Girolamo Savonarola
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Ritratto di Girolamo Savonarola eseguito da Fra Bartolomeo nel 1498
Girolamo Maria Francesco Matteo Savonarola (Ferrara, 21 settembre 1452 – Firenze, 23 maggio 1498) è stato un religioso e politico italiano. Apparteneva all'ordine dei frati domenicani. Le sue opere furono inserite nella prima edizione (1559) dell'Indice dei libri proibiti. Ora è Servo di Dio e la causa per la sua beatificazione è stata introdotta il 30 maggio 1997 dall’archidiocesi di Firenze.
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[modifica] Biografia
[modifica] La formazione (1452 - 1482)
Nasce a Ferrara alle 23,30 del 21 settembre 1452, terzogenito del mercante Niccolò di Michele dalla Savonarola e di Elena Bonacossi, discendente della nobile famiglia dei Bonacolsi, già signori di Mantova; dei fratelli maggiori, Ognibene e Bartolomeo, non si hanno notizie, mentre degli altri fratelli, Maurelio, Alberto, Beatrice e Chiara, si sa solo che Alberto fu medico e Maurelio fu frate domenicano come Girolamo.
I Savonarola, originari di Padova, si erano trasferiti nel 1440 a Ferrara dove il nonno Michele (1385 - 1468), noto medico e autore di testi di medicina, fu archiatra del marchese Niccolò III d'Este e della corte ferrarese. Michele Savonarola fu uomo profondamente religioso, cultore della Bibbia, di costumi semplici e severi e, pur cortigiano, o piuttosto proprio per questo, sprezzatore della vita di corte; in vecchiaia scrisse anche opuscoli come le De laudibus Iohanni Baptistae che, unitamente ai suoi insegnamenti ed al suo stile di vita, dovettero avere notevole influsso sulla formazione di Girolamo: fu, del resto, proprio il nonno a prendersi cura della sua prima educazione insegnandogli la grammatica e la musica, oltre ad apprendere da sé il disegno.
Dopo la morte del nonno, il padre Niccolò, desiderando avviarlo alla professione medica, gli fece studiare arti liberali; dapprima appassionato ai Dialoghi di Platone - tanto da scrivervi un commento, poi da lui stesso distrutto - passò presto all'aristotelismo e al tomismo.
Dopo aver conseguito il titolo di maestro in arti liberali, inizia gli studi di medicina che tuttavia abbandona già a diciotto anni per dedicarsi allo studio della teologia; scrive componimenti poetici: risale al 1472 la sua canzone De ruina mundi nella quale ricorrono già temi delle sue future predicazioni:....La terra è sì oppressa da ogne vizio, / Che mai da sé non levarà la soma: / A terra se ne va il suo capo, Roma, / Per mai più non tornar al grande offizio.... e ancora nel 1475, nell'altra sua canzone, De ruina Ecclesiae, assimila la Roma papale all'antica, corrotta Babilonia.
Con questo spirito sentirà nella chiesa di Sant'Agostino a Faenza le parole di un predicatore che, commentando il passo della Genesi Pàrtiti dalla tua terra e dalla tua famiglia e dalla casa del padre tuo, secondo quanto egli stesso scrive, lo spingono il 24 aprile 1475 a lasciare la famiglia per entrare nel convento bolognese di San Domenico.
Sulla sua vocazione probabilmente influisce la percezione di una forte decadenza dei costumi. Infatti in una sua lettera alla famiglia scrive: «Scelgo la religione perché ho visto l'infinita miseria degli uomini, gli stupri, gli adulteri, le ruberie, la superbia, l'idolatria, il turpiloquio, tutta la violenza di una società che ha perduto ogni capacità di bene... Per poter vivere libero, ho rinunciato ad avere una donna e, per poter vivere in pace, mi sono rifugiato in questo porto della religione».
Il 26 aprile 1475 riceve l'abito di novizio dal priore fra Giorgio da Vercelli, l'anno dopo riceve i voti, il 21 settembre 1476 è promosso suddiacono e l'1 maggio 1477 è diacono. I suoi superiori lo vogliono predicatore ed in quel convento Studium generale approfondisce lo studio della teologia avendo fra i suoi maestri Pietro da Bergamo, famoso teologo, autore della Tabula aurea, Domenico da Perpignano e Niccolò da Pisa.
Nel 1479 è inviato dal convento a Ferrara e tre anni dopo a Reggio dove, in occasione del capitolo della Congregazione domenicana lombarda del 28 aprile 1482, viene nominato lettore nel convento fiorentino di San Marco.
[modifica] Nel convento di San Marco (1482 - 1487)
Giunge nella Firenze di Lorenzo de' Medici - allora la capitale culturale della penisola o, come si esprimerà lo stesso Girolamo, il cuore d'Italia - nel maggio del 1482; nel convento di San Marco ha il compito di esporre le Scritture e di predicare dai pulpiti delle chiese fiorentine: e le sue lezioni conventuali sono esse stesse delle predicazioni.
Nella quaresima del 1484 gli è assegnato il pulpito di San Lorenzo, la parrocchia dei Medici; non ha successo, come testimoniano le cronache del tempo, per la sua pronuncia emiliana che doveva suonare barbara alle orecchie fiorentine e per il modo della sua esposizione: il Savonarola stesso scriverà poi che "io non aveva né voce, né petto, né modo di predicare, anzi era in fastidio a ogni uomo il mio predicare" e ad ascoltare venivano solo "certi uomini semplici e qualche donnicciola".
Intanto il 29 agosto Giovanni Battista Cybo viene eletto papa col nome di Innocenzo VIII dopo la morte di papa Sisto IV, il 12 agosto 1484. Forse, è in questo periodo che il Savonarola ebbe, meditando in solitudine nella chiesa di San Giorgio, quella illuminazione, di cui parlerà al termine della vita, durante il processo, apparendogli "molte ragioni per le quali si mostrava che alla Chiesa era propinquo qualche flagello".
Viene mandato a San Gimignano per le prediche quaresimali e subito, nel marzo del 1485 predica nella Collegiata che la Chiesa "aveva a esser flagellata, rinnovata e presto": è la prima volta che vengono attestate le sue predicazioni "profetiche"; il 9 marzo e poi il 23 ottobre di quell'anno riceve per lettera dalla madre a Ferrara le notizie della morte del padre e dello zio Borso.
Ancora dal pulpito della Collegiata, l'anno successivo afferma che "aspettiamo presto un flagello, o Anticristo o peste o fame. Se tu mi domandi, con Amos, se io sono profeta, con lui ti rispondo Non sum propheta" ed elenca le ragioni del prossimo flagello: le efferatezze degli uomini - omicidi, lussuria, sodomia, idolatria, credenze astrologiche, simonia - i cattivi pastori della Chiesa, la presenza di profezie - segno di prossime sventure - il disprezzo per i santi, la poca fede. Non vi sono notizie, tuttavia, che tali prediche abbiano suscitato scalpore e scandalo, come non ne suscitarono le prediche quaresimali tenute dal Savonarola nel 1487 nella chiesa fiorentina di Santa Verdiana.
Avendo terminato il suo ufficio di lettore a Firenze, quello stesso anno ottiene la prestigiosa nomina di maestro nello Studium generale di San Domenico a Bologna da dove, dopo aver insegnato per un anno, torna a Ferrara nel 1488.
[modifica] In Lombardia (1488 - 1490)
A Ferrara sta due anni nel convento di Santa Maria degli Angeli, senza per questo rinunciare a frequenti spostamenti per predicare, prevedendo i prossimi castighi divini, in diverse città, come testimonia nel processo:"predicai a Brescia ed in molti altri luoghi di Lombardia qualche volta di queste cose", a Modena, a Piacenza, a Mantova; a Brescia, il 30 novembre 1489, prevede che "e' padri vedrebbono ammazzare è loro figlioli e con molte ignominie straziare per le vie" e in effetti la città fu saccheggiata dai Francesi nel 1512.
Il convento ferrarese lo manda a Genova a predicare per la quaresima; avviatosi, come sempre a piedi, a Pavia scrive il 25 gennaio 1490 alla madre, che si lamentava del suo girovagare continuo, che "se io stesse a Ferrara continuamente, crediate che non faria tanto frutto quanto faccio di fuori, sì perché gniuno religioso, o pochissimi, fanno mai frutto di santa vita nella patria propria e però la santa Scrittura sempre grida che si vada fori de la patria, si etiam perché non è data tanta fede a uno della patria, quanto a uno forestiero, ne le predicazioni e consigli; e però dice el nostro Salvatore che non è profeta accetto ne la patria sua [...]".
Già il 29 aprile 1489 Lorenzo de' Medici, quasi certamente per suggerimento di Giovanni Pico della Mirandola, scrive "al Generale dei Frati Predicatori, che mandi qui frate Hieronymo da Ferrara": e così, nuovamente in cammino, verso il giugno 1490 entrava a Firenze per la Porta di San Gallo, salutato da uno sconosciuto che lo aveva accompagnato fin quasi da Bologna, con le parole: "Fa' che tu facci quello per che tu sei mandato da Dio in Firenze".
[modifica] Il ritorno a Firenze (1490 - 1498)
Dall'1 agosto 1490 riprende in San Marco le lezioni - ma tutti gli ascoltatori le interpretano come vere e proprie predicazioni - sul tema dell'Apocalisse e poi anche sulla Prima lettera di Giovanni: formula la necessità immediata del rinnovamento e della flagellazione della Chiesa e non teme di accusare governanti e prelati - "niente di buono è nella Chiesa....dalla pianta del piede fino alla sommità non è sanità in quella" - ma anche filosofi e letterati, viventi ed antichi: ebbe subito il favore dei semplici, dei poveri, degli scontenti e degli oppositori de' Medici, tanto da essere chiamato dai suoi contraddittori il predicatore dei disperati; il 16 febbraio 1491 predica per la prima volta sul pulpito del Duomo di Santa Maria del Fiore. Il 6 aprile, mercoledì di Pasqua, secondo tradizione, predica a Palazzo Vecchio davanti alla Signoria, affermando che il bene e il male d'una città provengono dai suoi capi, ma essi sono superbi e corrotti, sfruttano i poveri, impongono tasse onerose, falsificano la moneta.
Lorenzo il Magnifico lo fece ammonire più volte a non tenere simili prediche, tanto che egli stesso si trovò ad essere intimamente combattuto sulla necessità di continuare in quel tenore ma, come scrive, la mattina del 27 aprile 1491, dopo aver sentito una voce dirgli Stolto, non vedi che la volontà di Dio è che tu predichi in questo modo?, salì sul pulpito e fece una terrifica praedicatio. Alle minacce di confino, come fu usato dallo stesso Lorenzo nei confronti di Bernardino da Feltre, risponderà di non curarsene, predicendo la prossima morte del Magnifico: "io sono forestiero e lui cittadino e il primo della città; io ho a stare e lui se n'ha a andare: io a stare e non lui".
Anziché bandirlo, Lorenzo pensò di utilizzare contro il Savonarola l'eloquenza di un famoso agostiniano, fra Mariano della Barba da Genazzano, vecchio predicatore, colto ed elegante, che, infatti il 12 maggio predicò di fronte a un grande concorso di pubblico, fra cui spiccavano Lorenzo, Pico e il Poliziano, sul tema, tratto dagli Atti degli Apostoli, Non est vestrum nosse tempora vel momenta, evidentemente polemico nei confronti delle profezie del Savonarola. Ma non ebbe successo, secondo il racconto dei cronisti, ed il Savonarola, predicando tre giorni dopo sul medesimo tema, lo rimprovererà mansuetamente di essergli rivoltato contro.
In luglio, Girolamo è eletto priore del convento di San Marco. Naturalmente, contrariamente alla consuetudine dei precedenti priori, non rende omaggio a Lorenzo e non si fa ammansire dai suoi doni e dalle cospicue elemosine; in quell'anno pubblicò il suo primo libro a stampa, il Trattato della vita viduale.
La notte del 5 aprile 1492 un fulmine danneggia la lanterna del Duomo e molti fiorentini interpretano l'accaduto come un cattivo augurio; tre giorni dopo Lorenzo de' Medici muore nella sua villa di Careggi, confortato dalla richiesta benedizione del Savonarola, come attesta il Poliziano, lasciando, scrive il Guicciardini, "tre figliuoli maschi".
A maggio Girolamo si reca a Venezia per partecipare al Capitolo generale della Congregazione lombarda, della quale il convento di San Marco faceva parte dal 1456, da quando la peste del 1448 aveva decimato il numero dei frati sì da rendere necessaria la sua unione con la Congregazione lombarda, fiorente di conventi e di frati. Ritorna a Firenze il 22 maggio ed in quell'anno escono quattro suoi scritti, il Trattato dell'amore di Gesù, il 17 maggio, il Trattato dell'Umiltà, il 30 giugno, il Trattato dell'Orazione il 20 ottobre e il Trattato in defensione dell'Orazione mentale, in una data imprecisabile.
Il 25 luglio di quel 1492 muore il papa Innocenzo VIII e l'11 agosto è elevato al pontificato, col nome di Alessandro VI, uno dei più chiacchierati papi della storia, il cardinale Rodrigo Borgia. Il Savonarola commenterà poi quest'elezione, sostenendo che essa sarebbe tornata a vantaggio della Chiesa, rendendo possibile la sua riforma: "Questa è dessa, questa è la via....questo è il seme da fare questa generazione. Tu non cognosci le vie delle cose di Dio; io ti dico che se 'l venisse Santo Piero adesso in terra e volesse riformare la Chiesa, el non potria, anzi saria morto".
[modifica] La riforma del convento di San Marco
L'appoggio di Oliviero Carafa, il cardinale protettore dell'Ordine domenicano, fu decisivo per ottenere, il 22 maggio 1493, l’autorizzazione papale all'indipendenza del convento di San Marco. Sfilato semplicemente al dito del Borgia l’anello piscatorio, senza che questi facesse alcuna opposizione, il cardinale napoletano suggellò il Breve da lui stesso già preparato.
Il Savonarola aveva il progetto di rendere indipendenti quanti più conventi possibili in modo da poterli controllare e dar maggior forza alla riforma che aveva in mente. Il 13 agosto 1494 ottenne il distacco dalla Congregazione lombarda anche dei conventi domenicani di Fiesole, di San Gimignano, di Pisa e di Prato, creando così una Congregazione toscana, della quale lo stesso Girolamo divenne Vicario generale.
Volle che i suoi frati fossero un effettivo ordine mendicante, privo di ogni bene privato e cominciò con il vendere i possedimenti dei conventi e gli oggetti personali dei frati, distribuendo il ricavato ai poveri, e fece economie nelle vesti e nel cibo; in questo modo, del resto, aumentavano le elemosine ai conventi. Anche per l’accresciuto numero di conversi, pensò all’edificazione di un nuovo convento, più rustico e austero, che sorgesse fuori Firenze, ma mancò il tempo di realizzare il progetto. Nuove e drammatiche vicende si preparavano nei destini del frate e dell’intera penisola.
[modifica] La discesa in Italia di Carlo VIII
È noto come Ludovico il Moro sollecitasse Carlo VIII di Francia a venire con un esercito in Italia a rivendicare i diritti degli Angioini sul Regno di Napoli. Il 9 settembre 1494 il re francese s'incontrava ad Asti con lo Sforza e sembra che il 21 settembre fosse a Genova. Firenze, che la politica incerta di Piero de' Medici aveva schierato in difesa degli Aragonesi di Napoli, era tradizionalmente filofrancese ed il pericolo cui si vedeva soggetta accentuò il rancore, nella maggior parte dei cittadini, contro il Medici.
Quello stesso giorno Savonarola sale sul pulpito di un Duomo affollato e qui pronuncia una delle sue più violente prediche - sul tema del Diluvio - con un grido che, come scrisse, fece rizzare i capelli a Pico della Mirandola: Ecco, io rovescerò le acque del diluvio sopra la terra!
Carlo VIII in realtà era ancora ad Asti ma si mosse con l'esercito per Milano e, per la via di Pavia, di Piacenza e di Pontremoli, entrava il 29 ottobre a Fivizzano, saccheggiandola e ponendo l'assedio alla rocca di Serzanello, richiedendo che gli fosse lasciato il passo per Firenze. Piero, mutato consiglio e all'insaputa della città, gli concede più di quanto chiedesse: le fortezze di Serzanello, di Sarzana e di Pietrasanta, le città di Pisa e di Livorno e via libera per Firenze. Ebbe appena il tempo di tornare a Firenze l'8 novembre per esservi immediatamente cacciato: la città proclamava la Repubblica.
La Repubblica è governata da un Gonfaloniere di giustizia e otto Priori, che costituiscono la nuova Signoria, mentre il Consiglio Maggiore, risultato dell’unificazione dei preesistenti Consigli del Comune, del Popolo e dei Settanta, a cui possono partecipare tutti i fiorentini che abbiano compiuto 29 anni e che paghino le imposte, elegge anche un Consiglio di ottanta membri, almeno quarantenni, che ha il compito di approvare preliminarmente le decisioni del governo prima della definitiva decisione del Consiglio Maggiore.
Si costituiscono le fazioni dei Bianchi, repubblicani e dei Bigi, favorevoli ai Medici, a imitazione delle antiche fazioni rivali dei Bianchi e dei Neri; trasversalmente a questi, si forma anche una divisione della cittadinanza in simpatizzanti del frate, perciò chiamati Frateschi e poi Piagnoni, e nei suoi nemici dichiarati, gli Arrabbiati.
Il 16 novembre 1494 Savonarola è al capezzale dell’amico Giovanni Pico della Mirandola, che riceve da lui l’abito domenicano e muore il giorno dopo. Nella predica del 23 novembre Savonarola ne fa l’elogio funebre aggiungendo di aver avuto la rivelazione che la sua anima era in Purgatorio.
Direttamente dal papa gli viene intanto ordinato con un Breve di predicare la prossima quaresima del 1495 a Lucca; non è chiaro se la richiesta fosse sollecitata al Borgia dagli Arrabbiati o dalle autorità lucchesi; tuttavia, a seguito delle proteste del governo fiorentino, Lucca rinuncia alla richiesta. Si diffondono voci, prive di fondamento, che accusano il Savonarola di nascondere molti beni nel convento e di arricchirsi con i tesori dei Medici e dei loro seguaci; gli Arrabbiati cercano anche di rivolgergli contro fra Domenico da Ponzo, un ex-savonaroliano che, giunto da Milano, è invitato dallo stesso gonfaloniere di giustizia Filippo Corbizzi a disputare l'8 gennaio 1495 davanti alla Signoria con Girolamo, Tommaso da Rieti, priore domenicano di Santa Maria Novella e avversario del Savonarola ed altri ecclesiastici.
Fra Tommaso lo accusa di occuparsi delle cose dello Stato, contro il nemo militans Deo implicat se negotis saecolaribus di San Paolo; ma il Nostro non raccoglie la provocazione e gli risponde solo due giorni dopo dal pulpito: "Tu dell'Ordine di Santo Domenico, che di' che non ci dobbiamo impacciare dello Stato, tu non hai bene letto; va', leggi le croniche dell'Ordine di San Domenico, quello che lui fece nella Lombardia ne' casi di Stati. E così di San Pietro martire, quello che fece qui in Firenze, che s'intromise per componere e quietare questo Stato [...] Santa Caterina fece fare la pace in questo Stato al tempo di Gregorio papa. Lo arcivescovo Antonino quante volte andava su in Palagio per ovviare alle leggi inique, che non si facessino!".
Il 31 marzo 1495 l'impero, la Spagna, il papa, Venezia e Ludovico il Moro concordano un'alleanza contro Carlo VIII; è necessario che vi partecipi anche Firenze, per impedire al re francese ogni via di fuga in Francia; ma Firenze e il Savonarola sono filofrancesi: occorre screditarlo e abbatterne una volta per tutte l'influenza che esercita nella città. Carlo VIII, che ha conquistato senza combattere tutto il Regno di Napoli, vi lascia a presidio metà delle sue forze armate e col resto delle truppe si affretta a ritornare in Francia: il primo giugno entra in Roma da dove Alessandro VI è fuggito a Orvieto e poi a Perugia e il re prosegue la risalita a nord, con grande delusione di Girolamo, che sperava in un rivolgimento nella città del Papato, e gran paura dei fiorentini, che hanno notizie di un accordo tra Piero de' Medici e il re.
Savonarola incontra il 17 giugno Carlo VIII a Poggibonsi, per avere assicurazioni che Firenze non subirà danni e che i Medici non saranno restaurati; il re, che pensa solo a ritornare in Francia, non ha difficoltà a tranquillizzarlo e fra Girolamo può tornare a Firenze trionfante.
Il 7 luglio Carlo VIII forza a Fornovo il blocco dell'esercito della Lega ed ha via libera per la Francia ma la sua spedizione è stata un fallimento: con la sua assenza, il Regno di Napoli torna facilmente in possesso di Ferdinando II d'Aragona e Savonarola e la sua Repubblica sembrano ora molto indeboliti.
[modifica] Alessandro VI
Il 21 luglio 1495 il papa invia al Savonarola un Breve, nel quale, dopo aver espresso apprezzamento per l'opera sua nella vigna del Signore, lo invita a Roma ut quod placitum est Deo melius per te cognoscentes peragamus, affinché egli, il papa, possa far meglio le cose, conosciute direttamente dal frate, che siano gradite a Dio. Naturalmente Savonarola rifiuta, con una lettera di risposta del 31 luglio, di recarsi a Roma, adducendo motivi di salute e promettendo un futuro incontro e per intanto l'invio di un libretto ove il papa avrebbe desunto i suoi proponimenti: è il Compendio di rivelazioni, pubblicato a Firenze il 18 agosto.
Il papa rispose l'8 settembre con un altro Breve nel quale fra Girolamo, accusato di eresia e di false profezie, viene sospeso da ogni incarico ed il giudizio a suo carico è demandato al vicario generale della Congregazione lombarda, fra Sebastiano Maggi. Savonarola risponde il 30 settembre respingendo tutte le accuse e rifiutando di sottomettersi al vicario della Congregazione, che considera suo avversario ed aspettandosi che sia il Papa stesso ad assolverlo da ogni accusa; l'11 ottobre accusa dal pulpito gli Arrabbiati di aver brigato col papa per distruggerlo. Alessandro VI, con un Breve del 16 ottobre, sospende i precedenti ordini e gli intima soltanto di astenersi dalle predicazioni, in attesa di future decisioni.
Savonarola obbedisce ma non resta inoperoso: il 24 ottobre pubblica l'Operetta sopra i Dieci Comandamenti e attende alla stesura del De simplicitate christianae vitae. In dicembre appare la sua Epistola a un amico nella quale respinge le accuse di eresia e difende la riforma politica introdotta a Firenze. La Signoria, intanto, preme sul papa perché questo accordi nuovamente il permesso di predicare a fra Girolamo: il suo ascendente sulla popolazione è indispensabile per ribattere gli attacchi che gli Arrabiati portano al governo e allo stesso frate, accusati di essere responsabili della perdita di Pisa.
Sembra che il permesso sia giunto da Alessandro VI vivae vocis oraculo, oralmente al cardinale Carafa ed al delegato fiorentino Ricciardo Becchi; in ogni caso, il 16 febbraio 1496, dopo essere stato accompagnato al Duomo da una folla in corteo di 15.000 persone, Girolamo risale sul pulpito di Santa Maria del Fiore, per la prima predica del quaresimale di quell'anno.
Esordisce fingendo un dialogo con un interlocutore, che gli rimprovera di predicare malgrado sia scomunicato: «La hai tu letta questa escommunica? Chi l'ha mandata? Ma poniamo che per caso che così fussi, non ti ricordi tu che io ti dissi che ancora che la venisse, non varrebbe nulla? [...] non vi maravigliate delle persecuzioni nostre, non vi smarrite voi buoni, ché questo è il fine dei profeti: questo è il fine e il guadagno nostro in questo mondo».
Il 24 febbraio si scaglia contro la Curia romana: «Noi non diciamo se non cose vere, ma sono li vostri peccati che profetano contra di voi [...] noi conduciamo li uomini alla simplicità e le donne ad onesto vivere, voi li conducete a lussuria e a pompa e a superbia, ché avete guasto il mondo e avete corrotto li uomini nella libidine, le donne alla disonestà, li fanciulli avete condotto alle soddomie e alle spurcizie e fattoli diventare come meretrici». Tali prediche furono raccolte in volume e pubblicate con il titolo Prediche sopra Amos.
Fra i nemici esterni di Firenze e del Savonarola segnatamente non era del resto solo il papa, ma tutti gli aderenti alla Lega antifrancese, come Ludovico il Moro al quale il frate scrive l'11 aprile 1496 invitandolo «a fare penitentia de li soi peccati, perché il flagello si appropinqua [...] di questo mio dire non ho aspettato né aspetto altro che infamia et opprobrii e persecuzioni e finalmente la morte [...]»; e lo Sforza risponde scusandosi, chissà quanto sinceramente, «se pur vi avemo offeso e fatto cosa molesta [...[ e in far penitenzia e meritare con Dio non se retireremo».
In aprile predica a Prato, nella chiesa di San Domenico, ascoltato dal consueto grande concorso di folla, tra la quale sono i maggiori filosofi fiorentini del tempo, il platonico Marsilio Ficino e l'aristotelico Oliviero Arduini; alla fine di quel mese si stampa a Firenze l'ultima operetta di Girolamo, la Expositio psalmi Qui regis Israel - postume, nel 1499, appariranno le Prediche sopra Ruth e Michea, composte entro il novembre 1496 - mentre la sua proposta di proibire per legge vesti scollate ed elaborate acconciature delle donne è respinta dalla Repubblica.
In agosto Alessandro VI gli offre, tramite il domenicano Lodovico da Valenza - altri intendono che il messo fosse il figlio stesso del papa, Cesare Borgia, cardinale di Valenza - la nomina a cardinale a condizione che ritratti le passate critiche alla Chiesa e se ne astenga nel futuro; fra Girolamo promette di rispondere il giorno dopo, alla predica, che tiene nella Sala del Consiglio, alla presenza della Signoria. Dopo aver ripercorso le vicende degli anni passati, via via accalorandosi, se ne esce con un grido:«Non voglio cappelli, non voglio mitrie grandi o piccole, voglio quello che hai dato ai tuoi santi: la morte. Un cappello rosso, ma di sangue, voglio!».
Il 23 agosto 1496 Ludovico il Moro denuncia di aver intercettato due lettere del Savonarola dirette in Francia; una, indirizzata a Carlo VIII, lo sollecitava a venire in Italia mentre l'altra, diretta a un tale Niccolò, lo metteva in guardia contro l'arcivescovo di Aix, ambasciatore francese a Firenze, sostenendo la sua infedeltà al Re e l'atteggiamento ostile a Firenze. Sembra che quelle lettere siano dei falsi e che l'iniziativa del Moro tendesse a rompere l'alleanza franco-fiorentina e a screditare fra Girolamo, che negò di averle mai scritte.
Il 7 febbraio del 1497 organizza un falò delle vanità a Firenze, nel quale verranno date alle fiamme molti oggetti d'arte, dipinti, gioielli, vestiti lussuosi, con incalcolabile danno per l'arte e la cultura fiorentina rinascimentale.
Scomunicato da Papa Alessandro VI il 12 maggio del 1497, Savonarola continua la sua campagna contro i vizi della Chiesa, se possibile con ancora più violenza, creandosi numerosi nemici, ma anche nuovi estimatori, perfino fuori Firenze: proprio a questo periodo risale una breve corrispondenza epistolare con Caterina Sforza, signora di Imola e Forlì, che gli aveva chiesto consiglio spirituale.
Venutogli meno l'appoggio francese, è messo in minoranza rispetto al risorto partito dei Medici che nel 1498 lo fa arrestare, processare per eresia, torturare, impiccare, lapidare e poi ardere in Piazza della Signoria insieme a due suoi fedelissimi, concludendo così la stagione della repubblica fiorentina.
Molti anni dopo la sua scomparsa, il termine Savonarola divenne un aggettivo di connotazione dispregiativa o ironica che sta ad indicare una persona che si scaglia con veemenza contro il degrado morale: il repubblicano Ugo La Malfa ad esempio venne soprannominato "Il Savonarola della politica".
Il Museo di San Marco a Firenze conserva numerose memorie del frate.
[modifica] Bibliografia
- Annalia Conventus Sancti Marci de Florentia, codice San Marco 370, Biblioteca Laurenziana, Firenze
- P. Villari, La storia di Girolamo Savonarola e de' suoi tempi, Firenze, 1930
- J. Schnitzer, Savonarola, Milano, 1931
- Anonimo (Pseudo fra Pacifico Burlamacchi), La vita del Beato Ieronimo Savonarola, Firenze, 1937
- G. Savonarola, Edizione Nazionale delle Opere, Roma, 1953
- R. De Maio, Savonarola e la curia romana, Roma, 1969
- G. Cattin, Il primo Savonarola, Firenze, 1973
- R. Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, Firenze, 1974
- D. Weinstein, Savonarola e Firenze. Profezia e patriottismo nel Rinascimento, Bologna, 1976
- F. Cordero, Savonarola, Bari, 1988
- I. Cloulas, Savonarola o la rivoluzione di Dio, Casale Monferrato, 1998
- R. Klein, Il processo di Girolamo Savonarola, Ferrara, 1998
- F. Guicciardini, Storie fiorentine, Milano, 1998
- R. Ridolfi, Prolegomeni e aggiunte alla Vita di Girolamo Savonarola, Firenze, 2000 ISBN 88-87027-86-2
Predecessore: | Signore di fatto di Firenze | Successore: |
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Piero il Fatuo | 1494-1498 | Nessuno fino al 1502, poi Pier Soderini |
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