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Teatro elisabettiano - Wikipedia

Teatro elisabettiano

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Otello e Desdemona, dall'Otello di Shakespeare
Otello e Desdemona, dall'Otello di Shakespeare

Il teatro elisabettiano è stato uno dei periodi artistici di maggior splendore del teatro britannico. Esso viene collocato tradizionalmente fra il 1558 e il 1625, durante i regni dei sovrani britannici Elisabetta I d'Inghilterra e Giacomo I d'Inghilterra; William Shakespeare (1564-1616), considerato uno dei maggiori drammaturghi a livello mondiale, è il massimo esponente di questo periodo.

Indice

[modifica] Collocazione storica

Il teatro di questo periodo viene tradizionalmente associato a due grandi figure: William Shakespeare (1564-1616) e la regina Elisabetta I di Inghilterra (1533-1603).

In realtà gli studiosi estendono generalmente l'età elisabettiana fino ad includere il regno di Giacomo I (morto nel 1625), se non anche quello del successore Carlo I, fino alla chiusura dei teatri nel 1642 a causa del sopraggiungere della Guerra Civile.

A Giacomo I Shakespeare dedica alcune delle sue opere maggiori, scritte per l'ascesa al trono del sovrano scozzese, come Otello (1604), Re Lear (1605), Macbeth (1606, omaggio alla dinastìa Stuart), e La tempesta (1611, che include tra l'altro una "maschera", interludio musicale in onore del re che assistette alla prima rappresentazione).

Il periodo elisabettiano coincide cronologicamente solo in parte col Rinascimento europeo e meno ancora con quello italiano, recando in sé forti accenti di Manierismo e di Barocco in quanto più tardivo.

[modifica] Fattori storico-sociali

Per approfondire, vedi la voce Età elisabettiana.

L'età elisabettiana segnò l'ingresso dell'Inghilterra nell'età moderna sotto la spinta delle innovazioni scientifico-tecnologiche come la rivoluzione copernicana e delle grandi esplorazioni geografiche (è l'inizio della colonizzazione inglese dell'America settentrionale). La tempesta si ambienta non a caso in un'isola dei Caraibi la cui popolazione (rappresentata simbolicamente dal "selvaggio" Calibano e da sua madre, la strega Sicorace) è stata sottomessa dalle arti magiche di Prospero, cioè dalla tecnologia e dal progresso dei colonizzatori europei.

Il distacco dall'orbita del papato e del Sacro Romano Impero, con la sconfitta di Filippo II di Spagna e della sua Invencible Armada (1588), il maggior benessere economico dovuto all'espansione dei commerci oltre Atlantico, suggellarono il trionfo di Elisabetta e la nascita dell'Inghilterra moderna. In tale temperie di scambi culturali si accrebbe l'interesse verso le humanae litterae e quindi verso l'Italia, dove gli intellettuali fuggiti da Costantinopoli (1453) avevano portato con sé gli antichi manoscritti dei grandi classici greci e latini facendo esplodere un interesse senza precedenti per l'antichità greco-romana e lo studio della lingua ebraica.

Nasceva allora in Italia l'Umanesimo (a vocazione soprattutto filologica e archeologica), destinato a maturare nel XVI secolo nel Rinascimento, con la creazione di un'arte e un'architettura moderna e un rinnovamento tecnologico su larga scala (si pensi soltanto a Leonardo da Vinci). Se in Italia il Rinascimento si esaurì verso la metà del XVI secolo, nel Nord Europa (dove arriva più tardi) esso perdurò fino ai primi decenni del XVII secolo.

[modifica] Interesse per l'Italia

Questa voglia di rinnovamento e di modernità si diffuse anche a Londra. Neanche i sinistri resoconti di presunti viaggi nel paese di Niccolò Machiavelli, come il Viaggiatore Sfortunato di Thomas Nashe, parvero diminuire l'entusiasmo del grande pubblico: l'amoralità del Il Principe e le voci delle congiure papali contribuirono invece a tenere vivo l'interesse per l'Italia. Proprio nella capitale vi era cospicua una comunità di immigrati italiani (molti dei quali drammaturghi e attori): con essi Shakespeare, Christopher Marlowe, il secondo più grande drammaturgo, e i contemporanei dovettero probabilmente intrattenere rapporti di amicizia e di frequente collaborazione professionale.

[modifica] Il successo di Seneca

Nell'età di Shakespeare non erano in molti a leggere i drammi in latino e meno ancora in greco, lingua che solo allora si cominciava a conoscere. Le opere di Seneca, già oggetto di grande interesse per gli umanisti italiani si diffusero perciò soprattutto attraverso adattamenti italiani che si discostano non poco dallo spirito dell'originale. Furono inserite nella rappresentazione quelle scene di violenza e crudeltà che dall'autore erano invece affidate al racconto di testimoni. Ma fu proprio la versione italianizzata, dove il male è presentato nella sua interezza, a piacere ai drammaturghi elisabettiani e ad incontrare l'interesse del pubblico.

[modifica] La tragicommedia e il romanzesco

Ferdinando e Miranda, da La tempesta, E.R. Frampton (British, 1870-1923).
Ferdinando e Miranda, da La tempesta, E.R. Frampton (British, 1870-1923).

Un dramma molto legato all'effetto di scena e che fa presa sulle emozioni più violente associa talora a sé le passioni d'amore più morbose: il quadro antico dipinto con mano tanto leggera è restaurato con tinte tanto forti da cancellare quasi il tocco del suo artista. Non fu forse un caso che gli stessi drammaturghi rinascimentali lavorassero contemporaneamente ad opere di tipo "misto", come le "pastorali" o le "tragicommedie", fusioni di commedia e tragedia, insieme di tragico, di comico e di romanzesco.

La contaminazione dei generi in voga nel rinascimento fu accolta anche dagli elisabettiani, le cui tragedie e commedie mantengono però un maggiore distacco ironico e realistico. La tempesta ha molto della tragicommedia, ma l'ironia e la comicità dei personaggi, la profondità dell'esplorazione filosofica le conferiscono più respiro. Lo stesso può dirsi di molte altre grandi commedie scespiriane ed elisabettiane, in cui il comico si mescola fatalmente al tragico, come d'altra parte avviene nel cinema moderno. Le battute del buffone di Re Lear e la follia dello stesso re caduto in disgrazia per il tradimento delle figlie a cui tutto aveva affettuosamente donato danno il necessario sollievo comico al pubblico facendo contemporaneamente risaltare come per l'effetto del chiaroscuro la tragedia personale di Lear e quella nazionale dell'Inghilterra dilaniata dalla guerra civile.

[modifica] Innovazioni rispetto al teatro continentale

L'era elisabettiana tuttavia non si limitò ad adattare i modelli: rinnovò felicemente il metro col blank verse, o pentametro giambico, che ricalca abbastanza fedelmente quello latino senechiano, liberando il dialogo drammatico dall'artificiosità della rima, mentre restò la regolarità dei cinque piedi del verso. Il blank verse fu introdotto dal Conte di Surrey quando nel 1540 pubblicò una traduzione dell' Eneide usando proprio questa forma metrica, ma si dovette aspettare il Gorboduc di Sackville e Norton (1561) perché esso entrasse nel dramma (e farà poi furore nell'epopea biblica di John Milton, il Paradiso perduto, 1667). L'idea di usare un metro simile era venuta al Surrey proprio dalla traduzione in versi sciolti dell'Eneide del Caro. Il teatro elisabettiano introdusse anche tutta una serie di tecniche teatrali d'avanguardia che vennero utilizzate secoli più tardi dal cinema e dalla televisione. Il palcoscenico inglese della fine del Cinquecento (soprattutto in Shakespeare) si serve di un frequente e rapido susseguirsi di scene che fanno passare presto da un luogo all'altro saltando ore, giorni, mesi con un'agilità quasi pari a quella del cinema moderno. Il blank verse gioca una parte non indifferente conferendo alla poesia la spontaneità della conversazione e la spigliatezza della recitazione.

La Poetica (Aristotele) di Aristotele, che definì le unità di tempo e di azione (l'unità di luogo è un'aggiunta degli umanisti) nel dramma, riuscì ad imporsi meglio nel Continente: solo alcuni classicisti di stampo accademico come Ben Jonson ne seguirono alla lettera i precetti, ma questi personaggi non hanno la vita di quelli di Shakespeare, rimanendo (soprattutto nel caso di Jonson) dei "tipi" o delle "maschere". Fu proprio grazie alla rinuncia delle regole che il teatro elisabettiano poté sviluppare quelle forme nuove nelle quali Shakespeare, Beaumont, Fletcher, Marlowe e molti altri trovarono campo fertile per loro genio.

[modifica] Modernità e realismo dei personaggi

La rilettura elisabettiana dei classici portò dunque una ventata di innovazione a storie ormai millenarie, esaltando anzi le qualità universali dei grandi personaggi storici o leggendari. Oltre allo stile e alle tecniche, anche le tematiche sociali sono affrontate in modo moderno, in tutta la loro complessità psicologica infrangendo consolidati tabù sociali (sesso, morte, cannibalismo, follia). Si pensi all'amore "proibito" tra Romeo e Giulietta, due ragazzi di quattordici anni che decidono in pochi giorni di sposarsi e fuggire di casa; si pensi alla rappresentazione del suicidio degli amanti. Nel Re Lear l'abbandono del vecchio re da parte delle figlie è il tema dominante. Qualità queste che, lungi dal "peggiorare" i personaggi, li rendono più simili a noi, dimostrando come questa epoca ci tocchi ancora profondamente.

[modifica] Gli autori

La popolazione in aumento di Londra, la ricchezza crescente dei suoi cittadini e la loro passione per lo spettacolo produsse una letteratura drammaturgica di notevole varietà, qualità ed estensione. Malgrado la maggior parte dei testi scritti per il palcoscenico elisabettiano siano andati perduti ne rimangono oltre 600, a testimonianza di un'epoca culturalmente vivace.

Gli uomini (non vi sono donne, per quanto si sappia, che scrissero per il teatro in quest'epoca) che inventavano questi drammi erano anzitutto autodidatti di modeste origini, nonostante alcuni di essi avessero avuto un'istruzione a Oxford o a Cambridge. Malgrado William Shakespeare fosse, per quanto si sa, un attore, la maggior parte di essi non lo erano e a partire dal 1600 non è noto il nome di alcun autore che abbia calcato le scene come attore per arrotondare le proprie entrate.

Non tutti i drammaturghi corrispondono alle moderne immagini di poeti o intellettuali. Christopher Marlowe fu ucciso nel corso di una rissa in una taverna, Shakespeare si accompagnava a personaggi dei bassifondi di Londra e arrotondava le proprie entrate prestando denaro, mentre Ben Jonson uccise un attore in duello. Molti altri furono probabilmente soldati. Forse in nessuna altra epoca il dramma è più reale e tocca la sensibilità di tutti: cospirazioni, assassini politici, condanne a morte e violenza sono all'ordine del giorno, anche perché il Rinascimento è un'epoca di cambiamenti traumatici: in Italia, e soprattutto a Firenze, i complotti politici di palazzo e le guerre intestine insanguinano le città: la grandezza dell'epoca contempla così la sua stessa crisi, che è anche la crisi e il tramonto definitivo dell'età di mezzo.

Quella dello sceneggiatore teatrale era una professione remunerativa, ma soltanto per coloro che riuscivano a produrre due pezzi teatrali all'anno. Dato che i drammaturghi guadagnavano poco dalla vendita delle loro opere, per vivere dovevano scrivere moltissimo. La maggior parte dei drammaturghi professionisti guadagnava una media di 25 sterline all'anno, una cifra notevole per l'epoca. Erano in genere pagati per stati di avanzamento nel corso della stesura e se infine il loro testo era accettato potevano inoltre ricevere i proventi di un giornata di rappresentazione. Essi tuttavia non godevano di alcun diritto su ciò che scrivevano. Quando il testo era stato venduto ad una compagnia, questa lo possedeva e l'autore non aveva alcun controllo sulla scelta degli attori o sulla rappresentazione, né sulle successive revisioni e pubblicazioni.

[modifica] Il teatro nel teatro

Che il teatro elisabettiano sia un "teatro aperto" non solo nel suo significato più letterale sembra dimostrato anche dal senso di autoironia degli attori e dei drammaturghi elisabettiani. L'attore ama parlare al pubblico "tra le righe", magari per prendere in giro il personaggio stesso che sta recitando, anticipando il distacco ironico del teatro di Bertolt Brecht. Per questo genere di attore il drammaturgo elisabettiano inventa il teatro nel teatro. Lo abbiamo visto nella maschera de La tempesta, ma l'esempio più emblematico è forse quello dell'Amleto, in cui il giovane erede al trono di Danimarca ingaggia una troupe di attori itineranti per fare rappresentare di fronte agli occhi di Claudio, sospettato di avere ucciso suo padre, un dramma che ne ricostruisce il presunto assassinio. Al finale a sorpresa Claudio si alza sconvolto e terrorizzato, lasciando la corte. Da qui il giovane Amleto si convincerà della colpevolezza del patrigno, architettando la sua uccisione. Potremmo trovare tanti altri esempi di questo tipo tra gli elisabettiani, in seguito ripresi con successo con il "cinema nel cinema", ma anche col "teatro nel cinema".

[modifica] Un teatro che si fa cinema

Che il teatro elisabettiano e Shakespeare in particolare fossero in anticipo sui tempi pare dimostrato, affermò Anthony Burgess, dal successo delle trasposizioni cinematografiche e delle drammatizzazioni televisive, quasi quei drammi fossero stati scritti proprio per noi. È noto il successo del Romeo e Giulietta di Zeffirelli (1968). Paradossalmente, tale adattabilità al cinema sembra essere dovuta proprio all'eredità medievale lasciata dai misteri, dai miracoli e dalle moralità, rappresentazioni di carattere popolare che si svolgevano prima sul sagrato delle chiese e poi nelle grandi piazze o nelle fiere. Lì la mancanza di fondali e costumi teatrali riponeva il successo della rappresentazione nelle mani dell'attore. La necessità di improvvisazione (spesso aiutata da un pizzico di umorismo) insieme alla mancanza di architetture teatrali sofisticate più che mettere l'attore in crisi lo liberarono dalle eccessive costrizioni della messa in scena mentre alla mancanza di effetti speciali supplì l'invenzione poetica ricreando nelle sue ricche descrizioni, un po' come avviene per la radio rispetto alla televisione ciò che "mancava", arricchendo oltre misura il linguaggio drammatico.

[modifica] Spazio teatrale

Palcoscenico di un teatro elisabettiano
Palcoscenico di un teatro elisabettiano

Quando nel Cinquecento sorsero i primi teatri fuori dalla City essi conservarono molto di quella antica semplicità medievale. Senza l'aiuto di macchine o luci artificiali gli attori inglesi svilupparono al massimo creatività e fantasia personale prima ancora che fossero scritte le prime grandi opere elisabettiane (Shakespeare si fece le ossa esordendo come attore, e così fecero molti altri). Ricavato in origine dai circhi dell'epoca per le lotte tra orsi o tra cani oppure dagli "inn", locande economiche di provincia, l'edificio teatrale consisteva in una costruzione molto semplice in legno o in pietra, spesso circolare e dotata di un ampio cortile interno chiuso tutt'intorno ma senza tetto. Tale corte diventò la platea del teatro, mentre i loggioni derivano dalle balconate interne della locanda. Quando la locanda o il circo divennero teatro, poco o nulla mutò dell'antica costruzione: le rappresentazioni si svolgevano nella corte, alla luce del sole. L'attore elisabettiano recitava in mezzo, non davanti alla gente: infatti il palcoscenico si "addentrava" in una platea che lo circondava da tre lati (solo la parte posteriore era riservata agli attori restando a ridosso dell'edificio). Come nel Medioevo, il pubblico non era semplice spettatore, ma partecipe del dramma. L'assenza degli "effetti speciali" raffinava le capacità gestuali, mimiche e verbali dell'attore, che sapeva creare con maestria luoghi e mondi invisibili (le magie di Prospero ne La Tempesta alludono metaforicamente proprio a questa magia "evocativa").

[modifica] Un teatro senza classi

Ricostruzione dell'interno di un teatro elisabettiano
Ricostruzione dell'interno di un teatro elisabettiano

Mentre il dramma rinascimentale italiano si evolveva verso una forma di arte elitaria, il teatro elisabettiano diventava un grande contenitore che affascinava tutte le classi, agendo così da "livellatore" sociale. Alle rappresentazioni potevano incontrarsi principi e contadini, uomini, donne e bambini, anche perché il biglietto era alla portata di tutti: i posti in piedi, al centro del teatro costavano un penny; gli spettatori più abbienti potevano sedersi nelle gallerie pagando due penny; la frequentazione del teatro era fortemente radicata nei costumi dell'epoca. Per questo ogni dramma doveva incontrare gusti diversi: quelli del soldato che voleva vedere guerre e duelli, quelli della donna che cercava amore e sentimento, quelli dell'avvocato che si interessava di filosofia morale e di diritto, e così via. Anche il linguaggio teatrale riflette questa esigenza, arricchendosi dei registri più vari e acquistando grande flessibilità espressiva.

[modifica] Vita degli attori

Il palcoscenico del Globe Theatre
Il palcoscenico del Globe Theatre

Per costruire un personaggio vero, umanamente vicino alla gente, non era considerato necessario utilizzare costumi di scena né essere archeologicamente fedeli ai fatti storici. Impiegare delle attrici era inoltre proibito dalla legge, e lo fu per tutto il Seicento, anche dopo la dittatura puritana. I personaggi femminili erano dunque rappresentati da adolescenti maschi. Ma questo non diminuì il successo delle rappresentazioni, provato dai testimoni dell'epoca e dalle continue proteste contro le compagnie teatrali da parte degli amministratori puritani della City.

Solo la protezione accordata alle troupe dai prìncipi e dai reali - se l'attore vestiva la loro livrea non poteva essere infatti arrestato - poté salvare Shakespeare e i suoi compagni dalle condanne di empietà lanciate dalle municipalità puritane. I nomi di molte compagnie teatrali derivano proprio da questa forma di patrocinio: The Admiral's Men e The King's Men erano appunto "gli uomini dell'ammiraglio" e "gli uomini del sovrano". Una compagnia che non avesse avuto un potente sponsor alle spalle poteva andare incontro a serie difficoltà e vedersi cancellati gli spettacoli da un giorno all'altro.

A questi problemi si aggiungevano, per gli attori, i salari molto bassi.

[modifica] Influenze

Mentre il teatro elisabettiano conservò la sua semplicità strutturale, quello continentale, sull'esempio italiano, diventava dipendente dagli effetti speciali (si pensi alle macchine da scena e perfino agli automi inventati da Leonardo). Da qui al teatro "illusionistico" moderno il passo fu breve. Vero è che a partire dal Novecento numerose sono state le avanguardie che hanno introdotto soluzioni nuove (come il Futurismo, il Dadaismo, il Surrealismo e il Bauhaus), ma raramente il grande pubblico si è sentito coinvolto da queste iniziative e si può dire che resti ancora molta strada da percorrere per portare nel teatro la popolarità del cinema e della televisione.

[modifica] Esponenti

Per approfondire, vedi la voce Esponenti del teatro elisabettiano.

[modifica] Teatri

Particolare di una mappa di Londra del 1616 dove si vede la riva del Tamigi sulla quale sorgevano le playhouses elisabettiane: sulla destra è visibile il Globe Theatre
Particolare di una mappa di Londra del 1616 dove si vede la riva del Tamigi sulla quale sorgevano le playhouses elisabettiane: sulla destra è visibile il Globe Theatre

[modifica] Compagnie teatrali

[modifica] Bibliografia consultata

Critica
  • Praz, M., Storia della letteratura inglese. Firenze, Sansoni, 1985.
  • Gurr, Andrew, The Shakespearean Stage. Cambridge, Cambridge Univeristy Press, 1992.
  • Aristotele, Poetica. Bari, Laterza, 1998.
  • Cuddon, J. A., Literary Terms and Literary Theory. Harmonsdworth, Penguin, 1998.
  • Salinari, C. e Ricci, C., Storia della Letteratura Italiana. Bari, Laterza, 1983.
  • Burgess, A., English Literature. Hong Kong, Longman, 1974.
  • Macchia G., La letteratura francese, Vol.2. Milano, Accademia, 1970.
Opere teatrali
  • Ben Jonson, Volpone, ed. Philip Brockbank. New York, Norton, 1968.
  • Christopher Marlowe, Doctor Faustus. Burnt Mill (Essex), longman, 1984.
  • Thomas Nashe, The Unfortunate Traveller, in: Elizabethan Prose Fiction. Harmondsworth, Penguin, 1987.
  • William Shakespeare, Macbeth. New York, Methuen, 1984.
  • William Shakespeare, Macbeth (testo it. a fronte). Milano, Mursia, 1971-82.
  • William Shakespeare, The Tempest. New York, Methuen, 1958.
  • William Shakespeare, Re Lear.(testo it. a fronte). Milano, Rizzoli, 1963.
  • William Shakespeare, Romeo and Juliet. New York, Methuen, 1980.
  • William Shakespeare, Romeo and Juliet.(testo it. a fronte). Rizzoli, 1963.

[modifica] Voci correlate

Voci generali
Luoghi di interesse

[modifica] Collegamenti esterni

[modifica] Testi

[modifica] Filmografia

Shakespeare
Per approfondire, vedi la voce Shakespeare nella cinematografia.
Marlowe
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