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La Gioconda - Wikipedia

La Gioconda

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La Gioconda

Copertina del primo libretto della Gioconda
Titolo originale:
Lingua originale: italiano
Genere: Grande opera
Musica: Amilcare Ponchielli
Libretto: Arrigo Boito
(libretto online)
Fonti letterarie: Victor Hugo, Angelo, tyran de Padoue
Atti: quattro
Epoca di composizione:
Prima rappresentazione: 8 aprile 1876
Teatro: Teatro alla Scala, Milano
Prima rappresentazione italiana: {{{primaitaliana}}}
Teatro: {{{teatroprimaitaliana}}}
Versioni successive:
Personaggi:
  • La Gioconda, cantatrice (soprano)
  • Laura Adorno, genovese, moglie di (mezzosoprano)
  • Alvise Badoero, uno dei capi dell'Inquisizione di stato (basso)
  • La Cieca, madre della Gioconda (contralto)
  • Enzo Grimaldo, principe genovese (tenore)
  • Barnaba, cantastorie (baritono)
  • Zuàne, regatante (basso)
  • Un cantore (basso)
  • Isèpo, scrivano pubblico (tenore)
  • Un pilota (basso)
  • Barnabotti - Arsenalotti - Senatori - Pregadi - Gentiluomini - Gentildonne - Maschere (arlecchini, pantaloni, bautte) - Popolo - Marinai - Mozzi - Monaci de' Frari - Cavalieri della compagnia della calza - Cantori (coro)
  • Mazzieri - Scudieri - Scherani - Trombettieri - Dalmati - Mori - Il cancellier grande - Un regatante - Il consiglio dei dieci - Sei caudatari - Un nostromo - Un mastro delle vele - Un servo moro - Il doge (comparse)
Autografo: Milano, Archivio Ricordi; New York, Pierpont Morgan Library
Ratio: {{{ratio}}}
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« Oh Gioconda! Gioconda! Gioconda!!!
Questa, è dunque letal baraonda
Che m'involve, mi turba la mente?!!
Oh! cervello che sempre si pente,
Dona pace al fatal menestrello,
Che rovina di Chiappe sarà!...
Scendi, o Musa, sul povero ostello,
Ria Babele v'alberga diggià!!! »

La Gioconda è un'opera di Amilcare Ponchielli su libretto di Arrigo Boito (firmato sotto lo pseudonimo e anagramma di Tobia Gorrio).

Indice

[modifica] Genesi

Dopo il debutto dei Lituani, il 7 marzo 1874 alla Scala, Ponchielli si mise in cerca di un nuovo libretto e prese contatto con Arrigo Boito. Il soggetto proposto, il dramma di Victor Hugo Angelo, tyran de Padoue, lasciò in un primo tempo perplesso il compositore, che temeva il raffronto con Il giuramento di Saverio Mercadante, una fortunata riduzione operistica del medesimo soggetto che aveva debuttato alla Scala l'11 maggio 1837. Per qualche tempo egli coltivò pertanto il progetto parallelo di mettere in musica il Piquillo Alliaga di Scribe, la cui riduzione librettistica fu affidata ad Antonio Ghislanzoni.

Boito decise di adattare il soggetto con estrema libertà, introducendo la figura di Barnaba e dando nuova fisionomia a tutti gli altri personaggi. Nel novembre 1874 i primi due atti del libretto erano pronti e Ponchielli si apprestò ad iniziare il lavoro di composizione, pur tra mille dubbi, che lo accompagneranno fino al debutto dell'opera. Nonostante l'ammirazione incondizionata per Boito, Ponchielli riteneva infatti che l'elemento drammatico soverchiasse quello lirico e temeva, di conseguenza, una reazione negativa del pubblico. Egli capiva inoltre che l'audacia drammaturgica e formale di Boito l'avrebbe costretto a modificare il suo stile. Da una lettera del 3 giugno 1875 all'amico musicista Achille Formis:

« Io sto occupandomi per questa Gioconda, ma t'assicuro che più di cento volte al giorno, sono tentato di desistere; le cause sono molte. La prima è che non ho fiducia nel libretto, troppo difficile, e forse non confacente alla mia maniera di scrivere. Siccome poi io sono per natura incontentabile, qui lo sono doppiamente, atteso la frequente e troppa elevatezza dei concetti, del verso, e difficoltà di forme, non trovando quelle idee che io vorrei. È una cosa inconcepibile ma trovo in me più scorrevolezza quando il verso è comune = Vi sono dei momenti che mi pare di non essere più capace di accozzare un'idea, e di non aver più Fantasia. È un fatto però che presentemente io dovevo attenermi ad altro libretto od altro poeta, che scrivesse non per suo conto ma per il Maestro[2] »

Le continue richieste di modifiche al libretto erano evase malvolentieri da Boito, già impegnato a portare in scena la nuova versione del suo Mefistofele (Bologna, Comunale, 8 ottobre 1875), tanto che il compositore cremonese cercò, per ottenerle, il tramite dell'editore Ricordi. Il 19 giugno 1875 il primo atto era comunque terminato, sebbene senza orchestrazione, ma Ponchielli - forse per fuggire le proprie paure - si era nel frattempo impegnato a comporre una cantata in onore di Gaetano Donizetti, che fu eseguita a Bergamo il 13 settembre 1875, e ad iniziare la revisione della giovanile Savoiarda che porterà alla Lina.

Ponchielli rimise dunque mano alla Gioconda, ma più la prima si avvicinava, più il panico cresceva. Così scriveva il 31 dicembre a Giulio Ricordi:

« Ho ricevuto il di Lei telegramma al quale vorrei far seguire una risposta lusinghiera e che appagasse i voti di entrambi rapporto al S. martire Gioconda, che martirizza anche un tale gettandolo in un ginepraio d'incertezze, di e no, di pezzi fatti e poi stracciati, di pentimenti, di pause, di spaventi, di terrori, al punto da alterarsi il fisico, il morale, porre il malumore in casa, far piangere la moglie... la serva![3] »

Alla conclusione del lavoro mancano solo quattro pezzi: il finale del terzo atto, la Danza delle Ore, il duetto finale del quarto atto e la sinfonia. Il 12 gennaio 1876 l'abbozzo è terminato tranne i ballabili e il preludio. Lo stesso giorno Ponchielli inizia la strumentazione. Ma i dubbi sul già fatto continuano a tormentarlo: il 24 gennaio informa l'editore di voler rivoluzionare il duetto tra Enzo e Barnaba dell'atto primo e che ben difficilmente potrà consegnare l'opera in tempo per eseguirla durante la stagione di carnevale. La Danza delle Ore fu composta a Milano quando le prove di canto erano già iniziate e, secondo una testimonianza, furono accolti alcuni suggerimenti di Luigi Manzotti, l'autore del ballo Excelsior.[4]

[modifica] Debutto e successive versioni

Amilcare Ponchielli seduto tra gli interpreti della prima rappresentazione de La Gioconda (Teatro alla Scala, 1876).
Amilcare Ponchielli seduto tra gli interpreti della prima rappresentazione de La Gioconda (Teatro alla Scala, 1876).

Finalmente l'opera debuttò al Teatro alla Scala di Milano l'8 aprile 1876. Sul podio salì Franco Faccio, il più celebre direttore d'orchestra italiano di quegli anni. Le parti vennero così distribuite:

  • Gioconda: Maddalena Mariani Masi (dedicataria dell'opera)
  • Laura: Marietta Biancolini Rodriguez
  • Alvise: Ormondo Maini
  • La Cieca: Eufemia Barlani Dini
  • Enzo: Julián Gayarré
  • Barnaba: Gottardo Aldighieri
  • Zuane e Un cantore: Giovanni Battista Cornago
  • Isepo: Amedeo Grazzi

Ponchielli, durante le prove, si dichiarò soddisfatto della compagnia, in particolare del basso Maini e del tenore spagnolo Julián Gayarré (noto in Italia come Giuliano Gayarre), prevedendo il successo di quest'ultimo nella romanza del secondo atto Cielo e mar!. Previsione che si avverò, dato che la sera della prima fu questo uno dei due pezzi bissati, insieme al preludio.

L'opera ottenne un vivo successo ma lo spettacolo fu giudicato troppo lungo (l'ultimo atto fu eseguito intorno all'una di notte): il pubblico, infatti, applaudì i primi due atti più degli ultimi due, destinati nel tempo a diventare quelli di maggior successo. Le chiamate degli artisti al proscenio furono 27.

L'opera, che a causa del ritardo nella consegna della partitura chiuse la stagione della Scala, fu rappresentata solo per quattro serate; a maggio Ponchielli era di nuovo al lavoro per modificare le parti che meno l'avevano convinto e per ridurne la durata complessiva. Egli mise mano ai finali del primo e del terzo atto, sostituì il coro d'introduzione e l'aria di Alvise all'inizio del terzo atto (dopo aver pensato di eliminarla), abbinandola ad una nuova romanza di Laura (l'adagio Vita, conflitto - di duolo e d'onta!).

In questa forma l'opera andò in scena con successo al Teatro Rossini di Venezia, il 18 ottobre.

Nel gennaio 1877 Ponchielli si trasferì a Roma, dove La Gioconda sarebbe dovuta andare in scena al Teatro Apollo (24 gennaio). Durante le prove, il compositore si fece convincere dalla compagnia e dal direttore Luigi Mancinelli ad eliminare la stretta del finale III, chiudendolo con poche battute d'orchestra dopo il cantabile concertato. Con queste modifiche (nuovo cambio del finale del primo atto, rifacimento della prima parte del duetto tra Enzo e Laura e del finalino nel secondo atto, nuova sostituzione dell'aria di Alvise, eliminazione della romanza di Laura e sua sostituzione con un duetto tra marito e moglie all'inizio del terzo atto), l'opera debuttò al Politeama genovese il 27 novembre 1879 e tornò alla Scala quattro anni dopo il debutto, il 12 febbraio 1880, raccogliendo un autentico trionfo. Poco per volta Ponchielli era riuscito a trovare la giusta misura e adattare il raffinato, ma cerebrale libretto di Boito alla propria vena musicale più autentica, calda e fluente, rimpiazzando, tagliando e aggiungendo interi episodi.

[modifica] Caratteri drammaturgici e musicali

Con la sua drammaturgia sontuosa, spettacolare, ricca di danze (tra cui la celebre Danza delle ore), effetti e di colpi di scena, La Gioconda è considerata il prodotto più tipico e rappresentativo del genere della grande opera, che il melodramma italiano aveva importato dalla Francia sul modello del grand opéra.

Il libretto di Boito le conferì tuttavia tratti non convenzionali, sia nella versificazione che nel taglio drammaturgico, e un'impronta del tutto originale. Il merito del successo va dunque diviso tra il compositore e il poeta, nonostante la non facile collaborazione da cui l'opera aveva preso vita.

Sottratto alla sua dimensione storica, il dramma di Hugo fu riletto da Boito in chiave simbolica alla luce dell'estetica della scapigliatura. Le inversomiglianze della vicenda, pertanto, non solo non furono occultate ma vennero inserite in una visione drammaturgica straniata e moderna, ricca di momenti metateatrali: la frenetica furlana bruscamente interrotta da un altro rito, quello sacro della preghiera accompagnata dall'organo; la barcarola intonando la quale Barnaba fa amicizia con i pescatori; la serenata da dietro le quinte la cui popolaresca semplicità fa da sfondo ironico alla scena dell'avvelenamento di Laura; e naturalmente la Danza delle Ore con la quale Alvise intrattiene i suoi ospiti nell'attesa di shoccarli con l'immagine - non meno spettacolare - del presunto cadavere della moglie Laura. E persino la morte diventa esplicita finzione nel momento in cui Gioconda sostituisce l'ampolla col veleno, affinché Laura beva una pozione che la faccia addormentare simulando una morte apparente.

Il lessico dei personaggi sembra prescindere dalla loro estrazione culturale ed è quello, insieme ricercato e asciutto, tipico della poesia di Boito.

La trama è a sua volta condotta da tre autentiche figure di drammaturghi in scena: Barnaba, Alvise e Gioconda, dove quest'ultima s'incarica di disfare i piani degli altri due, nel secondo atto avvisando gli amanti - Laura ed Enzo - dell'agguato predisposto da Barnaba, nel terzo sostituendo l'ampolla, nel quarto preparando la fuga degli innamorati e, infine, negando a Barnaba il suo corpo pugnalandosi a morte.

La figura di Barnaba, il malvagio delatore che Ponchielli descrisse come «una parte odiosa, antipatica, ma originale», anticipa nelle sue trame lo Jago dell'Otello di Verdi, su libretto dello stesso Boito, sia nella funzione drammaturgica che nella sostituzione della canonica aria con un monologo drammatico di forma aperta: O monumento, così affine al celebre Credo di Jago, il cui ultimo verso - La morte è il nulla e vecchia fola il ciel - si incontra tale e quale nell'aria di Alvise composta per versione veneziana, e in seguito rimpiazzata.

Dal canto suo, Ponchielli fu spronato ad ampliare il proprio vocabolario musicale, e ad abbandonare la sua prudenza, proprio dalle trovate di Boito. Il Tableau vivant dell'inizio del secondo atto, ad esempio, con il canto dei marinai sulla tolda e dei mozzi arrampicati sulle sartie, gli ispirò una pagina in cui il fitto gioco di contrasti ritmici e timbrici non si limita alle voci ma inizia già dal dialogo tra gli strumenti dell'orchestra, disposti a varie altezze come le varie parti che compongono il veliero e coloro che lo abitano.

La sola pagina retrospettiva, il canto di Gioconda a Barnaba Vo' farmi più gaia, con i suoi passaggi di coloratura, si giustifica in base all'ironia con cui la cantatrice si rivolge all'uomo che si illude di possederla, prima di infliggersi la pugnalata mortale.

Dove Ponchielli dovette faticare ad adattare il libretto alla sua estetica fu invece nelle sezioni liriche, molte delle quali furono ricavate a dispetto dei versi, in alcune zona d'ombra del libretto, dando fondo ad una vena melodica capace di trasferirsi dalle voci all'orchestra. È il caso, in particolare delle due grandi melodie che costituiscono altrettanti motivi ricorrenti (un terzo, legato al personaggio di Barnaba, consiste in un grottesco inciso, affidato per lo più ai legni gravi): il motivo del rosario e quello del sacrificio di Gioconda. Il primo, su cui si basano le sezioni cantabili del preludio, è intonato dalla madre di Gioconda - la Cieca - nel donare il suo rosario a Laura e segna il destino di Gioconda, costretta da quel momento ad aiutare la rivale. È ripreso più volte, in forma estesa poco dopo dall'orchestra, accompagnando suggestivamente l'uscita di scena dei personaggi, e più brevemente negli atti successivi. Il secondo, che appare la prima volta nel finale del primo atto, in corrispondenza dei quattro settenari di Gioconda O cuor, dono funesto! / Retaggio di dolore, / Il mio destino è questo: / O morte o amor!, presenta una condotta affatto nuova per l'opera italiana del tempo, sciolta dalla consueta simmetria tra le frasi e caratterizzata da vertiginose escursioni di registro. Sarà ripreso dai violini come perorazione finale dell'atto, negli atti terzo e quarto in corrispondenza di due estesi e drammatici ariosi di Gioconda (O madre mia, nell'isola fatale e E in cor / Mi si ridesta / La mia tempesta) e, affidato al clarinetto nel preludio notturno all'ultimo atto.

Oltre alla Danza delle Ore, i pezzi più famosi dell'opera sono probabilmente le due romanze, Cielo e mar! (atto II) e Suicidio! (atto IV). Nella prima la melodia del tenore, morbida e insieme inquieta, secondo lo stile tipico di Ponchielli, e articolata in due strofe, è resa ancora più suggestiva in teatro dall'ambientazione notturna. Più libera è la forma della romanza di Gioconda, basata su martellanti versi quinari e articolata in una libera successione di idee tematiche intercalate da una sorta di tragico ritornello orchestrale, già ascoltato durante il preludio del quarto atto. Una forma dettata ancora una volta dai versi di Boito:

« Mi pare di non aver fatto vaccate, e di aver interpretato specialmente nella romanza del Suicidio le tue idee acido-prussiche!! »
(Lettera di Ponchielli a Boito del 5 gennaio 1876[5])

[modifica] Trama

L'azione si svolge nella Venezia del XVII secolo.

[modifica] Atto I - La bocca del leone

Scena: cortile del Palazzo Ducale di Venezia. Presso il portico della Carta, un portone conduce all'interno della Basilica di San Marco. Su un lato del cortile una bocca del leone riporta incisa sul marmo la scritta: «Denontie secrete per via d'inquisizione contra cada una persona con l'impunita secreteza et benefitii giusto alle leggi». Nelle vicinanze si trova lo scrittoio di uno scrivano.

Mentre il popolo festante, che affolla il cortile, si dirige alla regata («Feste!Pane!»), Barnaba - informatore del Consiglio dei Dieci che si finge cantastorie - spia, nascosto dietro ad una colonna, Gioconda che conduce in chiesa la madre (la Cieca) non vedente («Figlia, che reggi il tremulo piè»). L'uomo è innamorato di Gioconda, ma, dopo l'ennesimo rifiuto di lei («Al diavol vanne con la tua chitarra!»), medita di vendicarsi sulla Cieca.

Il popolo ritorna dalla regata («Gloria a chi vince il palio verde»): il regatante Zuané è il perdente. Barnaba gli si avvicina e gli insinua il dubbio: che sia stata una stregoniera a farlo perdere? Barnaba allora accusa la Cieca («La vidi staman gittar sul tuo legno un segno maliardo, un magico segno[...] la tua barca sarà la tua bara!»). La calunnia si diffonde tra il popolo, che si scaglia contro la donna. Né Gioconda ne l'uomo di cui è innamorata, Enzo[6] riescono a sottrarla alla folla («Assassini, quel crin venerando rispettate!»); allora intervengono Laura Adorno (di cui Enzo è innamorato) e suo marito Alvise Badoero, nobile e inquisitore di stato. Laura intercede presso il marito, che riesce a salvare la Cieca che, riconoscente, dona a Laura un rosario («A te questo rosario, che le preghier aduna... ti porterà fortuna»). La folla si disperde.

Barnaba si avvicina ad Enzo, che ha riconosciuto l'amata Laura, e lo chiamo col suo vero nome, rassicurandogli che con lui il suo segreto è salvo, e gli rivela che questa notte Laura fuggirà con lui. Enzo, riconoscente, chiede il suo nome: Barnaba rivela la sua vera identità («Sono il possente demone del Consiglio dei Dieci») e che ha fatto tutto ciò per poter essere amato da Gioconda: Enzo fugge, inorridito. Barnaba, rimasto solo, detta allo scrivano Isépo («Scrivano [...] io son la mano e tu la penna: scrivi»)una denuncia che accusa entrambi gli amanti e la inserisce nella bocca del leone («O, monumento!»), mentre Gioconda, nascosta dietro ad una colonna con la madre, ode le accuse e osserva l'atto della delazione.

Uscito di scena Barnaba, un popolo festante entra nel cortile (Carneval! Baccanal!») improvvisando una furlana[7], ma i festeggiamenti vengono interrotti dai cori dei fedeli che giungono dalla basilica («Angele dei, gloria al Signor»). Un barnabotto esorta il popolo a inginocchiarsi e pregare seguendo i vespri («Tramonta il sol...udite il canto del vespro santo, prostrati al suol»). Mentre si ode l'inno, Gioconda, disperata («Tradita! Ohimè, io soccombo!»), lamenta il suo destino («O cor, don funesto»). La madre cerca di consolarla («Ma vien, facciamone un sol di due dolor...»), ma Gioconda è decisa: quella stessa notte, anche lei salirà sulla nave di Enzo.

[modifica] Atto II - Il rosario

Scena: è piena notte e un brigantino, col nome Hècate dipinto sulla fiancata, attende alla fonda presso la bocca della laguna di Venezia detta della Fusina. Nelle immediate vicinanze un'isola deserta.

I marinai dell'Hècate attendono ai loro compiti cantando una marinaresca mentre Barnaba, fingendosi un pescatore, spia («Pescator, affonda l'esca!»), presso l'isolotto, la nave del genovese dopo aver inviato Isépo ad avvertire il naviglio veneziano. Appresso entra in scena il principe Enzo, e manda sotto coperta i marinai perché veglierà lui per quella notte.

Enzo attende trepidante l'arrivo di Laura («Cielo e Mar») fino a che Barnaba accosta la barca alla nave conducendo l'amante di Enzo. Laura sale a bordo, ma appare allarmata per il sinistro augurio del pescatore. Ma quello «è l'uomo che ci aperse il paradiso!» ribatte Enzo e subito la rassicura («De, non turbare, con ree parole»). I due amanti si scambiano dolci parole («Laggiù nelle nebbie remote») fino a che non tramonta completamente la luna, al ché Enzo si allontana sotto coperta per cercare qualcuno che conduca la donna di nuovo a casa.

Mentre Laura sta sola, prega la Madonna per la complicata situazione in cui si trova (Stella del marinar). All'udir le ultime parole della preghiera di Laura (...su me scenda la tua benedizion), Gioconda esce dall'oscurità (E un anatema!) e l'aggredisce minacciandola di ucciderla se non scapperà (Vuoi fuggir? D'amor ti struggi?).

Laura afferma che il suo amore è più forte di Gioconda (L'amo come il fulgor del creato!). Gioconda allora minaccia di ucciderla o di consegnarla al marito, che sta giungendo su una barca (La è il tuo consorte!). Laura alza il rosario, spaventata, e Gioconda la riconosce come la donna che le ha salvato la madre, e la fa fuggire. Laura, confusa, domanda il nome della salvatrice (Ma mi dirai chi sei?), Sono la Gioconda risponde l'altra.

Barnaba per un attimo ricompare in scena (Maledizion! Ha preso il vol!), accennando ad Alvise di seguire la barca sulla quale fugge Laura. Tornato Enzo, che cerca Laura sull'isola, Gioconda afferma che Laura è fuggita per paura (Vedi là, nel canal morto? Un navil che forza il corso? Essa fugge...il suo rimorso fu più forte dell'amor!). Enzo, sdegnato (Non mi dir d'avermi amato... odio sol tu porti in core!), corre verso la riva per seguire la donna amata (Là è la vita), ma Gioconda lo ferma e lo avverte del pericolo delle galee veneziane (La è la morte!). Il genovese, pur di non farsi prendere, dà fuoco alla nave (Incendio! Guerra! Morte! Strage!).

[modifica] Atto III - Il narcotico o la Ca' d'Oro

Scena I: Una camera nella Ca' d'Oro. Sera; lampada accesa - da un lato un armatura antica.

Alvise scopre il tradimento di Laura e medita di ucciderla (Si, morir ella dè!). Dopo averla chiamata, la lusinga nascondendo a malapena la sua ira. Laura, insospettita, gli chiede il motivo di tanta ironia cruda (Dal vostro accento insolito cruda ironia traspira...). Alvise, al massimo dell'ira, la costringe a dire la verità, e poi le urla che morirà subito.

Mentre Laura lamenta il suo destino (Morir, morir è troppo orribile), Alvise le mostra la sua bara. Da fuori risuona la canzone del popolo che si sta avviando alla festa (La gaia canzone fa l'eco languir e l'ilare suono si muta in sospir). Alvise la obbliga a bere un veleno prima che il canto giunga alla sua ultima nota, ma di nascosto Gioconda sopraggiunge e convince Laura a bere un'altra boccetta, che contiene un potente narcotico che della morte finge il letargo.

Dopo averlo bevuto, Laura entra nella camera mortuaria e si distende sul catafalco. Entra Alvise e, osservando la boccetta vuota, si convince che la donna è morta. Gioconda invoca la madre, e afferma che l'ha salvata solo per amore di Enzo (Io la salvo per lui, per lui che l'ama!).

Scena II: Sontuosissima sala attigua alla cella funeraria, splendidamente parata a festa. Ampio portone nel fondo a sinistra, un consimile a destra, ma questo chiuso da una drapperia. Una terza porta nella parete a sinistra.

Nel palazzo si svolge un ricevimento durante il quale gli invitati inneggiano alla Ca' d'Oro (S'inneggi alla Ca' d'Oro!). Alvise ha fatto allestire per loro lo spettacolo della Danza delle ore.
Sopraggiunge Barnaba, che di nuovo accusa la Cieca di stregoneria. Per le strade riecheggia il suono funesto della campana dei moribondi, e Barnaba svela ad Enzo la morte di Laura (Un'agonia? Per chi?....Per Laura!). Enzo si smaschera davanti a tutti quanti, Alvise ordina di arrestarlo e gli preannuncia una agonia dolorosa nel carcere, e i convitati della festa lamentano il finale tragico della festa (D'un vampiro fatal).

Alla fine, Alvise mostra a tutti il corpo, apparentemente senza vita, di Laura. Enzo fa per aggredirlo (Carnefice!), ma viene fermato dalle guardie e arrestato. Nello sconcerto generale (Orror! Orror! Orror!), Barnaba rapisce la Cieca.

[modifica] Atto IV - Il canal orfano

L'atrio di un palazzo diroccato nell'isola della Giudecca. Nell'angolo di destra un paravento disteso, dietro il quale si trova un letto. Un gran portone di riva nelfondo, da cui si vedrà la laguna e la piazzetta di San Marco, illuminata a festa. Una imamgine della Madonna e una croce appesa al muro. Un tavolo, un canapè, sul tavolo una lucerna e una lanterna accese, un'ampolla di veleno, un pugnale. Sul canapè, vari adornamenti scenici di Gioconda. A destra della scena, una lunga e buia calle.

L'isola della Giudecca. Un dolce e malinconico preludio apre l'ultimo atto. Gioconda è sola, e attende l'arrivo di qualcuno. Arrivano gli amici cantori, che portano il corpo di Laura, trafugato dalla cripta. Gioconda supplica i cantori di cercarle la madre e di raggiungerla a Canareggio. Rimasta sola, la donna medita il suicidio (Suicidio! In questi / Fieri momenti), ma rinuncia subito perché Laura ed Enzo non potrebbero più scappare.

Ma Gioconda dubita che Laura sia ancora viva (Laura è là...là sul letto...viva, morta...nol so), e decide di liberarsene (Se spenta fosse!!!Siam sole... è notte... profonda è la laguna...), ma viene interrotta da due voci dal canale lì vicino che segnalano la presenza di un cadavere nella laguna (Eh! dalla gondola, che nuove porti? - Nel Canal Orfano ci son dei morti!). Gioconda inorridita si blocca e invoca la pietà dell'amato per ciò che ha fatto.

Proprio in quel momento sopraggiunge Enzo, liberato da Barnaba grazie all'intercessione di Gioconda. Enzo è disperato, vuole raggiungere il sepolcro di Laura e uccidersi, ma Gioconda dice di averla rapita. Enzo, furibondo, cerca di farsi dire dove l'ha nascosta (O furibonda iena che frughi il cimitero!). Alla resistenza di Gioconda, fa per ucciderla (Oh, gioia, m'uccide!), ma in quel momento si risveglia Laura, che lo chiama.

Gioconda, soppraffatta dalla vergogna, si nasconde, ma Laura rivela all'amato che lei le ha salvato la vita. Enzo la benedice, mentre compare la barca dei cantori cantando la Serenata. Gioconda rammenta la canzone e il rosario donato a Laura dalla madre: rinnova la benedizione su Laura, e la fa fuggire sulla barca con Enzo ad Aquileia. I due giovani, commossi, la benedicono mentre si allontanano.

Gioconda, disperata, prende il coltello, ma si ricorda della madre, e anche del patto fatto con Barnaba. Fa per scappare, ma entra subito qualcuno, che è appunto Barnaba. È il momento di pagare il prezzo: la cantatrice ha promesso in cambio il suo corpo a Barnaba, che la invita a rispettare il patto. Ma dopo averlo lusingato (Vò farmi più gaia... più fulgida ancora...), si accoltella sul più bello (Volesti il mio corpo, demon maledetto? E il corpo ti dò!).

Barnaba, beffato, vuole vendicarsi rivelandole che le ha appena ucciso la madre (Ier tua madre m'ha offeso... io l'ho affogata!). Ma è tardi: Gioconda è già morta (Non ode più!). Dopo aver emesso un alto grido di rabbia (o di dolore?) Barnaba scappa per le calli, mentre l'orchestra bruscamente chiude l'opera.


[modifica] Numeri musicali

[modifica] Atto I: La bocca del leone

  • 1 Preludio
  • 2 Coro d'introduzione
    • Coro d'introduzione Feste! Pane! (Atto I, scena 1)
  • 3 Scena e Terzettino
    • Scena E cantan su lor tombe! (I, 2)
    • Terzettino Gioconda, la Cieca e Barnaba Figlia ch ereggi il tremulo pie' (I, 3)
  • 4 Recitativo - Coro della Regata e Sommossa - Romanza
    • Recitativo L'ora non giunse ancor (I, 3)
    • Coro della Regata e Sommossa Gloria a chi vince! (I, 4-5)
    • Romanza della Cieca Voce di donna o d'angelo (I, 5)
  • 5 Scena e Duetto
    • Scena Enzo Grimaldo (I, 6)
    • Duetto Enzo e Barnaba Pensi a Madonna Laura (I, 6)
    • [Cabaletta] O grido di quest'anima (I, 6)
  • 6 Scena, Recitativo e Monologo
    • Scena e recitativo Maledici? Sta ben... (I, 7)
    • Monologo Barnaba O monumento! (I, 8)
  • 7 Finale I - Coro, Furlana e Preghiera
    • Coro Carneval! Baccanal! (I, 9)
    • Furlana (I, 9)
    • Preghiera Angele Dei (I, 9)
    • Arioso O cor, dono funesto (I, 9)

[modifica] Atto II: Il Rosario

  • 8 Marinaresca, Recitativo e Barcarola
    • Marinaresca Ho! He! Fissa il timone! (II, 1)
    • Recitativo Chi va là? (II, 2)
    • Barcarola Barnaba Pescator, affonda l'esca (II, 2)
  • Recitativo, ripresa della Barcarola e Romanza
    • Recitativo e ripresa della Barcarola Sia gloria ai canti dei naviganti (II, 3)
    • Romanza Enzo Cielo! e mar! (II, 4)
  • 10 Scena e Duetto
    • Scena Ma chi vien (II, 4-5)
    • Duetto Laura Enzo
    • Tempo d'attacco Deh! non turbare con ree oaure (II, 5)
    • Tempo di mezzo Ma dimmi come, angelo mio, mi ravvisasti? (II, 5)
    • Cantabile Laggiù nelle nebbie remote (II, 5)
  • 11 Scena e Romanza Laura
    • Scena E il tuo nocchiero (II, 5)
    • Romanza Laura Stella del marinar! (II, 6)
  • 12 Duetto
    • [Scena] E un anatema! (II, 7)
    • Duetto Gioconda Laura L'amo come il fulgor del creato (II, 7)
  • 13 Scena e Duetto-Finale II
    • Scena Il mio braccio t'afferra! (II, 7-8)
    • Duetto-Finale II Gioconda Enzo Laura! Laura, ove sei? (II, 9)
    • [Stretta] Tu sei tradito!

[modifica] Atto III: La Ca' d'oro

  • 14 Scena ed Aria
    • Scena Sì, morir ella de' (III, 1)
    • Aria Alvise Là turbibi e farnetichi (III, 1)
  • 15 Scena e Duetto
    • Scena Qui chiamata m'avete? (III, 2)
    • Duetto Laura Alvise Morir! è troppo orribile (III, 2)
  • 16 Scena e Serenata
    • Scena E già che ai nuovi imeni (III, 2)
    • Serenata La gaia canzone (III,2-4)
    • [Scena] O madre mia (III, 5)
  • 17 Scena, Ingresso dei Cavalieri e Coro
    • Scena e Inresso dei Cavalieri Benvenuti, messeri (III, 6)
    • Coro S'inneggi alla Ca' d'oro (III, 6)
  • 18 Recitativo e Danza delle Ore
    • Recitativo Grazie vi rendo (III, 6)
    • Danza delle Ore (III, 6)
      • Sortono le ore dell'Aurora (Moderato)
      • Le Ore dell'Aurora (Andante poco mosso)
      • Sortono le Ore del giorno
      • Danza delle Ore del giorno (Moderato)
      • Sortono le Ore della sera
      • Sortono le Ore della notte (Moderato, Andante poco mosso, Allegro vivacissimo
  • 19 Scena e finale III - Pezzo concertato
    • Scena Vieni! - Lasciami! (III, 7)
    • Pezzo concertato D'un vampiro fatale

[modifica] Atto IV: Il Canal Orfano

  • 20 Preludio, Scena ed Aria
    • Preludio
    • Scena Nessun v'ha visto? (IV, 1)
    • Aria Gioconda Suicidio! (IV, 2)
  • 21 Duettino, Scena e Terzetto
    • [Scena] Ecco il velen di Laura (IV, 2-3)
    • Duettino Gioconda Enzo Gioconda! - Enzo! sei tu! (IV, 3)
    • Scena Enzo! - Mio Dio! (IV, 4)
    • Terzetto A te questo rosario (IV, 4)
  • 22 Scena e Duetto finale
    • Scena Ora posso morir (IV, 5-ultima)
    • Duetto finale Gioconda Barnaba Ebbrezza! delirio! (IV, ultima)

[modifica] Organico orchestrale

La partitura di Ponchielli prevede l'utilizzo di:

Da suonare sul palco:

  • 3 clarinetti, 2 clarinetti bassi, 2 fagotti, 3 corni, 3 trombe, 2 tromboni
  • cannone
  • arpa
  • banda (non specificata)

[modifica] Curiosità

[modifica] Discografia

[modifica] Note

  1. ^ Pubblicata in Giuseppe De Napoli, Amilcare Ponchielli (1834-1886), Cremona, Stabilimento tipografico società editoriale "Cremona Nuova" 1936, p. 150.
  2. ^ Cremona, Biblioteca Statale, Ms. civ. 121368.
  3. ^ Pubblicata in Giuseppe De Napoli, Amilcare Ponchielli (1834-1886), Cremona, Stabilimento tipografico società editoriale "Cremona Nuova" 1936, p. 155.
  4. ^ De Napoli (op. cit., pp. 173-4) cita in proposito due testimonianze: la prima di Giulio Ricordi, la seconda di Giuseppe Adami, riportando le fonte solo della seconda ("Corriere della Sera del 9 aprile 1926). Poiché, pur concordando sul ruolo di Manzotti, le due testimonianze non collimano nei dettagli, De Napoli le riporta con qualche cautela.
  5. ^ Milano, Museo Teatrale alla Scala, Biblioteca Livia Simoni, C. A. 4608.
  6. ^ Un principe genovese proscritto da Venezia che si finge marinaio dalmata.
  7. ^ Una danza popolare di origine friulana risalente almeno al XVI secolo (l'attestazione più antica è presente in Dansieres, editore Phalése, 1583). La furlana è simile alla giga e viene danzata in gruppi di due o quattro ballerini che girano e saltellano in tondo con vivacità intrecciando le mani sopra la testa.

[modifica] Bibliografia

  • Giuseppe De Napoli, Amilcare Ponchielli (1834-1886), Cremona, Stabilimento tipografico società editoriale "Cremona Nuova" 1936, pp. 150-191
  • Antonio Polignano, La Gioconda: un'ipotesi sul verismo in musica, in Amilcare Ponchielli 1834-1886. Saggi e ricerche nel 150° anniversario della nascita, Cremona, Cassa Rurale ed Artigiana di Casalmorano 1984, pp. 125-169
  • Giovanni Morelli, Suicidio e Pazza Gioia: Ponchielli e la poetica nell'Opera Italiana neo-nazional-popolare, in Amilcare Ponchielli 1834-1886. Saggi e ricerche nel 150° anniversario della nascita, Cremona, Cassa Rurale ed Artigiana di Casalmorano 1984, pp. 171-231
  • Antonio Polignano, Ponchielli, Boito e La Gioconda, in Amilcare Ponchielli, Nuove Edizioni, Milano 1985, pp. 67-75
  • Mariella Busnelli, Il cammino della Gioconda, in Amilcare Ponchielli, Nuove Edizioni, Milano 1985, pp. 77-103
  • Antonio Polignano, La storia della Gioconda attraverso il Carteggio Ponchielli–Ricordi, «Nuova rivista musicale italiana» 21 n. 2, 1987, pp. 228-245

[modifica] Collegamenti esterni

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