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Museo nazionale della Magna Grecia - Wikipedia

Museo nazionale della Magna Grecia

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Museo Nazionale della Magna Grecia
Tipologia Archeologia, Etnografia, Arte
Immagine del Museo Nazionale della Magna Grecia
Il Museo e piazza De Nava
Indirizzo Palazzo Piacentini - Piazza De Nava, 26
89100 Reggio Calabria, Italia
Orari Tutti i giorni 9:00-19:30
Chiusura settimanale lunedì
Chiuso dal 25 dicembre al 1 gennaio
Biglietti Adulti: € 4,00
Stud. e Insegn. materie attinenti: € 2,00
Minori di 18 e maggiori di 60: Gratuito
Telefono +39 965 812255
+39 965 812256
Prenotazioni: +39 965 316238
Fax: +39 965 25164
Sito www.museodellacalabria.com
Mezzi Autobus: 6, SA, 124, 128
Treno: Stazione "Reggio Calabria Lido"
I "Bronzi di Riace" costituiscono uno dei simboli di Reggio e dello stesso Museo.in primo piano la Statua A (il giovane), in fondo la Statua B (il vecchio).
I "Bronzi di Riace" costituiscono uno dei simboli di Reggio e dello stesso Museo.
in primo piano la Statua A (il giovane), in fondo la Statua B (il vecchio).

Il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria o Museo Nazionale della Magna Grecia (noto anche come Palazzo Piacentini), possiede una delle più ragguardevoli collezioni di reperti provenienti dalla Magna Grecia.

Formato inizialmente da un nucleo di materiale ceduto dal Museo Civico della città sorto nel XIX secolo, il Museo Archeologico Nazionale della Magna Grecia è cresciuto poi con i molti reperti, frutto delle varie campagne di scavo condotte fino ad oggi dalla Soprintendenza Archeologica della Calabria.

Uno scorcio della facciata del museo su Piazza De Nava.
Uno scorcio della facciata del museo su Piazza De Nava.

Oggi i nuovi reperti calabresi non sono più riuniti e custoditi in un museo unico, ma sono esposti in quelle località archeologiche nelle quali nuovi ritrovamenti hanno permesso d'allestire dei piccoli Musei locali (Crotone, Locri, Roccelletta di Borgia, Sibari, Vibo Valentia, Lamezia Terme) che oggi affiancano il museo reggino.

Indice

[modifica] Il Museo Nazionale

Tra le ricche collezioni ed i numerosissimi reperti archeologici provenienti dalle antiche città-stato magnogreche, il Museo di Reggio annovera, tra i suoi pezzi più importanti:

  • I Bronzi di Riace, ritrovati in provincia di Reggio, sono considerati capolavori scultorei in bronzo esistenti più significativi del periodo ellenico, tra le poche testimonianze dei grandi maestri scultori della Grecia classica. Sono due grandi statue, originali greci della metà del V secolo a.C. pervenuti in eccezionale stato di conservazione, che potrebbero raffigurare, secondo recenti studi, Tideo e Anfiarao dei sette contro Tebe, provenienti da un più numeroso gruppo di guerrieri bronzei.
  • La Testa del Filosofo, ritrovata a Porticello vicino Reggio, è un rarissimo quanto pregiato esempio di ritrattistica greca.
  • Il Kouros di Reggio, acquisito di recente dal museo, è la statua marmorea di un atleta vittorioso, ultimo gioiello donato dalla generosa terra magnogreca che, come archètipo dell'antico atleta olimpico, è stato di recente esposto alle olimpiadi invernali di Torino 2006.
  • La splendida Testa di Apollo Aleo in marmo, da Cirò
  • Il gruppo dei Dioscuri che scendono da cavallo nella battaglia della Sagra, da Locri Epizefiri
  • Le tavole bronzee, dell'archivio del tempio di Zeus di Locri Epizefiri
  • Le vaste collezioni di pinakes, ex voto in terracotta recanti a rilievo scene del ratto di Persefone provenienti da Locri Epizefiri
  • Le ricche collezioni di gioielli, di specchi in bronzo, ed il ricco medagliere.
  • La Pinacotaca comunale, in attesa di completamento di una struttura dedicata, è al momento ospitata nel Museo dove, tra le altre, sono esposte due tavole di Antonello da Messina.

[modifica] Palazzo Piacentini

Palazzo Piacentini come si presenta su Piazza Indipendenza
Palazzo Piacentini come si presenta su Piazza Indipendenza

L'edificio progettato da Marcello Piacentini (dal quale prende il nome) fu realizzato tra il 1932 ed il 1941, ed è ricco di collezioni archeologiche con materiali di scavo da siti della Calabria, della Basilicata, e della Sicilia; molto importanti per lo studio della cultura antica della Magna Grecia dal VIII secolo a.C. in poi, ma anche moltissimo materiale dei periodi precedenti preistoria e protostoria, e dei successivi periodi romano e bizantino.

Caratterizzato dalla volumetria massiccia che ne enfatizza la monumentalità, l'edificio è costituito da un basamento bugnato in pietra lavica scura, che raccorda il dislivello fra il Corso Garibaldi e la Via Vittorio Veneto, dove si alternano i grandi pilastri sporgenti in travertino e le ampie finestre delle sale espositive. Sulla facciata principale è scolpita una serie di grandi decori che riproducono le monete delle città della Magna Grecia. È considerato una delle opere più significative tra gli edifici costruiti per scopo museale, grazie alle sue ampie vetrate che illuminano gli ambienti espositivi per lo più a spazio aperto, che consentono un agevole e continuo itinerario di visita.

Dopo l'inaugurazione furono aperte al pubblico alcune sale del pianterreno, oggi il Museo occupa tutto lo spazio disponibile nell'edificio su quattro livelli (tre piani ed un piano seminterrato), potendo utilizzare i molti ambienti a spazio aperto, il materiale custodito è stato esposto in modo esemplare.

[modifica] Distribuzione degli ambienti

  • pianterreno:
le sezioni di Preistoria e Protostoria, con reperti provenienti dal territorio calabrese;
la prima delle due sezioni dedicate alle colonie della Magna Grecia [1], che ospita ritrovamenti provenienti dagli scavi di Locri Epizephiri;
  • piano 1°:
la seconda parte della sezione delle Colonie Greche, che ospita ritrovamenti provenienti dagli scavi di Rhegion, Matauros, Medma, Kaulon, ed altre località in allestimento;
la sezione di Numismatica;
la sezione Romana e Bizantina;
  • piano 2°:
la sezione della Pinacoteca comunale, in attesa di trasferimento alla nuova struttura dedicata;
  • seminterrato:
la sezione di archeologia subacquea, allestita nel 1981, ospita una vasta collezione di anfore e di ancore, i Bronzi di Riace e i Bronzi di Porticello.

[modifica] Storia del museo nazionale

La Real Palazzina, serie di edifici tra i quali sorgeva il Museo Civico.
La Real Palazzina, serie di edifici tra i quali sorgeva il Museo Civico.

La prima origine dell'attuale Museo Nazionale di Reggio Calabria si fa risalire al 1882 con l'istituzione del Museo Civico, che nel clima della nuova unità nazionale, raccoglieva e diffondeva cultura alla cittadinanza con testimonianze della storia e della cultura locale, reperti archeologici, memorie del risorgimento e collezioni di pittura.

Il Museo Civico di Reggio, con sede presso il Palazzo Arcivescovile nella palazzata sul lungomare, era costituito dalle sezioni:

  • etnologia
  • arte medievale
  • arte moderna
  • arte risorgimentale
  • numismatica.

Nel 1907, sotto la direzione dal famoso archeologo Paolo Orsi, fu istituita la Soprintendenza Archeologica della Calabria, che eseguì intensi scavi a Reggio, a Locri e nei principali centri di interesse archeologico della Calabria.

Dopo il terremoto del 1908 che distrusse la città, Paolo Orsi propose la creazione di un grande Museo Nazionale, in cui esporre i materiali degli scavi statali con quelli delle collezioni civiche. E così fu, infatti la Soprintendenza Archeologica, insediatasi nel 1925 a Reggio, realizzò l'edificio del Museo Centrale della Magna Grecia o Museo Nazionale della Magna Grecia. Iniziato nel 1932, fu progettato da Marcello Piacentini, uno dei più noti architetti italiani della prima metà del secolo, che realizzò qui il primo edificio museale in Italia appositamente progettato allo scopo (anziché adattare un edificio già esistente).

Prospetto del museo su Piazza De Nava negli anni '30.
Prospetto del museo su Piazza De Nava negli anni '30.

I Principi di Piemonte assisterono alla benedizione della prima pietra del grande edificio del Museo della Magna Grecia, fatta dall'Arcivescovo Mons. Pujia e subito il principe cementò la prima pietra nella quale fu murata la seguente pergamena:

« Alla presenza Augusta delle LL.AA.RR. Umberto e Maria Josè di Savoia, in solenne rito e tripudio di popolo, nel Decimo Maggio dell'Era Fascista, data alla Patria da Benito Mussolini. È posata la prima pietra di questo Museo, dove tesori sopravvissuti alle tante avversità distruttrici perpetuano la civiltà Millenaria della Prima Italia »

La nuova sede venne inaugurata nel 1932, ma presto dovette essere chiusa a causa degli eventi bellici, che imposero il trasferimento del materiale in altri siti più sicuri.

Nel 1954 quindi le collezioni del Museo Civico furono riunite a quelle del Museo Nazionale, che fu aperto al pubblico nel 1959.

Nel 1962 vennero inaugurate le sezioni preistorica, protostorica e locrese, il lapidario e la pinacoteca nel 1969, mentre nel 1973 si apriva la sezione numismatica.

All'indomani dell'importantissimo ritrovamento dei Bronzi di Riace, che insieme alla Testa del Filosofo hanno contribuito a rendere famoso il museo, nel 1981 venne allestita la sezione di archeologia subacquea, dedicata alla memoria del soprintendente Giuseppe Foti scomparso poco prima dell'inaugurazione.

Appena un anno dopo, nel 1982, venne riordinata la sezione delle colonie e subcolonie ioniche e tirreniche, furono quindi aperte al pubblico le sale del primo e del secondo piano dell'edificio, che offrivano 40 sale espositive in più.

Si prevede a breve di spostare la pinacoteca d'arte medievale e moderna (attualmente al secondo piano) in altra sede, per far posto ad altre collezioni tematiche archeologiche in allestimento. Al momento il museo è diviso in sei sezioni più la pinacoteca, disposte in quattro piani e in ordine cronologico e topografico.

[modifica] Collezioni

Si accede al Museo da piazza De Nava e si è accolti già all'ingresso, dalla vista della statua di un Telamone in tufo, proveniente da un edificio pubblico del III secolo a.C. e ritrovata a Montescaglioso.

[modifica] Preistoria e Protostoria

La sezione, recentemente riallestita con moderni criteri didattici e con la ricostruzione di vari ambienti, raccoglie materiali calabresi di sicura datazione e provenienza, reperti risalenti alla Preistoria e alla Protostoria del territorio calabrese, che sono il risultato di scavi stratificati presentati in ordine cronologico attraverso la documentazione offerta dai vari siti, ed esposti nella lunga sala dedicata.

Gli oggetti più antichi, del paleolitico inferiore, risalgono a 600.000 anni fa, e sono "choppers" (ciottoli scheggiati), trovati presso Casella di Maida, al centro della Calabria.

All'ingresso della sala si trovano due grandi diorami con la rappresentazione di scene di vita delle popolazioni del paleolitico medio e superiore. Di seguito si trova la riproduzione dell'incisione raffigurante il "Bos Primigenius", un bovide risalente a circa a 11.000 anni fa, quindi alla parte finale del paleolitico superiore. Fu scoperta nel 1961 su di un masso - insieme ad altre due figure più piccole e insieme a molti segni lineari - al Riparo del Romito nel comune di Papasidero, lungo la valle del fiume Lao che è al confine con la Basilicata. L'incisione riprodotta nel museo, oltre al valore storico, aggiunge grande valore artistico poiché, per la sicurezza del segno e per l'esatto effetto di tridimensionalità, è considerata la figurazione più significativa del verismo Paleolitico tra tutte quelle trovate nell'area del Mar Mediterraneo.

Accanto all'incisione - simulando la medesima condizione esistente al Romito - è stata ricostruita una tomba in cui si vedono gli scheletri di due individui che furono inumati contemporaneamente, affiancati e parzialmente sovrapposti, in una posizione inconsueta. Infatti l'individuo di sesso femminile sottostante, passa il braccio sinistro intorno al collo, come in un gesto d'affetto, al giovane uomo parzialmente soprastante che, come si nota, è deforme per rachitismo. Forse si tratta degli scheletri dei custodi, pro tempore, del luogo sacro costituito da questo Riparo che aveva, nelle incisioni dei bovidi, le immagini utilizzate durante i riti propiziatori della caccia.

Proseguendo troviamo un altro diorama allestito per raffigurare scene di vita del Neolitico (8.000-5.000 anni fa), seguito da alcune vetrine con oggetti in terracotta, bronzo e ferro quali: vasi, brocche, coppe, asce, spade e fibule, che vanno dal Neolitico alle età successive, provenienti da varie località calabresi quali: Praia a Mare, Torre Galli, Santa Domenica di Ricadi, Roccella Ionica, Amendolara, Cassano allo Ionio.

[modifica] Colonie della Magna Grecia

Magna Grecia: quadro storico
Nella seconda metà dell'VIII secolo a.C., gente di civiltà greche (mercanti, contadini, allevatori, artigiani), comparve nell'Italia meridionale, nell'ambito di un flusso migratorio motivato dall'interesse per lo sviluppo delle attività commerciali, e da tensioni sociali dovute all'incremento della popolazione a cui la magra produzione agricola non riusciva a dare sostentamento.

Così tra il 743 a.C. ed il 730 a.C. gente originaria della città di Calcide fondò, sullo Stretto tra Calabria e Sicilia, le due città di Rhegion (Reggio) e Zancle (Messina), ponendo sotto il controllo della medesima popolazione la via marittima più importante per i commerci con l'Italia tirrenica. Negli anni successivi Greci di stirpe achea diedero vita prima a Sybaris (Sibari, 720 a.C.) e poi a Kroton (Crotone 710 a.C.), spinti dalla necessità di sfuggire carestie e sovrappopolazione. Fra il 710 a.C. e il 690 a.C., un gruppo di servi provenienti dalle regioni della Grecia chiamate Locride, fondarono Lokroi Epizephyroi (Locri Epizefiri).

Nel tempo, per ragioni di sovrappopolazione, commerciali e di controllo del territorio, le nuove città ampliarono la loro presenza nella regione fondado delle subcolonie. Così i reggini fondarono Pyxus (Policastro Bussentino) in Campania; i locresi fondarono Medma (vicino Rosarno) e Hipponion (Vibo Valentia), i sibariti rivitalizzarono i centri indigeni di Laos e Skydros in Calabria e fondarono Poseidonia (Paestum), in Campania; i crotoniati fondarono Terina e Skylletion (vicino Roccelletta di Borgia) e parteciparono alla fondazione di Kaulon (vicino Monasterace marina); gli zanclei e i reggini fondarono Metauros (Gioia Tauro).

La decadenza iniziò durante il conflitto con la popolazione che, nel frattempo, aveva preso dimora nella parte interna della Calabria (i Brettii, dal 390 a.C.), a cui s'aggiunse poi l'arrivo delle legioni romane (290 a.C.-280 a.C.), portando, in breve tempo, sotto la protezione e, successivamente, sotto il dominio di Roma, tutte le città greche della Penisola italiana.

Per approfondire, vedi la voce Magna Grecia.

Fiore all'occhiello del Museo Nazionale di Reggio è la vastissima collezione che riguarda le colonie della Magna Grecia, ripartita su due piani dell'edificio per la grande qantità di reperti. Altre sezioni della collezione magnogreca, quali: Sibari, Crotone, Scalea, Tortora e Amantea, sono in allestimento.

[modifica] Lokroi Epizephyrioi (Locri Epizephyrii)

La ricca collezione del museo sulla Magna Grecia inizia al pianterreno con la sezione di Locri Epizephyrii. Il materiale proviene dagli scavi effettuati nell'area della città antica dove, fortunatamente, non si è sovrapposto un abitato moderno. Ciò ha permesso di facilitare le ricerche archeologiche che hanno portato alla luce uno dei centri della Magna Grecia più conosciuti e studiati.

Nelle prime due sale sono esposti oggetti provenienti dalle tombe della necropoli arcaica e greca di contrada Lucifero, utilizzata dal VII al VI secolo a.C., che diede la possibilità d'indagare circa 1.700 tombe, negli anni dal 1910 al 1915. Fra i vari reperti si trovano: piccoli altari in terracotta per uso domestico, specchi in bronzo, oggetti usati per l'ornamento femminile o legati alla cosmesi (unguentari e balsamari), un cocchio in bronzo in miniatura, forse un giocattolo, perché trovato nella tomba di un giovane.

[modifica] Templi di contrada Mannella e di casa Marafioti

Proseguendo, si trova esposto il materiale rinvenuto tra il 1908 ed il 1912 nella collina della Mannella, dove fu individuato il Persefoneion (Santuario di Persefone), probabilmente di tutta la Magna Grecia il più celebre dedicato alla dea. Si tratta per lo più di oggetti del VI e V secolo a.C., fra cui i celebri Pinakes, la testa femminile con capelli dorati (V secolo a.C.), i vasi a forma di menade danzante e di lepre (IV secolo a.C.), la bellissima maniglia in bronzo con testa in cavallo e ariete, e la maschera in terracotta (VI secolo a.C.), la testa femminile con diadema in terracotta (III secolo a.C.).

Più avanti vi sono le lastre in terracotta dipinta della decorazione del lato frontale del tempio detto di casa Marafioti, con le decorazioni e gli scarichi delle grondaie a forma di testa di leone e fiori di loto. Molto d'effetto in questa sala è il gruppo in terracotta, trovato nel 1910, che anticamente stava ai lati o nel frontone del tempio dove fu trovato, perché i vari pezzi erano sparsi di fronte ad uno dei lati corti del basamento.

Nel gruppo (450-430 a.C.), è raffigurato un giovane cavaliere nudo, su un cavallo rampante, che ha sotto di sé una sfinge accosciata la quale, con le mani, gli sostiene i piedi. Per la presenza della sfinge, che richiama altre composizioni simili, il cavaliere si ritiene che rappresenti uno dei Dioscuri. Questa è un'opera che aggiunge, al proprio valore artistico, l'importanza di essere una testimonianza di come la committenza in Magna Grecia, nel periodo più antico, accettasse che gli artisti utilizzassero l'argilla, anche per manufatti di grandi dimensioni, in alternativa al marmo (non reperibile nella zona) e al bronzo, molto costoso.

[modifica] Collezione di Pinakes
Uno dei Pinakes dalla numerosissima collezione conservata presso il Museo Nazionale di Reggio.Raffigura Persefone e Ade seduti sul trono (V secolo a.C.).
Uno dei Pinakes dalla numerosissima collezione conservata presso il Museo Nazionale di Reggio.
Raffigura Persefone e Ade seduti sul trono (V secolo a.C.).

Per i Pinakes è stato mantenuto l'uso della lingua greca per denominarli (Pinax/Pinakes = quadretto/i). Sono infatti dei quadretti in terracotta prodotti soprattutto Locri e a Reggio dal 490 a.C. al 450 a.C., con raffigurazioni in bassorilievo che per devozione venivano offerti a Persefone, la dea rapita dal dio dell'oltretomba Hades, il quale la portò negli inferi per sposarla ancora fanciulla.

Nella grande sala, i Pinakes sono esposti secondo gruppi aventi lo stesso soggetto rappresentato, condizione che permette di confrontare le molte varianti, per ciascun soggetto, ideate dai diversi produttori.

Si può notare anche come tutti i quadretti siano stati ricomposti utilizzando vari pezzi trovati dello stesso Pinax e che assolutamente nessuno di questi è intero. Ciò è dovuto al fatto che tutte le offerte divenute numerose ed ingombranti, dopo essere state ridotte in pezzi venivano accantonate in fosse di deposito nelle adiacenze del santuario dagli addetti al culto, che attuavano un rito tradizionale consacrandole alla divinità e impedendone il riutilizzo, altrimenti sacrilego.

[modifica] Archivio del Tempio di Zeus

La sala dell'archivio del tempio di Zeus, con reperti del IV-III secolo a.C., è costituito da 39 tavolette in bronzo iscritte. Venne ritrovato nel 1959 al'interno di una teca di pietra, in cui sono registrati i prestiti che la città ebbe dal tempio stesso. È spesso indicata la provenienza del denaro, come rendite agricole, e lo scopo del prestito, cioè per la realizzazione di opere pubbliche.

[modifica] Tempio Ionico e gruppo dei Dioscuri

Una sala è dedicata al materiale proveniente dalla contrada Marasà (zona all'interno delle antiche mura) dove, negli anni 1889-1890, fu portato alla luce il basamento di un tempio in stile ionico (480-470 a.C.), che risultò poi sovrapposto a due altri templi più antichi, costruiti in stile dorico. Durante lo scavo furono trovate le sculture del gruppo dei Dioscuri (420-380 a.C.), uno dei reperti di maggiori dimensioni e di sicuro effetto per i visitatori del Museo. Le sculture sono infatti collocate nella stessa posizione in cui si ritiene si trovassero sistemate sul frontone del tempio.

Realizzate in marmo dell'isola di Paros, le statue rappresentano due giovani mentre scendono da cavallo con l'aiuto di Tritoni. La terza statua posta al centro, potrebbe rappresentare - seguendo l'ipotesi che la collega ai Dioscuri - una Vittoria o una Ninfa marina. Quest'ultima infatti rappresenta un corpo femminile (oggi senza mani, piedi e testa) che proviene dallo stesso sito del tempio ionico.

Il gruppo dunque dovrebbe rappresentare, nel frontone del tempio, le due divinità che intervennero a favore dell'esercito costituito da Locresi e Reggini nella battaglia della Sagra (VI secolo a.C.), miracolosamente vinta contro i Crotoniati nonostante l'inferiorità militare. La grande venerazione per i due gemelli figli di Zeus, che furono visti "combattere nel campo di battaglia, con vesti scarlatte, su cavalli bianchi", derverebbe infatti proprio da questo episodio e il gruppo scultoreo potrebbe esserene un chiaro riferimento.

Le due statue dei gemelli Castore e Polluce, trovate in pezzi, ricomposte e, come si usava nei tempi passati, integrate con altro materiale nelle parti mancanti (soprattutto la statua destra), sono raffigurate nell'atto di balzare a terra dai propri cavalli, per accorrere in aiuto dei soldati. Assecondando la leggenda che voleva, in questo caso, i Dioscuri venuti dal mare, i cavalli hanno le zampe anteriori sostenute dalle mani alzate da due Tritoni, le divinità marine immaginarie che avevano il busto umano, proseguente a coda di pesce.

Sulla piattaforma nella quale sono esposti i divini gemelli, c'è un pezzo marmoreo appartenente alla testa del cavallo del Diosscuro a destra. Il pezzo è stato esposto così isolatamente perché fu trovato dopo che era già stata integrata, in gesso, questa parte mancante del gruppo. Invece, la testa del Dioscuro di destra, trovata nel 1956 durante ulteriori scavi a Locri Epizefiri, da tempo ha sostituito la sua imitazione in gesso.

I Dioscuri furono inizialmente trasportati a Napoli e poi esposti nel locale Museo Archeologico. Nel 1964 vennero assegnati al Museo di Reggio, per essere riuniti agli altri reperti provenienti da Locri Epizefiri.

Nelle due sale successive, sono esposti oggetti in terracotta provenienti dal Santuario delle Ninfe di Grotta Caruso. Si tratta di eleganti figure femminili, modellini di grotte e di fontane collegate al culto delle Ninfe.

[modifica] Rhegion (Reggio)

Per approfondire, vedi le voci Storia di Reggio Calabria e Siti archeologici a Reggio Calabria.

La sezione delle colonie della Magna Grecia prosegue al primo piano, dove inizia con la collezione di Rhegion (Reggio).

Quasi tutto il materiale esposto nelle sale dedicate alla città dello Stretto proviene da scavi occasionali effettuati sotto la città attuale, anche da quelli eseguiti per la costruzione del Museo stesso e dei palazzi circostanti. Molti dei reperti archeologici provengono infatti da necropoli della città antica d'epoca greca, la cui ricostruzione topografica è oggi molto difficile con i pochi dati a disposizione, perché la moderna città, essendo esistita nei secoli senza interruzioni, ha sepolto le tracce del suo passato sotto la città moderna, ed è stata più volte ricostruita dopo i terremoti (di cui si ricordano quello del 374 e quelli disastrosi del 1783 e del 1908).

[modifica] Area Griso-Laboccetta
La lastra Griso-Laboccetta
La lastra Griso-Laboccetta

L'esposizione inizia dai reperti provenienti dalla più importante area sacra della Reggio greca, individuata al centro dell'odierna città. Si trovano statuette femminili, frammenti di vasi a figure nere, vasi a figure rosse e un grande frammento di una lastra in terracotta policroma, denominata Lastra Griso-Laboccetta, risalente al 525 a.C.-500 a.C. Raffigura in rilievo due figure femminili in atto di danzare in movimento verso destra, le figure sono modellate senza uso di matrice, i panneggi conservano raffinate decorazioni dipinte che riproducono i ricami sulle stoffe.

[modifica] Altri scavi in città

Nella vetrina accanto un interessante frammento d'anfora con guerrieri e cavalli e poi statuette, frammenti di coppe, crateri, ciotole, pissidi dipinte e una bellissima coppa a figure rosse (VI secolo a.C.). e frammenti di Pinakes. Dinnanzi all'ingresso della sala impressiona per le dimensione e per l'ottimo stato di conservazione , oltre che per la perfetta lavorazione, un cratere verniciato in nero, rinvenuto nel quartiere di San Gregorio, in una tomba ad incinerazione del VI secolo a.C. insieme con un fine anello d'oro in forma ovale con l'incisione di una figura femminile e un manico a forma di uomo nudo.

Le architetture della Reggio greca sono poco note, di esse sono però giunte fino a noi delle terrecotte architettoniche con le quali erano ricoperti e decorati gli edifici. Si possono vedere pezzi delle grondaie, le cosiddette "sime" laterali (ultima fila di tegole del tetto) e coppi, spesso decorati. Accanto sono alcune antefisse (copertura all'estremità degli ultimi coppi del tetto) e due notevoli teste di drago.

Nelle vetrine vicine sono presenti frammentiprovenienti dagli scavi effettuati nei pressi delle mura del Lungomare; e frammenti provenienti dall'abitato: un piattello a figure rosse, varie sfere in terracotta, forse biglie da gioco con iscrizione di nomi, due framenti di modellini di navi e poi vari frammenti in ceramica ritrovati presso la collina degli Angeli, nella zona più alta del centro storico, dove oggi sorge il Santuario di Sant'Antonio, e poi una bella coppa rossa del II-I secolo a.C. fabbricata a Pozzuoli.

Ancora più avanti sono esposti reperti provenienti da un santuario che sorgeva lungo via Reggio Campi sempre in zona alta del centro storico, forse dedicato ad Artemide: varie lucerne, belle statuette, testine femminili ed altri reperti provenienti dalle necropoli di Santa Lucia (vicino al Museo) e di Santa Caterina, quartiere centro-nord della città non lontano dal Museo. Tra i più interessanti due vasetti in terracotta, uno con due manici a forma di grifo e piccoli capitelli in terracotta.

Più avanti, proveniente da una necropoli della città, si trova un inconsueto sarcofago in terracotta, usato per seppellire un giovanetto: ha la forma particolare di un piede calzato.

[modifica] Scavi della chora

Nelle ultime vetrine vi sono reperti provenienti dalla Chora, l'antico territorio di reggio fuori dalle mura della polis.

La notissima "Coppa Vitrea" del III secolo a.C., decorata con scene di caccia mediante una sottile lamina d'oro inserita nel vetro, era usata probabilmente per mescolare cosmetici. Proviene da Tresilico di Varapodio e fu trovata fra il corredo di una tomba femminile, insieme agli eleganti orecchini in oro a forma di testa d'antilope, esposti nella medesima vetrina.

Più avanti un servizio da tavola in argento, da Taureana vicino Palmi (I secolo a.C.), e una lamina in bronzo con dedica ad Eracle da Oppido Mamertina (V secolo a.C.).

[modifica] Kouros di Reggio
il Kouros di Reggio
il Kouros di Reggio

Il Kouros di Reggio è una statua alta 90 centimetri in marmo statuario di Paros datato al VI secolo a.C. (o forse più antico). Raffigura un giovane atleta vittorioso dai riccioli color ruggine, nudo, con il dorso scolpito più plasticamente. La splendida statua ha perso le gambe sotto al ginocchio e mancano il braccio sinistro e l'avambraccio destro. Le analogie stilistiche lo collegano all'Eubea (patria dei coloni che fondarono Reggio).

Il Kouros, forse un giovanissimo offerente, forse un atleta vittorioso, ha una bellezza quasi beffarda con il tipico "sorriso arcaico" sotto una raffinatissima capigliatura dal colore rosso tendente al ruggine, simile a una calotta di riccioli sovrapposti, del tipo a lumachella.

È sicuro che il magnifico Kouros in marmo greco proviene dallo scavo per il passante sotterraneo lungo la marina. Sono note le vicende della scoperta che terminano con la recente acquisizione nell'anno 2000 del pezzo da parte della sovrintendenza con una sentenza del tribunale di Reggio Calabria.

La scoperta relativamente recente della statua non ha ancora permesso di dare spiegazioni certe riguardo la sua origine e la sua funzione. Si pensa, come per altre immagini arcaiche, che essa avesse funzione di culto o di sepolcro, che fosse una statua votiva o religiosa di giovinetto o di bimbo (c'è chi pensa che esso sia un pàis) possa immaginarsi come dedicata; oppure c'è chi avanza l'ipotesi della destinazione sepolcrale venendo agevole istituire un rapporto persuasivo tra il kouros o pàis con il sepolcro del poeta Ibico di Reggio (VI secolo a.C.).

[modifica] Le sub-colonie

[modifica] Metauros (Gioia Tauro)

L'antica Matauros (o Metauros), una delle colonie minori lungo il tirreno, fu fondata dai Calcidesi di Rhegion o di Zancle, nella metà del VII secolo a.C., nel sito che è oggi occupato da Gioia Tauro in provincia di Reggio Calabria. Passò successivamente sotto il controllo di Locri Epizefiri nel VI secolo a.C.; poi verso il 450 a.C., tornò nell'orbita di Reggio, divenendo il suo avamposto tirrenico al confine col territorio locrese. Prima della conquista romana decadde e scomparve.

Il materiale proviene dell'esplorazione di circa 2.500 tombe di vari periodi, e di una necropoli del VII-VI secolo a.C. scoperta nel 1956.

La necropoli arcaica in contrada Pietra risalente al VII secolo a.C., ha fornito molti dati sul commercio e sulla cultura. I corredi funerari più antichi, della prima metà del VII secolo a.C., sono costituiti da vasi e altri oggetti tipici delle culture indigene associati a quelli greci, infatti con la popolazione ellenica vivevano anche alcuni indigeni che per qualche tempo mantennero usi e tradizioni della propria cultura originaria.

In una prima parte della necropoli vi sono sepolture a incinerazione, con i resti del rogo raccolti in grandi anfore d'argilla deposte nel terreno, importate da centri della Grecia come Corinto, Atene, Samo, Chio e Sparta; o da altre aree del mar mediterraneo come l'Etruria e i centri fenici e punici come contenitori di vini o olii pregiati, materiale che ha permesso lo studio dei commerci marittimi nel Tirreno nel VII secolo a.C. e VI secolo a.C.. In molti corredi funerari sono presenti vasi figurati importati da Corinto, Rodi, Samo e dall'Attica.

Nell'altra parte della necropoli invece, è stato adottato il rito funerario dell'inumazione, col cadavere deposto in una fossa scavata nella terra che aveva le pareti laterali e la copertura realizzate utilizzando delle grandi tegole. In quest'ultima tipologia di tombe furono trovati molti corredi (esposti nelle vetrine), costituiti soprattutto da vasi importati dalla regione greca dell'Attica e da Calcide, la città dell'isola Eubea, patria d'origine degli antenati dei fondatori di Metauros.

Altri vasi del VII secolo a.C. e del VI secolo a.C. a figure nere detti "calcidesi" erano prodotti nella vicina Rhegion, e rappresentano le più notevole produzione di vasi figurati arcaici in Magna Grecia. I vasi reggini rinvenuti a Metauros comprendono importanti rappresentazioni mitiche come l'accecamento di Polifemo e la caccia al cinghiale di Calidone.

[modifica] Medma (Rosarno)

Nelle vetrine allestite in due sale sono custoditi i reperti provenienti da Medma, la colonia fondata dai Locresi sul tirreno tra il 650 a.C. ed il 600 a.C., occupando una località dove oggi vicino troviamo Rosarno in provincia di Reggio Calabria.

La gran parte dell'abbondante materiale esposto che fu rinvenuto in un deposito dove venivano accantonate le offerte dei fedeli, è costituito da statuette in terracotta (figure femminili offerenti) di varie dimensioni prodotte localmente, realizzate utilizzando delle matrici come quelle visibili in una vetrina.

Fra l'altro materiale si nota uno specchio in bronzo, nel cui manico è raffigurato un personaggio villoso con la coda vestito con una corta pelle d'animale, che tiene per mano ed accarezza un giovane nudo dormiente.

[modifica] Hipponion (Vibo Valentia)

Tra le due sale di Medma e Kaulon, si possono ammirare i reperti provenienti da Hipponion, colonia locrese che sorgeva nel sito oggi occupato da Vibo Valentia. Un pannello a colori illustra l'area di scavo.

[modifica] Kaulon (Monasterace Marina)
Mosaico del III secolo a.C. da Kaulon raffigurante un drago.
Mosaico del III secolo a.C. da Kaulon raffigurante un drago.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Kaulon (o Kaulonia) non corrisponde con l'attuale Caulonia, ma occupava piuttosto il territorio tra le due città rivali Locri Epizephiri e Kroton, presso l'attuale Monasterace marina sul promontorio di Punta Stilo, sulla costa jonica in provincia di Reggio Calabria.

Fondata probabilmente da Kroton sotto la guida di Tifone di Egio, un greco dell'isola di Acaia, Kaulon visse pochi periodi di vera indipendenza, testimoniati dalle sue belle monete d'argento, perché rimase per lungo tempo una piccola città sotto la tutela della più potente Kroton e, successivamente, fu oggetto dell'interesse dei vicini locresi e dei loro alleati siracusani. Ciò tuttavia non impedì alla città di attraversare il suo momento di massimo splendore, testimoniato da una serie di monete d'argento di ottima fattura risalenti al 525 a.C..

Nella sala di Kaulon l'attenzione è attratta dalla decorazione di un tempio (470-450 a.C.) trovato sulla collina della Passoliera. Parte di esso è ricostruita nel Museo utilizzando il materiale originale recuperato; di particolare suggestione per il visitatore sono infatti le terrecotte architettoniche finemente decorate a palmette e fiori di loto, e i gocciolatoi a forma di testa di leone, che svolgevano la funzione magica di guardiani contro le potenze del male.

Proveniente sempre dalla stessa collina, è esposta una testa in terracotta datata al 550 a.C. - 500 a.C. forse appartenuta ad una statua. Interessanti le varie aule in terracotta esposte con scene di animali e di caccia con cariatidi o sfingi. Bella è la raffigurzione su antefissa di terracotta con eroe a cavallo di delfino (V secolo a.C.)

Di particolare interesse risulta il corredo di una tomba scoperta nei pressi di Caulonia, a Camini, con un bel vaso con mosaico in bronzo, una stiula, fibule d'argento e vari vasi a vernice nera (V secolo a.C.)

Pezzo molto interessante è il noto mosaico pavimentale con il drago del III secolo a.C., dai colori vivaci, recuperato dal pavimento della stanza di un'abitazione.

[modifica] Laos (Marcellina)

La città di Laos, edificata dal 350 a.C. in poi, fu individuata e messa in luce nella parte settentrionale della Calabria tirrenica, presso Marcellina (Santa Maria del Cedro), tra i fiumi Lao e Abatemarco. Abitata da Lucani, era diversa comunque anche se omonima dalla colonia di Sibari, che gli storici ricordano come esistita nella medesima zona.

Nei primi anni '60 nella necropoli di questa stessa città lucana, fu trovata una tomba a camera risalente al periodo tra il 350 a.C. ed il 300 a.C., utilizzata per un doppio seppellimento maschile e femminile.

Al centro di questa sala (attualmente in riallestimento), fa bella mostra di sé l'armatura da parata in bronzo, relativa alla sepoltura maschile di un personaggio appartenuto all'aristocrazia. È composta da un elmo di tipo frigio con la cresta e le paraguance mobili, da una corazza bivalve in lamina di bronzo di tipo anatomico decorata, dai due schinieri anatomici che coprivano le gambe, da uno sperone e dalle parti non consunte di alcuni cinturoni. Nella stessa vetrina è esposto un diadema in oro del IV secolo a.C., costituito da una lamina con cinque rosette applicate, ritenuto pertinente alla sepoltura maschile perché in vita probabilmente era usato dal personaggio quale segno di prestigio.

L'altro materiale rinvenuto nella tomba è composto da un gruppo di vasi in terracotta di varie forme e dimensioni, anche pertinenti alla sepoltura femminile.

[modifica] Krimissa (Cirò marina)

Sono esposti i reperti provenienti dal tempio di "Apollo Alaios", cioè "Apollo che allontana il male", costituito da 8 x 19 colonne, edificato isolato a Punta Alice lungo la costa settentrionale ionica della Calabria presso l'odierna Cirò Marina, dove secondo una leggenda l'eroe omerico Filottete di ritorno dalla guerra di Troia aveva depositato arco e frecce, desideroso di pace dopo i dieci lunghi anni di guerra.

la sala è dominata dalla stupenda Testa in marmo raffigurante Apollo (450 a.C.-430 a.C.), dello scultore Pytaghoras (Pitagora da Reggio), tra i pochi esempi giunti fino ad oggi delle personificazioni statuarie del Dio, presenti all'interno delle celle dei templi, dove l'accesso era consentito rigorosamente solo agli addetti al culto quindi non viste dalla massa di fedeli.

La testa dall'aspetto sereno che fu scolpita per rappresentare il dio Apollo, è stata realizzata in marmo senza raffigurare i capelli, infatti nella parte alta della scultura tutti intorno si notano i fori d'alloggiamento dove venivano inseriti i perni di fermo di una parrucca in bronzo dorato che simulando i capelli serviva a completare la testa, coprendo la parte che oggi sembra non rifinita dallo scultore.

Il resto della sezione (attualmente in riallestimento) comprende una vetrina dove sono esposti due piedi ed una mano, entrambi considerati pertinenti all'Apollo, perché realizzati utilizzando lo stesso tipo di marmo. Nella vetrina c'è anche una parrucca in bronzo che però non si adatta alla testa di Apollo, ciò fa pensare che nel tempio fossero almeno due le teste, quindi le immagini utilizzate per raffigurare il dio Apollo.

Guardando la testa si nota come essa sia stata scolpita in modo da finire al collo con una base liscia che serviva per poterla inserire nell'apposito incastro di un manichino in legno, che ricoperto di panneggi, aveva lo scopo di simulare un corpo di persona. Infatti il manichino con l'aggiunta di una testa in marmo completata da occhi in pasta vitrea e parrucca in bronzo dorato, mani e piedi in marmo ai quali venivano applicati dei calzari in bronzo, diventava la figura che rappresentava il dio Apollo, in questo caso in posizione seduta, secondo quanto si deduce dalla torsione delle caviglie dei due piedi trovati.

[modifica] Sezione di Numismatica

Riproduzione moderna di un tetradramma (quattro dracme) di Reggio di epoca magno greca)
Riproduzione moderna di un tetradramma (quattro dracme) di Reggio di epoca magno greca)

In una lunga bacheca al centro dell'ampia sala, le monete sono esposte secondo le città d'emissione. Poi, in altre bacheche lungo le pareti della stessa sala, troviamo esposti, così come furono trovati, una parte dei tesoretti oggi custoditi dal Museo, cioè i mucchietti di monete che qualcuno aveva tesaurizzato e che, poi, sopraggiunti tempi difficili, non era riuscito a recuperare. Fra i vari tesoretti, anche riguardanti il periodo romano e bizantino, è notevole quello di Vito Superiore (un quartiere di Reggio), con 134 monete d'argento del mondo greco antico, che testimoniano lo sviluppo dei contatti commerciali fra le varie città in quel tempo. Comprende monete di Reggio, Agrigento, Gela, Catania, Siracusa, Messina, Corinto, Atene, Leontini, e Terina.

[modifica] Sezione Romana e Bizantina

Attualmente in riallestimento comprende numerosi reperti delle due epoche storiche.

Fra gli oggetti d'arte conservati in questa parte del museo ricordiamo i vasi da farmacia prodotti dalla famosa fabbrica di Castelli d'Abruzzo, provenienti dalla Certosa di Serra San Bruno e dal Convento dei Domenicani di Soriano Calabro; una base di fonte battesimale del '300 attribuita ad un seguace di Tino da Camaino; diversi oggetti di carattere religioso come crocette reliquiarie e medaglioni in argento e oro del periodo dei Bizantini in Calabria.

[modifica] Pinacoteca civica

Per approfondire, vedi la voce Pinacoteca Civica di Reggio Calabria.

La pinacoteca civica che era in parte ospitata dal Museo Nazionale, è di recente stata trasferita nella nuova struttura.

[modifica] Sezione di Archeologia subacquea

La sezione fu allestita il 3 agosto 1981, quando l'esposizione a Reggio delle statue trovate nel mare di Riace giustificò la raccolta in una speciale sezione di tutti i reperti di provenienza subacquea già custoditi al Museo.

Nella prima sala sono esposte anfore da carico di tipo greco, punico e romano; differenti tipi di ancore, fra cui due primitive pietre-ancora con foro centrale; un elmo corinzio del V secolo a.C. proveniente da Capo Colonna; parti di statue in bronzo provenienti da una nave greca di circa 15 metri di lunghezza affondata verso il 400 a.C. all'imboccatura settentrionale dello Stretto di Messina, proprio fra Scilla e Cariddi zona ritenuta pericolosa per la navigazione dagli antichi.

Attraverso una porta di vetro che viene aperta controllando il numero di visitatori (per conservare il microclima della sala), si accede ad un grande ambiente di 24 x 9 m. Qui sono esposte le quattro opere in bronzo che hanno permesso di documentare in uno stesso Museo l'evoluzione dell'arte greca sia in Magna Grecia che in Grecia (cosa eccezionale per un museo italiano):

  • i bronzi di Porticello:
    • la testa di Basilea
    • la testa del Filosofo
  • i bronzi di Riace:
    • Il giovane
    • Il vecchio

[modifica] Bronzi di Porticello

La Testa di Basilea.
La Testa di Basilea.

Il relitto trovato nel 1969 da alcuni pescatori poco a nord di Villa San Giovanni (località Porticello), fu subito parzialmente spogliato del materiale sparso sul fondo. Quando intervenne la Soprintendenza di Reggio fu possibile ottenere la consegna di varie anfore per derrate alimentari ed alcuni pezzi di tre statue in bronzo a grandezza naturale fra cui due fianchi destri di personaggi nudi, ed una testa raffigurante un vecchio dalla lunga barba.

Dal 1993 a questi reperti si è aggiunta un'altra testa in bronzo, denominata oggi "Porticello B", esposta nel Museo di Reggio dal 1997. Appartenuta al giacimento di Porticello, fu sottratta al relitto prima dell'intervento della Soprintendenza reggina e finita in Svizzera, da dov'è stata restituita nel 1993.

[modifica] Testa di Basilea

Nota anche come Testa di porticello B, si ritiene che fu amputata dal busto di una statua per mezzo di violenti colpi che hanno causato anche la perdita di entrambi gli occhi ed il danneggiamento della radice, del naso, dell'occhio e dell'orecchio sinistro a causa di una lunga frattura nel metallo.

La Testa di "Porticello B", dall'aspetto serio del volto, può essere appartenuta alla statua di un dio o a quella di un personaggio d'alto rango, statua certamente realizzata nei modi artistici dello stile severo, caratteristici della prima metà del V secolo a.C. quando l'arte greca si esprimeva ancora con le maniere convenzionali che appaiono in quest'opera: capelli a piccoli riccioli inanellati ornati da una benda o forse da un diadema; volto dai tratti idealizzati con i profili netti delle arcate sopraccigliari e del naso; barba modellata in forma raccolta.

[modifica] Testa del Filosofo
La Testa del Filosofo, probabilmente un ritratto di Pitagora.
La Testa del Filosofo, probabilmente un ritratto di Pitagora.
Per approfondire, vedi la voce Testa del Filosofo.

Anche la testa del "Filosofo" (450 a.C. - 400 a.C.) è danneggiata per essere stata amputata violentemente da una statua, di cui sono stati recuperati alcuni pezzi, fra i quali c'è anche una mano ossuta da vecchio.

Alla testa manca l'occhio sinistro, mentre il destro conserva l'iride in pasta vitrea; mancano anche alcune ciocche di capelli alla nuca ed un cordone che cingeva la testa come indica la sua traccia visibile sui capelli.

Non essendo disponibile alcuna notizia per identificare il personaggio raffigurato, la testa è stata denominata "Ritratto di Filosofo" prendendo spunto dal corto mantello riconosciuto in uno dei pezzi recuperati fatti con lo stesso materiale di fusione, che costituiva il tipico abbigliamento dei letterati e dei pensatori dell'antica Grecia. Secondo alcuni il ritratto raffigurerebbe Pitagora.

Del "Filosofo" si possono osservare i capelli radi, segno di calvizie avanzata; il naso affilato ed aquilino che si staglia sotto la fronte ossuta ed aggrottata da "pensatore"; i folti baffi che coprono interamente le labbra serrate; e la barba particolarmente lunga ed abbondante.

La testa che esibisce le naturali simmetrie del volto e i segni di una vita vissuta, fu realizzata nella seconda metà del V secolo a.C. superato lo stile Severo dei decenni precedenti. Uno stile che in questo caso orientò il proprio interesse verso quella raffigurazione realistica della figura umana, iniziando una corrente artistica che insieme ad altre belle opere ci ha dato i Bronzi di Riace.

[modifica] Bronzi di Riace

i Bronzi di Riace
i Bronzi di Riace
Per approfondire, vedi la voce Bronzi di Riace.

Il 16 agosto 1972 le due statue conosciute oggi come "I Bronzi di Riace", furono trovate da un subacqueo nelle acque del Mar Ionio, lungo la costa di Riace, in provincia di Reggio Calabria. Dopo il lungo restauro i due Bronzi sono stati collocati nella grande sala a loro riservata, tenuta a clima controllato con l'umidità al 40-50% e la temperatura a 21-23 gradi.

Trovandosi Reggio in una zona altamente sismica, le statue sono state protette da questo pericolo, ponendole singolarmente sopra una struttura antisismica parzialmente interrata nel pavimento che, mentre svolge il compito d'attutire e smorzare le eventuali oscillazioni dovute a scosse telluriche, svolge anche la funzione di piedistallo della statua. Ogni statua è vincolata alla struttura antisismica mediante un'asta d'acciaio verticale che, utilizzando le aperture esistenti nella pianta dei piedi dei Bronzi, sale lungo la gamba destra fino alle spalle dove uno snodo la unisce ad una barra messa orizzontalmente. Questa barra orizzontale, utilizzando la gamba sinistra, è poi collegata mediante cavi d'acciaio alla struttura antisismica di modo che ogni singola statua risulta saldamente ancorata al proprio piedistallo. Nell'occasione del nuovo posizionamento dei due Bronzi, è stata attivata anche una protezione contro eventuali atti vandalici, consistente in un sistema anti-intrusione, basato su telecamere e sensori, che attivano un'invisibile gabbia elettronica d'allarme intorno ad ogni statua.

statua a

Statua A - il Giovane.
Statua A - il Giovane.

La statua A, definita "il giovane" per le fattezze più giovanili se confrontata con l'altra, è una figura maschile nuda, stante, con un'altezza di 2m ed il peso di 190 kg. Lo spessore del bronzo è di circa 8mm. Risulta chiaro che la statua in origine era dotata di scudo ed asta.

Nella parte sinistra della testa manca una ciocca di capelli che lascia vedere una parte d'orecchio che appare già modellata. Considerando che l'orecchio non sarebbe stato visibile senza questo danneggiamento, è stata fatta l'ipotesi di un cambio d'intenzione dell'artista o di una modifica della testa della statua, in tempi successivi, quando possono essere state applicate le ciocche di capelli che hanno coperto l'orecchio. Gli occhi sono privi di pupille; all'avambraccio sinistro vediamo saldato il bracciale a cui era fissato lo scudo.

Questa statua, comunemente conosciuta come "il Giovane", ha le sembianze di un giovane uomo con lo sguardo in atteggiamento di sfida verso un ignoto avversario. Il viso è contornato da una folta barba ricciuta, come ricciuti sono i lunghi capelli che, alla sommità del capo, sono accuratamente definiti. I capelli sono cinti dal segno piatto di una benda. Su questo segno, in origine, era sovrapposto un serto d'elementi vegetali o, forse, una benda d'oro fusa a parte. Le labbra sono in rame, per imitare il colore vero: sono dischiuse e lasciano intravedere i denti, resi con una lamina in argento che, col suo colore bianco, riesce a simulare il colore reale.

[modifica] Statua B
Statua B - il Vecchio.
Statua B - il Vecchio.

La statua B, definita "il vecchio" per le fattezze più mature se confrontata con l'altra, è una figura maschile nuda, stante, con un'altezza di 1,98cm ed il peso di 190 kg. Lo spessore del bronzo è di circa 7mm. Risulta chiaro che la statua in origine era dotata di scudo, asta ed elmo.

Manca l'occhio sinistro e la falangetta al dito indice della mano destra. I capelli appaiono solo a piccole ciocche, tutte intorno al volto e alla nuca. Al loro posto noi vediamo una struttura oblunga, sulla quale l'elmo, fuso a parte, veniva calzato in modo che, comunque, non avrebbe fatto vedere tutti i capelli, anche se fossero stati realizzati. Per tale ragione, delle orecchie, fu modellata solo la parte inferiore perché visibile con l'elmo che, per questa statua, era previsto rialzato sul capo, nella posizione di riposo.

Le braccia, che sappiamo d'altra fusione (quindi, forse, oggi in posizione diversa dal modellato iniziale), sono disposte in modo da tenere, in posizione di riposo, scudo ed asta: nell'avambraccio sinistro, vediamo saldato il bracciale e la piastra a cui era fissato lo scudo. Le mancanze sommatesi, dell'elmo e dell'occhio sinistro, non permettono di percepire pienamente l'animazione che aveva il volto voluto dall'autore. Tale volto (contornato da una fluente e morbida barba) rivela comunque l'età matura del personaggio che, per questa ragione, nel confronto inevitabile con l'altra statua, ha ricevuto il nome convenzionale di "il Vecchio".

[modifica] Note

  1. ^ Data la gran quantità dei reperti, la sezione relativa alla Magna Grecia si trova ripartita su due piani dell'edificio.

[modifica] Bibliografia

  • AAVV. Il Museo Nazionale di Reggio Calabria. Laruffa, Reggio Calabria, 2004. ISBN 882383.
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  • Daniele Castrizio, Maria Rosaria Fascì, Renato G. Laganà. Reggio Città d'Arte.
  • Giulio Iacopi. L'organizzazione del Museo Nazionale di Reggio Calabria (Museo Centrale della Magna Grecia). Estratto da: Almanacco del Turista, 1953.
  • Giuseppe Foti. I bronzi di Riace. Novara, 1985.
  • Giuseppe Foti, Francesco Nicosia. I bronzi di Riace, dal Centro di restauro della Soprintendenza archeologica della Toscana al Museo nazionale di Reggio Calabria. Firenze, Italia grafiche, 1981.
  • Giuseppe Foti. Il Museo nazionale di Reggio Calabria. Napoli, Di Mauro, 1972. BNI 733791.
  • Domenico Laruffa. Il Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria. Reggio Calabria, Laruffa, 2004. ISBN 8872212383.
  • Elena Lattanzi. Il Museo nazionale di Reggio Calabria. Reggio Calabria, Gangemi, 1987. ISBN 8874481845.
  • Elena Lattanzi. Il Museo Nazionale di Reggio Calabria. Memorie della Magna Grecia. Gangemi, Reggio Calabria. ISBN 8874480490.
  • Maria Gulli. The Riace bronzes and the Museo Nazionale of Reggio Calabria. Catanzaro, 1997.
  • Maurizio Harari. A proposito dei Bronzi di Riace. in Athenaeum, 1988.
  • Mario Lupano. Marcello Piacentini. Bari, Laterza, 1991, ISBN 8842038822.
  • Paolo Moreno. I bronzi di Riace, il maestro di Olimpia e i sette a Tebe. Milano, Electa, 1998. ISBN 8843563076.
  • Domenico Musti. Magna Grecia. Bari, Editori Laterza, 205. ISBN 884207585X.
  • Augusto Placanica. Storia della Calabria. Reggio Calabria, Gangemi, 2002. ISBN 8874481586.
  • Gisela Marie Augusta Richter. Kouroi, archaic Greek youths, A study of the development of the kouros type in Greek sculpture. London, The Phaidon press, 1960.
  • C. Sabbione, R. Spadea. Il Museo di Regg­io. 1994.
  • M. Taliercio Mensitieri, E. Spagnoli. Ripostigli dalla Piana lametina nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001.
  • Alessandra Melucco Vaccaro, Giovanna De Palma. I bronzi di Riace, restauro come conoscenza. Roma, Artemide edizioni, 2003. ISBN 8886291736.
  • Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Museo nazionale di Reggio Calabria. Reggio Calabria, Parallelo 38, 1975.
  • Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Due bronzi da Riace, rinvenimento, restauro, analisi ed ipotesi di interpretazione. Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1984.


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