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Trattato del Sublime - Wikipedia

Trattato del Sublime

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Il trattato sul sublime (ΠΕΡΙ ΥΨΟΥΣ) è uno dei più importanti trattati scritti di carattere estetico dell’antichità, insieme alla Poetica di Aristotele.

Indice

[modifica] Paternità dell'opera

L’autore è ignoto; nel manoscritto di riferimento (il Parisinius Graecus 2036) l’intestazione riporta “Dionisio oppure Longino”. Ciò sta a significare che, all’epoca in cui il codice fu trascritto, si erano già perse le tracce del reale autore. Nessuno degli autori citati nel Parisinus, infatti, può essere accettato come vero autore del trattato. Dionisio d’Alicarnasso sosteneva idee inconciliabili con quelle emerse in questo trattato; quanto a Cassio Longino, la difficoltà per l’attribuzione ha un carattere prevalentemente cronologico. Il trattato, infatti, fu scritto al fine di confutare le teorie di Cecilio di Calacte, autore vissuto verso la fine del I secolo d.C. Considerato che Cassio Longino visse nel III secolo d.C., appare improbabile che il Sublime possa essere un trattato-polemica su uno scritto più antico di circa due secoli. Un'altra argomentazione a sfavore della paternità longiniana dell’opera è la citazione di autori vissuti non oltre il I secolo a.C. (il più moderno è Cicerone, morto nel 43 a.C.). L’opera, inoltre, si conclude con una dissertazione sulla corruzione dell’eloquenza, argomento tipico del periodo in cui vissero autori come Tacito, Petronio e Quintiliano i quali, ognuno a proprio modo, trattarono questo soggetto. Tuttavia i tentativi di attribuire un padre a quest’opera non terminano qui; tra i nomi proposti, si ricordino Ermagora (retore vissuto a Roma nel I secolo d.C.), Elio Teone (autore di “Esercitazioni retoriche”, opera di idee affini al nostro trattato “orfano”) e Pompeo Gemino (interlocutore di Dionisio d’Alicarnasso in alcune lettere). Ma ormai, la questione della paternità dello scritto ha perso la sua importanza davanti alla conclusione di una critica concorde a collocare l’opera nella prima età imperiale.

[modifica] Il Trattato del Sublime

L’autore scrive il trattato per un nobile romano, Postumio Florio Terenziano, ed esamina cosa sia il sublime: si tratta di un brano che "induce a sentimenti e riflessioni più alte di quanto in esso è stato detto" e che quindi produce su tutti i lettori, e non solo su alcuni, un'impressione durevole. Come già detto, il Sublime è un trattato di estetica. Questa, però, è una definizione imprecisa, per quanto corretta; lo scritto si occupa di un solo aspetto dell’estetica, vale a dire, di tutto ciò che è indice di grandiosità, una grandiosità che si manifesta quando la parola dell’autore è così potente da determinare una forte emozione psicologica nel lettore. Gli effetti sono il cedimento della razionalità, uno straniamento che porta all’identificazione con il processo creativo dell’artista e una profonda commozione mista a piacere ed esaltazione. Un esempio di sublime che il misterioso autore tratta nell’opera è un carme di Saffo, “Ode alla gelosia” (431V), detto appunto “ode sublime”.

Nel trattato, l’autore afferma che

« il Sublime trascina gli ascoltatori, non alla persuasione, ma all’estasi: perché ciò che è meraviglioso s’accompagna sempre a un senso di smarrimento, e prevale su ciò che è solo convincente o grazioso, dato che la persuasione in genere è alla nostra portata, mentre esso, conferendo al discorso un potere e una forza invincibile, sovrasta qualunque ascoltatore. »

Detto così, si potrebbe pensare che il sublime, per l’anonimo fosse solo un momento di evasione dalla realtà. Al contrario, egli riteneva che la letteratura potesse modellare un’anima e che un’anima potesse riversare se stessa in un’opera d’arte. In questo modo, il trattato, non diventa solo uno scritto di indagine letteraria, ma anche di discussione etica, in quanto il sublime diviene il prodotto di una grande anima (μεγαλοφροσύνης ἀπόχημα). Ciò allarga di molto la dimensione dell’opera; nata per confutare le teorie di un opuscolo di critica letteraria, finisce per inaugurare un’idea che investe non solo la letteratura, ma tutta l’estetica nel suo complesso. Il sublime, infatti, è un metro che commisura la dimensione di chi vi si accosta, sia dell’autore, sia del destinatario dell’opera, tra i quali, per percepire la sublimità, deve instaurarsi un legame empatico. Quindi, il sublime è un meccanismo di riconoscimento provocato dall’impatto con l’opera d’arte; il riconoscimento della grandezza di uno spirito, della profondità di un’idea, del potere della parola. Questa agnizione ha le sue radici nella convinzione che tutti siano consapevoli dell’esistenza del sublime e che la tendenza alla grandezza sia radicata nell’uomo per natura. Fatte tali considerazioni, il genere letterario e l’oggetto su cui lavora il poeta assumono un’importanza minore per l’autore, per il quale la sublimità può essere riscontrata nelle opere letterarie con libertà. L’anonimo si rivela un critico acutissimo poiché supera gli stessi apollodorei, parlando del critico come termine di incanalamento positivo del genio. Egli supera le rigide norme di critica letteraria dei suoi tempi, che vedono la perfezione nello stile uniforme, senza cadute, che egli chiama mediocrità. Infatti l'autore ammira l'audacia del genio, che rischia, anche a costo di cadute (perdonabili), e riesce ad attingere le vette. Negli esempi di sublime, così, si possono ritrovare, accostati senza gerarchie, Omero, i tragici, Saffo, Platone, persino la Bibbia e un comico come Aristofane, in quanto ritiene che il riso sia un pathos giocoso, e perciò sublime in quanto sentimento innato dell'uomo: "infatti il riso è un'emozione di piacere". Tuttavia, non apprezza i poeti ellenistici, forse perché non ne comprende la cultura:

« Certamente, Apollonio nelle Argonautiche è poeta impeccabile, e così è felicissimo Teocrito nelle Bucoliche, tranne pochi carmi trascurabili; ma dunque, vorresti essere Omero o Apollonio? Ebbene? Eratostene nell'Erigone - poemetto in tutto irreprensibile - forse è maggior poeta di Archiloco, che si porta dietro molte cose grezze di quello spirito divino difficile da sottomettere ad una regola? Nella lirica sceglieresti di essere Bacchilide o Pindaro, e nella tragedia Ione di Chio o Sofocle, per Zeus? Poiché gli uni sono infallibili e, nella raffinatezza, totalmente calligrafici, mentre Pindaro e Sofocle certe volte bruciano di fervore, ma spesso si spengono senza motivo e cadono inaspettatamente. Eppure nessuno sano di mente darebbe in cambio una sola tragedia, l'Edipo re, con tutti i drammi insieme di Ione. »

Per l'autore si pone dunque anche il problema della decadenza dell'eloquenza, che nasce non solo dalla mancanza di libertà, ma anche dalla corruzione dei costumi, che distrugge quello spirito elevato da cui nasce il sublime. Il trattato, quindi, con l'unione letteratura-etica, si pone nel dibattito scottante che nel I secolo d.C. imperversava anche nella letteratura latina: se Petronio aveva additato le cause della decadenza nell'eccesso di retorica e nei metodi pomposi e irreali delle scuole di eloquenza, seguito da Quintiliano, ma non si era chiesto il perché del distacco della scuola dalla vita reale, assai vicino al nostro autore era Tacito, che riteneva causa della decadenza la stabilità portata dal principato e la censura, che portavano ad una mancanza di libertà, che riduceva l'oratoria ad uno sterile esercizio di stile. Il sublime, inoltre, non può identificarsi con ciò che è semplicemente bello, ma con ciò che è sconvolgente a tal punto da provocare “sbigottimento” (ἔκπληξις), “sorpresa” (τὸ θαυμαστόν) e persino “spavento” (φόβος). Possiamo dunque asserire che Elena di Troia sarà stata senz’altro la donna più bella del suo tempo, ma non è mai stata sublime nella letteratura greca. È senz’altro sublime Ecuba nelle Troiane di Euripide quando esprime l’infinito dolore per la sorte sventurata dei suoi figli.

[modifica] Le fonti del Sublime

Il Sublime è un’opera polivalente: trattato di estetica, di retorica, saggio di critica letteraria; esso è totalmente alieno dal tono manualistico della trattazione retorica precedente. Si può affermare che, anzi, a questa affascinante opera è possibile attribuire una dimensione artistica autonoma, tant’è che l’autore non usa uno stile manualistico per la divulgazione delle sue teorie, ma utilizza lo stile dell’epistola. Per quanto riguarda la lingua, il trattato è senz’altro un unicum, poiché comprende una mescolanza di forme della koinè ellenistica cui si aggiungono stilemi elevati, espressioni tecniche, metafore, forme classiche e ricercate che producono un pastiche letterario al limite della sperimentazione linguistica. Un’importanza non trascurabile viene attribuita dall’autore alle fonti del sublime, che possono essere:

  • Fonti innate: "aspirazione a vigorosi concetti" e "passione veemente ed entusiastica" (concetto espresso attraverso la parola greca "pathos"), che fanno sì che il sublime sia "l'eco di un animo grande", e che quindi si rivela anche se c'è nudità di pensiero;
  • Fonti acquisibili con la lettura degli autori grandi e con l'arte retorica: figure retoriche, scelta del lessico e "composizione dignitosa ed elevata".

Disgraziatamente, nel corso dei secoli, parte dell’opera, quella finale, è andata perduta. Sembra che l’autore abbia svolto alcune considerazioni sulla libertà di parola, venuta meno con l’avvento del principato Augusteo, con pensieri che si avvicinano molto al “Dialogus de oratoribus” di Tacito. È altresì importante sottolineare che lo studio di questo “sublime” non si conclude con l’Anonimo e il suo trattato; altri grandi della letteratura o della filosofia come Edmund Burke o Immanuel Kant, tratteranno, ognuno a proprio modo, il tema del sublime. Kant distingue il sublime matematico, matesis, dal sublime dinamico, dynamis: il primo è infinito, l'altro è naturale o della physis.

[modifica] Voci correlate


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