Artemisia Gentileschi
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Artemisia Lomi Gentileschi (Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, 1653) è stata una pittrice italiana di scuola caravaggesca.
Vissuta durante la prima metà del XVII secolo, riprese dal padre Orazio, il limpido rigore disegnativo, innestandovi una forte accentuazione drammatica, ripresa dalle opere del Caravaggio, caricata di effetti teatrali; stilema che contribuì alla diffusione del caravaggismo a Napoli, città in cui si era trasferita dal 1630.
Indice |
[modifica] Biografia
[modifica] Gli esordi romani
Nacque a Roma l'8 luglio 1593, primogenita del pittore Orazio Gentileschi, esponente di primo piano del caravaggismo romano. Presso la bottega paterna, assieme ai fratelli, ma dimostrando rispetto ad essi maggiore talento, Artemisia ebbe il suo apprendistato artistico, imparando il disegno, il modo di impastare i colori e di dar lucentezza ai dipinti. Poiché lo stile del padre, in quegli anni, si riferiva esplicitamente all'arte del Caravaggio (con cui Orazio ebbe rapporti di familiarità), anche gli esordi artistici di Artemisia si collocano, per molti versi, nella scia del pittore lombardo [1].
La prima opera attribuita alla diciassettenne Artemisia (sia pur sospettando aiuti da parte del padre, determinato a far conoscere le sue precoci doti artistiche) è la Susanna e i vecchioni (1610), oggi nella collezione Schönborn a Pommersfelden. La tela lascia intravedere come, sotto la guida paterna, Artemisia, oltre ad assimilare il realismo del Caravaggio, non sia indifferente al linguaggio della scuola bolognese, che aveva preso le mosse da Annibale Carracci.
Nel 1611 Artemisia subì uno stupro da parte del pittore toscano Agostino Tassi, impegnato in quel tempo, assieme ad Orazio Gentileschi, nella decorazione a fresco delle volte del Casino della Rose nel Palazzo Pallavicini Rospigliosi di Roma [2].
Il padre denunciò il Tassi che dopo la violenza, non aveva potuto "rimediare" con un matrimonio riparatore. Il problema è che il pittore era già sposato (e nel frattempo manteneva anche una relazione con la sorella della moglie, cosa all'epoca considerata incestuosa). Del processo che ne seguì è rimasta esauriente testimonianza documentale, che colpisce per la crudezza del resoconto di Artemisia e per i metodi inquisitori del tribunale. Gli atti del processo (conclusosi con una lieve condanna del Tassi) hanno avuto grande influenza sulla lettura in chiave femminista, data nella seconda metà del XX secolo, alla figura di Artemisia Gentileschi[3]. E' da sottolineare il fatto che Artemisia accettò di deporre le accuse sotto tortura, che consistette nello schiacciamento dei pollici attraverso uno strumento usato ampiamente all'epoca. Una lettura del processo basata sul concetto di stuprum inteso come nella normativa del Seicento si intendeva, e dunque come deflorazione di donna vergine o come rapporto sessuale dietro promessa di matrimonio non mantenuta, è il risultato degli studi più recenti [4].
Questa la testimonianza di Artemisia al processo, secondo le cronache dell'epoca:
« Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch'io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l'altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne » | |
(Eva Menzio (a cura di), Artemisia Gentileschi, Lettere precedute da Atti di un processo di stupro, Milano, 2004>)
|
La tela, che raffigura Giuditta che decapita Oloferne (1612-13), conservata al Museo Capodimonte di Napoli, impressionante per la violenza della scena che raffigura, è stata interpretata in chiave psicologica e psicanalitica, come desiderio di rivalsa rispetto alla violenza subita.
Un mese dopo la conclusione del processo, Orazio combinò per Artemisia un matrimonio con Pierantonio Stiattesi, modesto artista fiorentino, che servì a restituire ad Artemisia, violentata, ingannata e denigrata dal Tassi, uno status di sufficiente "onorabilità".
Poco dopo la coppia si trasferì a Firenze, dove ebbe quattro figli, di cui la sola figlia Prudenzia visse sufficientemente a lungo da seguire la madre nel ritorno a Roma poi a Napoli.
È riferibile agli esordi romani anche la Madonna col Bambino della Galleria Spada.
[modifica] Il periodo fiorentino (1614-1620)
A Firenze Artemisia conobbe un lusinghiero successo. Venne accettata nell'Accademia del Disegno, prima donna a godere di tale privilegio; dimostrò di saper tenere buoni rapporti con i più reputati artisti del tempo, come Cristofano Allori, e di saper conquistare i favori e la protezione di persone influenti, a cominciare dal Granduca Cosimo II de' Medici e, in special modo, della granduchessa-madre Cristina. Fu in buoni rapporti con Galileo Galilei, con il quale rimase in contatto epistolare anche in seguito al suo periodo fiorentino[5].
Tra i suoi estimatori ebbe un posto di speciale rilievo Michelangelo Buonarroti il giovane (nipote di Michelangelo): impegnato a costruire una magione che celebrasse la memoria dell'illustre antenato, affidò ad Artemisia l'esecuzione di una tela destinata a decorare il soffitto della galleria dei dipinti.
La tela in questione rappresenta una Allegoria dell'Inclinazione (ossia del talento naturale), raffigurata in forma di giovane donna ignuda che tiene in mano una bussola. Si ritiene che l'avvenente figura femminile abbia le fattezze della stessa Artemisia[6], che – come ci dicono le informazioni mondane dell'epoca – fu donna di straordinaria avvenenza.
In effetti capita spesso, nelle tele di Artemisia, che le sembianze delle formose ed energiche eroine che vi compaiono abbiano fattezze del volto che ritroviamo nei suoi ritratti o autoritratti: spesso chi commissionava le sue tele doveva desiderare di avere una immagine che ricordasse visivamente l'autrice, la cui fama andava crescendo[7]. Il successo ed il fascino che emanava dalla sua figura, alimentarono, per tutta la sua vita, motteggi ed illazioni sulla sua vita privata[8].
Appartengono al periodo fiorentino la Conversione della Maddalena e la Giuditta con la sua ancella di Palazzo Pitti ed una seconda, più grande, versione della Giuditta che decapita Oloferne agli Uffizi.
Nonostante il successo, a causa di spese eccessive, sue e di suo marito, il periodo fiorentino fu tormentato da problemi con i creditori. Si può ragionevolmente collegare al desiderio di sfuggire all'assillo dei debiti ed alla non facile convivenza con lo Stiattesi, il suo ritorno a Roma che si realizzò in maniera definitiva nel 1621.
[modifica] Di nuovo a Roma e poi a Venezia (1621-1630)
L'anno di arrivo di Artemisia a Roma coincide con quello della partenza del padre Orazio per Genova. Si è ipotizzato, su basi congetturali[9], che Artemisia abbia seguito il padre nella capitale ligure (anche per spiegare il perdurare di una affinità di stile che, ancor oggi, rende problematica l'attribuzione di taluni quadri all'uno o all'altra); ma non si hanno sufficienti prove al riguardo.
Artemisia si stabilì a Roma come donna ormai indipendente, in grado di prender casa e di crescere le figlie. Oltre a Prudenzia (nata dal matrimonio con Pierantonio Stiattesi), ebbe una figlia naturale, nata probabilmente nel 1627. Artemisia cercò, con scarso successo, di avviare entrambe le figlie alla pittura.
La Roma di quegli anni vedeva ancora una nutrita presenza di pittori caravaggeschi (evidenti assonanze esistono, ad esempio, tra lo stile della Gentileschi e quello di Simon Vouet), ma vedeva anche, durante il pontificato di Urbano VIII, il crescente successo del classicismo della scuola bolognese o delle avventure barocche di Pietro da Cortona[10].
Artemisia dimostrò di avere la giusta sensibilità per cogliere le novità artistiche e la giusta determinazione per vivere da protagonista questa straordinaria stagione artistica di Roma, meta obbligata di artisti di tutta Europa. Artemisia entrò a far parte dell'Accademia dei Desiosi. Fu, in tale circostanza celebrata, con un ritratto inciso che, nella dedica, la qualifica come "Pincturae miraculum invidendum facilius quam imitandum". Di questo periodo è anche l'amicizia con Cassiano dal Pozzo, umanista, collezionista e grande mentore delle belle arti.
Tuttavia, nonostante la reputazione artistica, la forte personalità e la rete di buone relazioni, il soggiorno di Artemisia a Roma non fu così ricco di commesse come avrebbe desiderato. L'apprezzamento della sua pittura era forse circoscritto alla sua capacità di ritrattista e alla sua abilità di mettere in scena le eroine bibliche: erano a lei precluse le ricche commesse dei cicli affrescati e delle grandi pale di altare. Difficile, per l'assenza di fonti documentali, è seguire tutti gli spostamenti di Artemisia in questo periodo. È certo che tra il 1627 ed il 1630 si stabilì, forse alla ricerca di migliori commesse, a Venezia: lo documentano gli omaggi che ricevette da letterati della città lagunare che ne celebrarono le qualità di pittrice.
Con l'avvertenza che la datazione delle opere di Artemisia è spesso terreno di contrasto tra i critici d'arte, sono verosimilmente da assegnare a questo periodo, il Ritratto di gonfaloniere, oggi a Bologna (unico esempio sinora noto di quella abilità di ritrattista per la quale Artemisia pure andava celebre); la Giuditta con la sua ancella oggi al Detroit Institute of Arts (che riflette la capacità della pittrice di padroneggiare gli effetti chiaroscurali del lume di candela, per i quali andavano famosi a Roma artisti come Gerrit van Honthorst, Trophime Bigot, ed altri); la Venere dormiente oggi a Princeton; la Ester e Assuero del Metropolitan Museum of Art di New York (che testimonia la capacità di Artemisia di assimilare le lezioni luministiche veneziane).
[modifica] Napoli e la parentesi inglese (1630-1653)
Nel 1630 Artemisia si recò a Napoli, valutando che vi potessero essere, in quella città fiorente di cantieri e di appassionati di belle arti, nuove e più ricche possibilità di lavoro.
Va ricordato che, tra gli altri, erano già passati da Napoli Caravaggio, Annibale Carracci, Simon Vouet; vi lavoravano in quegli anni Jusepe de Ribera, Massimo Stanzione, e che, di lì a poco vi sarebbero approdati, il Domenichino, Giovanni Lanfranco ed altri ancora [11].
L'esordio artistico di Artemisia a Napoli è rappresentato forse dalla Annunciazione del Museo di Capodimonte.
Poco più tardi, il trasferimento nella metropoli partenopea fu definitivo e lì l'artista sarebbe rimasta - salvo la parentesi inglese e trasferimenti temporanei - per il resto della sua vita. Napoli (pur con qualche costante rimpianto per Roma) fu dunque per Artemisia una sorta di seconda patria nella quale curò la propria famiglia (a Napoli maritò infatti, con appropriata dote, le sue due figlie), ricevette attestati di grande stima, fu in buoni rapporti con il viceré Duca d'Alcalá, ebbe rapporti di scambio alla pari con i maggiori artisti che vi erano presenti (a cominciare da Massimo Stanzione, per il quale si deve parlare di una intensa collaborazione artistica, fondata su una viva amicizia e su evidenti consonanze stilistiche).
A Napoli, per la prima volta, Artemisia si trovò a dipingere tele per una cattedrale, quelle dedicate alla Vita di San Gennaro a Pozzuoli. Sono del primo periodo napoletano opere quali la Nascita di San Giovanni Battista al Prado, Corisca e il satiro in collezione privata. In queste opere Artemisia dimostra, ancora una volta, di sapersi aggiornare sui gusti artistici del tempo e di sapersi cimentare con altri soggetti rispetto alle varie Giuditte, Susanne, Betsabee, Maddalene penitenti.
Nel 1638 Artemisia raggiunse il padre a Londra, presso la corte di Carlo I, dove Orazio era diventato pittore di corte ed aveva ricevuto l'incarico della decorazione di un soffitto (allegoria del Trionfo della Pace e delle Arti) nella Casa delle Delizie della regina Enrichetta Maria a Greenwich.
Dopo tanto tempo padre e figlia si ritrovarono legati da un rapporto di collaborazione artistica, ma nulla lascia pensare che il motivo del viaggio londinese fosse solo quello di venire in soccorso all'anziano genitore. Certo è che Carlo I la reclamava alla sua corte ed un rifiuto non era possibile. Orazio inaspettatamente morì, assistito dalla figlia, nel 1639.
Carlo I era un collezionista fanatico, disposto a compromettere le finanze pubbliche, pur di soddisfare i suoi desideri artistici. La fama di Artemisia doveva averlo incuriosito, e non è un caso che nella sua collezione fosse presente una tela di Artemisia di grande suggestione, l'Autoritratto in veste di Pittura.
Artemisia ebbe dunque a Londra una sua attività autonoma che continuò per un po' di tempo anche dopo la morte del padre (anche se non sono note opere attribuibili con certezza a questo periodo).
Sappiamo che nel 1642, alle prime avvisaglie della guerra civile, Artemisia aveva già lasciato l'Inghilterra. Poco o nulla si sa degli spostamenti successivi. È un fatto che nel 1649 fosse nuovamente a Napoli, in corrispondenza con il collezionista don Antonio Ruffo di Sicilia che fu suo mentore e buon committente in questo secondo periodo napoletano. L'ultima lettera al suo mentore che noi conosciamo è del 1650 e testimonia come l'artista fosse ancora in piena attività. Artemisia morì nel 1653.
Esempi di opere ascrivibili a questo secondo periodo napoletano sono una Susanna e i vecchioni oggi a Brno ed una Madonna e Bambino con rosario conservata all'El Escorial.
[modifica] Profilo artistico
Un saggio del 1916 di Roberto Longhi, storico e critico d'arte, intitolato Gentileschi padre e figlia ha riportato all'attenzione della critica la statura artistica di Artemisia Gentileschi nell'ambito dei caravaggeschi nella prima metà del XVII secolo. Longhi esprimeva nei confronti di Artemisia, in tono forse involontariamente misogino, il seguente giudizio: «l'unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità...».
Nella lettura effettuata del dipinto più celebre di Artemisia, la Giuditta che decapita Oloferne degli Uffizi, Longhi scriveva:
« Chi penserebbe infatti che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre diacce degne d'un Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato […] Ma - vien voglia di dire - ma questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo? » |
ed aggiungeva:
« ... che qui non v'è nulla di sadico, che anzi ciò che sorprende è l'impassibilità ferina di chi ha dipinto tutto questo ed è persino riescita a riscontrare che il sangue sprizzando con violenza può ornare di due bordi di gocciole a volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi date per carità alla Signora Schiattesi - questo è il nome coniugale di Artemisia - il tempo di scegliere l'elsa dello spadone che deve servire alla bisogna! Infine non vi pare che l'unico moto di Giuditta sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue non le brutti il completo novissimo di seta gialla? Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un abito di casa Gentileschi, il più fine guardaroba di sete del '600 europeo, dopo Van Dyck » | |
(Roberto Longhi, Gentileschi padre e figlia, in "L'Arte", 1916)
|
La lettura del dipinto sottolinea cosa significhi saperne "di pittura, e di colore e di impasto": sono evocati i colori squillanti della tavolozza di Artemisia, le luminescenze seriche delle vesti (con quel suo giallo inconfondibile), l'attenzione perfezionistica per la realtà dei gioielli e delle armi.
L'interesse per la figura artistica di Artemisia, rimasto debole nonostante la lettura datane dal Longhi, ebbe un forte impulso per merito di studi in chiave femminista, che efficacemente sottolinearono, a partire dallo stupro subito e dalla sua successiva biografia, la forza espressiva che il suo linguaggio pittorico assume quando i soggetti rappresentati erano le famose eroine bibliche, che pare vogliano manifestare la ribellione alla condizione in cui le condanna il loro sesso.
In un saggio contenuto nel catalogo della mostra "Orazio e Artemisia Gentileschi" svoltasi a Roma nel 2001 (e poi a New York), Judith W. Mann prende le distanze; mostrandone i limiti, da una lettura in chiave strettamente femminista:
« [Una lettura di questo tipo] avanza l'ipotesi che la piena potenza creativa di Artemisia si sia manifestata soltanto nel raffigurare donne forti e capaci di farsi valere, al punto che non si riesce a immaginarla impegnata nella realizzazione di immagini religiose convenzionali, come una Madonna con Bambino o una Vergine che accoglie sottomessa l'Annunciazione; e inoltre, si sostiene che l'artista abbia rifiutato di modificare la propria interpretazione personale di tali soggetti per adeguarsi ai gusti di una clientela che si presume maschile. Lo stereotipo ha avuto un doppio effetto restrittivo: inducendo gli studiosi sia a mettere in dubbio l'attribuzione dei dipinti che non corrispondono al modello descritto, sia ad attribuire un valore inferiore a quelli che non rientrano nel cliché » |
La critica più recente, a partire dalla ricostruzione dell'intero catalogo della Gentileschi, ha inteso dare una lettura meno riduttiva della carriera di Artemisia, collocandola nel contesto dei diversi ambienti artistici che la pittrice frequentò, restituendo la figura di un'artista che lottò con determinazione, utilizzando le armi della sua personalità e delle sue qualità artistiche, contro i pregiudizi che si esprimevano nei confronti delle donne pittrici; riuscendo ad inserirsi produttivamente nella cerchia dei pittori più reputati del suo tempo, affrontando una gamma di generi pittorici che dovette esser assai più ampia e variegata di quanto ci dicano oggi le tele a lei attribuite[12].
[modifica] La figura di donna e pittrice
Per una donna, all'inizio del XVII secolo, dedicarsi alla pittura, come fa Artemisia, rappresenta una scelta non comune e difficile, ma non eccezionale. Prima di Artemisia, tra la fine del 500 e l'inizio del 600 altre donne pittrici esercitarono, anche con buon successo, la loro attività. Possono essere menzionate Sofonisba Anguissola (Cremona ca. 1530 - Palermo ca. 1625) che fu chiamata in Spagna da Filippo II; Lavinia Fontana (Bologna,1552- Roma, 1614) che si recò a Roma su invito di papa Clemente VIII, Fede Galizia (Milano o Trento, 1578 – Milano 1630) che dipinse, tra l'altro, magnifiche nature morte ed una bella Giuditta con la testa di Oloferne. Altre pittrici, più o meno note, intrapresero la loro carriera quando Artemisia era in vita.
Se si valutano i loro meriti artistici, il giudizio liquidatorio di Longhi a favore di Artemisia come «l'unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura...» appare alquanto ingeneroso.[13]
Tuttavia c'è, sia nell'arte sia nella biografia di Artemisia Gentileschi, qualcosa che la rende specialmente affascinante e che spiega l'interesse di alcuni scrittori (anzi, e non a caso, di alcune scrittrici) nei suoi confronti.
La prima scrittrice che decise di costruire un romanzo attorno alla figura di Artemisia, fu Anna Banti, la moglie di Roberto Longhi. La sua prima stesura del testo, in forma manoscritta era avvenuta nel 1944, ma fu perduta nel corso delle vicende belliche. La decisione di ritornare sul libro, intitolato Artemisia, scrivendolo in forma assai diversa, avvenne tre anni dopo. Anna Banti si pone nel suo nuovo romanzo in dialogo con la pittrice, in forma di "diario aperto", in cui cerca – in parallelo al racconto dell'adolescenza e della maturità di Artemisia – di spiegare a se stessa il fascino che ne subisce, ed il bisogno che avverte di andare al di là - in un dialogo da donna a donna - delle limpide (se pur appassionate) valutazioni artistiche di cui avrà tante volte discusso con Roberto Longhi[14].
Più di cinquant'anni dopo, nel 1999, la scrittrice francese Alexandra Lapierre affronta, ancora con un romanzo, il fascino enigmatico della vita di Artemisia, e lo fa a partire da uno studio scrupoloso della biografia e del contesto storico che le fa da sfondo. L'indagine psicologica che passa tra le righe del romanzo, per comprendere il rapporto tra Artemisia donna e Artemisia pittrice, finisce per chiamare in causa, come leitmotiv, quello della relazione - fatta di un affetto che stenta ad esprimersi e da una latente rivalità professionale - tra padre e figlia.
Ancora un altro romanzo, pubblicato più di recente anche in Italia, quello di Susan Vreeland (The Passion of Artemisa), si pone nella scia della popolarità assunta da Artemisia Gentileschi nell'ambito della lettura data, in chiave femminista, alla sua figura, e sembra voler sfruttare il recente successo dei romanzi storici che prendono le mossa da un'opera d'arte e dal suo autore. Incerti, per analoghe ragioni, sono i risultati ai quali, secondo la critica, [15] giunge la regista francese Agnes Merlet, con il film Artemisia - Passione Estrema .
[modifica] Note
- ^ Vedasi Patrizia Cavazzini, Artemisia nella casa paterna in Judith W. Mann e K. Christiansen, op. cit. in bibliografia
- ^ Per un resoconto del "processo per stupro" vedasi Eva Menzio, op cit., in bibliografia
- ^ Vedasi Mary Garrard, op cit. in bibliografia
- ^ cfr. M. Di Sivo, "«Il signor Horatio mi ritraheva»… ", 2005, cit. in bibliografia
- ^ Vedasi Roberto Contini, L'indotto fiorentino di Artemisia Gentileschi, in Judith W. Mann e K. Christiansen, op. cit. in bibliografia
- ^ Si confronti il volto della donna con l'Autoritratto come martire riferibile anch'esso al peridodo fiorentino di Artemisia
- ^ Sul tema della committenza di Artemisia vedasi Mary Garrard, op. cit.
- ^ La fama di grande seduttrice e di donna dai facili costumi seguirà Artemisia sino alla tomba: i suoi amici veneziani, il letterato Gianfranco Loredano ed il colezionista Pietro Michiele, le dedicarono, in forma di epitafio, versi burleschi alquanto grevi:
Co'l dipinger la faccia a questo e a quello/ Nel mondo m'acquistai merto infinito /Nel l'intagliar le corna a mio marito /Lasciai il pennello, e presi lo scalpello. Sulla fama di seduttrice di Artemisia è interessante leggere l'apparato di note di carattere storico e documentale poste in fondo al romanzo di Alexandra Lapierre, op. cit. in bibliografia - ^ Vedasi, ad es. E. Menzio, Autoritratto in veste di Pittura, in E. Menzio, op. cit.
- ^ Su questo periordo della vita di Artemisia vedasi Richard E. Spear, "un pio di viaggio... mi sono risoluta di fare in sino a Roma, in Judith W. Mann e K. Christiansen, op. cit.
- ^ Sul periodo napoletano di Artemisia vedasi Riccardo Lattuada, Artemisia a Napoli, Napoli e Artemisia, in Judith W. Mann e K. Christiansen, op. cit.
- ^ Un profilo complessivo di Artemisia, come donna e pittrice, è tracciato in Elisabeth Cropper, Vivere sul filo del rasoio: Artemisia Gentileschi, pittrice famosa, in Judith W. Mann e K. Christiansen, op cit.
- ^ Per una analisi della rivalutazione delle pittrici del XVI e XVII secolo si veda Donna, l'altra metà dell'arte
- ^ R. Longhi fa esplicito riferimento al romanzo di A. Banti nel catalogo della mostra sui caravaggeschi tenuta a Milano nel 1951, osservando che La sua [di Artemisia] leggenda di pittrice spregiudicata e avventurosa è stata creata soprattutto dall'Inghilterra puritana. Un'interpretazione più italiana e nella tradizione del nostro romanzo storico è nell'Artemisia di A. Banti.. La citazione è contenuta in Roberto Contini, Gianni Papi, op. cit. in bibliografia.
- ^ Cfr. dal sito Revision Cinema Artemisia - Passione Estrema
[modifica] Schede di approfondimento relative ad alcune delle principali opere
- Susanna e i vecchioni, Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden;
- Madonna col Bambino, Galleria Spada, Roma;
- Autoritratto come martire, Collezione privata;
- Allegoria dell'Inclinazione, Casa Buonarroti, Firenze;
- Conversione della Maddalena, Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze;
- Giuditta con la sua ancella, Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze;
- Giaele e Sisara (Artemisia Gentileschi), Szépművészeti Múzeum, Budapest;
- Cleopatra, Collezione della Fondazione Cavallini-Sgarbi, Ferrara;
- Danae, The Saint Louis Art Museum, Saint Louis, (Missouri)
- Giuditta che decapita Oloferne, Galleria degli Uffizi, Firenze;
- Santa Cecilia, Galleria Spada, Roma;
- Ritratto di gonfaloniere, Collezioni Comunali d'arte, Palazzo d'Accursio, Bologna;
- Autoritratto in veste di Pittura, Kensington Palace, Londra
- Giuditta con la sua ancella, The Detroit Institute of Arts; Detroit
- Ester e Assuero (Artemisia Gentileschi), Metropolitan Museum of Art, New York;
- San Gennaro nell'anfiteatro di Pozzuoli, Museo Capodimonte, Napoli;
- Susanna e i vecchioni, Moravska Galerie, Brno
[modifica] Elenco dei dipinti
Il catalogo delle opere di Artemisia Gentileschi presenta alcuni problemi attributivi (soprattutto in rapporto alla produzione del padre, Orazio Gentileschi); numerosi questioni sono inoltre connesse alla datazione delle opere. L’elenco qui riportato si basa soprattutto sull'apparato critico contenuto nel volume a cura di Judith W. Mann e K. Christiansen, citato in bibliografia
- Susanna e i vecchioni, Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden, 1610
- Madonna col Bambino, Galleria Spada, Roma, 1610-11
- Giuditta che decapita Oloferne, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli, 1612-13
- Danae, The Saint Louis Art Museum, Saint Louis, (Missouri), ca 1612
- Minerva, Sopraintendenza alle Gallerie, Firenze, ca 1615
- Autoritratto come martire, Collezione privata, ca. 1615
- Allegoria dell'Inclinazione, Casa Buonarroti, Firenze, 1615-16
- Maddalena penitente, Collezione privata (già Marc A. Seidner Collection, Los Angeles), ca. 1615-16
- La Conversione della Maddalena, Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze, 1615-16
- Autoritratto come suonatrice di liuto, Curtis Galleries, Minneapolis, ca 1615-17
- Giuditta con la sua ancella, Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze, 1618-19
- Santa Caterina di Alessandria, Galleria degli Uffizi, Firenze, ca.1618-19
- Giaele e Sisara, Szépművészeti Múzeum, Budapest, 1620
- Cleopatra, Collezione della Fondazione Cavallini-Sgarbi, Ferrara, ca. 1620
- Allegoria della Pittura Musée de Tessé, Le Mans, 1620-30
- Giuditta che decapita Oloferne, Galleria degli Uffizi, Firenze, ca. 1620
- Santa Cecilia, Galleria Spada, Roma, ca. 1620
- Cleopatra, Collezione Amedeo Morandorri, Milano, 1621-22 (ritenuto da alcuni studiosi opera del padre)
- Ritratto di gonfaloniere, Collezioni Comunali d'Arte, Palazzo d'Accursio, Bologna, 1622
- Susanna e i vecchioni, The Burghley House Collection, Stamford, Lincolnshire, 1622
- Lucrezia, Gerolamo Etro, Milano, ca. 1623-25
- Maria Maddalena come Melanconia, Cathedral, Sala del Tesoro, Siviglia, ca 1625
- Giuditta con la sua ancella, The Detroit Institute of Arts, ca. 1625-27
- Venere dormiente, The Barbara Piasecka Johnson Foundation, Princeton, New Jersey, 1625-30
- Ester e Assuero, Metropolitan Museum of Art, New York, ca. 1628-35
- Annunciazione, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli, 1630
- Corisca e il satiro, Collezione privata, 1630-35
- Clio, la Musa della Storia, Collezione privata (già New York, Coll. Wildenstein), 1632
- Aurora, Collezione privata, Roma
- Nascita di San Giovanni Battista, Museo del Prado, Madrid, ca. 1633-35
- Cleopatra, Collezione Privata, Roma, ca.1633-35
- Lot e le sue figlie, The Toledo Museum of Art, Toledo, Ohio, ca. 1635--38
- Davide e Betsabea , Neues Palais, Potsdam, ca 1635
- Ratto di Lucrezia, Neues Palais, Potsdam,
- Davide e Betsabea , Palazzo Pitti, Depositi, Firenze, ca 1635
- San Gennaro nell'anfiteatro di Pozzuoli, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli, 1636-37
- Santi Proclo e Nicea, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli, 1636-37
- Adorazione dei Magi, Museo Nazionale di San Martino, Napoli, 1636-37
- Davide e Betsabea, The Columbus, Museum of Art, Columbus, Ohio, ca. 1636-38
- Autoritratto come allegoria della Pittura, Sua Maestà Regina Elisabetta II, Windsor, 1638-39
- Venere che abbraccia Cupido, Collezione privata, 1640-50
- Un'allegoria della Pace e delle Arti sotto la Corona inglese, Malborough House, Londra, 1638-39 (in collaborazione con Orazio Gentileschi)
- Susanna e i vecchioni, Moravska Galerie, Brno, 1649
- Madonna e Bambino con rosario, Palazzo El Escorial, Casita del Principe, 1651.
[modifica] Bibliografia
- Saggi critici
- Roberto Longhi, Gentileschi padre e figlia, in "L'Arte", 1916.
- Silvia Cassani (a cura di), Civiltà del Seicento a Napoli, Electa, Milano, 1984-85
- Mary Garrard, Artemisia Gentileschi. The Image of the Female Hero in Italian Baroque Arts, Princeton, 1989.
- Roberto Contini, Gianni Papi, Artemisia, Leonardo De Luca Editori, Roma, 1991
- Judith W. Mann e K. Christiansen, (a cura di), Orazio e Artemisia Gentileschi, Skira, Milano, 2001
- Eva Menzio (a cura di), Artemisia Gentileschi, Lettere precedute da Atti di un processo di stupro, Abscondita, Milano, 2004
- Michele Di Sivo, "«Il signor Horatio mi ritraheva e faceva un quadro di San Gironimo…»: l'uomo dei dipinti nel processo per stupro", in Farida Simonetti (a cura di), "Orazio Gentileschi e Pietro Molli", San Giorgio editrice, Genova, 2005, pp. 15-25.
- T. Agnati - F. Torres: Artemisia Gentileschi: La pittura della passione - SELENE EDIZIONI 2008
- Romanzi
- Anna Banti, Artemisia (1947), Bombiani, Milano, 1989
- Alexandra Lapierre, Artemisia, Romanzo, Arnoldo Mondadori, Milano, 1998
- Susan Vreeland, La passione di Artemisia, Ed. Neri Pozza, Vicenza, 2002
[modifica] Altri progetti
- Wikimedia Commons contiene file multimediali su Artemisia Gentileschi
[modifica] Collegamenti esterni
- (EN) Artcyclopedia: le immagini di quadri di Artemisia Gentileschi reperibili su internet
- Artemisia Gentileschi
- La storia dell'arte al femminile
- (EN) The Life and Art of Artemisia Gentileschi
- (EN) Artemisia, Resoconto del processo per stupro
Pittura · Pittori · Dipinti · Musei del mondo