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Gabriele d'Annunzio - Wikipedia

Gabriele d'Annunzio

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

« Io ho quel che ho donato »
(G. D'Annunzio, testamento del Vittoriale degli Italiani)

Gabriele d'Annunzio

Gabriele Rapagnetta D'Annunzio, più conosciuto come Gabriele d'Annunzio (Pescara12 marzo 1863 – Gardone Riviera1 marzo 1938), è stato uno scrittore, poeta e politico italiano, simbolo del decadentismo ed eroe di guerra.

Occupò una posizione preminente nella letteratura italiana a partire dal 1889 e nella vita politica dell'Italia dal 1914, fino alla sua morte. Fu un personaggio eccentrico, eclettico ed insieme geniale che ebbe grande considerazione intellettuale e ancor maggiore seguito popolare, per le sue opere e per le sue imprese.

Indice

[modifica] Biografia

[modifica] Gli anni di formazione

Gabriele d'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863, figlio di Francesco Paolo Rapagnetta D'Annunzio e di Luisa de Benedictis. Terzo di cinque fratelli (Anna, Elvira, Ernesta, Antonio) visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Della madre erediterà la fine sensibilità, del padre il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti, cosa che portò la famiglia da una condizione agiata ad una difficile situazione economica. Forse per motivi estetici o fonetici, Gabriele nascose sempre il primo cognome "Rapagnetta", firmando ogni sua opera come "Gabriele d'Annunzio", questo si pensa che sia dovuto anche al difficile rapporto col padre di cui rinnegava in parte il cognome.

Non tardò a manifestare una personalità priva di complessi e inibizioni, portata al confronto competitivo con la realtà. Una testimonianza ne è la lettera che, ancor sedicenne (1879), scrisse a Giosuè Carducci, mentre frequentava il liceo al prestigioso istituto Cicognini di Prato. All'epoca Carducci era il più rinomato poeta italiano e godeva di grande fama nella neonata Italia. Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima raccolta di poesie del giovane studente, "Primo vere". In breve tempo ne nacque quello che sarebbe poi diventato il "fenomeno dannunziano".

Accompagnato da un'entusiastica recensione critica sulla rivista romana «Fanfulla della Domenica», il successo del libro venne gonfiato dallo stesso d'Annunzio che fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l'effetto, insieme alle successive smentite, di richiamare l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio da leggenda. Dopo aver concluso gli studi liceali presso il Liceo Classico G.B.Vico di Chieti, giunse a Roma nel 1881, con una notorietà che andava crescendo. A Roma condusse una vita sontuosa, ricca di amori e avventure, senza portare a termine gli studi.

In breve tempo divenne una figura di primo piano della vita culturale e mondana romana. D'Annunzio costruì questo precoce successo collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e orchestrando spettacolari iniziative pubblicitarie intorno alle sue opere.

[modifica] Il periodo romano

Gabriele D'Annunzio
Gabriele D'Annunzio

I dieci anni trascorsi nella capitale (1881-1891) furono decisivi per la formazione dello stile comunicativo di d'Annunzio, e nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano della città si formò quello che possiamo definire il nucleo centrale della sua visione del mondo. L'accoglienza nella città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese (Edoardo Scarfoglio, Francesco Paolo Michetti, Francesco Paolo Tosti, Pasquale Masciantonio, ecc.) che fece parlare in seguito di una "Roma bizantina".

La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante - ancora molto lontano dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee -, una novità "barbarica" eccitante e trasgressiva; d'Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa opposizione "centro-periferia" "natura-cultura" offriva alle attese di lettori desiderosi di novità.

Attratto alla frequentazione della Roma "bene" dal suo gusto per l'esibizione della bellezza e del lusso, D'Annunzio si era dovuto adattare al lavoro giornalistico soprattutto per esigenze economiche; infatti nel 1883 aveva dovuto sposare, con un "matrimonio di riparazione" nella cappella di Palazzo Altemps a Roma, Maria Hardouin duchessa di Gallese, da cui ebbe tre figli (Mario, Gabriellino e Veniero). Ma le esperienze per lui decisive furono quelle trasfigurate negli eleganti e ricercati resoconti giornalistici. In questo rito di iniziazione letteraria egli mise rapidamente "a fuoco" il proprio mondo di riferimento culturale, nel quale si immedesimò fino a trasfondervi tutte le sue energie creative ed emotive.

Si può quindi parlare, tanto nelle opere quanto nella vita di d'Annunzio, di una idealizzazione del mondo, che viene ad essere circoscritto nella dimensione del mito; la sua fantasia lottò prepotentemente per imporre sulla realtà del presente, vissuto con disprezzo, i valori "alti" ed "eterni" di un passato visto come modello assoluto di vita e di bellezza.


Uno dei risultati più impressionanti della sua apparizione nel mondo letterario, consolidatasi con la pubblicazione del primo romanzo Il Piacere nel 1889, fu la creazione di un vero e proprio "pubblico dannunziano", condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica, un vero e proprio star system, che lo scrittore costruì attorno alla propria immagine. Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa. Tra il 1891 e il 1893 d'Annunzio visse a Napoli. Qui compose il suo secondo romanzo, L'innocente, seguito dal Trionfo della morte e dalle liriche del Poema paradisiaco. Sempre di questo periodo è il suo primo approccio agli scritti di Nietzsche, che vennero parzialmente fraintesi, sebbene ebbero l'effetto di liberare la produzione letteraria di d'Annunzio da certi residui moralistici ed etici. Tra il 1893 e il 1897 d'Annunzio intraprese un'esistenza più movimentata che lo condusse dapprima nella sua terra d'origine e poi ad un lungo viaggio in Grecia.

Nel 1897 volle provare l'esperienza politica, vivendo anch'essa, come tutto il resto, in un modo soggettivo e clamoroso: eletto deputato della destra, passò quasi subito, con la famosa e tutta dannunziana affermazione "vado verso la vita", nelle file della sinistra. Sempre nel '97 conobbe la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe inizio la "stagione" centrale della sua vita. Per vivere accanto alla sua nuova compagna, d'Annunzio si trasferì nei dintorni di Firenze, a Settignano, dove affittò la villa "La Capponcina", trasformandola in un monumento del gusto estetico decadente.

[modifica] L'esilio volontario in Francia

Il periodo dei successi si chiuse nel 1910 con una fuga in Francia: già da tempo la follia dissipatrice del poeta aveva accumulato una serie di creditori; e l'unico modo per evitarli era diventato oramai la fuga dall'Italia. L'arredamento della villa fu messo all'asta e D'Annunzio non rientrò in Italia fino allo scoppio della guerra, nel 1915.

A Parigi D'Annunzio era già una celebrità (all'epoca era già stato tradotto in Francia da Georges Hérelle). Ciò gli permise di mantenere sostanzialmente inalterato il suo stile di vita (continuò a contrarre debiti, a dissipare danaro e a coltivare amicizie femminili), anche grazie ai prestiti che gli concessero alcuni giornali (il Corriere della Sera in specialmodo). Pur lontano dall'Italia, d'Annunzio collaborò al dibattito politico dell'Italia prebellica. Nel 1910 Enrico Corradini organizzò l'Associazione nazionalista italiana. D'Annunzio aderì a questo progetto, opponendosi all' "Italietta meschina e pacifista" e inneggiando a una nazione dominata dalla volontà di potenza.

Dopo il periodo parigino, si ritirò ad Arcachon, sulla costa Atlantica, dove si diede soprattutto all'attività letteraria in collaborazione con musicisti di successo (Mascagni, Debussy,...).

[modifica] La Prima guerra mondiale e il D'Annunzio fiumano

Incontro tra Mussolini e D'Annunzio
Incontro tra Mussolini e D'Annunzio

Rifiutata la cattedra di letteratura italiana che era stata di Giovanni Pascoli, partecipò come volontario alla Prima guerra mondiale con alcune azioni dimostrative navali ed aeree e il volo su Vienna.

Nel 1915 ritornò in Italia, conducendo da subito una intensa propaganda interventista. Il discorso celebrativo che D'Annunzio pronuncia a Quarto (4 maggio 1915) suscita entusiastiche manifestazioni interventiste. D'Annunzio si arruola volontario.

Nel gennaio del 1916, costretto a un atterraggio d'emergenza subì una lesione all'altezza della tempia e dell'arcata sopraccigliare, sbattendo contro la mitragliatrice del suo aereo. Non curò la ferita per un mese perdendo un occhio. Visse così un periodo di convalescenza, durante il quale fu assistito dalla figlia Renata. Ma ben presto tornò in guerra. Contro i consigli dei medici, continuò a partecipare ad azioni belliche aeree e di terra. In quel periodo compose "Notturno" utilizzando delle sottili strisce di carta che gli permettevano di scrivere nella più completa oscurità, necessaria per la convalescenza dalla ferita che l'aveva temporaneamente accecato. L' opera venne pubblicata nel 1921 e contiene una serie di ricordi e di osservazioni.

Nel 1919 organizzò un clamoroso colpo di mano para-militare, guidando una spedizione di "legionari" all'occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto d'Annunzio raggiunse l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale - "immaginifico" e politico.

Al volgere della guerra, d'Annunzio si fa portatore di un vasto malcontento, insistendo sul tema della "vittoria mutilata" e chiedendo, in sintonia con una serie di voci della società e della politica italiana, il rinnovamento della classe dirigente in Italia. Questo vasto malcontento, trovò ben presto il suo portavoce e capo carismatico in un volto nuovo della politica italiana: Benito Mussolini. L'11 e 12 settembre 1919, la crisi di Fiume. La città, occupata dalle truppe alleate, aveva chiesto d'essere annessa all'Italia. D'Annunzio con una colonna di volontari occupa Fiume e vi instaura il comando del "Quarnaro liberato". Il 12 novembre 1920 viene stipulato il Trattato di Rapallo: Fiume diventa città libera, Zara passa all'Italia. Ma d'Annunzio non accettò l'accordo e il governo italiano fece sgomberare i legionari con la forza.

[modifica] Gli ultimi anni. L'esilio a Gardone Riviera

Costretto a ritirarsi, d'Annunzio si "esiliò", con un gesto altrettanto carico di significati retorici, in un'esistenza solitaria nella sua villa di Gardone Riviera - il Vittoriale degli Italiani. Qui lavorò e visse fino alla morte, avvenuta nel 1938, curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituiva il momento di attrazione centrale. Dopo la scrittura e la voce, egli dunque scelse il silenzio del mistero per delimitare i confini del "proprio mondo"; e mai un possessivo fu più adeguato per indicare una visione della vita così egocentrica e assoluta. Non avendo più strumenti comunicativi adatti alla realtà, D'Annunzio trovò in quel silenzio l'unica possibilità in grado di mantenere in vita il proprio personaggio. Il regime non fece mai conoscere la causa della morte di d'Annunzio. Dopo il ventennio si fece strada la storia che il poeta fosse stato ucciso dal suo pianista spingendolo fuori dalla finestra.[1] Il certificato medico di morte, redatto dal dottor Alberto Cesari, primario dell’ospedale di Salò, e dal dottor Antonio Duse, medico curante del poeta, reca come causa (naturale) del decesso "emorragia cerebrale."[2] Qualcuno ha avanzato l'ipotesi che D'Annunzio possa essersi accidentalmente avvelenato con uno dei farmaci che usava per curare numerose malattie psicosomatiche e nevrosi che lo affliggevano, o che, affascinato dall'idea del suicidio (nel Libro Segreto si legge un elogio del suicidio, da lui considerato una atto degno di un uomo coraggioso) possa averlo fatto volontariamente, magari come l'ultimo atto della sua concezione di vita: il poeta fu trovato con la testa appoggiata su un almanacco "Barbanera" che annunciava, nel lunario, per il 1 marzo 1938, la morte di una personalità, e la previsione era sottolineata in rosso. Tutto questo sarebbe stato occultato da Mussolini e dai gerarchi che intendevano trasformare la cerimonia religiosa (che altrimenti non sarebbe stata concessa ad un suicida) del funerale, come avvenne, in una grande occasione di celebrazione per il regime.[3]

[modifica] Curiosità

  • Prima della pubblicazione della seconda edizione di Primo Vere (1879), prima raccolta di poesie sull'esempio carducciano, lo stesso poeta sparse la notizia della propria morte. Raccolse così le condoglianze ed i pensieri dei grandi critici del suo tempo, affranti dalla morte di quello che consideravano in prospettiva uno dei nuovi grandi poeti. Fu la prima, grande trovata pubblicitaria del Vate.
  • Le Laudi dovevano essere composte da un totale di sette libri, come il numero delle Pleiadi dalle quali ciascun libro prende il suo nome. Ma d'Annunzio non completò l'opera, come non completò diversi cicli che aveva immaginato ma solo iniziato. L'unico completo è infatti il Ciclo della rosa, composto da tre romanzi: "Il Piacere", "L'Innocente", "Trionfo della Morte". Il Ciclo del giglio avrebbe dovuto comprendere altri due romanzi ed è invece rimasto fermo solo al primo, ossia "Le Vergini delle Rocce"; anche il ciclo del Melogramo è incompleto e ne è stato scritto solo "Il Fuoco".
  • Nel 1886, d'Annunzio pubblicò "Isaotta Guttadauro ed altre poesie". Sul Corriere di Roma, Edoardo Scarfoglio (poeta, marito di Matilde Serao) ne fece una parodia, intitolata "Risaotta al Pomodauro". Ciò suscitò le ire di D'Annunzio, che sfidò a duello Scarfoglio. D'Annunzio ne uscì con una ferita alla mano.
  • Nel periodo in cui lavorava come giornalista a Roma, D'Annunzio si firmava sotto lo pseudonimo di Duca Minimo.
  • D'Annunzio e Giovanni Pascoli, l'altro grande poeta del Decadentismo italiano, si conoscevano personalmente, e, benché caratterialmente e artisticamente molto diversi, il Vate stimava il collega e recensì positivamente le liriche pascoliane e Pascoli considerava D'Annunzio come il suo fratello minore maggiore. Alla morte del Pascoli (1912) D'Annunzio gli dedicò l'opera Contemplazione della morte.
  • L'uso dell'olio di ricino come strumento di tortura, impiegato successivamente dal fascismo, fu ideato da d'Annunzio durante l'occupazione di Fiume.[4][5]
  • La costruzione della strada litoranea Gargnano-Riva del Garda (1929-1931) fu fortemente voluta da D'Annunzio che se ne interessò personalmente. La strada, progettata e realizzata dall'Ing. Riccardo Cozzaglio, segnò il termine del secolare isolamento di alcuni paesi del Lago di Garda e fu poi classificata di interesse nazionale con il nome di Strada Statale 45bis Gardesana Occidentale. Lo stesso D'Annunzio, presente all'inaugurazione della strada, la battezzò con il nome di Meandro per via della sua tortuosità e dell'alternarsi delle buie gallerie e del lago azzurro.

[modifica] Opere

[modifica] Romanzi

[modifica] Racconti

  • Terra vergine (1882)
  • Il libro delle Vergini (1884)
  • San Pantaleone (1886)
  • I violenti (1892)
  • Le novelle della Pescara - 18 novelle provenienti dalle raccolte precedenti (1 dal libro delle Vergini; 15 dal San Pantaleone; 2 da I violenti) (1902)

[modifica] Opere teatrali

  • Sogno d'un mattino di primavera (1897)
  • Sogno d'un tramonto d'autunno (1897)
  • La Gloria (1899)
  • Più che l'amore (1906)
  • Le Chèvrefeuille (1910)
  • Il ferro (1910)
  • Le martyre de Saint Sébastien (1911)
  • Parisina (1912)
  • La Pisanelle (1913)

[modifica] Tragedie

[modifica] Poesia (raccolte e canti)

  • Primo vere (1879)
  • Canto novo (1882)
  • Poema paradisiaco (1893)
  • I cinque libri delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi, scritti fra il 1903 ed il 1912:

[modifica] Opere autobiografiche

  • La Leda senza cigno
  • Notturno
  • Le faville del maglio
  • Le cento e cento e cento e cento pagine del Libro Segreto di Gabriele d'Annunzio tentato di morire o Libro Segreto (l'autore di questo libro è Angelo Cocles, il "nunzio orbo" alter ego del poeta dopo l'incidente aereo)

[modifica] Epistolari

  • Solus ad solam (postumo)

[modifica] Poligrafia e versatilità dell'opera dannunziana

[modifica] D'Annunzio e il cinema

[modifica] Il caso "Cabiria"

In realtà Cabiria di Pastrone era ispirata al salgariano "Cartagine in fiamme". D'annunzio stesso vide un insulto alla sua grandezza letteraria la scoperta da parte del publbico del suo adattamento per il cinema il testo di uno scrittore popolare.

Giovanni Pastrone fu il regista di Cabiria (1912), primo grande kolossal del cinema delle origini. La paternità del film venne attribuita, per anni, a Gabriele d'Annunzio. Ma fu lo stesso Pastrone a pagare il poeta perché questo si prendesse il merito anche della regia, oltre che della sceneggiatura e delle cosiddette "didascalie vergate" che costituivano il soggetto. L'opera cinematografica, che si ispira a Salammbô di Flaubert, si avvalse delle locandine di Leopoldo Metlicovitz, il più grande cartellonista vivente a quel tempo, e delle musiche del maestro Ildebrando Pizzetti, che diresse oltre settanta musicisti. La pellicola originale durava tre ore e vede la prima apparizione di Maciste, pura creazione superomistica dannunziana. Infatti come dimostrato dallo scrittore e critico letterario Emanuele Podestà, si possono trovare diverse analogie tra Cabiria e Terra Vergine (1882), raccolta di racconti giovanili dannunziani.

[modifica] D'Annunzio pubblicitario

D'Annunzio fu un grande pubblicitario e coniatore di neologismi. Fu lui a privilegiare in Italia, tra le tante varianti che allora si usavano, la parola "automobile", in origine di genere maschile.

  • Anche il nome de La Rinascente, per gli omonimi attuali grandi magazzini di Milano, fu suggerito da Gabriele d'Annunzio. I magazzini, originariamente chiamati " magazzini Bocconi" furono distrutti da un incendio che ne bloccò per un certo periodo l'attività. In occasione della riapertura, l'esercizio commerciale venne ribattezzato La Rinascente.
  • Per la famiglia di industriali Caproni, pionieri del volo, coniò il motto, scritto sopra a un caprone rampante: "Senza cozzar dirocco".

La poetessa cilena Gabriela Mistral prese questo pseudonimo in onore dei suoi due poeti preferiti, Frédéric Mistral e Gabriele d'Annunzio, appunto. D'Annunzio fu testimonial dell'Amaro Montenegro e dell' Amaretto di Saronno . D'Annunzio lanciò una propria linea di profumi, l'Acqua Nunzia. È d'Annunzio ad aver coniato il nome Saiwa per la famosa azienda di biscotti. D'Annunzio italianizzò il sandwich chiamandolo tramezzino. Velivolo e folla oceanica sono espressioni che introdusse lo stesso Vate. Fu sempre d'Annunzio a battezzare Liala la scrittrice Amalia Negretti Odescalchi: "Ti chiamerò Liala perché ci sia sempre un'ala nel tuo nome". D'Annunzio coniò inoltre il termine "fraglia", unione dei termini "fratellanza" e "famiglia", che indica oggi molte associazioni veliche, tra cui la Fraglia della Vela di Riva del Garda.

[modifica] Fortuna letteraria e critica

Se da un lato la fama di D'Annunzio è rimasta costante, dall'altro la sua fortuna critica ha avuto vicende alterne. Come si è visto nella biografia, dopo il successo precoce (1879-1889) D'Annunzio divenne uno scrittore affermato.

Tra il 1890 e il 1924 la sua fama man mano aumentò. Il grosso del suo operato è da collocarsi in questo periodo. Tra il 1924 e il 1938 la sua attività subì una calo, sebbene fino alla fine della Seconda guerra mondiale D'Annunzio fu un vero e proprio titano nel panorama della letteratura italiana. In questo periodo si affermò il mito del poeta della Nazione.

Dopo il 1945 tutto D'Annunzio venne man mano ridimensionato: D'Annunzio all'indomani della Seconda guerra mondiale veniva a rappresentare un mito nazionale legato del Ventennio e dai forti legami col fascismo. In un certo periodo, esaltarlo voleva dire fare dell'apologia del fascismo; svalutarlo totalmente equivaleva a fare dell'oscurantismo politico o del revisionismo storico. Di qui anche la scissione tra il D'Annunzio-letterato e il D'Annunzio-politico[6]. E se dell'uomo politico è la storia ad occuparsi, del letterato sono stati messi in ombra l'attivismo politico, il vitalismo, l'avanguardismo e il ribellismo. Ne è stata invece sottolineata la produzione di sapore intimistico e notturno, come appunto i "Notturni"; episodi di poesia sensistica e dal linguaggio analogico, come le "Laudi"; alcuni romanzi, come il "Piacere".

Negli anni '90, in Europa la critica letteraria ha rivalutato (in toto o in parte) alcuni personaggi che fino ad allora avevano avuto poca fortuna. In questo processo si può far rientrare anche D'Annunzio.

[modifica] Estetica e pensiero dannunziano

[modifica] Le fonti dell'immaginario dannunziano: le letture e gli amori

Alcune volte la fortuna di cui un autore gode è il frutto di scelte consapevoli, di una capacità strategica di collocarsi nel centro di un sistema culturale che possa garantirgli le migliori opportunità che il suo tempo ha da offrirgli. D'Annunzio aveva cominciato a "immaginarsi" poeta leggendo Giosuè Carducci negli anni del liceo; ma la sua sensibilità per la trasgressione e il successo dal 1885 lo portò ad abbandonare un modello come quello carducciano, già provinciale e superato in confronto a quanto si scriveva e si dibatteva in Francia, culla delle più avanzate correnti di avanguardia - Decadentismo e Simbolismo. Il suo giornale gli assicurava l'arrivo di tutte le riviste letterarie parigine, e attraverso i dibattiti e le recensioni in esse contenuti, d'Annunzio poté programmare le proprie letture cogliendo i momenti culminanti dell'evoluzione letteraria del tempo.

Fu così che conobbe Théophile Gautier, Guy de Maupassant, Max Nordau e soprattutto Joris-Karl Huysmans, il cui romanzo "À rebours" costituì il manifesto europeo dell'estetismo decadente. In un senso più generale, le scelte di d'Annunzio furono condizionate da un utilitarismo che lo spinse non verso ciò che poteva rappresentare un modello di valore "alto", ideale, assoluto, ma verso ciò che si prestava a un riuso immediato e spregiudicato, alla luce di quelli che erano i suoi obiettivi di successo economico e mondano.

D'Annunzio non esitava a "saccheggiare" ciò che colpiva la sua immaginazione e che conteneva quegli elementi utili a soddisfare il gusto borghese ed elitario insieme del "suo pubblico". D'altronde, a dimostrazione del carattere unitario del "mondo dannunziano", è significativo il fatto che egli usò nello stesso modo anche il pensiero filosofico.

Gli autori contemporanei più letti in Europa negli Anni 1880 e 1890 furono senza dubbio Schopenhauer e Nietzsche; da essi lo scrittore trasse non più che spunti e motivi per nutrire un universo di sentimenti e valori che appartenevano già a lui da sempre, e che facevano parte dell'atmosfera culturale che si respirava in un continente agitato da venti di crisi nazionalistiche, preannunzio della Grande guerra. La scelta di nuovi modelli narrativi e soprattutto linguistici - elemento questo fondamentale nella produzione dannunziana - comportò anche, e forse soprattutto, l'attenzione verso nuove ideologie. Ciò favorì lo spostamento del significato educativo e formativo che la cultura positivista aveva attribuito alla figura dello scienziato verso quella dell'artista, diventato il vero "uomo rappresentativo" di fine ottocento - primo novecento: "è più l'artista che fonde i termini che sembrano escludersi: sintetizzare il suo tempo, non fermarsi alla formula, ma creare la vita".

Spregiudicatezza e narcisismo, slanci sentimentali e calcolo furono alla base anche dei rapporti di d'Annunzio con le numerose donne della sua vita. Quella che sicuramente più di ogni altra rappresentò per lo scrittore un nodo intricato di affetti, pulsioni e di artificiose opportunità fu Eleonora Duse, l'attrice di fama internazionale con cui egli si legò dal 1898 al 1901. Non c'è dubbio infatti che a questo nuovo legame debba essere fatto risalire il suo nuovo interesse verso il teatro e la produzione drammaturgica in prosa (Sogno di un mattino di primavera, La città morta, Sogno di un tramonto d'autunno, La Gioconda, La gloria) e in versi (Francesca da Rimini, La figlia di Jorio, La fiaccola sotto il moggio, La nave e Fedra). In quegli stessi anni, la terra toscana ispirò al poeta la vita del "signore del Rinascimento fra cani, cavalli e belli arredi", e una produzione letteraria che rappresenta il punto più alto raggiunto da d'Annunzio nel repertorio poetico.

Nei cinque libri delle Laudi, che costituiscono l'opera poetica più nota e famosa di d'Annunzio, viene sviluppato il concetto di Superomismo. Sembra un'eccezione l'Alcyone, in cui si riflettono i momenti più felici della sua panica immersione nel paesaggio fiorentino e versiliese e in cui apre la strada al periodo del Notturno,ma questa fusione panica non è in contrasto con le ideologie dei due precedenti libri, infatti la fusione panica può essere raggiunta solo dal superuomo perché lui è la creatura superiore. L' Alcyone è considerato dalla critica il più autentico di tutto il materiale dannunziano. Un'esistenza segnata, per altro verso, da quell'edonismo sperperatore di cui parlavamo a proposito dell'impronta ricevuta dal padre; incurante della realtà e dei sentimenti altrui, d'Annunzio oscillò tra Firenze e la Versilia curando le proprie pubblicazioni, che non erano comunque sufficienti a coprire le spese del suo esagerato tenore di vita, e intrecciando ripetuti rapporti sentimentali con diverse donne.

[modifica] Il rapporto tra "mondo" e codice. Guerra e retorica

Francobollo di Fiume con ritratto di d'Annunzio (1920).
Francobollo di Fiume con ritratto di d'Annunzio (1920).

Nei cinque anni che d'Annunzio trascorse in Francia, compose libretti d'opera ("Le martyre de Saint Sèbastien" per la musica di Claude Débussy), soggetti per film ("Cabiria" di Pastrone) e inviò al «Corriere della sera» prose d'invenzione e di ricordo (tra cui l'opera in versi per la celebrazione della guerra di Libia). In quelli che furono gli anni immediatamente precedenti il conflitto mondiale, in tutta Europa e soprattutto in Italia si diffusero nel gusto e nella mentalità collettiva quei contenuti politico-ideologici di carattere superomistico che avevano avuto origine nell'attività artistica delle avanguardie e sulle riviste letterarie. Fu un fenomeno di massa che lo stesso D'Annunzio aveva contribuito a creare; un processo che si avvalse, per la prima volta in modo sistematico, dei mezzi di comunicazione di massa, così adatti a diffondere contenuti emotivi e irrazionali per il prevalere della retorica che sottostà ai loro particolari codici comunicativi. Il "mito di Roma" e nazionalistico in generale divenne un'arma politica sfrenata per una battaglia in cui le parole avevano il preciso scopo di offendere e colpire. Una retorica che D'Annunzio riuscì sempre a mantenere nel sistema dei mass media, dando ad essa tuttavia l'apparenza di un modello espressivo elitario. Un'intuizione, questa, che anticipò lo stile della propaganda fascista. L'"uso" della parola nella produzione dannunziana seguì un'evoluzione estremamente particolare, la cui descrizione viene a coincidere perfettamente da un lato col carattere dell'"uomo" d'Annunzio, dall'altro con gli aspetti più concreti del mondo che egli contribuì a edificare. Il piacere fisico e gestuale della parola ricercata, della sonorità quasi fine a sé stessa, della materialità del suono come aspetto della sensualità, aveva già caratterizzato la poetica delle "Laudi"; ma con l'opera teatrale d'Annunzio aveva successivamente maturato uno stile retorico-linguistico il cui scopo era conquistare fisicamente il pubblico in un rapporto sempre più diretto e meno letterario. Questo cammino, che con la guerra sfociò nell'oratoria politica, testimonia di un atteggiamento carismatico e mistico che si fece quasi parossistico, in una vera e propria escalation narcisistica. L'abbandono della prosa letteraria e l'immersione nel rito collettivo della guerra fu un vero e proprio tentativo di conquistare la folla, sia per dominarla che per annullarsi in essa in quella comunione totale tra capo (Duce) e popolo che si manifestò nell'immaginario collettivo italiano, dagli anni della propaganda interventista a buona parte del ventennio fascista. Il poeta non si appagava più dell'usuale effetto d'una comunicazione elettrica stabilita tra il dicitore e l'uditorio" che caratterizza il proprio teatro; egli cercava "l'incarnazione" della parola, "l'incantesimo" che prende forza dal "contatto" con un'"umanità agglomerata e palpitante".

[modifica] I motti

Tra le altre cose, D'Annunzio coniò una serie di motti incisivi (circa ottanta). Alcuni di questi divennero celebri, anche per il loro legame con gli eventi storici. Si possono grossolanamente riunire nelle seguenti categorie:

[modifica] Motti di guerra

[modifica] Memento Audēre Semper (ricorda di osare sempre)
La scritta "Memento Audere Semper" posta sull'edificio del Vittoriale che ospita il MAS 96 usato da Gabriele d'Annunzio durante la Beffa di Buccari.
La scritta "Memento Audere Semper" posta sull'edificio del Vittoriale che ospita il MAS 96 usato da Gabriele d'Annunzio durante la Beffa di Buccari.

Forse il motto più famoso, nasce utilizzando le medesime iniziali della sigla M.A.S. (motoscafo armato silurante) con cui d'Annunzio fu protagonista della leggendaria Beffa di Buccari nella notte fra il 10 e l'11 febbraio 1918. Evidente, in questo motto, il concetto sempre caro al Vate dell'osare a ogni costo. L'illustrazione mostra una mano affiorante dalle onde e che, chiusa a pugno, stringe un serto di alloro.

[modifica] Semper Adamas (sempre adamantino, duro come il diamante)

Questo motto, illustrato come moltissimi altri da Adolfo de Carolis, fu destinato alla Prima Squadriglia Navale. L'illustrazione mostra un braccio nudo che, levato orizzontalmente e con il dito puntato, si leva fra le fiamme. In calce la dicitura il Comandante.

[modifica] Cominus et Neminus Ferit (da lontano e da vicino ferisce)

Anche questo motto fu illustrato da Adolfo de Carolis e fu ideato per decorare gli aerei della Squadra della Comina, squadriglia di aviatori dediti ad azioni particolarmente rischiose. Nell'illustrazione un'aquila ad ali spiegate e nella posizione di attacco scocca fulmini da sotto le ali.

[modifica] Eja, eja, eja, alalà

Grido di guerra suggerito da D'Annunzio al posto del "barbarico" hip, hip, urrà! durante una cena alla mensa del Campo della Comina, nella notte del 7 agosto 1918. Il giorno seguente gli aviatori ebbero ciascuno una bandierina di seta tricolore su cui il Vate scrisse di suo pugno il nuovo grido di battaglia, con la data e la firma. Divenne presto di uso comune e dopo la guerra fu ripreso dalla propaganda fascista. Il grido ha origini classiche. L'eja o heja è una parola greca, usata da Eschilo e anche da Platone; inoltre si diffuse nel Medio Evo e cantato dai Crociati. L'alalà (in greco alalazo), è un grido di guerra o di caccia, usato da Pindaro e da Euripide, si trova anche nel Carducci e nel Pascoli.

[modifica] Motti di Fiume


[modifica] Hic manebimus optime (qui staremo benissimo)

Mutuato da Tito Livio, divenne il principale motto dei Legionari, riprodotto anche nella medaglia a ricordo dell'impresa di Fiume.

[modifica] Cosa fatta capo ha

Il motto, frase attribuita a Mosca dei Lamberti, fu adottato dopo che d'Annunzio prese, a capo di un gruppo di Arditi, la città di Fiume. Nell'illustrazione alcune mani stringono dei pugnali neri.

[modifica] Immotus nec Iners (fermo ma non inerte)

La frase è di Orazio ed orna, come motto, lo stemma nobiliare di "Principe di Monte Nevoso"; lo stemma fu dipinto da Guido Marussig; il titolo di principe fu concesso a d'Annunzio dal Re d'Italia su iniziativa di Mussolini il 15 marzo 1924, dopo la definitiva annessione di Fiume all'Italia. Sembra evidente come la scelta di questo motto avesse un intento dichiaratamente polemico con lo stesso Duce. Nella raffigurazione, si vede la cima di un monte coperta di neve e sovrastata dalla costellazione dell'Orsa Maggiore.

[modifica] Me ne frego
« La mia gente non ha paura di nulla, nemmeno delle parole »
(Gabriele d'Annunzio)

Un motto "crudo" come lo definì lo stesso poeta tratto dal dialetto romanesco. Il motto apparve per la prima volta nei manifesti lanciati dagli aviatori del Carnaro su Trieste. Il motto era ricamato in oro al centro del gagliardetto azzurro dei legionari fiumani. In seguito venne utilizzato dalle Squadre d'azione fasciste.

[modifica] Motti di casata

[modifica] Senza cozzar dirocco

Lo suggerì d'Annunzio per lo stemma della famiglia Caproni, industriali milanesi e pionieri dell'aviazione italiana. I Caproni non erano nobili, ma - come era uso all'epoca tra le famiglie di industriali di successo - aveva deciso di dotarsi di uno stemma. Oltre al motto, lo stemma riportava l'effige di un caprone rampante.

[modifica] Collegamenti e note

[modifica] Bibliografia essenziale

In vita, l'opera dannunziana fu gestita dall'editore Emilio Treves. L'opus completo è stato pubblicato, in 48 volumi, dalla Mondadori e curato dallo stesso d'Annunzio tra il 1927 e il 1936. Poi lo stesso progetto è stato ripubblicato dalla Mondadori in 9 volumi (1939-1976).

Chi fosse interessato ad un approfondimento più diretto e dettagliato, potrebbe fare riferimento alla Fondazione del Vittoriale, o ai maggiori critici, biografi e specialisti che si sono occupati di d'Annunzio, come Benedetto Croce, Federico Flora, Piero Chiara, John Woodhouse, Annamaria Andreoli, Pietro Gibellini, Gianni Turchetta, Niva Lorenzini, Benigno Palmerio, Mario Praz, Pier Vincenzo Mengaldo, Piero Nardi, Enzo Palmieri, Piero Buscaroli, Mario Vecchioni.

Numerose riviste raccolgono ormai da numerosi anni apporti critici, articoli e saggi sull'opera e la figura di Gabriele d'Annunzio. La più incisiva risulta essere la rivita semestrale di critica "Rassegna dannunziana", ormai al suo venticinquesimo anno, a cura del Centro Nazionale di Studi dannunziani di Pescara. Fra i nomi che compongono il comitato di redazione troviamo Giorgio Bárberi Squarotti, Pietro Gibellini, Vito Moretti, Geno Pampaloni, Giuseppe Papponetti e Edoardo Tiboni. L'uscita del numero 25 (ottobre 2007), in occasione del 25° anno dalla fondazione, vede gli apporti di:

  • Franco Di Tizio, Antonino Liberi e d'Annunzio, (carteggio inedito 1909 - 1914).
  • Tania Di Michele, Le aquile di Brozzi sul ponte Littorio di Pescara.
  • Matteo Tuveri, Da d'Annunzio a Cioran: percorsi letterari di Elisabetta d'Austria-Ungheria.

Si vedano inoltre:

  • Annamaria Andreoli, Onde d'inchiostro. Marconi, D'Annunzio: storia di un'amicizia, Editore Abacus, 2004.
  • D’Annunzio e Trieste nel centenario del primo volo aereo, a cura di Annamaria Andreoli, Roma, De Luca editori d’arte, 2003, pp. 57-88.
  • Annamaria Andreoli, D'Annunzio, Firenze, La Nuova Italia, 1985
  • Francesca Mulas, D'Annunzio, Scarfoglio, Pascarella e la Sardegna, Biblioteca di Sardegna, Cargeghe, 2007

Tuttavia, come si può facilmente intuire, la lista di testi e studiosi di e su d'Annunzio è molto più corposa.

[modifica] Note

  1. ^ Alberto Licandro, [1]
  2. ^ http://digilander.libero.it/biblioego/dannunzio.htm
  3. ^ Attilio Mazza, D'Annunzio sciamano, edizioni Bietti
  4. ^ (EN) Cecil Adams, Did Mussolini use castor oil as an instrument of torture?, The Straight Dope, 22 aprile 1994
  5. ^ (EN) Richard Doody, Stati Libero di Fiume - Free State of Fiume, The World At War
  6. ^ Pasolini Pier Paolo, Dialoghi, Roma, Editori Riuniti, 1992. Pp. 153-157; 178-187; et al.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni

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