Vittoria mutilata
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Con la locuzione Vittoria Mutilata si intese indicare la convinzione diffusa fra gli ambienti nazionalisti e reducistici del primo dopoguerra che l'Italia non avesse ricevuto una sufficiente ricompensa per il suo contributo alla vittoria dell'Intesa sugli Imperi Centrali nell'autunno del 1918. La locuzione è una delle invenzioni retoriche di maggiore successo di Gabriele D'Annunzio.
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[modifica] Nascita del problema
Nel 1915 con il Patto di Londra le potenze dell'Intesa avevano promesso all'Italia in caso di vittoria il Trentino, il Tirolo fino al passo del Brennero (attuale Alto Adige), l'intera Venezia Giulia fino alle Alpi Giulie col confine includente la cittadina di Volosca e le Isole del Carnaro, la Dalmazia settentrionale nei suoi confini amministrativi fino al porto di Sebenico incluso, con tutte le isole prospicienti, il porto di Valona in Albania, l'isolotto di Saseno di fronte alle coste albanesi, e diritto di chiedere aggiustamenti dei confini coloniali con i possedimenti francesi e britannici in Africa. Inoltre si prevedeva, in caso di smembramento dell'Impero Ottomano, il bacino carbonifero di Adalia in Anatolia meridionale, il protettorato sull'Albania e la neutralizzazione di tutti i porti dalmati che fossero stati assegnati ai croati, ai serbi o ai montenegrini. La città di Fiume, invece, veniva espressamente assegnata quale principale sbocco marittimo di un eventuale futuro stato croato o dell'Ungheria, se la Croazia avesse continuato ad essere un banato dello stato magiaro o della Duplice Monarchia.
Sul finire del 1917, a seguito della Rivoluzione d'Ottobre e dell'uscita della Russia dalla guerra, questo accordo segreto fu rivelato dai bolscevichi. L'emergere dei suoi particolari provocò vivaci reazioni internazionali e in Italia, ove la sorte di Fiume, la cui popolazione urbana era in gran parte etnicamente italiana, fu vista con sdegno. Nel frattempo, gli Stati Uniti, entrati in guerra nell'estate dello stesso anno, chiarirono di non sentirsi vincolati a tale accordo - che essi non avevano sottoscritto - e lo stesso sarebbe stato di fatto denunciato nell'estate dell'anno successivo dal presidente Woodrow Wilson, con il suo celebre discorso dei Quattordici punti, il quale proclamava la fine della diplomazia segreta, la prevalenza del diritto all'autodeterminazione dei popoli nella definizione delle frontiere e metteva definitivamente in crisi secoli di politica di potenza europea, nella cui tradizione gli accordi erano stati concepiti.
Con il profilarsi - alla fine del conflitto - della totale dissoluzione dell'Impero Asburgico e della parallela nascita del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, fu messo anche in discussione il principio secondo il quale l'Italia accettava la perdita di Fiume nei confronti di uno stato minore come avrebbe potuto essere quello croato: la nascita della Iugoslavia, infatti, riproponeva ad oriente dell'Adriatico i medesimi problemi di sicurezza ed egemonia che tanto peso avevano avuto nello spingere l'Italia ad accettare di entrare in guerra.
Inoltre, altri accordi segreti stretti da inglesi e francesi con le nazionalità slave, prevedevano per queste ultime l'intera Dalmazia, che serbi e croati si affrettarono ad occupare alla fine del conflitto, giungendo anche a sanguinosi scontri con le forze del Regio Esercito e della Regia Marina che ne avevano già preso il controllo al fine di assicurare il diritto italiano su quelle terre.
[modifica] I trattati di Versailles
In questo complesso e mutato quadro politico internazionale i rappresentanti italiani a Versailles, Sidney Sonnino e Vittorio Emanuele Orlando non furono in grado di esigere il pieno rispetto del Trattato di Londra e le rivendicazioni italiane a fronte della riluttanza - se non dell'ostilità - degli Alleati dell'Intesa, preoccupati, ciascuno, di trarre egoisticamente il massimo vantaggio a spese altrui, mentre gli USA imponevano la visione wilsoniana, secondo la quale solo una guerra tanto sanguinosa e distruttiva lasciata senza vincitori avrebbe scoraggiato decisivamente la tentazione di tornare a ricorrervi in futuro.
Da parte italiana non valsero le proteste e neanche l'argomento che un'Italia esposta alla "morte per fame", a causa della gravissima crisi economica e sociale che colpì il Paese alla fine delle ostilità, avrebbe facilmente aperto la strada del successo ad una rivoluzione bolscevica analoga a quella che aveva preso controllo della Russia nel 1917.
Visti vani i loro sforzi, i rappresentati italiani a Versailles abbandonarono platealmente la conferenza, ma l'unico esito di tale iniziativa fu quello di rendere ancor meno incomodo ad americani, francesi, inglesi e slavi di distribuirsi le spoglie degli sconfitti, riconoscendo solo in parte le promesse fatte all'Italia nel trattato stipulato a Londra di 4 anni prima.
In Italia, d'altro canto, il Regio Esercito vedeva con scarsa simpatia l'annessione della Dalmazia, ritenuta di difficile difesa in caso di guerra, e molti alti ufficiali, fra cui il capo di stato maggiore Armando Diaz, fecero pressioni affinché le rivendicazioni italiane si affievolissero.[1] Contemporaneamente gli scioperi, le manifestazioni e le agitazioni promosse soprattutto dai socialisti filo-bolscevichi (Biennio Rosso) mettevano in grave difficoltà e in imbarazzo il governo, che non riusciva ad ottenere quella forza sufficiente per poter far valere i propri diritti con gli Alleati alla conferenza di pace.
Pochi mesi dopo lo smacco di Versailles, l'Italia si ritirava anche dalla costa turca occupata, mentre nessuna concessione territoriale veniva fatta in Africa a fronte dei cospicui guadagni territoriali franco-inglesi a spese delle ricche colonie tedesche.
[modifica] Il disagio e la rabbia
Con l'incapacità del governo italiano di risolvere il problema dei confini orientali e delle colonie, iniziò ad agitarsi in tutto il Paese un forte senso di disagio, che fu alimentato dalla stampa e dagli intellettuali, particolarmente d'Annunzio e i Futuristi: in molti ambienti si diffuse la convinzione che gli oltre seicentomila morti della guerra erano stati "traditi", mandati inutilmente al macello, e tre anni di sofferenze erano servite solo a distruggere l'Impero asburgico ai confini d'Italia per costruirne uno nuovo e ancora più ostile ad essa.
Inoltre, la sorte di Fiume e Zara e delle altre località ed isole dalmate la cui popolazione era prevalentemente italiana, commuoveva buona parte dell'opinione pubblica del paese, anche e soprattutto per a seguito delle intense campagne di propaganda condotte dalla stampa nazionalista e mussoliniana.
La reazione alla fine fu rabbiosa: attorno a Benito Mussolini si mobilitò un movimento rivoluzionario che a Piazza San Sepolcro a Milano ebbe il suo battesimo come fascismo, e pochi mesi dopo, Gabriele d'Annunzio spinse dei reparti del Regio Esercito ad ammutinarsi per andare ad occupare Fiume, che fu inizialmente dichiarata annessa all'Italia; di fronte ai tentennamenti del governo italiano, fu quindi proclamata indipendente in attesa di ricongiungimento alla madrepatria.
Il leitmotiv della vittoria mutilata divenne allora uno dei principali temi di propaganda e rivendicazione del fascismo, che se ne servì per accusare i deboli governi postbellici e gli altri partiti di aver indebolito il paese e diffuso fra i lavoratori l'opinione che i diritti dell'Italia non fossero degni di adeguata difesa.
Le successive intese italo-iugoslave a Rapallo non risolsero la questione per l'opinione pubblica nazionalista e fascista, anzi, acuirono il problema, facendo apparire ancora più debole il governo e offrendo al fascismo un facile argomento utile a sostenere la propria causa e crearsi simpatie nel Paese.
[modifica] Note
- ^ Le operazioni dell'Esercito Italiano durante la Grande Guerra, SME, Ufficio Storico
[modifica] Bibliografia
- Maria Grazia Melchionni, La vittoria mutilata. Problemi ed incertezze della politica estera italiana sul finire della Grande Guerra (ottobre 1918 - gennaio 1919) - Edizioni di Storia e Letteratura, 1981
- Michele Rallo, L'intervento italiano nella Prima Guerra Mondiale e la Vittoria Mutilata, Settimo Sigillo, 2007
[modifica] Voci correlate
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