Letteratura greca
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La letteratura greca, espressione della Grecia antica e della sua ricchissima cultura, è tra gli elementi fondanti dell'idea moderna di Occidente.
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[modifica] Età arcaica (X-VI sec. a.C.)
L'inizio tradizionale della storia greca avviene intorno al 2800-2100 a.C. (età del Bronzo), molto prima della reale nascita della civiltà greca, datata all'età della Pietra intorno all'VIII-IV millennio a.C. La civiltà più antica, quella minoica, nasce intorno al 1900-1450 a.C., mentre la prima certamente greca è quella micenea. Nel 1100 a.C. avviene l'invasione dorica, una popolazione di provenienza sconosciuta ma di certe origini greche; segue il medioevo ellenico (dark age), che termina con l'importazione dell'alfabeto alla metà dell'VIII secolo a.C. In corrispondenza di ciò avviene un forte incremento demografico ed una colonizzazione delle coste dell'Asia Minore: questo comporta la nascita delle prime poleis, nonché delle prime legislazioni scritte, come fa Licurgo a Sparta. Con le invasioni doriche si ha un regresso nella scrittura, durante tutto il medioevo ellenico: dai primi elementi di scrittura sillabica del Lineare B, individuati dall’architetto inglese Michael Ventris nel 1952, datati al II millennio a.C., si arriva ai primi esempi di scrittura a dopo il 750 a.C., come la Coppa di Nestore o il Vaso del Dipylon. L'invenzione dell’alfabeto, dovuta per o più all’introduzione delle vocali fenice, risale mitologicamente a Cadmo, fondatore di Tebe, che le introdusse in Beozia, la sua terra. Ma prima di Omero sono attestate diverse composizioni: λίνος (canti in onore di Lino, come lamento), υμέναιος (canto nuziale, anche imeneo), παιήων (discorso celebrativo, peana), θρῆνος (canto funebre, treno). Anche Cicerone afferma che "fuerunt ante Homerum poetae".
[modifica] Omero
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Come riferisce Giambattista Vico, Omero è il simbolo dell’attività letteraria di un’intera cultura. È ormai certo che le sue opere siano prima state composte oralmente, poi pubblicate in maniera aurale (per recitazione), ed infine sarebbe avvenuta la trasmissione orale e poi scritta. I suoi sono libri di cultura, cioè ne rispecchiano le componenti religiose, civili, belliche, sociali. Indicazioni bibliografiche ci sono state trasmesse dalle "Vite", prima del testo letterario, il "De vita et poesi Homeri" dello Pseudo-Plutarco, una voce nel lessico bizantino "Suda", nonché un’altra citazione nelle "Storie" di Erodoto. È considerato tradizionalmente cieco, poiché il poeta è sempre veggente, e vede con l'occhio interiore. Le sue due grandi opere sono l'Iliade (secondo il Trattato del Sublime, l'opera della giovinezza), sugli eventi degli ultimi giorni del decimo anno della guerra di Troia, e l'Odissea (l'opera della vecchiaia, sempre secondo il Sublime), un νόστοι, il ritorno in patria lungo dieci anni, con una struttura narrativa molto complessa (Odisseo è infatti il narratore di sé stesso). Se la prima opera analizza la guerra in tutti i suoi aspetti, la seconda conferisce particolare importanza ai motivi geografici. È presente un forte antropomorfismo, una rappresentazione delle divinità con tratti totalmente umani. Dodds identifica una forte aggressività guerriera, motivata dalla difesa dell’onore, esempio della cultura della vergogna, quale sarebbe quella greca (poi, interiorizzata, in cultura della colpa). La lingua utilizzata, composta prevalentemente da dialetto ionico ed eolico, è definita omerica per la particolarità del linguaggio, con uno stile molto semplice e lineare funzionale alle attese del destinatario. In tutta l’opera prevale l’esametro, e la presenza assoluta di due leggi ritmiche: il divieto di esatta divisione in due del verso (divieto di pausa dopo il terzo dattilo) e il ponte di Hermann (divieto di pausa dopo la prima breve del quarto dattilo): tutto ciò evidenzia una cronologia del verso certamente precedente all'VIII secolo a.C. La questione omerica nasce con i Korizontes Xenone ed Ellanico nel III secolo a.C., quando ipotizzano due differenti autori per le opere omeriche: nel VI secolo a.C. Pisistrato aveva unito in unico corpus i canti epici di Omero, aggiungendone alcune parti, in occasione della festa ateniese delle Panatenee. Sulla redazione dell’opera la prima ipotesi è del 1664, con D’Aubigna e il suo "Conjectures académiques ou disseration sur l’Iliade", cui seguono Vico con "Della discoverta del vero Omero" (1774), Wood e il suo "Essay on the original genius of Homer" (1769) e pochi anni dopo, nel 1795, Wolf con la "Prolegomena ad Homerum", tutte sull’ipotesi di una tradizione orale precedente alla redazione omerica. Le due ideologie principali vedono contrapposti gli analitici e gli unitari: i primi credono ad una redazione differente, come la teoria del nucleo (Hermann), la teoria dei canti singoli (Lachmann), la teoria della compilazione (Kirchhoff), mentre i secondi vendono negli espedienti compositivi e nei richiami a distanza un unico autore, forse Omero. Oggi si crede che vi sia unità, ma non in senso moderno. Fra gli elementi più importanti, i cosiddetti versi formulari identificati da Parry nel 1928, e soprattutto quelle incongruenze narrative, gli scandali analitici, come il personaggio di Pylaiménes, che muore e risorge, e l’episodio del nono libro dell’Iliade, in cui l’ambasceria di Agamennone per Achille, che vede protagonisti Fenice, Odisseo ed Aiace, parla in modo duale.
[modifica] Esiodo
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Esiodo è il primo individuo storico, cioè ci parla di sé all’interno delle proprie opere, con una forte autoidentificazione. Sappiamo che col padre parte da Cuma, in Asia Minore, per giungere via mare ad Ascra, in Beozia; altre fonti ci dicono che non fece mai alcun viaggio per mare, e quindi è possibile che sia nato nella stessa città. Il poeta è comunque collocabile al principio del VII secolo a.C. Il suo unico viaggio di cui si avrebbe conferma è ad Eubea, in Calcide, in occasione di giochi funebri in onore di Anfidamante. La "Teogonia" è un'opera d'argomento religioso, ma in maniera differente dalla concezione moderna: l'autore non intende spiegare nulla, ma considera gli dei coma una realtà di fatto. La tradizione teogonica è diversa da quella di Omero, ma è dello stesso tipo, segno di una chiara valenza panellenica. Altro elemento fondamentale è l'investitura personale delle Muse: nell'opera risaltano il dato biografico e soprattutto la dichiarazione poetica. Opera non molto unitaria, poiché segue una concezione personale, è "Le opere e i giorni", che si dilunga su due grandi argomenti: la giustizia e il lavoro. Tratta materia umile con il verso tipico dell'epos, l'esametro: si tratta infatti di un'opera epica, non di un poema didascalico. Inoltre il patrimonio proverbiale è molto folto. La mancanza di oralità (a differenza del caso omerico) è dovuta innanzitutto all’aspetto cronologico (la scrittura doveva essere già presente), e poi ad una tradizione omerica ormai pervenuta. L’unità su cui si dibatte è messa in discussione dalle sezioni alternative, veri e propri doppi utilizzati dagli aedi durante le narrazioni. Altre opere minori, di dubbia attribuzione, sono "Il catalogo delle donne", una storia dell’umanità sulle figure femminili, legato nella narrazione al termine della Teogonia, e lo "Scudo di Eracle", sulla vicenda di Alcmena ed Eracle. Altri scritti vengono oggi considerati apocrifi (Precetti di Chitone, Astronomia, Aigìmios, Melampodia, Discesa all’Ade di Pirìtoo, Nozze di Ceìce). Allo stato attuale degli studi la critica letteraria tende ad un'interpretazione unitaria dei testi, ossia una redazione finale completa, ma con una lunga tradizione precedente orale.
[modifica] Lirica monodica (VII-VI secolo a.C.)
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La lirica riguarda tutta la poesia non epica: gli antichi ne distinguono il giambo (per l’uso del metro giambico), l’elegia (per l’uso dei distici elegiaci) e la melica (cantata). La lirica si suddivide inoltre in base al pubblico e all’occasione: corale per feste religiose ed agoni ginnici, monodica per solisti, soprattutto durante i simposi. Il simposio è il luogo politico in cui s’incontrano gli appartenenti ad un'eteria: è il momento in cui il pasto diventa una celebrazione formalizzata. Ma bisogna ricordare che tutta la poesia antica è d’occasione. Modi di resa della parola erano il parlato (poesia, dialogo nel dramma), il recitativo (epos, elegia, giambo) ed il canto (lirica monodica, dramma). I principali strumenti musicali erano a corda (phórminx per l’epos, kithàra, lyra, bárbiton per i simposi), a fiato (aúlos, sálpinx per scopi militari) e a percussione (týmpana, kýmbala). Gli antichi avevano una sensibilità maggiore al contesto musicale: tanto è vero che questa era controllata giuridicamente. Oltre ai celebri autori di Lesbo, si ricorda Terpandro, a cui si deve l’introduzione della lira moderna a sette corde, il canto per occasioni conviviali in metro lirico, nonché l’invenzione dello scolio simposiale e del bárbiton, strumento per eccellenza del simposio. Altro personaggio è Arione, vissuto alla corte del tiranno Periandro, che introdusse il coro dei satiri, nonché grandi innovazioni nel ditirambo.
[modifica] Alceo
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Grande poeta è stato Alceo, da molti considerato nemico dei tiranni, mentre invece era il semplice oppositore della fazione nemica vincitrice a Lesbo: la sua opera mirava infatti alla coesione del gruppo politico, con una celebrazione interna ed una propaganda contro gli avversari. Lui nasce a Mitilene, sull'isola di Lesbo, alla fine del VII secolo a.C. Quando era giovane sale al potere il tiranno Melancro, appoggiato dai suoi fratelli; in seguito la stessa fazione sarà vittoriosa portando al potere Pittaco. In uno scontro fra Mitilene ed Atene per il possesso del promontorio Sigeo, nei pressi di Troia, abbandona le celebri armi per salvarsi. Alceo ingiuria Pittaco di tradimento, ma dopo il suo governo non si hanno più notizie del poeta: la tradizione lo vuole morto in battaglia. Gli inni aprivano ogni simposio, molto apprezzati dagli Alessandrini, tutti incentrati sulla tematica mitologica. I carmi di lotta, soprannominati στασιωτικά, erano solitamente invettive contro i rivali politici ed esortazioni a combattere: meta principale di questi attacchi era Pittaco. Un discorso a parte si dedica ai frammenti dell’allegoria della nave, nei quali la nave è la città, il mare le vicende politiche, la tempesta le battaglie: sarà un’allegoria fondamentale, apprezzata anche da Teognide, Orazio e Dante. Abbiamo anche carmi erotici, propriamente di amore cantato, in quelli definiti carmi metasimposiali, ossia che trattano del simposio in un canto simposiale. È presente anche l’antisimposio, ossia l’esortazione ad infrangere le regole stesse del banchetto (bere in pieno giorno, gozzovigliare la notte, accompagnarsi con gente indegna), comunque intrecciato alla tematica politica. Alceo ebbe fortuna per lo più in epoca arcaica e classica come fornitore di testi per il simposio.
[modifica] Saffo
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Saffo è la prima voce femminile del mondo classico: nasce ad Ereso, sempre a Lesbo, forse intorno al 630 a.C. Sposa un uomo ricchissimo di nome Cèrcila, da cui ha la figlia Clèide, che compare in un frammento famoso. È miticamente non bella, forse per l’amore infelice il traghettatore Faone, per cui si butta dalla rupe di Lèucade. Il tiaso era l’istituzione in cui esercitava la funzione di educatrice, per preparare le ragazze al matrimonio e alla vita coniugale, tutte allieve di grandi famiglie. La poesia saffica è prevalentemente d’amore, anche se non si discosta dalla funzione paideutica e religiosa. I carmi di congedo, a cui appartiene anche la cosiddetta "ode della gelosia" citata nel Trattato del Sublime, descrivono soprattutto l’allontanamento e il ricordo, in cui compaiono frequentemente elementi cultuali. Quello dell’amore omosessuale è solamente un equivoco, poiché le occasioni e motivi poetici sono molto più vari, che un rifugio di amori intimistici. Gli epitalami sembrano invece rivolti ad un pubblico più ampio, e dunque composti per l’esecuzione corale: ma è presente fortemente anche l’elemento popolare, con scherzi, immagini maliziose, ed apostrofi patetiche. Saffo è fedele, come Alceo, al dialetto locale ed è quasi integralmente omerica.
[modifica] Anacreonte
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Anacreonte è lontano dall’impegno politico di Alceo, segno soprattutto degli ambienti dove operò e della differente richiesta dell’uditorio: era un poesia finalizzata all’intrattenimento leggero. Nasce a Tei, città ionica dell’Asia Minore, probabilmente intorno al 570 a.C., da cui parte a venticinque anni perché attaccata dal generale Ciro Arpago; fonda dunque una colonia ionica sulla costa della Tracia. Soggiorna presso il tiranno Policrate di Samo e, una volta ucciso dai Persiani, viaggia fino ad Atene presso il figlio di Pisistrato, Ipparco, fino al suo assassinio nel 514 a.C. Dopo una breve parentesi in Tessaglia vi ritorna, celebrato da Crizia, uno dei Trenta Tiranni; tradizionalmente muore in tarda età intorno al 485 a.C. Anche lui è autore di carmi metasimposiali, in cui celebra i simposi. I suoi carmi, molto legati alla tematica erotica, mostrano una ricerca della sorpresa, che ottiene con naturalezza inscenando un rapporto con la divinità. Tipica è una certa sensualità, che purtroppo possiamo parzialmente documentare. Quando parla di personaggi bassi e popolani, si mostra come un osservatore divertito e a volte ironico, come sarà anche il suo pubblico. Anche se non traspare, la tematica politica doveva essere molto presente. Lo stile è strettamente funzionale ai contenuti: usa l’omerismo per conferire un tono parodistico ed ironico.
[modifica] Melica tardoarcaica (VI-V secolo a.C.)
[modifica] Simonide
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Simonide nasce sull’isola di Ceo delle Cicladi nel 556 a.C.: di lui sappiamo solamente che viaggiò moltissimo. Risiede ad Atene presso Ipparco, da cui si allontana, per poi tornare con le guerre persiane. Infine giunge alla corte di Ierone di Siracusa, dove copre il ruolo di ambasciatore, fino al 468 a.C., quando muore forse a Siracusa. Era un grande autore di epinici, ossia canti che celebravano i vincitori degli agoni sportivi delle grandi feste, di cui viene considerato l’inventore. In questi componimenti è molto forte il carattere popolaresco, probabilmente dovuto alle origini d’improvvisazione popolare di questi carmi. Altro genere forte erano i θρῆνοι, ossia i lamenti funebri, in gran parte inseriti in un rituale celebrativo molto solenne; fra i tanti, il più celebre quello dedicato alla battaglia delle Termopili. Ma le sua grandi innovazioni appartengono agli scoli simposiali, in cui oppone per la prima volta dei valori relativi, meno eroici e più umani, alla ricerca di un nuovo ideale. Tocca la sfera della responsabilità individuale: può permettersi tali affermazioni grazie alla grande fama acquisita in tutta la Grecia. La sua capacità di esprimere il pathos è sintetizzata in una delle sue opere più celebri, il Lamento di Danae, campione della sua grande abilità. La lingua dei suoi componimenti è sul solco della tradizione, con una solita deferenza verso Omero; la sua chiarezza viene apprezzata dall’Anonimo del Sublime.
[modifica] Pindaro
Per approfondire, vedi la voce Pindaro. |
Pindaro è il celebratore aulico della vittoria, parte di valori sentiti come perenni: lo sport ha in lui poco spazio. Nasce a Cinoscefale, nei pressi di Tebe, fra il 522 e il 518 a.C., forse di nobile famiglia, studia ad Atene; durante questo periodo avvengono le grandi date delle guerre persiane (490 a.C. a Maratona, 480 a.C. a Salamina), ma nei suoi componimenti non se ne trova notizia: Tebe infatti aveva appoggiato i Persiani. Anche lui giunge da Ierone di Siracusa, ma la leggenda biografica lo fa morire nel 438 a.C. L’edizione alessandrina di diciassette libri era costituita da quattro libri di epinici (per le feste Olimpiche e nemee di Zeus, pitiche di Apollo ed istmiche di Poseidone) e di altri canti religiosi, θρῆνοι, carmi simposiali, di cui rimangono pochi frammenti. Come in Simonide, ritorna il tema della concorrenza fra arte figurativa e poesia, con una netta vittoria della seconda: più che affermazioni ideologiche, si tratta di mera propaganda per la propria attività. Pindaro crede che la poesia sia un’arte innata, elitaria, e vede nei destinatari una certa selezione, determinando la cosiddetta stratificazione dei messaggi: pochi possono coglierne il senso profondo. Occasione principale dell’epinicio è la vittoria sportiva, ma il mito e l’evento sportivo vengono trattati marginalmente, poiché considerati già noti. Problema della critica moderna, e non antica, è stata quella della unità dell’epinicio, legata anche ai celebri voli pindarici: ma va ricordato che il tema centrale era la lode del vincitore, in cui tutto il resto non era nient’altro che cornice. I suoi principali committenti erano tiranni, aristocratici, e più in generale ricchi borghesi. Il resto della sua produzione letteraria si divide fra i canti religiose, più abbondanti, e gli encomi funebri, su cui tuttavia Simonide certamente prevaleva. Ci rimangono anche alcuni scolii, in cui intreccia motivi tradizionali a personaggi a cui era legato amichevolmente. Con lui l’epos e il mito tornano alla sua antica funzione, ossia di proporre modelli eroici di comportamento. È un’etica dell’assoluto, contrapposta a quella relativistica di Simonide, quest’ultima presto vincente. La sua lingua è un impasto artificiale di lingua epica ed innesto dorico, pur sempre moderato. La sua opera ha grande fortuna fin dall’inizio.
[modifica] Bacchilide
Per approfondire, vedi la voce Bacchilide. |
Bacchilide, nipote di Simonide, nasce sull’isola di Ceo, coetaneo di Pindaro (intorno al 520 a.C.): fu allievo dello zio, con cui va in Sicilia. Non si hanno tracce della sua attività posteriori alla metà del V secolo a.C. Di lui abbiamo quattordici epinici, di cui quattro per Olimpia, due per Pito (Delfi), tre per l'Istmo e tre per Nemea: si distingue per l’interesse nei confronti dello sport e per la festa. I suoi sei ditirambi sono quelli che danno più spazio al mito, ognuno con un titolo: l’intitolazione mostra dunque un certo apprezzamento per la narrazione del racconto. Anche lui compose comunque carmi monodici per il simposio, con cui realizza affermazioni metapoetiche. Lo stile è a volte sovrabbondante, con epiteti doppi e tripli: c’è una certa dose di barocchismo, unito comunque ad un'innegabile eleganza ed una vivida descrizione.
[modifica] Corinna
Per approfondire, vedi la voce Corinna (poetessa). |
Corinna racconta soltanto storie locali beotiche: ma non è una figura regionale, perché descrive solamente fatti locali, ma frequenta meno i centri panellenici dei suoi colleghi. Di lei sappiamo che nasce a Tanagra, e che scrive cinque libri, più alcuni epigrammi e diversi componimenti lirici. La sua è una poesia narrativa, come quella di Stesicoro: dunque epica lirica, e quindi monodica.
[modifica] Età classica
[modifica] La tragedia
Per approfondire, vedi la voce Tragedia greca. |
Non conosciamo come vorremmo le origini della tragedia greca, che hanno costituito sin dall'antichità un tema di ricerca e di dibattito. I primi autori tragici di cui abbiamo notizia sono il semileggendario Tespi, Cherilo e Frinico.
Abbiamo notizie indirette su una cospicua produzione tragica dell'età classica, ma la tradizione manoscritta ci ha conservato opere di solo tre autori: Eschilo, Sofocle ed Euripide.
[modifica] La commedia
Per approfondire, vedi la voce Commedia antica. |
La Commedia antica fiorì durante il V secolo a.C. e nei primi decenni del secolo successivo. Il suo principale esponente, nonché l'unico di cui siano state trasmesse opere, fu Aristofane.
Per approfondire, vedi la voce Commedia di mezzo. |
La commedia sviluppata nel periodo compreso tra l'ultima commedia di Aristofane (388 a.C.) e la fine dell'età classica è detta commedia di mezzo. Di essa non restano opere intere, ma circa 360 frammenti, molti dei quali sono trasmessi da Ateneo di Naucrati.
[modifica] La filosofia
[modifica] La storiografia
[modifica] Oratoria
[modifica] Poesia
[modifica] Età ellenistica
[modifica] La filologia alessandrina
Il primo a chiamarsi filologo fu Eratostene di Cirene, intendo non solo il lavoro critico-testuale, ma diversi campi oltre lo studio letterale. Le due grandi istituzioni culturali alessandrine sono il Museo e la Biblioteca, nate su iniziativa dei Tolomei: il primo fu voluto da Tolomeo I, come istituzione religiosa per lo studio, tutelato dalle Muse (da cui il nome). Sulla biblioteca le notizie non sono chiare, ma viene attribuita a Tolomeo II Filadelfo, ma si potrebbe trattare del Serapeion. Con l’espansione di queste istituzione, e l’aumentare dei rotoli raccolti, si necessitò di una certa organizzazione e catalogazione: nascono così le Πίνακες ("Tavole") di Callimaco, centoventi libri su tutti gli autori e le opere di cui si aveva conoscenza. Con l’affluire di edizioni d’autore e di provenienze geografiche diverse, comincia il lavoro dei filologi nel collazionare le diverse versioni. Licofrone di Calcide, IV secolo a.C., sistemò le opere dei poeti comici. Zenodoto di Efeso (III secolo a.C.), primo sovrintendente della Biblioteca, si occupò degli studi omerici: a lui seguirono Apollonio Rodio (che contestò i risultati del predecessore, nel "Contro Zenodoto") ed Eratostene di Cirene, che giunse ad Alessandria su invito di Tolomeo III dopo il 246 a.C. a comporre il trattato "Sulla commedia antica" in dodici libri, rimanendovi fino alla morte. Aristofane di Bisanzio, che visse fra il 255 ed il 180 a.C., tratta la classificazione dei generi, oltre a diversi studi filologici; a lui seguono Apollonio l’Eidografo (così chiamato perché ordinò la poesia lirica secondo le armonie musicali) ed Aristarco di Samotracia (prima metà del II secolo a.C.), precettore degli eredi al trono fino alla salita di Tolomeo VIII, e il conseguente esilio a Cipro nel 145 a.C.: è conosciuto per un’intesa esegesi, secondo la formula "spiegare Omero sulla base di Omero", ossia attraverso un’accurata conoscenza della lingua stessa e degli strumenti d’analisi contemporanei all'opera. Dopo di lui l’interesse per le questioni testuali diminuì, a favore dello studio sistematico delle parti del discorso e dell’esegesi. Rimanevano comunque altri centri importanti di cultura: Pergamo, attiva fin dal III secolo a.C., ed Antiochia.
[modifica] Callimaco
Per approfondire, vedi la voce Callimaco. |
Callimaco è il primo editore della sua opera: nasce dall’esigenza di costruire attentamente l’opera per un futuro liber poetico. La figura dell’intellettuale, il nuovo canale di cultura (il libro), la mancanza dell’occasione, portano il poeta ad una maggiore libertà, quasi arbitraria. Nasce a Cirene prima del 300 a.C., sotto il regno dei Tolomei: ci è ignota la data di morte, sicuramente dopo il 246 a.C. Lavora lungamente alla biblioteca di Alessandria ma, benché i suoi rapporti con il sovrano siano forti, non ne diventerà mai sovrintende. Ci rimangono integri sei inni e sessantatré epigrammi. Ormai non è più al centro della discussione la bravura, ma la diversità della poetica. Gli Inni sono composti in esametri, assolutamente estranei alla tecnica omerica, e con un profilo tematico differente dagli inni normali: non è la solita invocazione, ma un episodio del mito del dio che si preferisce alla consueta elencazione di doti e funzioni divine. L’Inno a Zeus (I) è l’immaginaria cornice di riferimento di un simposio di eruditi; l’Inno ad Apollo (II) tratta invece le origini della città di Cirene; l’Inno ad Artemide (III) introduce le prerogative della dea attraverso una scenetta di vita quotidiana; l’Inno a Delo (IV) è un excursus geografico sul vagabondare di Latona; I lavacri di Pallade (V) è in distici elegiaci appositamente studiati per la narrazione del mito di Tiresia ed Atena; l’Inno a Demetra (IV) tratta ancora un solo episodio, quello della fame insaziabile di Erisittone. Gli Aitia sono una raccolta di elegie in distici elegiaci in quattro libri, che ricostruiscono l’origine di culti, usanze e altro, fra cui il mito di Aconzio e Cidippe, e della Chioma di Berenice. Si credeva che Callimaco scegliesse varianti remote dei miti, ma non è così: si tratta anzi di miti ben conosciuti, che il poeta citava soltanto marginalmente appositamente per questa ragione. Nei Giambi, diciassette carmi in differenti generi e metri, si evidenza la sua volontà compositivi assolutamente nuova: il primo è un vero e proprio manifesto di poetica, un esperimento letterario con nuove e audaci combinazioni di forme. L’Ecale è un epillio, forse scritto perché accusato di non saper comporre un grande poema: è un episodio marginale delle gesta di Teseo, che di ritorno da Maratona, ritrova la vecchia Ecale morta, donna che poco tempo prima l’aveva ospitato. È un racconto eziologico, di cui la vera protagonista è Ecale: un epos che è antiepos. Gli epigrammi, contenuti nell’Antologia Palatina, non sono tutti certamente attribuibili a Callimaco; a lui si devono comunque molti altri scritti, di carattere filologico ed erudito. La sua è una lingua omerica aggiornata alle forme e alla produttività della lingua ellenistica; ebbe fortuna prima negli ambienti dotti, e poi grande successo a Roma. Euforione di Calcide fu un suo grande seguace, tuttavia esasperando i tratti del maestro.
[modifica] Teocrito
Per approfondire, vedi la voce Teocrito. |
Sappiamo poco della biografia di Teocrito: nasce a Siracusa, ma si trasferisce ad Alessandria, dove incontra Callimaco e il Museo. Dalle sue opere è possibile ricostruire la datazione della sua vita: la nascita intorno al 310 a.C. e la morte probabilmente posteriore al 260 a.C. Il suo corpus contiene opere realmente teocritee e dei suoi imitatori: in tutto tretuno carmi e ventiquattro epigrammi. È considerato l'inventore degli idilli, piccoli componimenti, ossia della poesia bucolica: spiega ciò nell'Idillio 7, "Le Talisie", in cui un nobile ed un pastore gareggiano cantando alla maniera bucolica. Nell'Idillio 1, "Tirsi o il canto", in un cui un capraio canta la morte di Dafni e tutta la natura che assiste all'evento, con tratti di idealizzazione (che torneranno con Virgilio); altro idillio importante è il quinto, l'agone bucolico in cui due caprai si sfidano in maniera molto realistica. Altro genere, il mimo, si ritrova negli Idilli 2 ("Le incantatrici") e 15 ("Le siracusane", o "Le donne alla festa di Adone"), con forti colloquialismi e modi di parlare popolari. Ci sono anche diversi epilli, come negli Idilli 17 ("Tolemèo") e 24 ("Eracle bambino"); si ritrovano anche carmi eolici e diversi epigrammi. La sua poetica è marcata dal realismo campestre, con la tematica pastorale come elemento fondamentale: non si tratta di vero realismo, ma di aderenza alla realtà dei campi. Inoltre particolarità della sua produzione è la mescolanza dei generi letterali, quando mai raffinata. Diversi sono i carmi spuri, riconoscibili generalmente per l'ignoranza che traspare sulla realtà bucolica. Altri poeti bucolici sono Mosco di Siracusa, del II secolo a.C., con il suo epillio Europa, in lingua omerica ma con grazia rococò; Bione di Smirne mostra invece una dettagliatissima narrazione, ricca di grazia, nel suo Epitaffio di Adone. A Teocrito inoltre viene attribuito un piccolo carme figurato, intitolato La zampogna, in parte simile alle Talisie.
[modifica] Epigramma
Per approfondire, vedi la voce epigramma. |
L’epigramma è l’unica forma di poesia che resta produttiva nell’epoca ellenistica. La poesia si allontana dagli spazi pubblici, e le esigenze di spettacolarità si azzerano: la musica e la poesia si distaccano completamente. La sua struttura era semplice: piccola strofe epodica, ossia un esametro ed un pentametro. Ormai in pochi potevano comprendere le forme complicate della lirica arcaica; i grandi contenuti ormai emigrano verso forme prosaiche. Quella dell’epigramma era la forma ideale: breve e di presa immediata, per contenuti minori o marginali. Il primo a proporre un’antologia fu Meleagro nel I secolo a.C. con la sua Στέφανος ("Ghirlanda"), in cui inserisce opere antiche e personali; ormai questo genere sostituisce l'agone, la sua traduzione libresca. In età arcaica si trattava di una semplice iscrizione, quasi sempre anonima: la cultura del libro permette una crescita delle dimensioni ed un ampliamento dello spettro tematico, dovuto anche alla venuta a mancare dell’occasione. Esistono tre scuole dell’epigramma ellenistico: peloponnesiaca, caratterizzata da una rappresentazione della natura in stile ridondante; ionico-alessandrina, che prediligeva i temi erotici e simposiali, con uno stile più lineare e breve; fenicia, alla ricerca dell’effetto e del pathos attraverso la tecnica oratorica.
[modifica] Filosofia ellenistica
Ciò che caratterizza tutte le nuove filosofie è la preminenza dell’etica, e del ruolo centrale occupato dall’ευδαιμονία: causa principale è la perdita dei punti di riferimento, dovuta alla mancanza di partecipazione nel governo dello Stato, ormai monarchico. In realtà la crisi comincia molto prima, con la guerra del Peloponneso, e con le crisi del platonismo e dell’aristotelismo nelle stesse scuole d’origine. Il ritorno a Socrate viene praticato dal cinismo, fondato da Antistene, anche se più probabilmente si tratta di Diogene. Questa filosofia prende il nome dall’epiteto del cane, attribuito a Diogene per il suo stile di vita e la sua indole; principi fondamentali sono: l’autosufficienza (αυτάρκεια), la distanza dai bisogni e l’indifferenza (αδιαφορία) attraverso l’esercizio e la fatica. Particolare forma letteraria è la diàtriba (di cui inventore sarebbe Bione di Boristene), breve esposizione di un concetto o di un problema di pratica morale tale da attrarre l’attenzione degli ascoltatori: un tipo particolare di componimenti di questo genere sono quelli di Menippeo di Gàdara, caratterizzati da una fantasiosa vivacità e da una grande capacità inventiva. Lo scetticismo, dalla parola greca omonima per "riflessione", indica una posizione che esprime dubbio o sfiducia nella possibilità umana di conoscere: creatore è Pirrone di Elide, influenzato dall’esperienza del mondo orientale. Bisogna giungere all’astensione cioè all’αφασία, per arrivare all’atarassia, e dunque alla felicità. Zenone di Cizio fonda invece lo stoicismo, che prende il nome dalla Stoà Poikìle, il portico affrescato a nord dell’agorà. Unione di varie concezioni e dottrine filosofiche, l’elemento che unifica tutto ciò è il concetto di Logos, la ragione universale che costruisce l’essenza del cosmo, identificabile con il Dio supremo, Zeus: è anche il fondamento della vita morale. Posidonio in seguito sviluppa il concetto di simpatia universale, un rapporto di interrelazione reciproca fra tutti gli elementi del cosmo. L’epicureismo prende il nome dal suo omonimo fondatore: l’idea centrale è quella del piacere negativo, come assenza di dolore e turbamento (αταραξία), un piacere catastematico, ossia derivato dal prefetto equilibrio degli atomi tanto del corpo quanto dell’anima. Il piacere è dunque conseguibile attraverso quattro proposizioni, dette tetrafarmaco: il piacere è facilmente perseguibile, il dolore è facilmente sopportabile, la morte non è niente per l’uomo, gli dèi non sono da temersi. Insieme a ciò, coerentemente, rimane il distacco dalla vita politica; introduce anche, rispetto all’atomismo antico, l’idea della deviazione, il clinamen di Lucrezio, che permette l’incontro-scontro degli atomi che provoca il nascere e perire di tutte le cose. Altre due scuole importanti sono l’Accademia e il Peripato.
[modifica] Oratoria e retorica
Rodi è il centro culturale per l’oratoria di primaria importanza, insieme ad Atene ed Alessandria. Tuttavia la perdita della libertà politica aveva portato ad una prevalenza dei generi giudiziario ed epidittico, a scapito di quella deliberativa (limitata alla vita municipale delle città greche). L’atticismo, ossia l’idea di ritorno all’antica grandezza dell’eloquenza con i modelli attici come unico mezzo, è legato anche al patrimonio letterario promosso dal Museo alessandrino e dal lavoro dei filologi. Ermagora di Temno idealizza quattro punti qualificanti del discorso: coniecturae (sulla realtà dell’azione commessa), definitionis (sulla definizione giuridica del fatto), qualitatis (sulla passibilità della pena), translationis (sulla legittimità e la competenza).
[modifica] La letteratura scientifica ellenistica
[modifica] Età imperiale
[modifica] Autori greci
Per approfondire, vedi la voce Lista di autori greci. |
[modifica] Bibliografia
- Luigi Enrico Rossi, Roberto Nicolai. Storia e testi della letteratura greca. Le Monnier, 2006.
- Luciano Canfora. Storia della letteratura greca. Laterza.
- Raffaele Cantarella. La letteratura greca classica. Milano, Rizzoli, 2002. ISBN 8817112518.
- Albin Lesky. Storia della letteratura greca. Milano, Il Saggiatore, 1984
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