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Il nome della rosa - Wikipedia

Il nome della rosa

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bussola Nota disambigua – Se stai cercando il film ispirato dal romanzo, vedi Il nome della rosa (film).
Il nome della rosa
Titolo originale Il nome della rosa
Autore: Umberto Eco
Anno
(1ª pubblicazione):
1980
Genere: Romanzo
Sottogenere: Romanzo giallo; romanzo storico
Ambientazione: monastero medievale
Anno di ambientazione: 1327
Protagonista: Guglielmo da Baskerville
Coprotagonisti: Adso da Melk
Antagonista:
Personaggi secondari: Jorge da Burgos, Abbone, Bernardo Gui, Malachia da Hildesheim, Salvatore, Remigio da Varagine, Severino da Sant'Emmerano, Bencio da Upsala, Berengario da Arundel, Venanzio da Selvemec
Serie:
Preceduto da:
Seguito da:
EDIZIONE RECENSITA
Anno: 1984
Editore: Bompiani
Edizione:
Traduzione:
Collana: Letteraria
Pagine: 514
Capitoli
ISBN 8845207056
ISSN
Progetto Letteratura

Il nome della rosa è il primo romanzo scritto da Umberto Eco, edito per la prima volta nel 1980. Dopo aver scritto moltissimi saggi, Eco decide di scrivere il suo primo romanzo, dopo alcuni anni di meticolosa preparazione, cimentandosi in un genere abbastanza difficile come il giallo, in particolare con il sottogenere deduttivo.

L'opera è ambientata nel Medioevo e viene presentata come il manoscritto di un anziano monaco che ha trascritto un'avventura vissuta da novizio, molti decenni addietro, in compagnia del suo maestro presso un monastero benedettino dell'Italia settentrionale. La narrazione, suddivisa in sette giornate, scandite dai ritmi della vita monastica, vede protagonisti Guglielmo da Baskerville, frate francescano, e il novizio benedettino Adso da Melk, il narratore della storia.

« "Cosa vi terrorizza di più nella purezza?", chiede Adso. E Guglielmo risponde: "La fretta". »
(Umberto Eco, Il nome della Rosa (pagina 388 dell'edizione italiana), 1980)

Indice

[modifica] Trama

« Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en francais d'après l'édition de Dom J. Mabillon (Aux Presses de l'Abbaye de la Source, Paris, 1842) »
(Umberto Eco, Incipit de Il nome della Rosa, 1980)

Guglielmo e Adso si recano ad un monastero benedettino di regola cluniacense posto tra i monti dell'Italia settentrionale e, dal momento che nelle giornate senza foschia è visibile il mare, presumibilmente anche vicino alla costa. Questo monastero sarà sede di un delicato convegno che vedrà protagonisti i Francescani, sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati dell'Imperatore, e i loro nemici della curia papale insediata a quei tempi ad Avignone. I due monaci (Guglielmo è francescano e inquisitore "pentito", il suo discepolo Adso è un novizio benedettino) si stanno recando in questo luogo lontano perché Guglielmo è chiamato, come rappresentante dell'imperatore, a far parte del congresso, dalla parte che sostiene le tesi pauperistiche. L'abate, preoccupato che alcuni fatti misteriosi e, soprattutto, l'improvvisa e inspiegabile morte di un confratello possano far saltare i lavori del congresso e far ricadere la colpa su di lui confida nelle capacità inquisitorie di Guglielmo e gli affida il compito di far luce sulla vicenda.

Nonostante la quasi totale libertà di movimento concessa all'ex-inquisitore, altre morti si susseguono e sembrano tutte ruotare attorno alla biblioteca, vanto e onore del monastero, e ad un misterioso manoscritto. La situazione è complicata dall'imminente convegno e dalla scoperta, fatta dall'inquisitore Bernardo Gui, di due eretici della setta dei Dolciniani profughi presso l'Ordine dei Benedettini (il cellario e il suo aiutante semianalfabeta): così, in un'atmosfera inquietante, tra discorsi sulle donne, oggetto della perdizione del mondo, e sull'eresia, così antichi e al tempo stesso così moderni e attuali, Guglielmo e Adso si avvicinano sempre più alla verità, fino a scoprire il misterioso manoscritto (il secondo perduto libro della Poetica di Aristotele, che tratta della commedia, e dunque del riso e dello scherzo) per cui così tanti monaci sono morti e il misterioso assassino che così bene ha colpito nel monastero.

Alla fine, scoperta ogni cosa, i due protagonisti si allontanano, mentre la biblioteca brucia nell'incendio verificatosi nella confusione: Jorge tenta di mangiarsi le pagine del manoscritto e poi fugge, al ché un lumino caduto fa prendere fuoco ai libri. Jorge è quindi lucidissimo nel suo proposito di salvare l'umanità dalla pericolosa riscoperta del libro di Aristotele. In tema di citazioni e ammiccamenti più o meno nascosti (di cui il romanzo è disseminato dall'inizio alla fine) è abbastanza palese che tanto il nome di questo personaggio (Jorge da Burgos), quanto il trinomio cecità/biblioteca/labirinto a lui collegato, costituiscano un'allusione nemmeno troppo velata allo scrittore argentino Jorge Luis Borges.

Una curiosità legata al titolo del romanzo, è (parzialmente) svelata alla fine del libro, dove l'ormai vecchio narratore Adso da Melk conclude il suo racconto con un'espressione latina :"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" (la rosa primigenia esiste in quanto nome, possediamo i semplici nomi). Si tratta di un messaggio che porta a riflettere affinché non si presuma di essere depositari di verità assolute, in quanto queste saranno sempre contestabili, se non addirittura risibili.

« Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. »
(Umberto Eco, Il nome della rosa, Ultimo Folio, 1980)

[modifica] Personaggi

Protagonisti
Monaci dell'Abbazia
Personaggi minori
  • Magnus da Iona, trascrittore.
  • Patrizio da Clonmacnois, trascrittore.
  • Rabano da Toledo, trascrittore.
  • Waldo da Hereford, trascrittore.
  • Contadina del villaggio.
Delegazione pontificia
Delegazione imperiale (minoriti)

[modifica] Interpretazione dei personaggi

I personaggi, anche quelli minori, si offrono ad una doppia (alle volte tripla) lettura; alcuni sono di fantasia e altri realmente esistiti.

Fra' Guglielmo, oltre ad un medievale Sherlock Holmes, ricorda anche in maniera palese il filosofo francescano inglese Guglielmo di Occam, maestro del metodo deduttivo; peraltro, nelle citazioni l'Autore inventa una fittizia discendenza discepolare di fra' Guglielmo da Ruggero Bacone, anch'egli filosofo d'Oltremanica tardo-medievale.

Alcuni epiteti di Jorge da Burgos sono direttamente tratti dagli strali lanciati dal "Doctor Mellifluus" cioè Bernardo di Chiaravalle contro l'origine diabolica del riso. Il personaggio, peraltro, appare una riuscita caricatura di Jorge Luis Borges: ciò non soltanto per la comune cecità e per l'evidente assonanza dei nomi, ma anche per la diretta discendenza borgesiana dell'immagine della biblioteca come specchio del mondo e persino della planimetria poligonale con cui la biblioteca dell'abbazia è disegnata (cfr. La Biblioteca di Babele).

L'ex dolciniano Salvatore - ed il suo grido "Penitenziagite!", con cui accoglie i nuovi venuti all'abbazia - ci riporta alle lotte intestine della chiesa medievale, alle volte anche sanguinose, tra i vescovi cattolici e il movimento degli spirituali, portato avanti dai seguaci di Fra' Dolcino da Novara.

Altri sono personaggi storicamente vissuti come il domenicano Bernardo Gui, Ubertino da Casale e Michele da Cesena, tutti primi attori della disputa francescana conventuali-spirituali del periodo del papato avignonese di Papa Giovanni XXII e dell'impero di Ludovico il Bavaro.

Un'altra notazione può essere fatta sui luoghi dove sono ambientate le storie. Se da un lato Eco non rinuncia a situare l'Abbazia dei delitti nella sua terra natale: il Piemonte, nel nome Adso da Melk probabilmente Umberto Eco subisce la suggestione di una delle più importanti biblioteche europee quella appunto dell'Abbazia Benedettina di Melk, oggi in Austria, affacciata sul Danubio.

La tecnica con cui vengono assassinati i monaci è chiaramente ispirata dalla leggenda sulla realizzazione del "Chin P'ing Mei", un romanzo della letteratura cinese del XVI secolo. Anche la fiaba intitolata Il pescatore venerando e l'arcigno ginn presente nella raccolta Le mille e una notte contiene la descrizione della stessa tecnica con cui i monaci venivano uccisi.

Il nome di Remigio da Varagine, ex dolciniano, può essere ricondotto al frate domenicano Jacopo da Varagine, scrittore in latino che deve la sua fama ad una raccolta di vite di santi, tra le quali spicca la leggenda della vera croce, storia ripresa tra l'altro anche da Piero della Francesca per il suo ciclo di affreschi in San Francesco ad Arezzo.

[modifica] Storia editoriale

Edito per la prima volta in Italia da Bompiani nel 1980 e più volte ristampato, riscosse da subito un notevole successo di critica e di pubblico (a partire da quello anglosassone, e successivamente anche quello italiano), inducendo la riscoperta del genere del romanzo storico, benché possa essergli attribuita la commistione di più generi narrativi (giallo, esoterico, filosofico). Il romanzo ha avuto anche grande successo internazionale, essendo stato tradotto in numerose lingue. Nel 2002 è stato oggetto di un curioso fenomeno, grazie al lancio di un'iniziativa editoriale del quotidiano La Repubblica che lo ha distribuito gratuitamente in oltre un milione di copie. A titolo di cronaca, si ricorda che verso la fine del secolo scorso venne avanzata nei confronti di Umberto Eco un accusa di plagio, relativa ad alcune idee portanti di questo famoso romanzo che sarebbero state riprese da un libro di uno scrittore greco. A dire il vero, accuse di questo tipo vennero abbondantemente rintuzzate da Eco già nelle "postille al Nome della rosa", che furono edite con la seconda edizione e che riprendono una concezione tipicamente borgesiana: "i libri parlano sempre di altri libri".

[modifica] Piani di lettura

Attribuire un genere letterario al romanzo di Eco è assai difficile: esso infatti è stato particolarmente apprezzato per la presenza di molteplici piani di lettura, che possono essere colti dal lettore a seconda del suo background culturale. Pur presentandosi come un giallo, o come un romanzo storico ad una lettura superficiale, il libro è in realtà costruito attraverso una fitta rete di citazioni tratte da una miriade di altre opere letterarie (esemplare è in questo senso il sogno di Adso, brano costituito in una parte per collage da classici riferimenti alla storia della nascita della lingua volgare), dunque è, in un certo senso, un libro fatto di altri libri. È costante il riferimento linguistico e semiologico. È anche presente, appena sotto la superficie, una forte componente esoterica, e di fondo la storia può essere vista come una riflessione filosofica sul senso e sul valore della verità e della sua ricerca, da un punto di vista strettamente laico, tema del resto comune alle opere successive di Eco.

Nel piano di lettura storico presente nel romanzo, i personaggi e le forze che nella vicenda narrata si contrappongono rappresentano in realtà due epoche e due mentalità che in quel periodo storico si sono trovate a fronteggiarsi: da un lato il medioevo più antico, col suo fardello di dogmi, preconcetti e superstizioni, ma anche intriso di una profonda e mistica spiritualità, dall'altro lato il nuovo mondo che avanza, rappresentato da Guglielmo, con la sua sete di conoscenza, con la predisposizione a cercare una verità più certa e intelligibile attraverso la ricerca e l'indagine, anticipazione di un metodo scientifico che in Europa di lì a poco non tarderà ad affermarsi.

L'autore usa un espediente narrativo e così il romanzo scritto da Umberto Eco è in realtà una narrazione al quarto livello di incassamento, dentro ad altre tre narrazioni: Eco dice che Vallet diceva che Mabillon ha detto che Adso disse ...

Un ulteriore piano di lettura può vedere il romanzo come un'allegoria delle vicende italiane contemporanee o di poco precedenti all'uscita de "Il nome della rosa", ovvero la situazione politica degli anni Settanta, con le diverse parti in causa a rappresentare sì l'evolversi politico e spirituale legato al dibattito sulla povertà nel Trecento, ma anche le diverse correnti di pensiero o situazioni proprie degli anni di piombo: Giovanni XXII e la corte avignonese a rappresentare i conservatori, Ubertino da Casale e i francescani nel ruolo dei riformisti, Fra Dolcino e i movimenti ereticali in quello dei gruppi, armati e non, legati all'area extraparlamentare. È stato lo stesso Eco a tracciare un paragone in un'intervista pubblicata nel 2003 in "Lettera Internazionale" con il titolo "Il romanziere e lo storico":

« Per fare un esempio, scrivevo "Il nome della rosa", dove il mio unico interesse era mettere in scena una complessa trama poliziesca all’interno di un’abbazia, che poi ho deciso di situare nel Trecento perché mi erano capitati alcuni documenti estremamente affascinanti sulle lotte pauperistiche dell’epoca. Nel corso della narrazione mi accorsi che emergevano – attraverso questi fenomeni medievali di rivolta non organizzata – aspetti affini a quel terrorismo che stavamo vivendo proprio nel periodo in cui scrivevo, più o meno verso la fine degli anni Settanta. Certamente, anche se non avevo un’intenzione precisa, tutto ciò mi ha portato a sottolineare queste somiglianze, tanto che quando ho scoperto che la moglie di Fra’ Dolcino si chiamava Margherita, come la Margherita Cagol moglie di Curcio, morta più o meno in condizioni analoghe, l’ho espressamente citata nel racconto. Forse se si fosse chiamata diversamente non mi sarebbe venuto in mente di menzionarne il nome, ma non ho potuto resistere a questa sorta di strizzata d’occhio con il lettore. »

[modifica] L'ispirazione holmesiana

Sin dai nomi, dalle descrizioni dei personaggi e dallo stile scelto per la narrazione, risulta evidente l'omaggio che Eco fa a sir Arthur Conan Doyle e al suo personaggio di maggior successo: Sherlock Holmes.

Guglielmo, infatti, sembra ricavato, per descrizione fisica e per metodo d'indagine, dalla figura di Holmes: le sue capacità deduttive, la sua umiltà e il suo desiderio di conoscenza sembrano infatti riprendere e, a tratti, esaltare gli aspetti migliori del detective britannico. Inoltre proviene dalla contea di Baskerville, che riprende il nome dal miglior romanzo di Doyle, Il mastino dei Baskerville, che per atmosfera può tranquillamente essere considerato come una delle fonti del libro di Eco.

D'altra parte il giovane Adso è ricalcato proprio sulla figura del fido Watson. Non solo è il narratore in prima persona della vicenda, proprio come il buon dottore, ma ne riprende le caratteristiche iniziali: ottuso e poco attento, pur se volenteroso di imparare e pronto all'azione, Adso, a differenza di Watson, alla fine dimostra di non riuscire ad imparare quanto al contrario riesce ad imparare il buon dottore, quasi come se Eco stesso volesse prendere le distanze da Conan Doyle e porsi in una posizione di inferiorità rispetto al maestro inglese. Notare anche l'assonanza tra Watson e Adso (W-Adso-n, una specie di watson medievalizzato).

Evidenti sono anche i riferimenti nel romanzo di Eco a Brother Cadfael, monaco detective medievale protagonista di una serie di romanzi gialli della scrittrice inglese Ellis Peters (1913-1995) a partire dal 1977 con A Morbid Taste For Bones. Marginalmente, si ricorda infine che la ripartizione del testo in base alle ore del giorno (ore canoniche nel romanzo di Eco) è un prestito dal celeberrimo romanzo Ulisse di James Joyce.

[modifica] Titolo

Il titolo provvisorio del libro, durante la stesura, era L'abbazia del mistero, poi Eco aveva pensato anche al titolo Adso da Melk (ma poi considerò che nella letteratura italiana - a differenza di quella inglese - i libri aventi per titolo il nome del protagonista non hanno mai avuto fortuna), per approdare infine al titolo Il nome della Rosa tratto dal motto nominalista che chiude il romanzo: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus (la rosa esiste prima e a prescindere dal suo nome, ma a noi non ne resta che il nome - nel senso che, come sostenuto dall'eresia nominalista, non possiamo cogliere l'essenza delle cose - diversamente da quanto sostenuto da Aristotele e dalla retta dottrina cattolica di San Tommaso d'Aquino).

Il titolo inoltre rimanda implicitamente ad alcuni dei temi centrali dell'opera: la frase stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus ricorda anche il fatto che di tutte le cose alla fine non resta che un puro nome, un segno, un ricordo. Così è per la biblioteca e i suoi libri distrutti dal fuoco, ad esempio, e per tutto un mondo, quello conosciuto dal giovane Adso, destinato a scomparire nel tempo. Ma in realtà tutta la vicenda narrata è un continuo ricercare segni, "libri che parlano di altri libri", come suggerisce lo stesso Eco nelle "Postille al Nome della Rosa" [1], le parole e i "nomi" attorno cui ruota tutto il complesso di indagini, lotte, rapporti di forza, conflitti politici e culturali [2].

[modifica] Recensioni

Il romanzo fu accolto molto bene dalla stampa internazionale, con autorevoli giornali che scrissero parole d'elogio per l'opera e per Eco:

« Il libro più intelligente - ma anche il più divertente - di questi ultimi anni. »
« Il libro è così ricco che permette tutti i livelli di lettura... Eco, ancora bravo! »
« Brio ed ironia. Eco è andato a scuola dai migliori modelli. »
(The New York Rewiew of Books)
« Quando Baskerville e Adso entrarono nella stanza murata allo scoccare della mezzanotte e all'ultima parola del capitolo, ho sentito, anche se è fuori moda, un caratteristico sobbalzo al cuore. »
(Nicholas Shrimpton, The Sunday Times)

[modifica] Opere affini

Nel 1983 Umberto Eco ha pubblicato, attraverso il periodico L'Espresso, le "Postille al Nome della rosa", un saggio con il quale l'Autore spiega il percorso letterario che lo ha portato alla stesura del romanzo, e fornisce chiarimenti su alcuni aspetti concettuali dell'opera. Le Postille al Nome della rosa sono state poi allegate a tutte le ristampe italiane del romanzo successive al 1983.

[modifica] Influenza culturale

[modifica] Errori

  • Nel romanzo si menziona una ricetta a base di peperoni ("carne di pecora con salsa cruda di peperoni"), ovvero un "piatto impossibile". I peperoni furono infatti importati dall'America alcuni secoli dopo l'epoca in cui si ambienta il romanzo.

[modifica] Incipit

  • Il romanzo inizia con "In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio", frase tratta dal Vangelo di Giovanni e dal Pulci in Morgante.
  • Nell'incipit del romanzo compare la seguente frase: "Videmus nunc per speculum et in aenigmate", tratta da una frase di San Paolo nella I^ lettera ai Corinti (13,12) che tradotta acquista il seguente significato "Ora (nella vita materiale) vediamo come attraverso ad uno specchio, in maniera confusa, distorta"; si tratta di una citazione già menzionata in un precedente scritto di Eco: Opera aperta (1962, ultima edizione 2006).

[modifica] Note

  1. ^ "Si fanno libri solo su altri libri e intorno ad altri libri. […] I libri parlano sempre di altri libri e ogni storia racconta una storia già raccontata. Lo sapeva Omero, lo sapeva Ariosto, per non dire di Rabelais o di Cervantes" (U. Eco, "Postille al Nome della Rosa, 1983)
  2. ^ "Sembra infatti proprio "la parola" il tema dominante del racconto, annunciato fino dal titolo Il nome della rosa, presente con intonazioni diverse nei punti strategici della narrazione. In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio, leggiamo all'inizio del romanzo. I nomi sono segni di segni, con i quali l'uomo tenta di dare un ordine al mondo. Il semiologo Umberto Eco non ha scritto soltanto per divertirsi e divertirci con gli stereotipi del romanzo storico, poliziesco, fantastico. Ha scritto il romanzo filosofico della parola, della sua forza e dei suoi limiti e dell'uso negativo o positivo che l'uomo può farne (...) Il romanzo della parola ne sfiora anche un aspetto fantastico e perturbante. Certe profezie apocalittiche di sventura sembrano prendere corpo per la sola tragica forza evocativa delle parole, quasi non sia più possibile prevedere e arrestare lo sviluppo di un processo di distruzione, una volta che sia messo in moto da una intelligenza malefica". (Tina Borgogni Incoccia - 16 Aprile 2001. Lunedì dell’Angelo. La Repubblica Letteraria Italiana. Letteratura e Lingua Italiana online)

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