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Galleria degli Uffizi - Wikipedia

Galleria degli Uffizi

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Coordinate: 43°46′6.38″N 11°15′21.24″E / 43.7684389, 11.2559 La Galleria degli Uffizi è un museo italiano, sito nel Piazzale degli Uffizi a Firenze.

Galleria degli Uffizi
Tipologia Arte
Immagine del Galleria degli Uffizi
Il cortile degli Uffizi, veduta da Palazzo Vecchio
Indirizzo Piazzale degli Uffizi, 50122 Firenze, Italia
Orari Da martedì a domenica, ore 8,15-18,50

Chiusura: tutti i lunedì, Capodanno, 1° maggio, Natale

Biglietti Intero: € 6,50

Ridotto: € 3,25 (info)
Gratuito: € 0,00 (info)
Prenotazione (facoltativa): € 4,00
In occasione di mostre temporanee il prezzo può variare

Telefono +39 055 2388651
Sito Polomuseale.firenze.it/uffizi
Mezzi 10 min. a piedi dalla stazione
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Galleria degli Uffizi
Voci principali

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L'edificio ospita una superba raccolta di opere d'arte, comprendente tra l'altro la maggiore collezione di dipinti del Botticelli, divisa in varie sale allestite per scuole e stili in ordine cronologico.

Indice

[modifica] La storia

[modifica] Cosimo I e Vasari

Con l'insediamento del duca Cosimo I de' Medici nell'antica sede comunale di Palazzo Vecchio, iniziò la riqualificazione in senso monarchico dell'area cittadina. Nel 1560 il duca volle riunire le 13 più importanti magistrature fiorentine, dette uffici, in precedenza poste in varie sedi, in un unico edificio posto sotto il suo diretto controllo, in modo da affiancare al vecchio Palazzo della Signoria una nuova sede governativa, consona al ruolo di potenza rivestito da Firenze dopo la conquista di Siena. Fu scelto come luogo una striscia di terra, innestata tra il lato sud di piazza della Signoria e il lungarno.

Il progetto, affidato a Giorgio Vasari, prevedeva un edificio a forma di U, costituito da un braccio lungo a levante, che doveva incorporare anche l'antica chiesa romanica di San Pier Scheraggio, da un tratto breve affacciato sul fiume Arno e da un braccio corto a ponente, inglobando la Zecca Vecchia. In questo secondo lato dal 1866 ebbero sede le Regie Poste (adattamento di Mariano Falcini), e oggi, dopo un restauro del 1988, vi si tengono alcune esposizioni di materiale proveniente soprattutto dai depositi.

I tre corpi di fabbrica presentano lo stesso modulo: a pianterreno un loggiato architravato con volta a botte, delimitato da pilastri con nicchie, finestre architravate al primo piano, infine l'ultimo piano destinato all'uso privato del duca.

La costruzione iniziata nel 1560, realizzata in pietra serena della valle della Mènsola e adottando secondo il Vasari l'ordine dorico "più sicuro e più fermo degl'altri, [...] sempre piaciuto molto al signor duca Cosimo" nel 1565 presentava già completati i cosiddetti Uffizi Lunghi e il tratto che si affacciava sull'Arno. In questa sezione Vasari aprì una grande arcata a serliana sormontata da una loggia, aperta sia sul piazzale antistante che sull'Arno, come vero e proprio fondale teatrale, ispirato alle coeve realizzazioni scenografiche. L'arcata ospita la statua di Cosimo I, realizzata dal Giambologna nel 1585, tra le statue del Rigore e l'Equità di Vincenzo Danti, realizzate nel 1566. Nelle nicchie dei pilastri del loggiato fu progettato di inserire una serie di statue di fiorentini famosi; la realizzazione si iniziò a partire dal 1835.

Per il matrimonio del figlio Francesco con Giovanna d'Austria, nel 1565, il duca decise di realizzare una via di comunicazione soprelevata e segreta tra Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti, la nuova residenza della famiglia Medici e collegata direttamente alla cerchia bastionata di Firenze. Il Vasari in soli sei mesi costruì il cosiddetto Corridoio Vasariano, che, da Palazzo Vecchio, superata via della Ninna con un ponte coperto, percorre parte della galleria, superando l'Arno presso il Ponte Vecchio, sbuca nel quartiere d'Oltrarno, arrivando nel giardino di Boboli e da qua in Palazzo Pitti; da lì venne in seguito predisposto un collegamento per raggiungere in sicurezza il Forte Belvedere.

[modifica] Francesco I e Buontalenti

Uffizi, veduta verso Piazza della Signoria.
Uffizi, veduta verso Piazza della Signoria.

Nel 1574 con il duca Francesco I de' Medici la direzione dei lavori venne affidata a Bernardo Buontalenti, che completò la fabbrica, insieme a Alfonso Parigi il vecchio, nel 1580.

Tra il 1579 e il 1581 le volte della Galleria furono affrescate con motivi a "grottesca" da Antonio Tempesta e successivamente da Alessandro Allori, con cui collaborarono Ludovico Buti, Giovanmaria Butteri, Giovanni Bizzelli e Alessandro Pieroni.

Nel 1581 Francesco I decise di utilizzare la loggia all'ultimo piano degli Uffizi per realizzare una Galleria destinata ad accogliere la sua collezione di dipinti sia quattrocenteschi che contemporanei, di cammei, medaglie, pietre dure, statue antiche e moderne, di oreficerie, bronzetti, armature, miniature, strumenti scientifici e rarità naturalistiche, ma anche ritratti della famiglia Medici e di uomini illustri.

Per allestire la collezione, a partire da quell'anno stesso, il Buontalenti costruì nel braccio lungo degli Uffizi, la Tribuna, ispirata alla Torre dei Venti di Atene, descritta da Vitruvio nel primo libro dell'Architettura, nucleo centrale della Galleria medicea.

L'ambiente a pianta ottagonale con cupola incrostata di conchiglie e madreperla e percorsa da costoloni dorati e lanterna su cui era una rosa dei venti, collegata all'esterno da una banderuola. La Tribuna presenta nelle pareti di rosso scarlatto, dato dalla tappezzerie di velluto, su cui sono appesi i quadri e mensole per oggetti e statue; lo zoccolo, oggi perduto, venne dipinto da Jacopo Ligozzi con uccelli, pesci e altre meraviglie naturalistiche; al centro stava un tempietto-scrigno, ovvero un mobile ottagonale che custodiva i pezzi più piccoli e pregiati della collezione; il pavimento venne realizzato a intarsi marmorei.

La sistemazione degli oggetti della collezione di Francesco I nella Tribuna probabilmente seguiva criteri puramente espositivi e non reconditi significati allegorici: il significato era infatti affidato all'insieme, ovvero la gloria dei Medici, che grazie alla volontà divina, aveva raggiunto il potere terreno, simboleggiato dai magnifici oggetti rari e preziosi posseduti.

Nel corso del tempo la Tribuna ha subito numerose trasformazioni. Nell'Ottocento l'ordinamento originario venne smembrato e gli oggetti divisi secondo il genere e la categoria di appartenenza, facendo nascere i primi nuclei di vari musei fioprentini odierni, come il Museo degli Argenti, il Museo di Mineralogia e Litologia, quello Archeologico, ecc.

Nel 1583 Francesco I fece trasformare la terrazza, sopra la Loggia dei Lanzi, in un giardino pensile, ora scomparso, dove la corte si riuniva ad ascoltare esibizioni musicali ed altri intrattenimenti.

Sempre al Buontalenti spetta la realizzazione del teatro mediceo: un vano circondato da gradinate con nel mezzo il palco dei principi. Nel corso dei secoli il teatro è stato suddiviso in due piani: nel primo ora ha sede il Gabinetto Disegni e Stampe, nel secondo alcune sale della Galleria. Del teatro vero e proprio resta solamente il Vestibolo, dove a sinistra è quello che un tempo era il portale d'ingresso al teatro, oggi ingresso del Gabinetto Disegni e Stampe e di fronte le tre porte del Ricetto, su quella centrale, con le ante lignee intagliate con stemmi medicei, è il busto di Francesco I.

[modifica] I Medici

Nel 1587 col duca Ferdinando I de' Medici la collezione venne arricchita con la cosiddetta "Serie Gioviana", una raccolta di ritratti di uomini illustri iniziata dal vescovo di Como Paolo Giovio, che oggi si trova esposta in alto tra le travature delle gallerie delle statue.

Per volontà ducale venne realizzata la sala detta "delle carte geografiche" dove alle pareti sono gli affreschi di Ludovico Buti con appunto le carte del "dominio vecchio fiorentino", "dello Stato di Siena" e "dell'Isola d'Elba" e nel soffitto furono posizionate alcune tele di soggetto mitologico realizzate da Jacopo Zucchi. Al centro della stanza era un mappamondo e una sfera armillare (oggi al Museo di Storia della Scienza); inoltre venne realizzato lo "Stanzino delle matematiche" destinato a raccogliere strumenti scientifici, con una volta decorata dalla figura della Matematica e alle pareti, tra le altre, Scene con le invenzioni di Archimede.

Per iniziativa di Ferdinando I agli Uffizi furono trasferiti i laboratori granducali e nel 1588 l'Opificio delle Pietre Dure, una manifattura di Stato, dedita alla realizzazione di oggetti preziosi; nell'ala di ponente della galleria vennero sistemati i laboratori di orafi, gioiellieri, miniatori, giardinieri, artefici di porcellane, scultori e pittori e per consentire l'accesso venne realizzata lo scalone detto del Buontalenti.

Sempre nella Galleria sette sale vennero destinate ad accogliere la collezione di armi e armature, venne allestita una sala con le pietre preziose intagliate, portata in dote da Cristina di Lorena. A quell'epoca risale la ripintura di alcuni soffitti affrescati da Ludovico Buti nel 1588.

Nel 1591 la Galleria divenne visitabile su richiesta.

Col la morte di Ferdinando I nel 1609 la Galleria rimase inalterata per molto tempo.

Tra il 1658 e il 1679, al tempo di Ferdinando II de' Medici, venne affrescato il corridoio di ponente con pitture, di Cosimo Ulivelli, Angelo Gori e Giacomo Chiavistelli, distrutte nel 1762 e sostituite da nuove decorazioni di Giuseppe del Moro, Giuliano Traballesi e Giuseppe Terreni. La moglie di Ferdinando, Vittoria della Rovere, essendo l'ultima discendente dei duchi di Urbino, portò a Firenze la cospicua eredità d'Urbino: uno straordinario nucleo di opere di Tiziano, Piero della Francesca, Raffaello, Federico Barocci e altri. Altre opere di scuola veneta giunsero invece tramite il Cardinale Leopoldo de' Medici, fratello del granduca, che iniziò anche le collezioni di disegni, miniature e autoritratti.

Tra il 1696 e il 1699 sotto Cosimo III de' Medici, vennero decorate le volte del braccio che si affaccia sull'Arno da Giuseppe Nasini e Giuseppe Tonelli, e poco dopo la Galleria venne ampliata nel braccio di ponente dove furono aperti diversi ambienti allestiti con autoritratti, porcellane, medaglie, disegni e bronzetti. Nella Fonderia, ovvero la farmacia, venne allestito il museo delle curiosità naturali, tra cui prendevano posto mummie, animali imbalsamati, uova di struzzo e corni di rinoceronte. Per quanto riguarda le raccolte, Cosimo III acquistò numerosi quadri fiamminghi (molti i Rubens) e alcune preziose statue romane, come la celebre Venere Medici, un originale greco fra le più importanti sculture della galleria.

[modifica] I Lorena

La tribuna degli Uffizi, in un dipinto settecentesco di J. Zoffany
La tribuna degli Uffizi, in un dipinto settecentesco di J. Zoffany

Estinta la dinastia medicea nel 1737, con la morte di Gian Gastone, la sorella di quest'ultimo, Anna Maria Ludovica, con la Convenzione dello stesso anno, cedette le raccolte medicee alla dinastia dei Lorena, a patto che le opere restassero a Firenze inalienabili: fu l'atto, puntualmente rispettato dai Lorena, che permise la conservazione delle straordinarie collezioni fino ad oggi, senza che esse si disperdessero o prendessero la via dell'estero, come successe alle collezioni di Mantova o di Urbino.

Tra il 1748 e il 1765 venne realizzato un vasto rilevamento grafico, coordinato da Benedetto Vincenzo De Greyss. Nel 1762 un incendio distrusse una parte del corridoio est, subito ricostruita e ridecorata.

Pietro Leopoldo di Lorena, aprendo la Galleria al pubblico nel 1769 e provvedendo alla costruzione di un nuovo ingresso, su progetto di Zanobi del Rosso, promosse una radicale trasformazione della Galleria, affidandone la direzione a Giuseppe Pelli Bencivenni e la riorganizzazione, che fu realizzata negli anni 1780-82, a Luigi Lanzi, che seguì criteri razionalistici e pedagogici propri dell'Illuminismo, con "un suo proprio genere di cose o al più di due" in ogni sala. Nella Galleria venne rimossa l'armeria, venduta la collezione di maioliche e spostati nel museo de la Specola, gli strumenti scientifici; separando in questo modo la scienza dall'arte e concentrando negli Uffizi la pittura, di cui iniziò un riordinamento per scuole, la scultura antica e le arti minori.

Nel 1779 venne realizzata da Gaspare Maria Paoletti la Sala della Niobe, dove vennero allestite un complesso di sculture antiche raffigurante Niobe e i suoi figli, proveniente dalla Villa Medici a Roma.

[modifica] Otto e Novecento

Tra il 1842 e il 1856, vennero realizzate le 28 statue in marmo, nelle nicchie dei pilastri all'esterno della Galleria, con gli uomini illustri della Toscana dal Medioevo all'Ottocento. Tra le più pregiate della serie ci sono la statua di Giotto di Giovanni Duprè, a sinistra sul terzo pilastro, il Machiavelli di Lorenzo Bartolini, all'undicesimo, e la statua di Sant'Antonino del Duprè, a destra nel quarto pilastro.

All'epoca di Firenze Capitale (1865-1871) nel Teatro Mediceo si riunì il Senato italiano.

Nella seconda metà del secolo XIX, gli Uffizi si avviarono a diventare soprattutto una raccolta di quadri, vennero rimosse alcune statue rinascimentali e trasferite al Museo del Bargello e alcune statue etrusche che furono trasferite nel Museo Archeologico. Nel 1889 il teatro Mediceo venne diviso in due piano e smantellato.

Nel 1900 venne acquistata la quadreria dell'arcispedale di Santa Maria Nuova, tra cui il Trittico Portinari proveniente dalla chiesa di Sant'Egidio, e da inizio Novecento si potenziarono, con acquisti e trasferimenti da varie chiese e istitutio religiosi, aree come il Trecento e il primo Quattrocento, estranee al nucleo storico del museo.

Separando il teatro mediceo in due piani e ricavandone sei sale, vennero ristrutturate le prime nel 1956 su progetto di Giovanni Michelucci, Carlo Scarpa, Ignazio Gardella.

Nel 1969 venne acquistata la Collezione Contini Bonacossi e nel 1989 vennero recuperate da Rodolfo Siviero le opere sottratte dai nazisti nella seconda guerra mondiale.

Il 27 maggio 1993, a seguito di un attentato mafioso che ha provocato la morte di cinque persone e danneggiato alcuni ambienti della Gallerie e del Corridoio Vasariano, molti pezzi della collezione vennero sistemati nei depositi e gradualmente, con i restauri e la messa in sicurezza dell'ala ovest, sono tornati nell'allestimento museale.

Nel 1998 il concorso internazionale per la nuova uscita degli Uffizi è stato vinto da Arata Isozaki, ma il progetto, molto criticato, è stato definitivamente accantonato nel 2005. Un altro progetto a lungo termine è stata la realizzazione dei Grandi Uffizi, raddoppiando la superficie espositiva grazie allo spostamento dell'Archivio di Stato dal primo piano, attingendo opere dai depositi (che sono situati all'ultimo piano) e ampliando così sezioni un po' penalizzate dagli spazi, come quella relativa al Seicento: oggi il primo piano conserva le opere del Seicento (come la sala di Caravaggio e dei caravaggeschi) ed è sede delle esposizioni temporanee più prestigiose.

[modifica] Architettura

Il loggiato degli Uffizi di notte
Il loggiato degli Uffizi di notte

Il palazzo degli Uffizi è composta da due corpi di fabbrica longitudinali principali, collegati verso sud da un lato più breve del tutto analogo, dando origine così ad un complesso a "U", che abbraccia un piazzale e sfonda prospettivamente verso piazza della Signoria, con una perfetta inquadratura di Palazzo Vecchio e della sua torre.

Al pian terreno corre un porticato per tutta la lunghezza dei lati ovest e sud, e per il lato est fino a via Lambertesca; sopraelevato di alcuni gradini, è sorretto da colonne doriche e pilastri con le nicche per statue; lungo il piazzale i passaggi sono coperti da architravi, mentre il passaggio coperto è chiuso da lunghe volte a botte, decorate da cornici rettangolari a rilievo, che sono collegate tra loro da fasce disegnanti un motivo geometrico spezzato.

Ai piani suoperiori si ripete un modulo di tre riquadri, tre finestre con balconcini e timpani ripsettivamente triangolare, circolare e di nuovo triangolare (primo piano) e tre aperture sulla loggetta superiore (oggi la galleria del secondo piano), divise da due colonnine. I piani sono divisi da maestose cornici marcapiano. Gli elementi architettonici sono sottolieati dall'uso della pietra serena (in particolare di quella estratta dalla valle della Mensola), che risalta sull'intonaco bianco, secondo lo stile più tipicamente fiorentino iniziato da Brunelleschi.

Il lato breve è caratterizzato da un grande arco componente una serliana che inquadra scenograficamente l'affaccio sull'Arno. Al primo piano le grandi finestre hanno un scoronamento ad arco e davanti a quella centrale, la più ampia, corrispondente internamente al Verone, si trovano tre statue: Cosimo I in piedi di Giambologna (1585), affiancato dalle personificazioni sdraiate dell' Equità e del Rigore, entrambe di Vincenzo Danti (1566).

Molto originale è il portale costruita da Bernardo Buontalenti su via Lambertesca: lo coronò da timpano spezzato, ma per maggiiore originalità invertì le due metà, ottenendo una sorta di timpano "ad ali", che ricorda gli spunti animalistici e organici della sua architettura.

[modifica] Il sistema museale fiorentino

Le raccolte degli Uffizi coprono l'arte figurativa fino alla metà del Settecento circa, con una sovrapposizione a partire dal periodo del tardo Quattrocento con le opere conservate nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti, dove sono però sistemate secondo il criterio della quadreria. Agli Uffizi si trovano anche le migliori sculture classiche di Firenze, mentre il resto dell'arte antica si trova al Museo archeologico nazionale di Firenze.

La scultura rinascimentale e manierista si trova al Museo Nazionale del Bargello. Dal periodo neoclassico alla prima metà del Novecento l'arte a Firenze è documentata alla Galleria d'arte moderna, sempre a Palazzo Pitti, mentre il Novecento è documentato da alcuni musei comunali, come il Museo Marino Marini o la collezione di Alberto della Ragione. Per trovare una importante raccolta di arte contemporanea nelle vicinanze, ci si deve spostare a Prato al Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci.

[modifica] Sale

[modifica] Vestibolo d'entrata

L'ambiente, costituito da tre vestiboli venne ricavato alla fine del Settecento col completamento dello scalone monumentale, il nuovo accesso alla Galleria, per volontà del granduca Pietro Leopoldo. Nel primo vestibolo sono busti in marmo e porfido dei Medici da Francesco I a Gian Gastone; comunicante con questo è il rettangolare vestibolo, decorato nella volta da Giovanni da San Giovanni con Capricci mitologici, allestito con are, busti antichi e moderni; nel Vestibolo ellittico: statue romane, sarcofagi e rilievi antichi. La porta che immette nella Galleria, con ai lati sono due Cani molossi, copie romane del I secolo d.C., è sormontata dal busto di Pietro Leopoldo.


[modifica] Corridoio est

I tre corridoi che corrispondono ai tre corpi del palazzo, corrono lungo tutto il lato interno e su di essi si aprono le sale, anche se grazie alle porte di intercomunicazione interna, non è necessario attraversarli per il percorso principale della galleria. I corridoi sono decorati nei soffitti e le ampie vetrate rivelano il loro primitivo aspetto di loggia aperta coperta.

Oggi i corridoi ospitano la collezione di statuaria antica, iniziata da Lorenzo il Magnifico, che conservava le opere nel Giardino di San Marco vicino al Palazzo Medici per farle copiare dai giovani artisti. La raccolta fu ampliata da Cosimo I dopo il suo primo viaggio a Roma del 1560 quando scelse di destinare le statue per abbellire Palazzo Pitti e i ritratti e i busti per Palazzo Vecchio. Infine venne accresciuta ancora all'epoca di Pietro Leopoldo di Lorena, quando si portarono a Firenze le opere di Villa Medici, raccolte in gran parte dal futuro granduca Ferdinando I, all'epoca cardinale.

È curioso notare che tali opere, oggi spesso distrattamente scansate dai visitatori, fino al primo Ottocento erano motivo di interesse principale della visita alla galleria. Secondo alcune fonti fu un saggio di John Ruskin a ridestare l'interesse per la pittura rinascimentale del museo, fino ad allora bistrattata.

Le sculture sono di grande valore e risalgono soprattutto all'epoca romana, con numerose copie di originali greci, secondo la consuetudine dell'epoca. A volte le statue incomplete o spezzate vennero restaurate e integrate dai grandi scultori del Rinascimento. La disposizione delle sculture oggi ricalca il più possibile quella di fine del Settecento, quando permettevano il confronto tra maestri antichi e moderni, un tema allora molto caro, e quindi la funzione delle statue è tutt'ora essenziale e fortemente caratterizzante dell'origine e della funzione storica della galleria.

Il primo, lungo corridoio è quello est, riccamente decorato nel soffitto da grottesche risalenti al 1581, mentre corre al limite del soffitto, una lunga serie di ritratti, la serie Gioviana, intervallata da dipinti di dimensione più grande degli esponenti prinipali della famiglia Medici, la seire Aulica iniziata da Francesco I de' Medici, con i ritratti da Giovanni di Bicci a Gian Gastone.

Ai ritratti pittorici fanno da contraltare la serie dei busti romani, ordinati cronologicamente a fine del Settecento in maniera di coprire tutta la storia imperiale.

Fra le opere di statuaria più importanti si segnalano un Ercole e Centauro, da un originale tardoellenistico, integrato nella figura dell'eroe da Giovan Battista Caccini nel 1589; un Re Barbaro, composto nel 1712 a partire dal solo busto antico; Pan e Dafni, da un originale di Eliodoro di Rodi dell'inizio del I secolo a.C; il Satiro danzante o Bacco fanciulllo, da un originale ellenistico, restaurato nel Cinquecento.

Tra i sarcofagi antichi spiccano quelli col Ratto di Proserpina e col Ratto delle Leucippidi. Più avanti si incontrano una statua di Proserpina, da un originale greco del IV secolo a.C., il sarcofago delle Fatiche di Ercole, la copia antica dell'Apollo con l'oca di Skopas (IV secolo a.C.), e il sarcifago con la Caccia al cinghiale Calidonio.

Ai lati dell'ingresso della Tribuna si trovano un Ercole, da un originale di Lisippo, e un busto di Adriano appartenuto a Lorenzo il Magnifico.

Nell'ultima parte del corridoio si incontrano il piccolo sarcofago del Tiaso Marino, destinato secondo l'iscrizione a una bambina, le due Veneri, da originali del IV secolo a.C. e un Apollo ellenistico, che si trovava all'ingresso di Villa Medici e invitava, col braccio destro di restauro, ad accedere alla casa, come se fosse il regno del dio stesso.

[modifica] Sala 1 Archeologica

La sala venne creata nel 1921, in questa sono allestite opere per lo più provenienti da Roma, tra queste tre statue romane copie del Doriforo di Policleto, opera greca del I secolo a.C.: una in bronzo, una in marmo e quella che è considerata la copia più fedele, il Torso del Doriforo in basalto verde, mai integrata per la durezza difficile da scolpire del materiale. Interessante è anche un Busto di Cicerone in onice, della metà del I secolo d.C. Il Torso Gaddi è forse un originale greco del I secolo a.C..

Tra i rilievi si segnalano quello di una Biga (V-IV secolo a.C.) e il fregio dell'Atena Nike (restaurato nel Settecento da Bartolomeo Cavaceppi).

Appartengono al filone "plebeo" dell'arte romana i due rilievi con Scene di bottega, del I secolo d.C. I rilievi dell'Ara Pacis sono calchi: i Medici possedevano alcune lastre originali che nel 1937 tornarono a Roma per ricomporre il monumento. Di epoca pure augustea sono i frammenti di parasta a girali, mentre ai lati si trovano due rilievi di amorini, uno con gli attributi di Giove (il fulmine) e uno con quelli di Marte (la corazza): facevano parte di una serie molto famosa nel medioevo, alla quale Donatello si ispirò per la cantoria di Santa Maria del Fiore.

Provengono da un fregio adrianeo del II secolo d.C. il Tempio di Vesta e la Scena di sacrificio. Il sarcofago con le Fatiche di Ercole è caratterizzata da un più accentuato contrasto luminoso, tramite la lavorazionbe a trapano; le diverse età di Ercole raffigurate alludono ai periodi della vita.

La sala è chiusa da decenni.


[modifica] Sala 2 del Duecento e di Giotto

Questa sala venne ricavata sul finire dell'Ottocento dall'antico teatro mediceo. L'allestimento venne completato nel 1956 dagli architetti Michelucci, Scarpa e Gardella, che coprirono la sala con un soffitto a capriate, imitando le chiese medievali.

La sala espone opere databili tra la prima metà del XIII secolo e gli inizi del XIV secolo, entrate agli Uffizi a partire dalla fine del Settecento, con la riscoperta dei pittori detti "primitivi".

Tra le tavole, che illustrano gli inizi della pittura toscana, sono due Crocifissi: uno col Cristo trionfante, di iconografia ancora bizantina, l'altro, il N. 434, con l'iconografia del Cristo sofferente, una nuovo tipo, che diventerà vincente, da ricollegare soprattutto alla coeva predicazione francescana. Importanti esempi della scuola pittorica duecentesca sono anche un dossale di Meliore e un dittico di scuola di Bonaventura Berlinghieri.

L'allestimento, inoltre, mette a confronto le tre grandi pale cuspidate di Cimabue, Duccio di Buoninsegna e Giotto, dipinte a pochi anni di distanza e con lo stesso soggetto: la Madonna in trono o "maestà".

In quella del 1280 realizzata da Cimabue è un primo tentativo di emancipazione dagli stilemi bizantini, dove prevale la ricerca di maggior volume e rilievo plastico, con un'inedita dolcezza di sfumato; di fronte è la pala di Duccio, detta la Madonna Rucellai del 1285 costruita con una struttura ritmica e con figure aggraziate, maggiormente influenzata dalla coeva esperienza pittorica del gotico francese; infine, al centro della sala, la Maestà di Giotto, chiamata anche Maestà di Ognissanti (1310 circa) di impianto monumentale e costruita molto più plasticamente accentuando il chiaroscuro e la volumetria dei corpi. Di Giotto è anche il polittico di Badia del 1301.


[modifica] Sala 3 del Trecento senese

Nella sala, ricavata alla fine dell'Ottocento e ristrutturata negli anni Cinquanta del Novecento, è allestita una selezione di opere senesi del Trecento, in questa si fronteggiano l'Annunciazione di Simone Martini e Lippo Memmi (1333) e la Presentazione al Tempio di Ambrogio Lorenzetti, entrambe provenienti dal duomo di Siena.

L'Annunciazione è costruita con uno stile lineare, elegante e raffinato tipico della coeva cultura cortese che sfociò nel gotico internazionale; ambientata in un'atmosfera irreale, quasi di astratta misticità, con quale concessione al vero (il fiore, l'ombra del libro, la ritrosia della Vergine), presenta tutte le raffinatezze lineari e cromatiche della scuola gotica senese (si guardi per esempio alla resa del tessuto nella veste angelica)

La Presentazione al tempio di Ambrogio invece la profonda resa prospettica e l'attenzione alla resa degli affetti delle figure, elementi tipici della poetica giottesca, già ripresa da sua fratello Pietro, viene da Ambrogio conciliate con il gusto per il colore e la grazia della tradizione senese. Queste due pale d'altare sono tra i più antichi esempi conosciuti di soggetti da altare con episodi evangelici, anziché con un'icona da venerare, poiché nella cattedrale senese era già presente una grandiosa immagine mariana, protettrice della città, nella grande pala della Maestà di Siena di Duccio di Buoninsegna, sull'altare maggiore.

Dei fratelli Lorenzetti sono anche esposte altre opere: le Storie di San Nicola (1330 circa), la Madonna con i Santi Nicola e Procolo (1332) di Ambrogio e la Madonna in gloria e la Pala della Beata Umiltà, entrambe del 1340, di Pietro. Nella pala della Beata Umiliana sono raffigurati numerosi interessanti episodi di vita quotidiana nel medioevo.

Di Simone dei Crocifissi, pittore bolognese che si rifà ad un gotico più vivace e popolaresco rispetto al gotico aulico senese, è la tavola con la Natività.


[modifica] Sala 4 del Trecento fiorentino

La sala è dedicata alla pittura fiorentina del Trecento, scuola influenzata dall'opera preponderante di Giotto e della sua bottega. Vi si trovano sia polittici, spesso incompleti e privi delle elaborate cornici ligneee originali, sia dipinti più piccoli, usati per la devozione domestica.

Del cosiddetto Maestro della Santa Cecilia, un anonimo collaboratore di Giotto, è la tavola con Santa Cecilia e episodi della sua vita, dove delle scenografiche architetture fanno da sfondo alle figure, come negli affreschi della Basilica superiore di Assisi.

I primi giotteschi sono rappresentati da Pacino di Buonaguida, Jacopo del Casentino e Bernardo Daddi. Di Taddeo Gaddi, attivo nella bottega giottesca per ventiquattro anni, è la Madonna col Bambino e sante. Sempre di ispirazione giottesca è il trittico con San Matteo e storie della sua vita di Andrea Orcagna. In queste opere si nota una certa stagnazione dei temi e delle tecniche usate, sempre fedeli al maestro, con progressi minimi nonostante il trascorrere di circa mezzo secolo.

Da Giotto si allontana solo il cosiddetto Giottino, qui rappresentato con la Pietà di San Remigio, accentuando l'espressionismo delle figure e utilizzando un colore cromaticamente variato.

Di Giovanni da Milano, un artista lombardo attivo a Firenze, appartiene il frammentario Polittico di Ognissanti, dove la preziosità dei dettagli annuncia il gotico internazionale.


[modifica] Sala 5-6 del Gotico internazionale

La sala del cosiddetto gotico internazionale, ristrutturata negli anni cinquanta, è dominata dall'Adorazione dei Magi (1423) di Gentile da Fabriano, eseguita per il mercante fiorentino Palla Strozzi, e dalla monumentale Incoronazione della Vergine (1414) di Lorenzo Monaco, opera di grande eleganza dipinta per la chiesa di Santa Maria degli Angeli; dello stesso autore è anche un'Adorazione dei Magi (1422) dai colori forti e brillanti, da confrontare con la tavola di Gentile da Fabriano, nella quale si fondono elementi più profani e naturalistici, segno dell'epoca cortese. Lorenzo Monaco enfatizza la lunghezza delle figure, la sinuosità delle figure con cappelli dalle fogge originali e usa colori freddi e cangianti, molto raffinati.

Attribuita al Beato Angelico è la Tebaide, una tavola sulla vita eremitica. La Madonna dell'Umiltà, attribuita a Masolino è un'opera di grande dolcezza e perizia tecnica.

Oltre agli esponenti fiorentini e a Gentile sono qui collocate opere di altre provenineze, che documentano l'uniformità del linguaggio pittorico cortese a acavllo fra Tre e Quattrocento, come una tavola del senese Giovanni di Paolo, una del veneziano Jacopo Bellini e una del fiorentino trapiantato in Spagna Gherardo Starnina.

Chiudono la sala i Quattro Santi provenienti dal Polittico Quaratesi, sempre di Gentile da Fabriano, che nella loro isolata monumentalità rivelano l'influenza del nascente rinascimento fiorentino (in particolare di Masaccio) sul grande pittore marchigiano, che accantona la complessa composizione e i preziosismi materici del suo stile più conosciuto.


[modifica] Sala 7 del primo Rinascimento

Questa sala dedicata ai primi artisti rinascimentali è piena di capolavori, a partire dal capostipite del rinnovamento in pittura, Masaccio, a cominciare dalla prima opera nella quale si intravedono i segni della rottura, la Madonna con bambino e Sant'Anna (Sant'Anna Metterza) del 1424 realizzata con il suo maestro di bottega Masolino da Panicale. Di Masaccio è la Vergine, dipinta con una solenne corporatura così austera e realistica da non potersi più definire "gotica". Questo rinnovamento fu espressione della cultura dell'Umanesimo, con la riscoperta dell'antico (si pensi alla classica monumentalità di Masaccio) e della ricerca di uno spazio prospetticamente definito.

Paolo Uccello fu forse il primo pittore ad essere "ossessionato" dalla prospettiva e ciò è chiaro nella grande tavola della Battaglia di San Romano, parte di un trittico dipinto su incarico di Cosimo il Vecchio che decorava la camera di Lorenzo il Magnifico nel Palazzo Medici, oggi diviso tra la National Gallery di Londra, il Louvre di Parigi e gli Uffizi, appunto. In questa raffigurazione apparentemente caotica della battaglia, tutto è razionalizzato e inquadrato dalla prospettiva che guida il pittore nella disposizione razionale di tutti gli elementi, dai cavalli ai soldati, alle lance degli stessi, che cadute in terra formano figure geometriche.

Beato Angelico fu uno dei primi artisti a recepire la nuova sensibilità, come testimonia l'Incoronazione della Vergine del 1435 circa, che, seppur ancora circondata dallo sfondo oro tipicamente medievale, trasmette una sensazione di prospettiva ragionata nel dispiegarsi dei cori degli angeli.

Importante opera di Domenico Veneziano è la Madonna con bambino e santi (Pala di Santa Lucia de' Magnoli), del 1445 circa, una sacra concertazione che si svolge in un ambiente dalla prospettiva realistica, con una luce naturale, mattiniera e cristallina, che dà corpo alle figure, tipica dell'autore. Si tratta anche di uno dei primi esempi di nuovo formato rettangolare per le pale d'altare, privo del fondo oro.

Dopo il riordino degli anni '90 i Ritratti dei Duchi d'Urbino di Piero della Francesca sono stati spostati nella sala successiva.


[modifica] Sala 8 dei Lippi

Filippo Lippi viene considerato tra i grandi padri del Rinascimento fiorentino, secondo a Masaccio, ma anticipatore di Sandro Botticelli. In questa sala si può notare l'evoluzione del suo stile verso soluzioni sempre di maggior raffinatezza, come l'Incoronazione della Vergine (1441-1447), che dimostra la conoscenza di Masaccio (Lippi era stato infatti monaco nella chiesa del Carmine dove si trova la Cappella Brancacci), soprattutto nel solida e corposa figura della Madonna, oppure le due Adorazioni del bambino, influenzate dai traguardi della scultura contemporanea di Donatello e Luca della Robbia, per arrivare al capolavoro assoluto della Madonna con bambino e angeli (La Lippina, 1465 circa), di commovente dolcezza e con un uso sottile e elegante del colore, maturato forse anche attraverso lo studio di opere fiamminghe.

Sono qui presenti anche opere più tarde del figlio di Filippo, Filippino Lippi, con la Pala degli Otto (1486) e l'Adorazione dei Magi (1496).

Molto famosi sono i Ritratti dei duchi d'Urbino di Piero della Francesca del 1465 circa, esemplare via di mezzo fra il realismo (soprattutto dei dettagli, come i gioielli, le acconciature, le rughe della pelle) e l'idealizzazione delle effigi dei duchi, con una grande attenzione anche ai paesaggi e alla prospettiva. L'uomo viene esaltato nella sua dignità e diventa soggetto pittorico. Sul retro delle due piccole tavole i duchi sono raffigurati ciascuno sul cocchio di rappresentanza.

Anche i delicati traguardi nell'uso del colore di Alessio Baldovinetti sono qui testimoniati da alcune sue opere (Annunciazione e Madonna con il bambino).


[modifica] Sala 9 dei Pollaiolo

La sala è dedicata ai fratelli Antonio e Piero del Pollaiolo, attivi nella seconda metà del Quattrocento e interpreti di una pittura dal forte risalto lineare, attenta anche alle novità provenienti dal mondo fiammingo (resa naturale della luce, attensione ai dettagli, ecc.).

Antonio del Pollaiolo è rappresentato da alcune delle sue opere più famose, incentrate sul movimento delle figure, come nel piccolo ma poderoso dipinto a due facce delle Fatiche di Ercole, oppure dai ritratti (Ritratto muliebre).

La Pala con i Santi Giacomo, Vincenzo ed Eustachio è un lavoro di collaborazione tra i due fratelli.

Piero è rappresentato anche delle sei grandi taviole delle Virtù realizzate per il Tribunale della Mercanzia: la settima (Fortezza, 1470), è la prima opera documentata del giovanissimo Sandro Botticelli.


[modifica] Sala 10-14 del Botticelli

La sala più grande e più famosa del museo contiene la migliore collezione al mondo di opere di Sandro Botticelli, compreso il suo capolavoro, la Primavera e la celeberrima La nascita di Venere, due opere emblematiche della sofisticata cultura neoplatonica sviluppatasi a Firenze nella seconda metà del Quattrocento. Queste opere furono realizzate negli anni ottanta del Quattrocento e sono le prime opere di grandi dimensioni a soggetto profano del Rinascimento italiano. Furono dipinte per Lorenzo de' Medici, ma non Lorenzo il Magnifico, ma un suo cugino che viveva nella Villa di Careggi, con il quale fra l'altro non scorreva buon sangue.

In questa sala si può comunque ripercorrere tutta l'evoluzione pittorica del maestro, dalla Madonna col Bambino e la Madonna del roseto, opere più giovanili legate ancora allo stile di Filippo Lippi, al Ritratto d'uomo con medaglia di Cosimo il Vecchio (1475), dove già si assiste ad una maturazione dello stile legata probabilmente allo studio del realismo di opere fiamminghe, alle opere mitologiche, come la commovente Pallade e il Centauro, allegoria degli istinti umani divisi tra ragione e impulsività, ma guidati dalla sapienza divina.

Con l'avvicinarsi del XVI secolo l'ondata reazionaria ultra-religiosa di Girolamo Savonarola iniziò a farsi sempre più pressante nella società fiorentina e questo si manifesta più o meno gradualmente in tutti gli artisti dell'epoca. Anche Botticelli , dopo un'opera fastosa come la Madonna del Magnificat inizia ad adottare uno stile più severo (Madonna della Melograna, Pala di San Barnaba), con qualche esperimento arcaicista come l'Incoronazione della Vergine dove il maestro torna allo sfondo oro in una scena pare ispirata dalla lettura di Dante. Il periodo più cupo della predicazione savonaroliana porta una definitiva ventata di misticismo pessimista nella sua pittura: La Calunnia (1495) simboleggia il fallimento dello spirito ottimistico umanista, con la constatazione della bassezza umana e la relegazione della verità.

Ma questa sala contiene anche altri numerosi capolavori: particolarmente azzeccata è la collocazione del Trittico Portinari, opera fiamminga di Hugo van der Goes del 1475] circa portata da una banchiere della ditta Medici a Bruges nel 1483, che con la sua estraneità formale verso le opere circostanti ben rende l'effetto di fulgida meteora che questa opera ebbe nei circoli artistici fiorentini di fine del Quattrocento. A un esame più accurato si iniziano a cogliere però le affinità con le opere realizzate successivamente, la maggior cura dei dettagli, la migliore resa luministica dovuta alla pittura ad olio che i pittori fiorentini cercarono di imitare, arrivando anche a copiare alcuni elementi dell'opera fiamminga, come gli omaggi chiari di Domenico Ghirlandaio nella sua analoga Adorazione dei Magi.

Un'altra opera fiamminga è la Deposizione nel sepolcro di Rogier van Weyden (1450 circa), con la composizione ripresa da una quadro di Beato Angelico, che testimonia i reciproci scambi tra maestri fiamminghi e fiorentini.


[modifica] Sala 15 di Leonardo

La sala documenta gli esordi artistici di Leonardo da Vinci, a partire dalla prima opera documentata, il Battesimo di Cristo del 1475, opera del suo maestro Verrocchio nella quale il giovane Leonardo dipinse la testa dell'angelo di sinistra, il paesaggio e forse il modellato del corpo di Cristo. Il Vasari racconta che Verrocchio sentendosi superato dall'allievo, abbandonò la pittura dedicandosi soltanto alla scultura.

Un'altra opera giovanile è l'Annunciazione, dipinta dal maestro ventenne, dove già sono visibili le qualità dello sfumato leonardesco e la sua attenzione alle vibrazioni atmosferiche (si pensi all'angelo appena atterrato), ma con qualche errore prospettico, come il libro sul quale la Vergine posa un braccio, che al suolo poggia su un basamento ben più avanzato rispetto alle gambe della Madonna.

L'Adorazione dei Magi invece è un'opera incompiuta nella quale è lampante il senso innovatore del genio di Vinci, con una composizione originalissima incentrata sulla Madonna e il Bambino in un rutilante scenario di numerose figure in movimento, fra le quali non compaiono però il tradizionale San Giuseppe o la capannuccia.

Altre opere nella sala il Cristo nell'orto e la Pietà, opere mature di Pietro Perugino, il Crocifisso con la Maddalena di Luca Signorelli, l'Incarnazione (1505) di Piero di Cosimo o l'Adorazione dei Pastori di Lorenzo di Credi.


[modifica] Sala 16 delle carte geografiche

Originariamente si trattava di una loggia, che venne chiusa per desiderio di Ferdinando I de' Medici, che la fece affrescare con le carte geografiche da Ludovico Buti, che si basò sulle carte di Stefano Bonsignori. Le carte geografiche affrescate illustrano i domini medicei, lo Stato di Siena e l'Isola d'Elba.

In questa piccola sala fu ospitata la collezione di strumenti scientifici. Vi si trovavano un mappamondo e una sfera armillare, oggi al Museo di storia della scienza, mentre nel soffitto si trovavano alcune tele di Jacopo Zucchi, già a Villa Medici di Roma.

Vi sono esposti alcuni manufatti di arte romana del II e III secolo dC..


[modifica] Sala 17 dell'Ermafrodito

Questa piccola sala, con accesso dalla Tribuna, era un tempo lo Stanzino delle Matematiche, creato per Ferdinando I de' Medici. Il soffitto venne infatti decorato con un'allegoria della Matematica e episodi che celebrano la cultura scientifica antica. Oggi espone la collezione di bronzetti moderni e alcune opere scultorie antiche, fra le quali spiccano due sculture romane fra le più note del museo: l'Ermafrodito e il gruppo di Amore e Psiche, entrambe copie di originali ellenistici.


[modifica] La Tribuna

La Tribuna è una saletta ottagonale che rappresenta la parte più antica della galleria. Fu commissionata da Francesco I de' Medici nel 1534 per sistemarvi le collezioni archeologiche e in seguito vi furono collocati tutti i pezzi più preziosi e amati delle collezioni medicee. Divenuta molto popolare ai tempi del Grand tour, si dice fu un'ispirazione per le Wunderkammer di numerosi nobili europei.

La Tribuna, le sue decorazioni e gli oggetti che conteneva alludevano ai quattro elementi (Aria, Terra, Acqua, Fuoco): per esempio la rosa dei venti nella lanterna evocava l'aria, mentre le conchiglie incastonate nella cupola l'Acqua; il fuoco era simboleggiato dal rosso delle pareti e la terra dai preziosi marmi sul pavimento. Tutta quetsa simbologia era poi arricchita da statue e pitture che sviluppavano il tema degli Elementi e delle loro combinazioni.

Oggi è l'unica sala nella quale si può comprendere lo spirito originario degli Uffizi, cioè di luogo di meraviglia dove si potessero confrontare direttamente le opere degli antichi, rappresentate dalla scultura, e quelle dei moderni, con le pitture. Attorno al pregevole tavolo intarsiato in pietre dure (del 1633-1649) sono poste in circolo alcune delle più famosa sculture antiche dei Medici, come il Fauno Danzante (replica romana di un originale del III secolo a.C.), i Lottatori (copia di epoca imperiale), l'Arrotino (che affilava il coltello nel gruppo di Marsia), lo Scita, (copia di una statua della scuola di Pergamo che faceva parte di un gruppo con Marsia), l'Apollino e soprattutto la celebre Afrodite Medici, un originale greco del I secolo a.C. acquistato a Roma nel Cinquecento, che copia l' Afrodite Cnidia di Prassitele, tra i capolavori assoluti della statuaria classica.

Le pitture sono tutte del periodo dopo il 1530, in particolare risalgono al filone della maestosa pittura di corte fortemente promossa da Cosimo I e da sua moglie Eleonora da Toledo. Di quest'ultima è il celebre Ritratto della Duchessa Eleonora col figlio Giovanni di Agnolo Bronzino, autore anche dei ritratti di Bartolomeo Panciatichi e di sua moglie Lucrezia, dei Pricipini medicei e del dipinto del Giovane con liuto. Altri ritratti sono opere del Vasari (Lorenzo il Magnifico), di Jacopo Pontormo (Ritratto di Cosimo il Vecchio), mentre fra i dipinti di soggetto diverso spiccano il Putto musicante di Rosso Fiorentino e la Fanciulla con petrarchino (con il Canzoniere) di Andrea del Sarto.

Il monumentale stipo in pietre dure conteneva la collezione di inestimabili pietre preziose, cammei antichi e pietre dure lavorate, una delle collezioni più amate dai Medici, i quali spesso facevano incidere le proprie iniziali sui pezzi più pregiati: oggi sono esposte in diverse sedi, al Museo degli Argenti, al Museo archeologico nazionale fiorentino e al Museo di Mineralogia e Litologia.


[modifica] Sala 19 del Perugino e di Signorelli

Questa piccola sala faceva parte dell'Armeria. La volta originale andò distrutta e venne ridipinta nel 1665 con le Allegorie di Firenze e della Toscana, trionfi, battaglie e stemmi medicei da Agnolo Gori.

La sala è dedicata alle opere di piccolo formato di artisti a cavallo tra Quattro e Cinquecento di varie scuole da scuole dell'Italia settentrionale e centrale.

Luca Signorelli fu un pittore nativo di Cortona celebre per la profondità dell'uso del colore e per il senso di tensione e movimento delle sue opere, che furono il modello più immediato per la pittura di Michelangelo. La sua Sacra famiglia per esempio ispirerà il grande artista del Cinquecento nel Tondo Doni. Sempre di Signorelli è la pregevole Madonna con bambino del 1490 circa.

La sala è dedicata anche alle opere di Pietro Perugino, uno dei primi maestri della scuola umbra, che ebbe a bottega anche Raffaello Sanzio. Del Perugino sono esposte soprattutto opere legate alla sua attività di ritrattista, come la serie dei Monaci di profilo (1500), il Ritratto di Francesco Mariadelle Opere (1494) o il Ritratto di giovane.

Vicini allo stile pittorico di questi due maestri, troviamo opere di Lorenzo Credi, come l'Annunciazione, e di Piero di Cosimo, celebre per il tono magico e fantasioso delle sue opere a soggetto mitologico, qui rappresentato dal Perseo che libera Andromeda.


[modifica] Sala 20 di Dürer

Nella sala 20 sono esposte importanti opere di scuola tedesca che testimoniano l'influenza e la diffusione dell'arte fiorentina verso anche altre scuole più lontane, nel periodo tra il Quattro e il Cinquecento. Il soffitto presenta una decorazione ad affresco con grottesche originali del Cinquecento, mentre le vedute di Firenze vennero aggiunte in seguito nel Settecento; curiosa è la veduta della basilica di Santa Croce senza la facciata ottocentesca.

Il nucleo relativo a Albrecht Dürer è il più significativo, e mostra sia la capacità tipicamente nordica di infondere grande realismo alle opere (come nel Ritratto del padre del 1490), sia i debiti verso al pittura italiana nell'uso della prospettiva e della colorazione simbolica (come nell'Adorazione dei Magi del 1504 o nei Santi Filippo e Giacomo del 1516). Compelatano l'esposizione esempi di opere di Lukas Cranach, Hans Maler zu Schwatz, Hans Brueghel dei Velluti e altri.


[modifica] Sala 21 del Giambellino e di Giorgione

In questa sala, destinata nel 1588 circa da Ferdinando I de' Medici ad accogliere l'Armeria, e con affrescate nella volta da Ludovico Buti battaglie e grottesche (interessanti le figure di "indiani" e animali del Nuovo Mondo), sono allestite opere dei maestri del primo Rinascimento veneto, illustrando lo sviluppo della scuola veneziana, da Bartolomeo Vivarini, qui presente con un San Ludovico di Tolosa a Giovanni Bellini di cui sono presenti sia il Compianto, un modello utilizzato nella bottega belliniana, e l'enigmatica Allegoria sacra, che nel tema risponde al nuovo gusto umanistico ermetico ed elitario, fino a Giorgione qui presente con tre opere molto problematiche: al maestro possono essere riferiti certamente i due paesaggi sullo sfondo del Giudizio di Salomone e della Prova del fuoco di Mosè, per il Ritratto di guerriero con scudiero detto Il Gattamelata invece l'attribuzione è discussa, comunque il dipinto ricrea un'opera perduta del pittore antico Apelle.

Altri pittori rappresentati nella sala sono gli emiliani Cosmè Tura e Lorenzo Costa, oltre a Cima da Conegliano e Vittore Carpaccio.


[modifica] Sala 22 dei fiamminghi e tedeschi del Rinascimento

Anche in questa sala presenta il soffitto decorato da Ludovico Buti (1588), con vivaci scene di battaglie.

Vi sono esposti esempi in piccolo formato di pittura nordica e fiamminga, con Albrecht Altdorfer (Storie di San Floriano 1530 circa), Hans Holbein il Giovane (Ritratto di Sir Richard Southwell, 1536, e Autoritratto) e Hans Memling, che fu influenzato dai pittori italiani (per esempio nelle tavole della Mater Dolosa o della Madonna in trono. Il Ritratto di Benedetto Portinari e il San Benedetto, sono parti di un polittico smembrato, pure opera di Memling, che testimoniano la sua spinta innovativa sul soggetto del ritratto collocato all'aperto. Furono commissionati dalla setssa famiglia fiorentina del Trittco Portinari, visto nella sala di Botticelli.

Non a caso qui si trovano anche opere del pittore italiano più "fiammingo", tanto che a volte le sue opere furono scambiate in passato per quelle di maestri delle Fiandre, Antonello da Messina, che per primo applicò la pittura a olio in Italia, avendo modo di collaborare direttamente con maestri d'oltralpe come Petrus Christus: alcuni documenti proverebbero indirettamente questa collaborazione, che comunque non è ancora accettata da tutti gli storici dell'arte, anche se il debito stilistico fra i due pittori è senz'altro spiccato.


[modifica] Sala 23 di Mantegna e di Correggio

Anche questa sala faceva parte dell'armeria, come ricorda il soffitto affrescato da Ludovico Buti con officine per la produzione di armi, polvere da sparo e modelli di fortezze (1588).

Le opere in questa sala sono di pittori rnascimentali dell'Italia settentrionale, attrivi tra il Quattro e il Cinquecento.

Andrea Mantegna fu pittore di corte a Mantova dal 1460, sotto il patrocinio dei Gonzaga, ed è considerato unanimamente il fondatore dell'arte rinascimentale lombarda, e profondo influenzatore di tutta la pittura dell'Italia settentrionale di quel periodo. In questa sala sono esposte diverse sue opere che permettono di valutare il suo percorso artistico, come la Madonna dell cave, il Ritratto di Carlo di Cosimo de' Medici e il trittico proveniente dal Palazzo Ducale di Mantova con l'Ascensione, l'Adorazione dei Magi e la Circoncisione (1460-1470 circa), eseguite per i Gonzaga e riunite come trittico solo nell'Ottocento.

A Mantegna si ispirò per esempio Vincenzo Foppa, come nella Madonna con bambino e un angelo (1480 circa), mentre all'altro grande protagonista del Rinascimento lombardo, Leonardo da Vinci, si ispirarono le tele qui esposte di Boltraffio (il Narciso), Bernardo Luini (Erodiade) e il senese Sodoma (Cristo tra gli sgherri). Proprio a Leonardo era attribuita anche la Leda e il Cigno, oggi ritenuta più probabilmente una copia da un originale perduto di Leonardo o l'opera di un allievo.

Totalmente diversa è invece la pittura del Correggio, che ha in comune con il Mantegna solo il fatto di essere stato il più importante rappresentante di una scuola pittorica, quella emiliana del primo Cinquecento. Furono da lui dipinte la Madonna col Bambino tra angeli musicanti (opera della giovinezza), la Vergine in adorazione (1530 circa) e il Riposo dalla fuga in Egitto con San Francesco (1517 circa), che testimonia la grande originalità compositiva stupefacentemente anticipatrice, con oltre un secolo di distacco, della pittura barocca.


[modifica] Sala 24 Gabinetto delle miniature

Questa sala a pianta ellissoidale, visibile solo affacciandosi dall'esterno, ospita la collezione di circa circa quattrocento miniature dei Medici, di varie epoche e scuole e raffiguranti soprattutto ritratti; per la fragilità dei supporti, non possono essere esposti alla luce quotidianamente e gli esemplari scelti vengono fatti ruotare periodicamente.

La sala venne decorata all'epoca di Ferdinando I, che qui aveva fatto collocare la collezione di pietre e cammei portata in dote dalla moglie Cristina di Lorena. Nel tempo ha ospitato varie collezioni (bronzetti, oreficerie, oggetti messicani, gioielli, gemme...) che oggi si trovano altrove, soprattutto al Museo degli argenti. L'aspetto odierno è il risultato degli interventi settecenteschi di Zanobi del Rosso, che su incarico del Granduca Pietro Leopoldo ricavò la forma ovale e ricreò la decorazione.

[modifica] Corridoio sull'Arno

Questo ambiente, spettacolore per le vedute sul Ponte Vecchio, sull'Arno e sulle colline a sud di Firenze, ospita da secoli le opere migliori della statuaria antica, per via della spettacolarità dell'ambientazione e per la massima luminosità (infatti affaccia a sud). Gli affreschi dei soffitti sono a tema religioso, eseguiti tra il 1696 e il 1699 da Giuseppe Nasini e Giuseppe Tonelli, per iniziativa del "cattolicisimo" granduca Cosimo III, a parte le prime due campate che sono cinquecentesche: una con un finto pergolato e una con le grottesche.

Tra le statue esposte si trovano un Amore e Psiche, copia romana di un originale ellenistico, e il cosiddetto Alessandro morente, una testa ellenistica derivata da un originale di Pergamo, modello spesso citato di espressione patetica. Agli incroci coi corridoi principali si trovano due statue del tipo Olympia, derivate dalla Venere seduta di Fidia, una del IV secolo e una del I secolo con la testa rifatta in epoca moderna.

Sul lato verso l'Arno sono posti un altare dei Lari, di epoca augustea, un sarcofago con la Caduta di Fetonte e, sul retro, le Corse nel Circo Massimo (II secolo), la Fanciulla seduta pronta alla danza (II secolo a.C., facente parte di un gruppo col Satiro danzante del quale esiste una copia davanti all'ingresso della Tribuna) e un Marte in marmo nero (da un originale del V-IV secolo a.C.).

Sul lato opposto si trovano un frammento di Lupa in porfido, copia da un originale del V secolo a.C., l'ara cilindrica con il Sacrificio di Ifigenia (I secolo d.C.; Agamennone è la figura velata, a significare il suo dolore come inventato dal pittore greco Timante) e un Dioniso e satiro, col solo busto antico, mentre il resto venne aggiunto da Giovan Battista Caccini nel tardo Cinquecento.

[modifica] Corridoio ovest

Nel corridoio ovest, usato come galleria a partire dalla seconda metà del XVII secolo dopo aver ospitato le le officine artigiane, continua la serie di statue classiche di provenienza soprattutto romana, in larga parte acquistate al tempo di Cosimo III sul mercato antiquario romano. Fra le opere più interessanti le due statue a tutto tondo di Marsia (bianco e rosso), poste una di fronte all'altra e copie romane di un originale tardo ellenistico: quello rosso appartenne a Cosimo il Vecchio e la testa venne integrata, secondo Vasari, da Donatello. Più avanti si trova un copia del Discobolo di Mirone, col braccio destro restaurato come se si coprisse il volto (a lungo venne per questo aggregata al gruppo di Niobe). Il Mercurio è un pregevole nudo derivato da Prassitele restaurato nel Cinquecento. A sinistra del vestibolo d'uscita si trova un busto di Caracalla, con l'espressione energica che ispirò i ritratti di Cosimo I de' Medici. Alla parete opposta si trovano una Musa del IV secolo a.C. di Atticiano di Afrodisia e un Apollo con la cetra, busto antcio elaborato dal Caccini. La Venere celeste è un altro busto antico integrato nel Seicento da Alessandro Algardi: per questo quando vennero ritrovate le braccia originali non vennero reintegrate. La Nereide sull'Ippocampo deriva da un originale ellenistico. Notevole è il realismo ritrattistico del Busto di Fanciullo, detto anche del Nerone bambino.

In fondo al corridoio si trova il Laocoonte copiato da Baccio Bandinelli per Cosimo I de' Medici su richiesta del cardinale Giulio de' Medici, con integrazioni del Bandinelli stesso desunte dal racconto virgiliano. Si tratta dell'unica statua interamente moderna dei corridoi, che permette il confronto, un tempo così caro ai Medici, tra maestri moderni e antichi.

La decorazione del soffitto avvenne tra il 1658 e il 1679 su iniziativa di Ferdinando II de' Medici, con soggetti legatia uomini illustri firoentini, quali esempi di virtù, e le personificazioni delle città del Granducato di Toscana. I pittori che parteciparono all'opera furono Cosimo Ulivelli, Angelo Gori, Giacomo Chiavistelli e altri. Quando le ultime dodici campate andarono perdute in un incendio nel 1762, gli affreschi vennero reintegrati da Giuseppe del Moro, Giuliano Traballesi e Giuseppe Terreni.

[modifica] Sala 25 di Michelangelo e dei fiorentini

Questa sala, la prima dell'ala ovest, è dedicata al Cinquecento fiorentino. L'opera esposta che attira subito l'attenzione è il magnifico Tondo Doni di Michelangelo Buonarroti, una Sacra famiglia altamente innovativa, sia per la composizione che per l'uso dei colori, che oltre a rappresentare uno dei rarissimi dipinti su tavola del maestro è anche l'archetipo di tutto il manierismo, l'opera con la quale si confrontò tutta la genereazione seguente di pittori. Dipinta verso il 1504, è un'opera non convenzionale per la posa, con il bambino in braccio a San Giuseppe piuttosto che alla Madonna, voltata di spalle. I soggetti in primo piano creano una strutture triangolare sul cui sfondo si staglia la fascia orizzontale dei putti nudi, forse un riferimento al mondo pagano escluso dalla salvezza. I colori usati sono sorprendentemente accesi e la cornice è originale forse disegnata da Michelangelo stesso con le graziose teste intagliate che guardano il dipinto,

Un'inquietante Salomè (1515) del pittore spagnolo Alonso Berruguete, attivo a Firenze nel primo Cinquecento, si trova pure nella sala, così come opere coeve di Fra Bartolomeo (come l'Apparizione della Vergine a San Bernardo del 1504-1507) e di Mariotto Albertinelli (come la Visitazione del 1503) che risultano ancora più tradizionali dal confronto con le innovazioni di Michelangelo, opere ispirate agli insegnamenti religiosi di Girolamo Savonarola.

Tra la sala 24 e la sala 35 si trova l'accesso per il Corridoio Vasariano.


[modifica] Sala 26 di Raffaello e di Andrea del Sarto

Le prime opere di Raffaello Sanzio sono quasi contemporanee al Tondo Doni di Michelangelo, ma denotano un'impostazione ancora legata al passato, alle opere di Pietro Perugino, anche se la qualità pittorica aveva già superato il maestro. In questa fase l'artista aveva sviluppato un'arte estremamente dolce e pacata, sia nel controllo della resa pittorica, sia nella scelta delle pose dei soggetti, con risultati di estrema armonia e bellezza. Sono qui custoditi i Ritratti dei duchi di Urbino Elisabetta Gonzaga e Guidobaldo da Montefeltro nonché quello del loro nipote ed erede Guidobaldo da Montefeltro; la famosa Madonna del cardellino, armonica sintesi di diverse esperienze pittoriche (Perugino, Leonardo da Vinci, Fra Bartolomeo...) è datata al soggiorno fiorentino del pittore, tra il 1505 e il 1506. Il periodo successivo dell'arte di Raffello, il cosiddetto periodo romano, quando divenne pittore principale della corte vaticana, è caratterizzato da una maggiore monumentalità e un pieno possesso della tecnica del colore, qui ben rappresentato dal sommo Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi.

Un altro capolavoro è rappresentato dalla Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto (1517) esemplare del periodo centrale della sua produzione pittorica, dinamico e con una piena padronanza del colore, influenzato dai coevi risultati pittorici di Michelangelo, mentre il San Jacopo (1528) è tipico dello stile più maturo, l'ultimo periodo dell'artista, dove ormai aveva sviluppato un proprio linguaggio di forte carica monumentale, quasi scultorea, con figure più isolate sullo sfondo e marcate in tutta la loro solennità.


[modifica] Sala 27 del Pontormo e del Rosso Fiorentino

L'arte fiorentina della prima metà del Cinquecento sviluppò varie correnti; oltre al classicismo di Andrea del Sarto, ebbe un ruolo rilevante il cosiddetto manierismo, caratterizzato da un linguaggio più innovativo e per certi versi di vera e propria rottura con la tradizione: si svilupparono rappresentazioni di figure innaturali (nei colori, nelle pose, nell'anatomia) ma dotate di grande eleganza e di una forte carica evocativa, quasi "magica".

Jacopo Pontormo ne fu il caposcuiola, sebbene non amato dai contemporanei, che trasse ispirazione anche dalla coeva pittura tedesca, desunta dalle incisioni di Albrecht Dürer; è presente con la Cena in Emmaus del 1525, un Sant'Antonio Abate, la Natività di San Giovanni (desco da parto) e il Ritratto di Maria Salviati.

Rosso Fiorentino fu un altro importante esponente dell'epoca, caratterizzato però da una forza pittorica dirompente e per certi versi irriverente, quasi blasfema; sua è la Madonna col bambino e santi (1518) e il Mosè che difende le figlie di Jetro (1523 circa), opere tipiche del suo stile voluttuoso e di rottura con gli schemi tradizionali.

Corredano la sala anche degli interessanti lavori di artisti dell'epoca, come Agnolo Bronzino, allievo del Pontormo, con il Compianto sul Cristo morto e la Sacra famiglia Panciatichi, opere raffinate e preziose, frutto della più alta committenza aristocratica fiorentina. Francesco Salviati prese le mosse dalla pitture sinuosa del Pontormo e la arricchi di esperienze fatte a Roma, come l'incontro con l'emiliano Parmigianino. Artista minore, ma interessante per cultura figurativa dell'epoca, è il Bachiacca, caratterizzato da uno stile minuzioso, quasi fiammingo.


[modifica] Sala 28 di Tiziano e di Sebastiano del Piombo

La sala 28 è dedicata alla pittura veneta dei primi decvenni del Cinquecento.

Il caposcuola Tiziano è rappresentato da un'ampia antologia di ritratti, da quello del Cavaliere di Malta (1510 circa), a quelli dei duchi di Urbino Francesco Maria della Rovere e Eleonora Gonzaga, fino al Ritratto di Ludovico Beccardelli del 1552.

Opera celeberrima è la Venere d'Urbino, di raffinata sensualità evidenziata dalla piena plasticità del colore che dà corpo al volume corporeo della dea. Sempre a tema mitologico sono i dipinti della Flora e della Venere con cupido (1550 circa).

Completano la sala anche alcune notevoli opere di Palma il vecchio, come la Sacra Famiglia con san Giovannino e la Maddalena, del 1515 circa. Il suadente stile di Sebastiano del Piombo è illustrato dalla Morte di Adone e da un Ritratto di donna.


[modifica] Sala 29 del Dosso e del Parmigianino e gabinetto degli emiliani

Questa sala e il successivo Gabinetto ospitano artisti cinquecenteschi dell'Emilia Romagna (soprattutto delle aree di Parma e di Ferrara) e dell'Italia centrale. La sala 29 ospita i pittori emiliani della prima metà del Cinquecento.

Spicca qui una delle opere più famose della galleria, la Madonna dal collo lungo di Parmigianino, capolavoro e summa delle ricerche antinaturalistiche e visrtosistiche del manierismo. Uno straordinario gioco di linee si gioca tra il corpo della Vergine, il Bambino (in posa da "Deposizione", che quindi preannuncia la sua morte) e i personaggi sulla sinistra, compresa l'anfora sospesa perfettamente ovael. L'enigmatico sfondo non fa capire se la scena si svolga all'interno o all'esterno, un'ambiguità complessa e sicuramente voluta, anche se la sinuosa bellezza della Vergine non fa spesso accorgere che si tratta di un'opera rimasta incompiuta nella parte destra, con uno sfondo approssimativo nel quale erano previste altre figure (esiste infatti il piede in un personaggio interrotto)

Sempre del Parmigianino è la Madonna col bambino e santi (Madonna di San Zaccaria, 1530), caratterizzata dalla stessa grazia formale e da un paesaggio con monumenti antichi.

Altre opere significative sono quelle di Luca Cambiaso (Madonna col bambino 1570) o dell'eccentrico Dosso Dossi, pittore di corte presso gli Este di Ferrara (Apparizione della Vergine ai santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista o la grottesca scena della Stregoneria o Allegoria di Ercole del 1535 circa).


[modifica] Sala 30 Gabinetto degli Emiliani del Cinquecento

Questa sala, come la precedente, è dedicata ad artisti emiliani del Cinquecento, rappresentati da opere di piccolo formato.

I due artisti qui rappresentati sono Ludovico Mazzolino, con opere quali la Madonna col Bambino e santi del 1522-23 o la Strage degli innocenti, e Benvenuto Tisi, detto il Garofalo, autore di tre tele esposte: l'Adorazione dei pastori, l'Annunciazione e un San Girolamo.


[modifica] Sala 31 del Veronese

In questa sala furono collocate le opere dell'importante maestro veneto Veronese, attivo nella seconda metà del Cinquecento

Esemplare del suo stile è la Sacra Famiglia con Santi, caratterizzata sia dall'intimità della scena, che dalla ricchezza cromatica tipicamente veneta (si noti ad esempio la veste della santa Barbara).

L'Annunciazione è una grande tela, formato che ha reso famoso l'artista e che fu molto richiesto a Venezia dove era impossibile coprire le pareti di affreschi a causa dell'umidità. In questa opera lo spazio si dilata fino all'ultimo orizzonte, come nei grandi cicli della maturità del pittore.


[modifica] Sala 32 del Bassano e del Tintoretto

Le sale dalla 32 alla 35 sono state dedicate al Cinquecento Veneto. in particolare in questa sala sono stati scelti due autori ben rappresentativi di questa scuola, Jacopo Bassano, presente con opere come i Due cani, di soggetto quotidiano, e il Tintoretto.

Del grande maestro veneto del secondo Cinquecento spicca la Leda e il cigno, soggetto mitologico di grande sensualità, e lacuni importanti ritratti, dal tono auilico dell Ritratto di ammiraglio veneziano, alle opere più intime e dotate di spessore psicologico come il Ritratto di Jacopo Sansovino.

Sono presenti anche alcuni ritratti di Paris Bordon, di notevole enfasi.


[modifica] Sala 33 Corridoio del Cinquecento

Questo stretto corridoio è stato allestito, dopo il riordino degli anni '90, con varie opere di piccolo formato di varie scuole, italiane ed estere, in larga parte risalenti alla seconda metà del Cinquecento. Tra gli artisti di scuola spagnola spicca il dipinto dei Santi Giovanni Evangelista e Francesco di El Greco; francese è il dipinto delle Due donne al bagno della scuola di Fontainebleau; Susanna e i vecchioni è un'opera del fiammingo Frans Floris.

Tra i maestri toscani sono rappresentati Alessandro Allori, Agnolo Bronzino, Giorgio Vasari e Jacopo Zucchi: tutti loro parteciparono al più grande progetto dell'epoca a Firenze, la ridecorazione di Palazzo Vecchio voluta da Cosimo I e da Francesco I de' Medici, culminata nel capolavori dello Studiolo.

L'ultima parte del corridoio ospita opere dove è possibile vedere i mutamenti voluti dalla Controriforma, che dettò nuove regole per la committenza e quindi per l'arte in generale: pittori come Jacopo Ligozzi, l'Empoli, Andrea Boscoli e Santi di Tito furono i capiscuola toscani che dovettero semplificare i propri soggetti per avere una comunicazione dei temi sacri più diretta e meno filosofica, scevra delle implicazioni letterarie, simboliche ed erudite tipiche dei due secoli precedenti.


[modifica] Sala 34 dei Lombardi del Cinquecento

La sala ospita opere di numerosi maestri attivi in tutto l'arco del XVIs ecolo. Tra questi spiccano Lorenzo Lotto, anello di congiunzione tra la cultura veneta e lombarda (Ritratto di giovinetto, Susanna e i vecchioni, Sacra Famiglia e Santi

La Trasfigurazione del bresciano Giovan Girolamo Savoldo è dominata dai mirabbili effetti di luce, mentre il Ritratto di ignoto con libro o il Ritratto del Cavaliere Pietro Secco Suardo sono alcuni degli esempi di opere del grande pittore bergamasco Giovanni Battista Moroni.

Legata ai valori della Controriforma è la grande pala d'altare della Madonna col Bambino tra le sante Margherita e Maddalena, di Gerolamo Figino.


[modifica] Sala 35 del Barocci e della Controriforma toscana

Questa sala è dedicata a Federico Barocci, caposcuola dei pittori "riformati" toscani, con numerosi esempi dei principali esponenti dell'epoca.

Opere chiave sono le grandi pale d'altare, impostate secondo un linguaggio più eloquente e facilmente comprensibile rispetto ai maestri precedenti. Si trova qui esposta la Madonna del Popolo, esempio di messaggio immediatamente comprendibile ai fedeli, che è vicina ad altre opere di artisti quali Santi di Tito, Alessandro Allori, Bernardino Poccetti, oltre i successivi Cigoli, Empoli, Ludovico Buti e Passignano.


[modifica] Vestibolo d'uscita e sala 41 (deposito)

Tra la sala 36 e la 41 si trova il vestibolo d'uscita, un tempo accesso del museo nel quale erano sistemate altre piccole sale, al primo piano, le altre sale dalla 27 alla 40, che oggi sono usate per le esposizioni temporanee e, in parte, la collezione del Seicento. Vi sono esposti oggi alcuni reperti antichi come un Torso di satiro e un Cinghiale, opere antiche attribuite ad originali di Lisippo.

Altre opere famose, ma in attesa di una collocazione più adeguata, sono l'enorme Testa di gigante morente, oppure il celebre Spinario, cioè il fanciullo seduto che si cava una spina da un piede, forse la prima opera antica ad essere omaggiata da un artista occidentale moderno, cioè dal Brunelleschi che la inserì nella sua formella per il concorso per la porta del Battistero, poi chiamata Del Paradiso, che però fu vinto da Lorenzo Ghiberti. Il modello della statua dovrebbe risalire al periodo ellenistico, mentre la testa non è originale.

Si trova qui anche la cosiddetta Fanciulla seduta pronta alla danza e un'ara con il Sacrificio di Ifigenia.

Nela sala successiva (41) si trovavano le opere di Rubens, ma nel riallestimento è stata chiusa e adibita a deposito, mentre le grandi tele del maestro fiammingo sono state in parte collocate temporaneamente agli Appartamenti monumentali di Palazzo Pitti.


[modifica] Sala 42 della Niobe

Questa grandiosa sala, con stucchi dorati e una solenne architettura neoclassica, venne realizzata dall'architetto Gaspare Maria Paoletti a fine del Settecento per ospitare le numerose statue del Gruppo dei Niobìdi, una serie di statue romane copia di originali ellenistici portate in quegli anni a Firenze.

Il mito di Niobe è dei suoi figli è legato all'amore materno, che portò la sventurata donna a vantarsi tanto della sua prole (sette maschi e sette femmine) da paragonarsi a Latona, madre di Apollo e Artemide, suscitando così l'ira degli dei che si vendicarono uccidendoli uno ad uno. Le sculture vennero alla luce a Roma nel 1583 e fecero parte del corredo decorativo di Villa Medici (acquistate dal cardinale Ferdinando), dalla quale furono trasferite a Firenze nel 1781, dove vennero esposte direttamente in questa sala. Una delle sculture del gruppo si trova curiosamente a Villa Corsini a Castello, dove esiste un piccolo museo archeologico della Soprintendenza. Fra le altre sculture nella sala è da segnalare il grande cratere neoattico del I secolo.

Delle enormi tele alle pareti due sono di Rubens e una di Giusto Sustermans.


[modifica] Sala 43 del Seicento italiano ed europeo

La sala 43, già dedicata a Caravaggio, è oggi allestita con opere del Seicento italiano ed europeo, in larga parte collezionate dai Medici nel corso del secolo: la maggior parte dei dipinti seicenteschi si trova oggi esposta nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti e qui si trova solo una selezione rappresentativa.

La sala conserva opere di pittori di scuola emiliana (Annibale Carracci, Domenichino, Guercino), fiorentina (Sigismondo Coccapani), genovese (Bernardo Strozzi) ecc.


[modifica] Sala 44 di Rembrandt e dei Fiamminghi del Seicento

Questa sala è dedicata alla pittura olandese del Seicento, appassionatamente collezionata dai Medici soprattutto all'epoca di Cosimo III, che visitò i Paesi Bassi, e suo figlio il gran principe Ferdinando. Il maestro più importante di questa scuola pittorica fu senz'altro Rembrandt, del quale sono esposti due dei numerosi autoritratti realizzati nel corso della sua lunga carriera artistica, uno del 1634, l'altro eseguito attorno al 1660. Magistrale è la sua ricerca della psicologia, come si nota anche nella tela del Ritratto di vecchio.

Altri artisti rappresentanti di questa scuola sono Jan Bruegel il Vecchio (Paesaggio con guado 1067), Hercules Seghers (Paesaggio montuoso), Jacob van Ruysdael (Paesaggi, 1660-1670), Rachel Ruysch (Frutta, 1711) e Jan Steen (Colazione), che testimonaiano i vari generi di questa scuola: dalla veduta al paesaggio, dalla scena galante alla scena di genere, dagli interni domestici alla natura morta.


[modifica] Sala 45 del Settecento italiano ed europeo

Questa è l'ultima sala del percorso della galleria al secondo piano e conclude cronologicamente la galleria. Contiene infatti significativi esempi di pittura del Settecento, italiana ed estera.

Tra gli italiani vanno segnalati innanzitutto le opere dei celeberrimi pittori veneti come Giambattista Tiepolo (Storie di Rinaldo) o Canaletto (presente con quattro Vedute), con quelle di Francesco Guardi e Rosalba Carriera.

Altre importanti opere sono del toscano Giuseppe Maria Crespi (Famiglia del pittore 1708) e del lombardo Alessandro Magnasco (Refezione di zingari).

Per quanto riguarda gli stranieri, le opere esposte non sono molte, ma ciascuna è rappresentativa delle scuole pittoriche pricipali ovvero quelle: francese (Jean Baptiste Siméon Chardin, Jean Marc Nattier, Jean Etienne Liotard) e spagnola (Francisco Goya, Ritratto della contessa di Chinchòn).

L'ambiente attiguo è quello del bar, dal quale si accede alla terrazza sopra la Loggia dei Lanzi, ottimo punto di osservazione per Piazza della Signoria, Palazzo Vecchio e la Cupola del Brunelleschi. La piccola fontana della terrazza contiene una copia del Nano Morgante a cavallo di una lumaca, di Giambologna, oggi al Bargello ma originariamente creata per questo sito.


[modifica] Verone sull'Arno

Le sale successive si trovano al piano inferiore, al primo. Dopo lo spazio nell'ala est dedicato alle esposizione temporanee (che si deve attraversare comunque anche se non ve ne è alcuna in corso) si giunge al Verone sull'Arno, con le grandi finestre che danno sul fiume e sul piazzale degli Uffizi. Qui si trovano tre sculture monumentali.

Il Vaso Medici (al centro), grande cratere neoattico tra i tesori arrivati al museo da Villa Medici, risale alla seconda metà del I secolo a.C. ed è straordinario per dimensioni e per qualità . Vi è raffigurata nella base una scena a bassorilievo con gli eroi Achei che consultano l'oracolo di Delfi prima della partenza per la guerra di Troia.

Il Marte Gradivo è di Bartolomeo Ammannati, con il Dio rappresentato come nell'atto di incitare un esercito standone a capo, mentre sul lato opposto si trova il Sileno con Bacco fanciullo di Jacopo del Duca, copia di una statua romana oggi al Louvre, da un originale bronzeo del IV secolo, forse di Lisippo: anche queste due statue erano a villa Medici e decoravano la loggia che dà sul giardino.


[modifica] Sala del Caravaggio

Le opere di Caravaggio a Firenze non sono molte, ma rappresentano bene la fase giovanile del maestro, densa di celebri capolavori fin dalle prime produzioni artistiche. Solo con il riallestimento in seguito al 1993 questa opere hanno trovato collocazione stabile in questa sala.

Spicca il Bacco, così disincantatamente realistico, e la Testa di Medusa, in realtà uno scudo ligneo per occasioni di rappresentanza, come i tornei. L'espressione di terrore di Medusa impressiona per la cruda violenza della rappresentazione. Opera più tipica dello stile maturo è il Sacrificio di Isacco, dove la violenza del gesto è miracolosamente sospesa.

Le altre opere della sala permettono un confronto immediato con opere di temi simili di seguaci del Caravaggio: Artemisia Gentileschi con la Giuditta decapita Oloferne (una delle poche donne artiste ad avere un posto importante nella storia dell'arte) e Battistello Caracciolo con la Salomè con la testa del Battista.


[modifica] Sala di Bartolomeo Manfredi

Bartolomeo Manfredi du uno dei pittori più prossimi a Caravaggio. È qui presente con quattro opere. Una quinta, Concerto, venne distrutta dall'attentato di via dei Georgofili del 1993: al suo posto è stata collocata una copia antica.


[modifica] Sala di Gherardo delle Notti

L'olandese Gerard van Honthorst, italianizzato in Gherardo delle Notti, soggioornò a lungo in Italia e venne molto apprezzato da Cosimo III de' Medici. Il soprannome italianizzato viene dalla sua ceklta di dipingere quasi esclusivamente scene notturne rischiarate dal lume di candela, ispirandosi a Caravaggio ed a Georges de La Tour.

L'Adorazione dei pastori, dello stesso artista, venne gravemente danneggiata dall'attentato del 1993, ed oggi i suoi resti sono tenuti nei depositi.


[modifica] Sala dei Caravaggeschi

La sala dei Caravaggeschi ospita opere di altri maestri ispirati da Caravaggio. Sono rappresentate quattro aree geografiche:

  • Siena con Francesco Rustici;
  • Roma con Spadarino;
  • La Francia con Nicolas Regnier;
  • L'Olanda con Matthias Stomer.

È qui collocata anche la tela di un maestro anonimo di eccellente qualità.


[modifica] Sala di Guido Reni

L'ultima sala della galleria è dedicata a Guido Reni, caposcuola bolognese del Seicento. In futuro è previsto un ulteriore ampliamento con l'apertura di altre sale a questo piano, ma non è stato stabilito un preciso programma.

Guido Reni fu un maestro del gusto classicistico seicentesco, anche se l'opera del David con la testa di Golia si ricollega per lo sfondo scuro ai caravaggeschi delle sale precedenti.

Più astrattamente idealizzato è l'Estasi di sant'Andrea Corsini, entrato in Galleria nel 2000, dalla luminosità sovrannaturale.


[modifica] Gabinetto dei disegni e delle stampe

Al secondo piano della Galleria, presso i locali ricavati dall'ex Teatro Mediceo, ha sede la raccolta grafiche, iniziata intorno alla metà del XVII secolo dal cardinale Leopoldo de' Medici e trasferita agli Uffizi nel 1700 circa. Dell'antico teatro resta oggi solo il prospetto all'altezza dello scalone, con un busto di Franceso I de' Medici di Giambologna (1586) sulla porta centrale; ai lati si trovano un Venere, copia romana di un originale del V secolo a.C., e una statua femminile ellenistica.

La raccolta di disegni e stampe, tra le maggiori al mondo, comprende circa 120.000 esemplari, datati dalla fine del Trecento al XX secolo secolo, fra i quali spiccano esempi di tutti i più grandi maestri toscani, da Leonardo a Michelangelo a molti altri, che permettono spesso di stabilire il percorso cretivo di un'opera, attraverso i disegni preparatori, oppure a volte testimoniano, attraverso le copie antiche, opere ormai irrimediabilmente perdute, come gli affreschi della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci e della Battaglia di Càscina di Michelangelo, che un tempo dovevano decorare il Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, ma che non furono completati e dei quali si perse sia le pitture sperimentali sulla parete, nel caso di Leonardo, sia il cartone preparatorio, nel caso di Michelangelo.

Vasari stesso collezionò i fogli e consacrò il disegno come "padre" delle arti e prerogativa dell'arte fiorentina. Nella piccola sala davanti allo scalone o nel vestibolo dui accesso al Gabinetto si tengono periodicamente mostre temporanee, che espongono a rotazione materiale delle collezioni o le nuove acquisizioni.

[modifica] Collezione Contini Bonacossi

Nel braccio destro del loggiato, con l'entrata da via Lambertesca, è sistemata la straordinaria collezione raccolta nei primi del Novecento dai coniugi Contini Bonacossi e donata agli Uffizi negli anni '90, venendo così a rappresentare il più importante accrescimento del museo relativo al secolo scorso. Della collezione fanno parte mobilio, maioliche antiche, terrecotte robbiane, e soprattutto una notevolissima serie di opere di scultura e pittura toscana, fra le quali spiccano una Maestà con San Francesco e San Domenico di Cimabue, la Madonna della Neve del Sassetta (1432 circa), la Madonna Pazzi di Andrea del Castagno (1445 circa), il San Girolamo di Giovanni Bellini (1479 circa), il marmo di Gian Lorenzo Bernini del Martirio di San Lorenzo (1616 circa), La Madonna con otto santi del Bramantino (1520-1530) oppure il Torero di Francisco Goya (1800 circa).

[modifica] Ex-Chiesa di San Pier Scheraggio

Della chiesa che sorgeva accanto a Palazzo Vecchio restano solo alcune arcate visibili da via della Ninna, e una navata che fa parte degli Uffizi, adiacente alla biglietteria usata nella seconda metà del Novecento.

La sala di San Pier Scheraggio viene usata per conferenze, per esposizioni temporanee o per esporre opere che non trovano spazio nel percorso espositivo per via della loro singolarità.

Attualmente ospita una collezione di arazzi medicei, ma in passato ha ospitato temporaneamente anche gli affreschi staccati della serie degli Uomini famosi di Andrea del Castagno, provenienti dalla Villa Carducci-Apndolfini a Legnaia, con l'affresco di Botticelli dell'Annunciazione del 1481, staccato dalla parete della loggia dell'ospedale di San Martino alla Scala a Firenze, oppure, in un altro periodo, la grande tela della Battaglia di Ponte dell'Ammiraglio di Guttuso e Gli archeologi di Giorgio de Chirico.

[modifica] Sala delle Reali Poste

Questa sala al piano terreno nell'ala destra è usata dall'associazione Amici degli Uffizi che organizza periodicamente delle esibizioni temporanee a ingresso gratuito su svariati temi, con opere prese dai depositi, come quella riguardani i temi dell'erotismo nell'artem quella sulle opere provenineti dall'arcispedale di Santa Maria Nuova o quella sugli autoritratti.

[modifica] Esposizione temporanee tenute agli Uffizi

Questa lista, elenco o glossario è in continuo aggiornamento.

[modifica] Altre immagini

[modifica] Statue nel portico

[modifica] Bibliografia

  • G.A. Mansuelli, Galleria degli Uffizi. Le sculture, Roma, 1958-61, 2 volumi.
  • L. Berti (a cura di), Gli Uffizi. Catalogo generale, Firenze, 1980.
  • Gli Uffizi. Quattro secoli di una Galleria, atti del convegno internazionale di studi tenuto a Firenze tra il 20 e il 24 settembre 1982; a cura di P. Barocchi e G. Ragionieri; Firenze, 1983, 2 volumi.
  • C. Caneva, A. Cecchi, A. Natali, Gli Uffizi. Guida alle collezioni e catalogo completo dei dipinti, Firenze, 1986.
  • M. Gregori, Uffizi e Pitti. I dipinti delle gallerie fiorentine, Udine, Magnus, 1994.

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