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Tragedia - Wikipedia

Tragedia

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La tragedia (dal greco τραγῳδία, trago(i)día) è una delle forme più antiche di teatro.

Le sue origini sono oscure, ma derivano certamente dalla ricca tradizione poetica e religiosa della Grecia antica.

Indice

[modifica] Origini

Per approfondire, vedi la voce Tragedia greca.

Le origini della tragedia possono essere fatte risalire ai ditirambi, i canti e le danze in onore del dio Dioniso della mitologia greca, più tardi noto agli antichi Romani come Bacco.

Proprio per queste sue origine ancora sconosciute si è soliti riportare la preistoria della tragedia (la proto-tragedia) in ambiente dorico.

Aristotele affermava che la tragedia discendeva dal Dramma satiresco. Secondo Aristotele il nome “drama” deriva dal dorico δρᾶν "drán” “fare/agire”.

In epoca antica Atene rivendicò la paternità della tragedia, anche se la lingua in cui il Coro si esprimeva è la lingua dorica.

Anche l'origine del nome è avvolta nel mistero, secondo le teorie più accreditate la prima parte del nome va messa in rapporto con “tràgos” “capro” e la seconda con “oidè” “canto”, infatti si pensa che probabilmente la tragedia è così chiamata o perché il vincitore della gara otteneva, per l'appunto, un capro come ricompensa (canto per il capro), oppure perché i coreuti indossavano delle maschere con sembianze caprine (canto dei capri).


[modifica] Il tempo della tragedia

Il tempo della tragedia è un presente assoluto "hic et nunc" che agisce in quella 'realtà alternativa' che è il momento teatrale. Lo spettatore della Grecia antica che assiste ad una tragedia vive una realtà che differisce da quella che sperimenta quotidianamente, ma che è altrettanto reale. L'atto teatrale, che accade in un tempo presente contemporaneo a quello di chi assiste, rende possibile qualsiasi evento imprevisto, esattamente come il presente dell’esperienza quotidiana, pur rifacendosi ai miti che in quanto tali sono eventi passati e immutabili.
Le regole temporali in cui lo spettatore viene attratto sono peraltro proprie del tempo scenico: l'intera vita di un uomo può essere ripercorsa in poche ore.
L'eroe tragico, impersonato dall'attore, non perde la sua facoltà di autodeterminazione: i testi tragici sottolineano la volontà dell'uomo come elemento determinante, mettendolo a confronto con una alternativa, nella quale egli può ancora scegliere.

La contraddizione, all'interno dell'illusione teatrale, è tra il presente scenico e il passato del mito, nel quale la scelta è già stata fatta. Nella tragedia prende forma il paradosso della coesistenza di due diversi universi temporali. Il percorso obbligato del mito costituisce il destino dell'eroe tragico, iniziando la riflessione umana sul contrasto tra necessità e libertà, riflessione con la quale anche il mondo contemporaneo continua a confrontarsi.

[modifica] Struttura della tragedia

Inizialmente l’attore era subordinato al Coro e interagiva con esso, anziché con un altro attore; così facendo si riflette la struttura connettiva di una comunità, in cui il singolo si rapporta con la collettività.

Ma ben presto prende importanza l'attore (il "protagonista"), che viene affiancato da un secondo attore ("deuteragonista") e poi (ad opera di Sofocle) da un terzo ("tritagonista").

A causa dell'interazione tra gli attori, che dialogano tra di loro, ecco che il baricentro dell'azione si sposta sul loro dialogo. Il Coro tende a diventare quasi uno sfondo scenico, o per lo meno a perdere la funzione originaria, interagendo in modo complesso con l'azione.

Iniziano a parlare in trimetri giambici, metro che produce una cadenza molto vicina al parlato e non sono accompagnati da musica, mentre il Coro è continuamente accompagnato dal suono del flauto.

Il compito del Coro è, anche, quello di spiegare al pubblico azioni e reazioni che avvengono sulla scena, le quali, per motivi ovvi, non sono di facile e immediata comprensione;
il Coro è neutrale rispetto agli attori e alle loro azioni, e svolge la funzione di "narratore".I cittadini greci infatti erano obbligati alla partecipazione della tragedia, in modo che tramite questa si arrivasse a quella purificazione dei mali e presa visione dei proprio limiti, questo momento di purificazione era chiamata catarsi.

[modifica] La tragedia nella Storia

La tragedia greca propriamente detta si stempera nel periodo romano repubblicano. I Romani adattano le tragedie al loro tempo e alla loro cultura fabulae pratextae e tra i grandi autori di tragedie di ambito romano si possono ricordare nomi come Ennio e Nevio. La tragedia greca riprende vigore con Lucio Anneo Seneca, ma il gusto dell'orrido e del magniloquente e il grande numero di personaggi (non adatto per il teatro tragico a quel tempo) portano a ritenere che esse fossero destinate alla declamazione. Nell'era cristiana scorgiamo alcuni monaci, come Rosmita che cercano di riprendere la modulistica tragica classica per parlare di argomenti biblici e sacri. a fini apologetici e di conversione

Il medioevo è caratterizzato da molte rappresentazioni, per lo più a sfondo sacro ed edificante, ma difficilmente possiamo scorgervi un legame o una parentela con la tragedia.

La tragedia rinasce invece in tempi più moderni, e si riallaccia in qualche modo alle epoche precedenti, ma anche trasformandosi e a volte fondendosi in forme nuove. Ecco che si rinverdiscono i temi mitologici (es. Metastasio), si fa confluire la tragedia con l'Opera lirica (secondo gli autori la tragedia cantata era la prosecuzione della tragedia greca) e quando si disperdono i temi mitologici gli argomenti restano comunque spesso eroici, aulici e lontani dal quotidiano, accostandosi così ai temi cari ai cantori delle gesta di questo o quel personaggio.
Questo accade già in epoca rinascimentale e post-rinascimentale, con autori che la rappresentano sulla scena (come ad esempio Shakespeare) che peraltro si basa su moduli e temi originali o, col tempo, anche in forma del tutto letteraria, che conserva un legame più o meno forte con la rappresentazione teatrale, o lo perde del tutto, divenendo un genere da leggere, senza neppure più ambire ad una scena.

Si può dunque dire che negli ultimi secoli il cammino della tragedia si diversifica: vi è quella che mantiene un rapporto stretto con la scena (es. Brecht, ecc. ) quella che diviene un genere letterario, quella che confluisce nell'opera lirica ("La Clemenza di Tito" musicata da Mozart o senza più ambizioni di imitazione del teatro classico l'"Elettra" di Strauss), quella che al contrario riafferma la sua vicinanza alla poesia pura (es. Alessandro Manzoni, ma anche Oscar Wilde ecc.), quella che reinterpreta i miti greci, o che rappresenta le tragedie sociali del presente (per esempio, I Cattivi pastori, di Octave Mirbeau, 1897), e così via.

Secondo George Steiner non ci sono oggi molte possibilità per la tragedia come forma d’arte, a meno di cercare il tragico in qualcosa di estraneo all’arte stessa. L’uomo d’oggi è infatti, secondo Steiner, saturato da catastrofi e da atrocità di fronte alle quali reagisce spesso con indifferenza.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

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