Rocca Imperiale
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Rocca Imperiale | |||||||||
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Stato: | Italia | ||||||||
Regione: | Calabria | ||||||||
Provincia: | Cosenza | ||||||||
Coordinate: | |||||||||
Altitudine: | 199 m s.l.m. | ||||||||
Superficie: | 53 km² | ||||||||
Abitanti: |
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Densità: | 62 ab./km² | ||||||||
Comuni contigui: | Canna, Montegiordano, Nova Siri (MT) | ||||||||
CAP: | 87074 | ||||||||
Pref. tel: | 0981 | ||||||||
Codice ISTAT: | 078103 | ||||||||
Codice catasto: | H416 | ||||||||
Nome abitanti: | rocchesi | ||||||||
Santo patrono: | Madonna della Nova | ||||||||
Giorno festivo: | 2 Luglio | ||||||||
Sito istituzionale | |||||||||
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Rocca Imperiale è un comune di 3.314 abitanti della provincia di Cosenza, bagnato dal Mar Jonio e situato al confine con la Basilicata.
Indice |
[modifica] Introduzione
A metà dell’arco che circoscrive il Golfo Tarantino, 4 km circa distante dal mare e su di un colle dei contrafforti appenninici che si protendono al lido a dare inizio all’antica pianura Siritide, sorge sontuosa Rocca Imperiale ( Non ci si meravigli se trattando di Rocca e della sua storia fino ai primi decenni dell’800 si farà riferimento prevalentemente alla Basilicata; giacché, essendo terra di confine, fino al 1816 ha sempre fatto parte della Basilicata ed ha sempre avuto, ed ha tuttora, rapporti frequenti con i centri limitrofi di questa Regione). Il suo abitato, edificato sulla convessità orientale del pendio, a meno di 200 metri di altitudine, ha le case disposte a gradinata ai piedi della fortezza che gli diede il nome, e ristretto com’è su un’area pressoché inampliabile, con i suoi viottoli, le ripide salite di accesso alla sommità, il campanile vetusto e la severa mole delle costruzioni militari, conserva l’aspetto di un borgo medievale ingentilito dl progresso, ma non sostanzialmente mutato da qual era nei secoli decorsi. Finestre e veroni spaziano sulla calma distesa dello Jonio e, dalle eminenze del castello, il panorama costiero si rappresenta bello e suggestivo. A destra e alle spalle, con vario susseguirsi di declivi, di ondulazioni e di avvallamenti, si elevano i monti; ma sfuma a sinistra l’orizzonte sulle alture salentine ingemmate di ville e d’incolati e, nello spazio interposto, sul piano ammantato di verde, ecco delinearsi le zone archeologiche di Siri, Eraclea, Pandosia e Metaponto, culle della prima civiltà Italica. Al tempo delle “polis” questo fertilissimo lembo della Magna Grecia veniva posto da Archiloco e da Erotodo come termine di paragone alle più desiderabili contrade del globo; poi le lotte per l’egemonia locale, fra i centri Italioti, e l’invidia di favolose ricchezze, vi apportarono quei lutti e quelle distruzioni che le guerre di Pirro, di Annibale, di Spartaco e dei Goti resero definitive ed irrimediabili. Sparirono così le tracce delle “città – stato” ioniche ed achee e, uniche superstiti di un’era remota e fastosa, rimasero le colonne del tempio metapontino di Dioscuri.
[modifica] Nascita del paese
Unica via di comunicazione tra le Puglie e la Calabria, sul versante Jonico, era ancora nel 1200 la romana Traiana- Appia che partendo da Reggio Calabria e costeggiando il mare andava a congiungersi a Brindisi con l’Appia che proveniva da Capua. D’altra parte la Calabria era allora parte integrante della Sicilia, e se i baroni siciliani, sempre contrari alla monarchia per le limitazioni imposte alle loro prerogative, si fossero ribellati, attraverso questa arteria stradale avrebbero potuto tentare l’invasione del resto dello Stato. Appare dunque evidente ‘importanza militare del luogo e Federico II, che di strategia si intendeva, volle erigervi un castello che al fine principale difensivo unisse il compito di dare asilo alla Corte negli spostamenti e nelle partite venatorie alle quali il territorio era adattissimo.
Poiché gli apprestamenti necessari ad una grande opera in muratura non si improvvisano, sull’altura che dinanzi era brulla o macchinosa, l’Imperatore, molto tempo prima dell’inizio dei lavori architettonici, dovette inviare operai per movimenti di terra e la cottura della calce; i quali operai si stabilirono “in situ” le quali formarono il primo nucleo del nuovo abitato. Essi stessi, e i villici poi, cominciarono a distinguere il luogo con l’appellativo dialettale di RI-CARCARI o LI-CARCARI, che fu presto dimenticato e sostituito, e castello ultimato, con nome di Rocca Imperiale. Il termine RI-CARCARI esaminato alla luce della fonetica locale è un chiaro nome composto da RI + carcari o Li + carcari equivalente a “LE FORNACI”, le quali dovettero essere in gran numero apprestate per la calce ed i mattoni prima di iniziare la costruzione della fortezza.
Il villaggio formato dagli operai e da pochi individui che erano andati a porvi dimora con la famiglia per la sicurezza, dopo oltre due lustri era ancora insignificante, e per Federico II che da principio non aveva inteso dar vita ad un nuovo incolato decise di inviarvi una colonia nel 1239. Sebbene manchino attestazioni probatorie esplicite, la nascita di Rocca, paese e castello, deve attribuirsi a Federico II di Svevia e che fra gli antenati degli odierni Rocchesi sono da annoverare degli abitatori medievali dell’alpestre cittadina a Nord-Ovest di Castrovillari, con la quale noi conserviamo tuttora una stretta parentela linguistica.
[modifica] La Marina di Rocca Imperiale
Bagnata dalle acque del mare Jonio per 7 Km. di spiaggia alternata da scogli, ciottoli e fine sabbia dorata verso il confine Lucano la marina di Rocca Imperiale, distante appena 4 Km dal centro storico, si pone come meta privilegiata per la balneazione, beneficiando di strutture balneari d’ogni tipo. Di importante rilevanza storica l’imponente magazzino fatto costruire nel XVIII secolo (1731) dal duca Fabio Crivelli a testimonianza dell’importanza marittima e commerciale di Rocca Imperiale e la Torre di Guardia del XVI secolo (1563-69).
Le zone archeologiche di Monte Soprano, Masseria Saliva, Timpone Ronzino, Murge Santa Caterina (in questo luogo si presume, da alcuni resti in muratura e dal rinvenimento di cocci di vasellame ed altri oggetti, la presenza di un antico presidio con funzione di avamposto per la difesa del Castello) rappresentano un museo a cielo aperto nel panorama dell’antica Siritide. In contrada Cesine a poca profondità dalla superficie, sono stati rinvenuti ruderi di fabbriche a condutture laterizie, le quali ultime sembra vengano da Ciglio dei Vagni con sbocco in una cisterna (tullianum) di malta durissima, accanto a cui era possibile notare la vasca di un “trapetum”. In grande quantità, con i lavori agricoli di aratura, appaiono tombe di diverse età e di diverso tipo. Alcune ad umazione, formate da una lastra di tufo poggiante su altre due più piccole, poste in senso verticale, manifestano la loro derivazione dal tipo dolmenico; altre, ad incinerazione, contengono oggettini vari anche in oro (anellini, spille) ed atre ancora sono costituite da urne cinerarie decorate a rilievo racchiuse in rozzi sarcofaghi. Di maggiore attenzione fu il ritrovamento di una punta di lancia di bronzo, una bottiglia di sagoma egiziana, qualche statuetta fittile acefala, lucerne, urne e vasetti vari rinvenuti nei pressi di una duplice deposizione di cadaveri, col capo su origliere di pietra, praticata sotto il pavimento di una capanna rettangolare con uno dei lati più brevi absidato di tipo orientale, che subito si disfece.
All’estremità nord del lungomare di Rocca Imperiale Marina, esiste un ampio parco pubblico attrezzato di giochi e vaste zone d’ombra con tavoli e panchine. Non mancano i festeggiamenti popolari, e sono giorni in cui il paese cambia volto, assumendo quello di un centro festaiolo, con spettacoli musicali e pirotecnici e le strade bardate da sfarzose luminarie.
Numerose sono le occasioni di svago durante il periodo estivo, grazie all’organizzazione di spettacoli all’aperto, manifestazioni ludiche, festive, ricreative e culturali.
I costumi, il patrimonio architettonico e storico, la civiltà, il clima, le bellezze naturali del mare e della qualità delle acque, la ricchezza della collina e della montagna retrostante, la posizione geografica tra il Parco Nazionale del Pollino, la piana di Sibari e l’area del Metapontino, costituiscono per Rocca Imperiale un pregevole richiamo per una tappa importante negli itinerari possibili della regione Calabria.
[modifica] Il Castello
Il forte appare come un’enorme nave di pietra, la prua rivolta verso Sud, le grigie fiancate protette da torri simmetriche, e sopra coperta, il cassero scagliato nel cielo. Analizzandolo nei suoi elementi, risulta costituito da un mastio poligonale a scarpa i cui lati più brevi, a Sud, si innalzano su un profondo burrone e i rimanenti, e pianta quasi rettangolare, sono rafforzati da due torri cilindrico – tronco – coniche ad Oriente, da una a sperone allo spigolo Nord-Ovest (torre frangivento) a da latra cilindrica, a sezione costante, al centro del lato posteriore, ad Ovest A sua volta il Mastio, tranne nei lati meno accessibili, è circondato da un muro di cinta provvisto di parapetto, che forma il fossato largo e profondo circa 8 metri; di un ponte levatoio esterno, di una via sopraelevata racchiusa in un bastione merlato anch’esso a sperone, alto 20 metri e di un secondo ponte levatoio più grande, interno, che chiudeva il portale di ingresso.
Nella rocca, scaloni, arcate, fornici e spiazzali sorprendono ancora per il senso di vastità che vi impera; ma destano ancora assai meraviglia le previdenze e gli accorgimenti per rendere l’edificio inespugnabile, mediante l’assicurazione dei rifornimenti logistici con locali per deposito di olio e di grano, cinque cisterne a decantazione d’acqua ed una finestra che dà sulla costa scoscesa ad Occidente, nonché le sporgenze delle torri, un triplice ordine orizzontale di feritoie e una lunga serie di merli per battere efficacemente da ogni punto e con pochi uomini il suolo circostante.
Non mancano scuderie razionali per i cavalli del signore e degli uomini d’arme, casematte, sotterranei, corridoi intercomunicanti e trombe per l’aerazione nelle torri; anzi diverse gallerie furono interrate e si dice che ve ne fosse una, ora non rintracciabile, di uscita segreta all’esterno.
Uno stanzone tetro tuttora esistente custodiva i prigionieri e più giù, dopo una serie di ambienti vari, era la sala dei supplizi, nella volta della quale è ancora infisso un anello di ferro che serviva per dare i tratti di fune e forse anche per le impiccagioni.
A tutto questo complesso architettonico erano poi collegate le mura del paese che svolgendosi dal “Murorotto”, sul fianco di casa Giannattasio, dove si notano i resti di una torre quattrocentesca, raggiungevano “la Croce”, indi “l’Ospedale” e casa Moliterni dove avevano termine sull’orlo del precipizio di “Scalella”.
Quale parte abbia avuto Federico II di Svevia nella fortificazione del castello oggi non è possibile precisare perché, se si eccettuano una finestra ogivale disadorna, di arenaria, il portale del massimo ponte, la torre cilindrica posteriore e qualche feritoia che non risponde più allo scopo cui era stata precedentemente destinata, nessun elemento artistico è riferibile al secolo XIII, e invece l’aspetto esterno del castello, il toro longitudinale, gli archetti pensili arabo – siculi della torre di Sud-Est e la merlatura guelfa sono aragonesi, mentre gli alloggi, settecenteschi.
La soluzione più ovvia è che Alfonso d’Aragona non si limitò solo, nel 1487, a rafforzare la rocca, ma la ampliò e rifece in modo da coprire il vecchio monumento svevo, forse più piccolo e con torre centrale quadrata.
Nel Medio Evo è risaputo che una consuetudine imponeva alle popolazioni locali e limitrofe l’obbligo della prestazione gratuita d’opera, per tutto il tempo necessario alla costruzione e alla riparazione dei palazzi reali e degli edifici militari, di maniera che solo gli operai provenienti da zone non comprese negli obblighi erano ricompensati.
Senza la partecipazione dei Rocchesi ai lavori non sarebbe altrimenti spiegabile la tradizione della fornitura a passamano, a mezzo di una catena di uomini, all’uso romano, dal torrente “Salso” alla cima del colle da fortificare, dell’ingente materiale litico occorrente, perché ad un’opera tanto grande dovettero collaborare centinaia di muratori e migliaia di manovali.
Ultime modificazioni ed aggiunte murarie furono quelle apportate ai vani abitabili, nel 1700 dai duchi Crivelli, che vollero fare della fortezza una piccola reggia. Ma, abolito il feudalesimo, l’ultimo Signore che risiedeva a Napoli, si sbarazzò dei mobili e degli arredi ed attorno al 1835 vendette persino le coperture dei tetti e gli infissi, iniziando così quel periodo di devastazione che negli anni di abbandono ridusse l’enorme mole a cava di materiale edile, soggetta ad ogni sorta di vandalismo.
Curiosità:
- Il presidio del castello fu costituito, fino all’invenzione della polvere da sparo, da arcieri e balestrieri, che si appostavano in combattimento dietro le feritoie e i merli.
- Due moschetti a miccia anteriore del ‘400 furono rinvenuti in una cisterna del vecchio maniero
- Durante la dominazione borbonica le cortine del forte erano protette da 25 pezzi di artiglieria i quali furono tolti dopo il 1861. Uno ne rimase dimenticato e regge ora la mensola di un terrazzino del paese.
[modifica] Le Chiese
La prima chiesa di Rocca Imperiale sorse, come attesta il campanile, col nascere dell’abitato, al tempo dell’Imperatore Federico II di Svevia nel secolo XIII (1239). Piccola. Di stile romanico puro, l’ingresso principale a nord e uno secondario sul lato opposto, occupava l’area dell’attuale sagrato ed aveva a destra la sagrestia. Davanti era uno spiazzo o una larga via da cui erano visibili le grandi incisioni paleografiche sotto la cornice apicale della torre campanaria, e nell’interno forse una sola navata e nudo era il presbiterio con l’altare maggiore. Loculi tombali dei sacerdoti e delle principali famiglie si aprivano sul pavimento e una cripta più giù, probabilmente in comune con quella dell’ospedale eretto dai Cavalieri Gerosolimitani nel secolo XIII, serviva per le deposizioni dei fedeli, che in caso di epidemie venivano sepolti attorno al tempio. Questo era dedicato, come lo è tuttora la parrocchia, a Santa Maria in Cielo Assunta e fu arricchito nei primi anni del Trecento di un protiro a soggetta su archi ad ogiva, di bifore a colonne tortili di marmo, ora deposte nel giardino Gavazzi, di un ampio rosone, di una statua, la cui testa è murata all’angolo del corso Vittorio Emanuele, di fronte alla casa Fortunato, e di affreschi, i resti dei quali si notano sotto un archetto del protiro attualmente incorporato nel pronao della nuova Chiesa.
Non ci sono notizie di cappelle nell’abitato, ma annessa all’ospedale, doveva esserci già nel secolo XIV, quella del Crocifisso. Con l’andare del tempo ne sorsero diverse: prime fra tutte quella di San Giovanni, quattrocentesca; poi, in ordine cronologico, furono edificate quella delle Cesine, in campagna; quella del Rosario, del Carmine, di San Biagio e, in ultimo, quella della Croce all’ingresso del paese, e dell’Immacolata, addossata alla matrice, al posto del monumento dei caduti della grande guerra.
Nel ‘700 si menzionano come diroccate le chiesette della SS. Annunziata a di S. Giovanni nelle contrade omonime. Non è escluso che ve ne fosse una a S. Elia, attorno al 1100, officiata dai brasiliani, di rito greco. Vuole la tradizione che la cappella delle Cesine, sotto il titolo S. Maria della Nova (attualmente inclusa tra i santuari designati dall’Autorità Ecclesiastica nei quali è possibile lucrare le Indulgenze Giubilari), fosse edificata ad opera di un principe pellegrino, che, dopo essere naufragato sulle nostre coste, si ritirò sull’altura antistante all’approdo a farvi penitenza di ringraziamento. Si racconta che il ritratto del principe figurasse sulle pareti della vecchia chiesetta, ma questa immagine è sparita nel corso dei secoli, com’è svanita l’immagine della Madonna cui il principe si era rivolto.
L’episodio citato, dovette accadere non prima del 1400, infatti l’istituzione della festa liturgica della Visitazione risale al 1389 per decreto di Papa Urbano VI, promulgato dal successore Bonifacio IX. Il Giubileo che suscitò intenso fervore di pellegrinaggi, fu indetto da costui nei primi del XV secolo, per cui potrebbe darsi che il naufragio avvenne attorno a quell’epoca. Il dipinto della Visitazione che si venera ora, infatti, non è quello originario, né è originario il tempio che subì almeno tre trasformazioni.
Nulla sappiamo circa la celebrazione delle feste dell’epoca, ma si può ritenere per certo che la solennità del 2 Luglio divenne patronale subito dopo l’incursione turca del 1644. Il 29 Giugno di quell’anno, comparve una grande flotta turca, forte di 50 galee; sbarcati sulla nostra spiaggia da due a tremila armati, gli invasori, circondarono le mura della cittadina mentre gli abitanti dormivano. Questi, svegliati di soprassalto e ritenendo impossibile ogni difesa, si rifugiarono nel castello. Nonostante l’assedio, i turchi non riuscirono ad impadronirsi della roccaforte. Diedero fuoco a molte case tra le quali, degna di particolare ricordo la Chiesa Madre di cui rimase indistrutto, quasi a ricordo, il campanile. In questa triste circostanza il popolo, raccolto nel castello, dal quale si scorgeva di lontano la chiesetta della Nova, fece voto di solennizzare in perpetuo la data se fosse stato liberato dal pericolo e se avesse subito il minimo danno. E la grazia, venuta il giorno successivo, fu ritenuta dagli scampati come un segno della protezione divina, di cui bisognava mantenere sempre vivi la riconoscenza e il ricordo attraverso le generazioni future. In seguito, per la fiducia riposta nella Madre di Dio, sorse l’uso di andare a rilevare la sacra effige la domenica in albis per riportarla in sede con pompa il 2 Luglio e sotto stessa data fu indetta una fiera, sostituita verso il 1888 con quella del 28 Maggio alla Marina. Eccezionalmente, e negli anni di straordinaria siccità, era consuetudine recarsi in processione ad invocare la grazia della pioggia alla cappella e si portava la sacra immagine in paese per una novena propiziatoria.
CHIESA DELLA VISITAZIONE DELLA BVM Istituita nel 1964, venne retta nei primi anni dal parroco del paese Don Francesco Guarino; successivamente, dal Natale del 1967 fino all’Agosto del 1984 venne affidata ai Padri Stimmatini per poi passare a settembre del medesimo anno all’attuale parroco Don Mario Nuzzi. Prima della presente meravigliosa costruzione moderna era adibito a chiesa un capannone di fortuna; il 4 Agosto 2001 fu finalmente inaugurata l’attuale opera architettonica i cui lavori sono stati seguiti in un primo momento dall’architetto Affuso e successivamente dall’architetto Forace.
La modernità delle forme architettoniche e la diffusione del Verbo di Dio espressa mediante una ricercata sensibilità artistica, fanno della Chiesa della Visitazione della BVM una delle più prestigiose ed uniche bellezze artistiche dell’Alto Jonio. La struttura esterna ha l’aspetto di una nave orientata al porto, a testimonianza che la Chiesa è la nave che deve condurre al cielo i fedeli. La struttura interna ha forma di anfiteatro per dare la possibilità ai fedeli di avere una corretta ed equa visione delle celebrazioni liturgiche; la Volta, in legno lamellare, crea figure geometriche che le danno un senso di dinamismo e mobilità, vista in tutta la sua profondità sembra una navicella spaziale elevata verso il Cielo.
Tutta la struttura e poi costernata al suo interno da opere d’arte di grande valore: Il Tabernacolo, (architetto Antonio De Prosperis) è stato completamente realizzato in loco intagliando a mano libera le tessere (pregiati materiali provenienti da Murano) che compongono il Mosaico. Questa meravigliosa opera d’arte crea per mezzo della luce formidabili giochi di irraggiamento; al centro della porta vi è un cuore quasi pulsante in Bronzo Argentato a testimonianza dell’amore di Dio. Esaminata poi accuratamente, la raggiera del mosaico crea grattacieli e casupole; testimonianza del fatto che la Luce di Dio deve illuminare sia le grandi città sia i piccoli paesi.
Il Paliotto dell’Altare anch’esso in Bronzo raffigura l’istituzione dell’eucaristia (Salvo). Dietro di esso un Presbiterio (arch. Forace) in marmo con sedia per chi presiede le celebrazioni raffigura il Colle del Calvario sul quale si erige maestoso il Cristo Crocefisso, 2.15 m di puro Bronzo realizzata del Cagni. Contrariamente alla consuetudine di rappresentare il Cristo con un’espressione sofferente, il Cagni ha volutamente realizzato un’espressione sorridente, quasi beata in grado di trasmettere a chi la osserva nuovo sentimento e speranza nel cammino cristiano.
A ridosso dell’Altare troviamo un Ambone, realizzato anch’esso dal Salvo, a forma di Biga e raffigurante i simboli dei 4 Evangelisti: l’aquila, il leone, il bue e l’angelo. In prossimità dell’Ambone vi è il Battistero, con la base in Bronzo a tuttotondo raffigurante una Colomba (simbolo dello Spirito Santo) che sostiene una grossa Coppa in marmo dalle stesse tonalità cromatiche dell’Altare, sormontata da un coperchio anch’esso in Bronzo recante alle estremità un bassorilievo raffigurante San Giovanni Battista. Tutte le opere sono state realizzate con il contributo dei fedeli e di persone amiche.
[modifica] Il Monastero
Nel “Registrum Ballarum” al numero XIII troviamo il “diploma” con cui i Frati Minori Francescani dell’Osservanza Regolare della provincia di Basilicata furono autorizzati a costruire in Rocca Imperiale un “ Monasterium seu Conventum…cum Dormitorio, Refectorio, Officinis, Campana, Campanili, aliusque ad id necessariis” (27 giugno 1562).
È questa la data in cui fu autorizzata la costruzione del Monastero; avuta dunque l’autorizzazione si ritiene che i frati si siano dati subito da fare e abbiano messo mano senza indugi alla fabbrica. Verosimilmente fu costruito dapprima qualche locale per alloggiarvi i frati che dovevano soprintendere all’opera e subito dopo cominciarono i lavori di costruzione della chiesa che si presume fosse già pronta per il culto, ma non del tutto ultimata nel 1583. questa data si legge a piè della colonna che sorregge l’acquasantiera. Contemporaneamente si costruì anche il Monastero nelle sue parti essenziali e funzionali. Il prof. G. Fiore fa riferimento ad una data – 1617 –anticamente leggibile sul portone d’ingresso della chiesa; pertanto è da ritenere che prima della data sopra indicata, si accedesse alla chiesa mediante una porticina provvisoria in attesa del completamento dei lavori.
Ci vollero dunque circa 21 anni perché la chiesa fosse aperta ai fedeli e altri 34 per ultimarla. La cosa non deve sorprendere se si tiene conto che i Frati erano Francescani e per di più Osservanti e che vivevano perciò di questua. Chiunque poi visiti la chiesa constaterà che si tratta non di una delle solite chiesette e cappelle disseminate un po’ dappertutto ma di una chiesa delle dimensioni piuttosto notevoli e arricchita di coro, sacrestia e una cupola relativamente grande.
La struttura, che a noi oggi sembra complessa, in realtà non si discosta dal modello classico dell’architettura francescana: come tutti i conventi dell’epoca dotata di Chiostro con Cisterna, Porticato, Celle, Chiesa…da notare invece la semplicità delle linee e il tentativo di qualche bravo frate nel rendere bello e artistico qualche dettaglio: le cornici interne ed esterne della cupola, i capitelli dei pilastri della cisterna…; e rilevante è anche il grande impegno e amore, nonché il senso artistico, dell’artista che ha scolpito il portone di ingresso della chiesa arricchendolo di formelle con figure allegoriche. Per circa 40 anni in seguito alla sua costruzione il monastero rimase abbandonato a se stesso senza un minimo di custodia e il suo deterioramento fu inevitabile, tramutandosi anche in ricovero per pecore. Da qui in seguito le vicissitudini che lo concernano sono numerosissime.
[modifica] Madonna della Nova
Si festeggia il 1 e 2 luglio di ogni anno.
[modifica] Turismo
Rocca Imperiale è segnalata dal 2006 sulla prestigiosa Guida Blu di Legambiente e Touring Club Italiano,con due vele.
[modifica] Museo delle Cere
Ospitato all’interno dell’antico Monastero dei “Frati Osservanti” , il museo offre una sensazionale e suggestiva atmosfera grazie alla compresenza di elementi di misticità, vetustà e alla combinazione spettacolare tra il sacro ed il profano. Numerosi sono i personaggi qui rappresentati con ricercata e acuta verosimiglianza a quelli che sono stati gli uomini simbolo del Novecento che hanno contribuito a dare luce e spessore economico, artistico, culturale, politico, religioso e sociale al nostro Paese e all’intero genere umano.
Da Federico II di Svevia a De Gaspari, da Mussolini a Che Guevara, da Madre Teresa di Calcutta a Rita Levi Montalcina, da Giuseppe Verdi a Totò (principe Antonio de Curtis), tutti a grandezza umana con occhi di cristallo e capelli veri adornati da un vestiario più che reale, rappresentativo del nostro immaginario collettivo. Non mancano poi personaggi popolari che con le loro gesta hanno dato splendore e fama a tutta la comunità come ad esempio il pluridecorato milite Francesco Mesce: chiamato alle armi il 15 marzo 1920 e destinato al 63° reggimento Fanteria “Cagliari” a Torino fu trasferito sul fronte francese dove prese parte ai combattimenti dell’avanzata italiana nei territori francesi. Rimpatriato, si imbarcò per la Grecia dove ricoprì l’incarico di artificiere nel Genio Artificieri e dopo aver ricevuto la medaglia sul Fronte Greco-Albanese il 18 agosto 1943 gli fu concessa una licenza straordinaria. Ritiratosi a Rocca fu invitato, visto le sue capacità, a far brillare delle mine sotterrate dai tedeschi in ritirata dalla Sicilia. Nel tentativo di far brillare gli ordigni per tutelare la popolazione Rocchese rimase ucciso dallo scoppio di una seconda mina nascosta sotto la prima.
Tra le pareti di quello che un tempo fu luogo di preghiera e di culto, completamente immersi nelle vestigia del già di per sé sensazionale Monumento, si respira un’aria trascendentale con le statue che evocano un contatto quasi umano. Inaugurato e aperto al pubblico il 1 Agosto 2003 è visitabile tutti i giorni dalle 17:00 alle 20:00 e la Domenica anche di mattina dalle 10:00 alle 13:00
Clicca qui per visitare alcune stanzedel museo: http://portal.comune.roccaimperiale.cs.it/default.asp?id=24&mnu=24
[modifica] Evoluzione demografica
Abitanti censiti