, a partire dalla censura sovietica sui messaggi che la resistenza jugoslava lanciava da Radio "Jugoslavia Libera", che trasmetteva da Mosca.

Tito prese quindi diverse iniziative sgradite ai dirigenti sovietici:

  • il sostegno ai comunisti greci dell'ELAS, un'insurrezione che Stalin riteneva un'avventura;
  • il progetto di una federazione balcanica con Albania, Bulgaria e Grecia

Il fervente nazionalismo jugoslavo di Tito non gli permetteva di sottomettersi alla volontà nè di Stalin nè degli Occidentali. Stalin era irritato dal prestigio di Tito e ne temeva il contagio presso le altre democrazie popolari dell'Est Europa.

A partire dal 1945, Stalin iniziò a nominare uomini a lui devoti all'interno del governo e del Partito Comunista Jugoslavo. Allo stesso tempo, Tito rifiutò di lasciar subordinare la sua polizia, l'esercito e la politica estera, così come di veder creare delle società miste di produzione, attraverso le quali i sovietici avrebbero potuto controllare le branche essenziali dell'economia del paese.

Nel marzo 1948, Stalin richiamò tutti i consiglieri militari e gli specialisti civili con base in Jugoslavia. Poco dopo, una lettera del Comitato Centrale sovietico inizia a criticare le decisioni del PC jugoslavo. Allo stesso modo, i dirigenti jugoslavi fanno blocco attorno a Tito e i fedeli a Mosca sono esclusi dal Comitato Centrale e arrestati. Il Cremlino gioca l'ultima carta portando la questione davanti al Cominform, ma Tito rifiuta. Il Cominform considera il rifiuto jugoslavo come un tradimento. Escludendo la Jugoslavia dal Cominform, Tito spera di provocare una sollevazione nel paese. Ma è uno scacco: il Partito Comunista jugoslavo, epurato dai "cominformisti", elegge un nuovo Comitato Centrale totalmente devoto a Tito.

La rottura con l'Unione Sovietica portò molti riconoscimenti internazionali a Tito, ma creò anche un periodo di instabilità (il periodo dell'"Informbiro"). La via nazionale jugoslava al comunismo venne definita Titoismo da Mosca, che, incoraggiò le purghe contro sospetti titini negli altri paesi del blocco comunista. [8]

Nel contesto della lacerante spaccatura tra cominformisti e titoisti, Tito diede vita in patriaad un clima fortemente repressivo. Oppositori politici, "cominformisti" o presunti tali (tra l'altro alcuni comunisti italiani accusati di stalinismo), vennero rinchiusi in tremendi campi di prigionia, tra i quali spiccava il terribile campo di Isola Calva (Goli Otok), dopo processi e condanne sommari.

Durante la crisi, Winston Churchill portò un discreto sostegno a Tito, domandandogli in cambio di ritirare i suoi partigiani comunisti dalla Grecia e di cessare gli aiuti. Da parte sua, Churchill fece sapere a Stalin di non toccare la Jugoslavia.

Stalin tentò allora di sottomettere la Jugoslavia attraverso l'arma economica. Ridusse le esportazioni dell'URSS verso Belgrado del 90 % e obbligò le democrazie popolari a fare altrettanto. Il blocco economico costrinse Tito ad aumentare i suoi scambi con i paesi occidentali. Pur restando fedele al socialismo e richiamandosi agli stessi principi dell'Unione Sovietica, la Jugoslavia ne rimase politicamente indipendente. Tito rimise dunque in discussione la direzione unica del mondo socialista impressa dall'URSS, aprendo la strada all'idea di un socialismo nazionale. Solamente la destalinizzazione lanciata da Nikita Kruschev permetterà una normalizzazione dei rapporti tra URSS e Jugoslavia.


[modifica] Le leggi sull'autogestione

Il 26 giugno 1950 l'Assemblea Nazionale approvò una legge cruciale, scritta da Tito e Milovan Đilas, sull'autogestione (samoupravljanje): un tipo indipendente di socialismo che sperimentò la condivisione dei profetti tra gli operai nelle industrie controllate dallo stato. Il 13 gennaio 1953, la legge sull'autogestione venne posta a base dell'intero ordine sociale in Jugoslavia.

Tito successe inoltre a Ivan Ribar come Presidente della Jugoslavia il 14 gennaio 1953.

[modifica] La politica estera negli anni '50

Eleanor Roosevelt con Tito alle Isole Brioni nel 1953
Eleanor Roosevelt con Tito alle Isole Brioni nel 1953

Tito divenne famoso nel perseguire una politica estera di neutralità durante la Guerra Fredda e nello stabilire stretti rapporti con i paesi in via di sviluppo. Il forte credo di Tito nell'autodeterminazione causò un precoce strappo con Stalin e, di conseguenza, con il blocco orientale. I suoi discorsi pubblici spesso reiteravano che la politica di neutralità e cooperazione con tutti paesi è naturale che finchè questi paesi non usano la propria influenza per premere la Jugoslavia a scegliere campo. Le relazioni con gli Stati Uniti e i paesi dell'Europa Occidentale erano generalmente cordiali.

Dopo la morte di Stalin, Tito rigettò l'invito dell'URSS per una visia per discutere la normalizzazione delle relazioni bilaterali. Nikita Khrushchev e Nikolai Bulganin visitarono Tito a Belgrado nel 1955 e chiesero scusa per i misfatti del governo di Stalin.[9] Tito visitò l'URSS nel 1956, segnalando che l'animosità tra URSS e Jugoslavia stava scemando. [10] Comunque, le relazioni tra URSS e Jugoslavia avrebbero raggiunto un altro punto basso alla fine degli anni '60.

Tito sviluppò anche buone relazioni con la Birmania di U Nu, viaggiandovi nel 1955 e ancora nel 1959, nonostante Ne Win non ricambiasse la visita nel 1959.

La Jugoslavia aveva una politica liberale rispetto ai viaggi, permettendo agli stranieri di viaggiare liberamente attraverso il paese, e ai suoi cittadini di viaggiare per tutto il mondo[11], il che era generalmente limitato da parte dei paesi comunisti. Un gran numero di cittadini jugoslavi lavorarono in Europa occidentale.

[modifica] =Il movimento dei Non Allineati

A seguito della Conferenza di Bandung del 1955, Tito si avvicinò a Nasser e Nehru, che reincontrò nella Conferenza di Brioni nel 1956. Con la Conferenza di Belgrado del 1961, Titò co-fondò il Movimento dei Non-Allineati assieme all'egiziano Gamal Abdel Nasser, l'indiano Jawaharlal Nehru, l'indonesiando Sukarno e il ghanese Kwame Nkrumah, in quella che fu definita "l'iniziativa dei cinque", stabilendo forti legami con i paesi del terzo mondo. Questa mossa ebbe un grande successo nel migliorare la posizione diplomatica della Jugoslavia.

[modifica] La Repubblica Socialista Federale

Il 7 aprile 1963, il paese cambiò ufficialmente nome in Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Le riforme incoraggiarono l'impresa privata e rilassarono le restrizioni alla libertà di parola e di espressione religiosa.[12] Nel 1966 Tito firmò un accordo con il Vaticano, che garantiva nuove libertà alla Chiesa Cattolica Romana di Jugoslavia, in particolare nell'insegnamento del catechismo e nell'apertura di seminari. Il nuovo socialismo di Tito trovò opposizione da parte dei comunisti ortodossi, che culminò con la cospirazione capeggiata da Aleksandar Rankovic. [13] Della liberalizzazione, seguita alle dimissioni del capo della sicurezza Aleksandar Rankovic, beneficiano sopratutto artisti e scrittori.

Lo stesso anno Tito dichiarò che da quel momento i Comunisti avrebbero dovuto tracciare il percorso della Jugoslavia con la forza dei propri argomenti (implicando una garanzia di libertà di espressione e l'abbandono dei metodi dittatoriali). L'Agenzia di Sicurezza dello Stato (UDBA) vide ridotti i propri poteri e il proprio staff ad un massimo di 5.000 persone.

Il 1° gennaio 1967, la Jugoslavia fu il primo paese comunista ad aprire le sue frontiere a tutti i visitatori stranieri, abolendo il regime dei visti. [14]

[modifica] La politica estera negli anni '60

Lo stesso anno Tito divenne attivo nel promuovere una risoluzione pacifica del conflitto Arabo-Israeliano. Il suo piano chiedeva agli Arabi di riconoscere lo Stato di Israele in cambio del ritorno dei territori conquistati da Israele.[15] Gli arabi rifiutarono la sua idea di "terre per il riconoscimento".

Nel 1967, Tito offrì al leader cecoslovacco Alexander Dubček la sua disponibilità a volare a Praga, con un avviso di sole tre ore, se Dubček avesse avuto bisogno di aiuto nell'affrontare i Sovietici.[16]

Tito criticò violentemente l'invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia nel 1968, il che contribuì a migliorare la sua immagine nei paesi occidentali.

A causa della sua neutralità, la Jugoslavia fu l'unico paese comunista ad avere relazioni diplomatiche con governi di destra anticomunisti. Ad esempio, fu l'unico paese comunista autorizzato ad avere un'ambasciata nel Paraguay di Alfredo Stroessner.[17] Comunque, una notevole eccezione alla posizione neutrale della Jugoslavia verso i regimi anticomuniti si ebbe nel caso del Cile di Augusto Pinochet; anche la Jugoslavia troncò le relazioni diplomatiche dopo il colpo di stato del 1973 che depose Salvador Allende.[18]

[modifica] Gli anni '70 e le riforme costituzionali del 1974

Nel 1971 Tito fu rieletto Presidente della Jugoslavia per la sesta volta. Nel suo discorso di fronte all'Assemblea Federale egli introdusse 20 radicali emendamenti costituzionali che avrebbero costituito un rinnovato schema su cui basare lo stato. Gli emendamenti prevedevano:

  • una presidenza collettiva, costituita da 22 membri eletti dalle sei repubbliche e dalle due provincie autonome. La Presidenza Collettiva avrebbe avuto un singolo Presidente, a rotazione tra le sei repubbliche. In caso di mancato accordo dell'Assemblea Federale sulla legislazione, la presidenza collettiva avrebbe avuto il potere di legiferare per decreto.
  • un governo più forte, con un considerevole potere di iniziativa legislativa, indipendente dal Partito Comunista. Djemal Bijedic venne scelte come Primo Ministro.
  • il decentramento del paese con una maggiore autonomia alle repubbliche e alle provincie. Il governo federale avrebbe mantenuto l'autorità solo sulla politica estera, di difesa, di sicurezza interna, gli affari monetari, il libero commercio interno e i prestiti per lo sviluppo delle regioni più povere. Il controllo dell'educazione, della sanità e degli affitti sarebbero stati esercitati interamente dai governi delle provincie.[19]

All'inizio degli anni settanta, l'intervento di Tito stroncò i movimenti di rinnovamento nella politica che erano emersi alla fine degli anni sessanta in Serbia, Croazia e Slovenia e destituì le élites comuniste che si accingevano a liberalizzare la politica economica e sociale in quelle repubbliche. Negli anni successivi, la Jugoslavia vide un periodo di accentuata repressione politica che sollevò aspre contestazioni soprattutto tra i croati.

Durante la "Primavera croata" del 1970 (anche masovni pokret o maspok, cioè "movimento di massa"), il governo represse sia le dimostrazioni pubbliche sia le idee dissenzienti all'interno del Partito Comunista. Nonostante la repressione, molte delle domande del maspok vennero più tardi messe in opera con la nuova costituzione.

Il 16 maggio 1974, la nuova Costituzione della Repubblica Socialista Federale Jugoslava (SFRJ) venne approvata, e Josip Broz Tito fu nominato Presidente a vita. La nuova Costituzione portava l'impronta del teorico sloveno Edvard Kardelj che, in vista della futura scomparsa di Tito, aveva elaborato un modello con-federale basato sulla cooperazione democratica tra le dirigenze comuniste delle varie repubbliche e province autonome, che mantenevano però l'egemonia assoluta nei loro rispettivi paesi.

[modifica] Ultimi anni

Dopo la revisione costituzionale del 1974, Tito prese sempre più il ruolo di anziano padre della patria, mentre diminuiva il suo coinvolgimento diretto nella politica interna e nel governo.

Il funerale di Tito, 8 maggio 1980.
Il funerale di Tito, 8 maggio 1980.

Nel gennaio 1980, Tito fu ricoverato al centro clinico di Lubiana (Klinični center Ljubljana) per problemi di circolazione alle gambe. La sua gamba sinistra fu amputata poco dopo. Morì in clinica il 4 maggio 1980, tre giorni prima del suo 88esimo compleanno. Il suo funerale vide la presenza di molti uomini di stato.[20] In base al numero di politici e delegazioni di stato presenti, fu il maggiore funerale di stato nella storia.[21] Erano presenti quattro re, 31 presidenti, sei principi. 22 primi ministri e 47 ministri degli esteri, da 128 paesi da entrambe le parti della Cortina di Ferro, tra cui Indira Gandhi, Margaret Thatcher e Willy Brandt.[22]. Il record fu superato solo dai funerali di Giovanni Paolo II nel 2005.

Tito è sepolto a Belgrado, nel mausoleo Kuća Cveća (La casa dei fiori) a lui dedicato. Numerose persone visitano il luogo come un santuario dei "bei tempi", nonostante non venga più mantenuta una guardia d'onore.

I regali ricevuti da Tito durante la sua presidenza sono conservati nel Museo della Storia della Jugoslavia (già Museuo 25 maggio e Museo della Rivoluzione), a Belgrado. La collezione è senza prezzo: include lavori di molti artisti famosi a livello mondiale, tra cui stampe originali dei Capricci di Francisco Goya. Il Governo Serbo pianifica di fondere la collezione con quella del Museo Storico della Serbia. [23]

Statua di Tito a Kumrovec, Croazia, dell'artista Antun Augustinčić (1900-1979)
Statua di Tito a Kumrovec, Croazia, dell'artista Antun Augustinčić (1900-1979)

Durante la sua vita, e specialmente nei primi anni dopo la sua morte, molti luoghi furono rinominati in omaggio a Tito. Molti di questi sono da allora ritornati ai loro nomi originali. Tra questi Podgorica, oggi capitale del Montenegro, fino al 1992 Titograd. L'aeroporto internazionale di Podgorica è ancora identificato col codice TGD. Numerose strade di Belgrado sono tornate ai loro nomi pre-comunisti. Nel 2004, la statua di Tito di Antun Augustinčić presso il suo luogo natale a Kumrovec venne decapitata da un'esplosione,[24] e successivamente riparata. Nel 2008, 2000 protestanti marciarono su piazza Josip Broz a Zagabria per chiedere la restaurazione dell'antico nome di Piaza del Teatro, senza esito.[25] Nella città costiera croata di Opatija, così come in moltissime altre città dell'area jugoslava, la strada principale ancora mantiene il nome del Maresciallo Tito

[modifica] Eredità politica

Dopo la sua morte furono sollevati molti dubbi sulla possibilità che i suoi successori mantenessero l'unità della Jugoslavia. Infatti divisioni etniche e conflitti nazionalisti crebbero fino a scoppiare nelle decennali Guerre jugoslave, una decade dopo la morte di Tito.

Tito aveva saputo tenere unito il Paese non solo limitando le tensioni nazionaliste, ma spesso anche manipolandole come strumenti per mantenere il proprio ruolo di mediatore "super partes". Secondo molti il contenimento dei nazionalismi jugoslavi fu ottenuto soprattutto con l'uso della forza tramite l'OZNA (servizi segreti) e l'UDBA (polizia politica); altri sottolineano invece il ruolo dello sviluppo dell'economia e dei provvedimenti sociali, antinazionalisti ed antireligiosi del regime nel promuovere, dopo molti decenni di conflitti sanguinosi, un lungo periodo di relativa convivenza pacifica fra le diverse etnie e confessioni del Paese. Altri ancora, tra i quali il filosofo marxista sloveno Slavoj Žižek, sottolineano la natura essenzialmente repressiva e addirittura reazionaria del regime titoista, il quale da un lato esasperava l'identità nazionale "jugoslava" con misure di chiaro carattere sciovinista, e dall'altro rendeva impossibile ogni dibattito politico aperto, utilizzando i pregiudizi etnici e nazionalistici per scongiurare ogni possibile alleanza tra i gruppi d'opposizione anti-comunista presenti nelle singole repubbliche.


[modifica] Critiche

[modifica] Crimini contro l'umanità

Il regime di Tito viene ritenuto colpevole di crimini contro l'umanità come:

  • il massacro di Bleiburg, le uccisioni sommarie di circa 12.000 ex miliziani anticomunisti sloveni (domobranci) nel giugno 1945;
  • le persecuzioni anti-italiane ed i massacri delle foibe (definite dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano pulizia etnica[citazione necessaria]) nelle regioni a ridosso del confine italo-jugoslavo che causarono la tragedia dell'esodo giuliano dalmata. Questi ultimi massacri si verificarono poco dopo la fine della guerra e si cercarono di spiegare come vendetta dei partigiani contro i fascisti, ma nella realtà furono attuate contro tutti coloro che rappresentavano o potevano rappresentare, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, lo Stato italiano in quelle terre (Istria e Trieste) che il nuovo regime comunista jugoslavo rivendicava apertamente. A conferma di un'autentica campagna d'intimidazione contro gli italiani, vi sono anche le affermazioni di Milovan Gilas, vice capo del governo e segretario della Lega dei Comunisti di Jugoslavia che, in un'intervista rilasciata a Panorama il 21 luglio 1991, ammetteva senza giri di parole: "Ricordo che io e Kardelj (dirigente del partito comunista sloveno, ndr) andammo in Istria a organizzare la propaganda anti-italiana. Si trattava di dimostrare alle autorità alleate che quelle terre erano jugoslave e non italiane. Certo che non era vero. Ma bisognava indurre gli italiani ad andare via, con pressioni di ogni tipo. Così fu fatto."

(vedi anche Esodo Giuliano-Dalmata)

  • i soprusi e le uccisioni perpretrati tra il 1945 e 1955 in vari campi di concentramento (quali Teharje in Slovenia e Goli Otok in Croazia) contro oppositori politici.


[modifica] Culto della personalità

Celebrazione in onore di Tito, 1968
Celebrazione in onore di Tito, 1968

Caratteristica una "filastrocca" sulla Jugoslavia, citata spesso dagli estimatori di Tito: «Sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito» a significare l'unione di tante diversità che Tito era riuscito ad attuare e che crollò dopo la sua morte.

A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, Tito celebrò il proprio compleanno il 25 maggio, a ricordo del giorno in cui scampò miracolosamente all'uccisione per mano tedesca. Pertanto, il 25 maggio fu proclamato giorno di festa nazionale in Jugoslavia. Una staffetta di giovani portava lungo tutte le principali città jugoslave un bastone riccamente intagliato - simbolo del comando - e lo consegnava a Tito la sera del 25 maggio nello stadio di Belgrado, nel corso di una grande cerimonia ginnico/sportivo/militare. Non è che uno degli esempi del vero e proprio culto per la personalità che si sviluppò per quarant'anni in Jugoslavia: si contano a decine le canzoni, le poesie ed i romanzi dedicati a Tito.

Tito fu notoriamente un amante della bella vita, e questo suo tratto si accentuò negli anni coinvolgendo l'intero apparato statale. Possedeva decine di residenze ufficiali sparse per il paese, fra le quali la più famosa era la Villa Bianca all'interno dell'Arcipelago delle Isole Brioni in Istria: una zona interdetta alla navigazione e di fatto buen retiro del capo dello stato, comprendente addirittura un sorprendente zoo privato. Possedeva pure uno degli yacht più grandi e lussuosi dell'epoca, il Galeb, che utilizzò per un famoso viaggio ufficiale in Gran Bretagna e che - si notò all'epoca - era più grande perfino del Britannia dei reali inglesi. Usava per spostarsi in Jugoslavia anche un treno privato, fatto arredare in modo lussuoso da artigiani jugoslavi, austriaci e italiani. Possedeva una collezione di automobili, comprendente le famose Cadillac i cui sedili erano stati costruiti a misura delle sue terga, centinaia di orologi compresi rari modelli in platino e oro, nonché centinaia di vestiti e divise, tanto da essere perennemente seguito da un addetto all'abbigliamento che ogni giorno gli preparava i completi per i vari impegni pubblici e privati. Grande cacciatore, non si peritava di utilizzare le riserve boschive nei boschi montenegrini e sloveni per la caccia ai grandi mammiferi come cervi ed orsi, utilizzando i fucili creati esclusivamente per lui dall'italiana Beretta. In tal caso, centinaia di battitori setacciavano la zona per permettere a Tito di abbattere le prede più ambite. Come ulteriore nota di colore, di Tito si ricordano le varie frequentazioni femminili fino in tarda età, l'amore per le bevande alcooliche e per il fumo: in nome della solidarietà politica e di un'antica amicizia Fidel Castro faceva pervenire a Tito intere casse degli adorati sigari cubani, che lui offriva ai vari ospiti di ogni estrazione e tipo - comprese le attrici italiane Gina Lollobrigida e Sofia Loren - di cui amava circondarsi.


[modifica] Cronologia essenziale


[modifica] Citazioni

Tito era grandemente ammirato per i suoi discorsi sulla fratellanza e l'unità, di cui si riportano alcuni estratti:

"Abbiamo donato un oceano di sangue per la fratellanza e l'unità dei nostri popoli, e non permetteremo a nessuno di toccarle o distruggerle dall'interno"[26]

"Nessuno domandava chi era un serbo, chi era un croato, chi era un Musulmano, eravamo tutto un solo popolo. E' così che era allora, e io credo che sia così ancora oggi ".[27]

"Nessuna delle nostre repubbliche sarebbe qualcosa se non fossimo insieme; ma dobbiamo creare la nostra storia - la storia di una Jugoslavia unita, anche in futuro."

"Studiamo e prendiamo ad esempio il sistema Sovietico, ma stiamo sviluppando il socialismo nel nostro paese in forme in qualche modo differenti." (Lettera a Stalin e Molotov, 1948) [28]

"Darò tutto me stesso nell'assicurarmi che la Jugoslavia sia grande, non solo geograficamente ma grande nello spirito, e che tenga ferma la sua neutralità e sovranità che è stata stabilità con grande sacrificio nell'ultima battaglia".

"Una decade fa, i giovani in massa iniziarono a dichiararsi jugoslavi. Era una forma di nascente nazionalismo jugoslavo, che era una reazione alla fratellanza ed unità e un sentimento di appartenenza ad una singola società socialista autogestita. Questo mi fece immensamente piacere".

"Senza una potente e felice Jugoslavia, non può esserci una potente e felice Croazia".

[modifica] Commenti su Stalin

"Per dire il minimo - questa è un'attitudine sleale e non oggettiva verso il nostro Partito e il nostro paese. E' una conseguenza di una terribile delusione che è stata gonfiata fino a dimensioni mostruose per distruggere la reputazione del nostro Paese e della sua leadership, per togliere la gloria del popolo jugoslavo e della sua battaglia. Per calpestare tutto ciò che di grande la nostra nazione ha ottenuto con grande sacrificio e sangue - per rompere l'unità del nostro Partito, che rappresenta una garanzia per un sviluppo con successo del socialismo nel nostro paese e per lo stabilimento della felicità del nostro popolo."

[modifica] Citazioni sulla Bosnia-Erzegovina

"Lascia che quell'uomo sia un Bosniaco, un Erzegovese. All'esterno non ti chiamano con altro nome che non semplicemente Bosniaco. Che sia un Musulmano, un Serbo o un Croato. Chiunque può essere ciò che sente di essere, e nessuno ha il diritto di forzare una nazionalità su di loro."

"La Bosnia ed Erzegovina fu un tempo un seme di divisione tra i popoli serbo e croato. Ufficiali a Zagabria e a Belgrado presero decisioni sulla Bosnia-Erzegovina - decisioni che coinvolgevano la sua salute e la decisione di sfruttare il paese ancora di più; ma non importava loro ciò che le loro decisioni avrebbero prodotto sui popoli che vivevano in Bosnia-Erzegovina. Loro, allo scopo di ottenere i loro obiettivi, misero un popolo contro l'altro."


"Durante la guerra, una battaglia fu qui combattuta, non solo per la creazione di una nuova Jugoslavia, ma anche una battaglia per la Bosnia ed Ezegovina come repubblica sovrana. Ad alcuni capi e generali la propria posizione su questo tema non era molto chiara. Io non ho mai dubitato una sola volta della mia posizione sulla Bosnia. Ho sempre detto che la Bosnia ed Erzegovina non può appartenere a questo o quello, ma solo al popolo che ci ha vissuto dall'inizio dei tempi."

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

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