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Museo archeologico nazionale di Firenze - Wikipedia

Museo archeologico nazionale di Firenze

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Coordinate: 43°46′34.46″N 11°15′44.16″E / 43.7762389, 11.2622667

Museo Archeologico Nazionale di Firenze
Tipologia Archeologia
Immagine del Museo Archeologico Nazionale di Firenze
La nuova entrata su Piazza Santissima Annunziata
Indirizzo Piazza Santissima Annunziata 1
Orari Lun 14:00-19:00

Mar 08.30-19.00
Mer 08:30-14:00
Gio 08:30-19:00
Ven 08.30-14:00
Sab 08:30-14:00
Dom 08:30-14:00

Biglietti Intero 4,00 Euro

Ridotto 2,00 Euro

Telefono 055 294882
Sito [1]
Mezzi
Questa voce fa parte della zona:
Piazza Santissima Annunziata
e via dei Servi
Voci principali
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Il Museo archeologico nazionale di Firenze si trova in un palazzo che risale al 1620, costruito da Giulio Parigi come residenza della principessa Maria Maddalena de' Medici, in piazza Santissima Annunziata 1.

Indice

[modifica] Caratteristiche

Il museo raccoglie il meglio degli scavi di tutta la Toscana, con importantissimi reperti etruschi e romani, ma anche raccolte relative ad altre civiltà, come un'importante sezione egizia e una di vasi greci trovati spesso in tombe etrusche, a testimonianza dei numerosi scambi commerciali nel Mediterraneo.

Il museo fu inaugurato alla presenza del re Vittorio Emanuele II nel 1870 nei locali del Cenacolo di Fuligno in Via Faenza e comprendeva solo i reperti etruschi e romani. Presto con l'aumento delle collezioni si rese necessaria un'altra collocazione e dal 1880 fu trasferito nell'odierna sede. All'origine delle collezioni ci sono le raccolte medicee e lorenesi, trasferite a più riprese dagli Uffizi fino al 1890 (tranne la statuaria in marmo che ancora lì si trova). La sezione egizia invece fu costituita nella prima metà dell'Ottocento sia attraverso acquisizioni di Pietro Leopoldo di Toscana, sia attraverso una spedizione promossa dallo stesso granduca nel 1828-29 dal toscano Ippolito Rosellini insieme al francese François Champollion, colui che decifrò i geroglifici. Nel 1987 fu inaugurato anche un museo topografico sulla civiltà etrusca, ma andò distrutto durante l'alluvione del 1966.

Nel 2006 in occasione del quarantennale dell'alluvione si è finalmente concluso il ripristino delle sale al primo piano e riportato l'ingresso sulla Piazza (era stato fino ad allora in Via della Colonna). I saloni vicino all'ingresso sono stati destinate alle esposizioni temporanee e si è iniziato un riallestimento generale delle collezioni, che ha già dato i suoi frutti nella sezione greca al primo e al secondo piano. Si è scelto di sfoltire le sale, dando un maggior respiro ai capolavori, resi fruibili con più suggestione grazie ad uno studiato sistema di illuminazione che crea zone di luce e di ombra.

Gradualmente si è dato il via anche all'ammodernamento della sezione etrusca e delle sale vicine al vecchio ingresso e prospicienti al giardino. Nei depositi restano comunque più di centomila oggetti di valore, per i quali sarà difficlie trovare un posto nel percoraso espositivo.

Un altro punto debole che si riscontra a Firenze è la generale messa in secondo piano dell'archeologia da parte del sentire cittadino, forse più legato al passato medievale e rinascimentale.

[modifica] Il Palazzo della Crocetta

Il cortile del museo con le tombe etrusche ricostruite
Il cortile del museo con le tombe etrusche ricostruite

Maria Maddalena de' Medici era sorella di Cosimo II e si dice che fosse nata deforme e di salute sempre cagionevole. Per lei fu costruito questo palazzo chiamato Della Crocetta, dall'architetto Giulio Parigi nel 1620 circa. In questa residenza si svolgeva tutta la vita della donna, per la quale furono create alcune arche sopraelevate con passaggi al di sopra delle strade, affinché potesse muoversi liberamente senza fare scalini e senza essere oggetto di curiosità dei passanti. Sono in tutto quattro, uno verso l'ospedale degli Innocenti, due su via Laura (per raggiungere una altro monastero) e uno che entrava nella basilica della Santissima Annunziata, da dove la sventurata assisteva alla messa attraverso una grata nella navata sinistra posta dietro a un piccolo vano al termine del passaggio. Nel palazzo corrispondeva a questi passaggi un lungo corridoio sopraelevato, chiamato corridoio mediceo, che ricorda il Vasariano e che Maddalena usava per spostarsi al coperto rimanendo al livello del primo piano.

Il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena (1765-1790) fece ingrandire il palazzo, dove ogni anno si recava ad abitare per qualche mese. Nel periodo in cui il Granduca vi dimorava, nel palazzo alloggiavano anche sovrani o personaggi illustri di passaggio a Firenze ed ospiti della Corte toscana.

Durante la dinastia dei Lorena, dopo il 1737, il palazzo venne abitato dal principe Marco di Beuvau de Craon, grande di Spagna e ministro plenipotenziario del Granduca Francesco Stefano di Lorena, poi primo ministro del Granduca Pietro Leopoldo. Insieme al principe di Craon abitò anche sua moglie, la principessa Anna Margherita di Liguéville, bella donna che si dice fosse l'amante di Pietro Leopoldo e che avesse partorito molti figli.

Vicino al palazzo, Suor Domenica del Paradiso, figlia di un contadino delle monache del convento di Santa Brigida al Bandino, fondò il Monastero della Crocetta.

Il palazzo si trova di fronte alla casa, sulla cui facciata centrale c'è il busto in bronzo di Benvenuto Cellini (1500 - 1571), dove Benvenuto Cellini modellò e fuse la statua del Perseo.

Il giardino risale alla prima metà del Settecento, con una fisionomia che in parte è possibile intravedere ancora oggi. Fu allora che, per volontà del Reggente (il principe di Craon), il giardiniere di Boboli Francesco Romoli suddivise gli spazi in una serie di aiuole rettangolari, delimitate da elementi in cotto e in pietra arenaria nonché destinate a ospitare un agrumeto (tre piante sono ancora conservate in prossimità dello Spedale degli Innocenti).

[modifica] La sezione etrusca

La Chimera di Arezzo
La Chimera di Arezzo

Situata al primo piano subì gravi danni durante l'alluvione di Firenze del 1966. Il restauro dei reperti ha occupato tutto il quarantennio successivo ed oggi, dal 2000 circa, è finalmente stato completato, anche se rimangono ancora da riparare una parte degli ambienti espositivi, per questo ancora inaccessibili.

Il pezzo forte della collezione è senza dubbio la Chimera d'Arezzo, una delle più famose opere della civiltà etrusca (IV secolo a.C.), un plastico bronzo raffiguarente la mitica fiera leonina, che fu però erroneamente restaurato da Benvenuto Cellini, il quale ricostruì la coda serpentina che mordeva la testa di capra sul dorso, mentre entrambe avrebbero dovuto rivolgersi minacciose verso l'osservatore. Fu trovata in una campo vicino ad Arezzo nel 1553 e presentata a Cosimo I dal Vasari. Sulla zampa anteriore destra presenta un'iscrizione.

L'altro bronzo celebre del museo è la statua a tutto tondo dell'Arringatore (I secolo a.C.), ritratto del nobile etrusco Aule Metelle con la toga romana, mentre alza il braccio verso l'osservatore e l'ipotetica folla, venuto alla luce nel 1566 probabilmente nei pressi del lago Trasimeno.

Gran parte degli altri reperti riguarda soprattutto la scultura funeraria, come la Mater Matuta (460-450 a.C.) rinvenuta a Chianciano Terme , una scultura di una donna seduta con un bambino in grembo che rappresenta la dea dell'Aurora, oppure l'urna in alabastro chiamata del Bottarone, dal nome del sito di ritrovamento vicino a Città della Pieve, con due figure scolpite di uomo sdraiato e donna seduta, di notevole effetto plastico e con tracce di policromia originale (oggi collocata presso l'ingresso).

Il sarcofago di Laerthia Seianti (II secolo a.C.) è in terracotta con eccezionali tracce di policromia e proviene da Chiusi: rappresenta una donna patrizia di alto rango, sdraiata sul triclinio che con un gesto della mano si aggiusta il velo sulla testa. Vicino è esposto anche un coperchio d'urna con defunto e demone dell'oltretomba, in pietra fetida, rinvenuto a Chianciano Terme.

La grande Anfora di Baratti (IV secolo) è realizzata in argento e decorata con circa 130 immagini di dei e di eroi.

Sono da segnalare anche il Sarcofago delle Amazzoni (IV secolo a.C.) e quello detto dell'Obeso da Chiusi, (II secolo a.C.). Numerose sono le urnette cinerarie di età ellenistica (sala IX e X) in terracotta e alabastro, provenienti da Chiusi e Volterra. Nella sala successiva cippi e urnette in pietra fetida, decorati da bassorilievi che illustrano i rituali funebri (Chiusi, VI-V secolo a.C.). Da Tuscania e Bolsena arrivano i due leoni funerari (IV e VI secolo a.C.). Da Norchia parte della decorazione di un tempio di età ellenistica.

Nell corridoio le vetrine ospitano numerosi bronzetti votivi etruschi, di uso disparato, divisi per tipologia. In una piccola sala sono esposti gli specchi etruschi decorati a bulino, armi, elmi e corazze.

Nel giardino sono state ricomposte, con materiali il più possibile originari, alcune tombe etrusche, fra le quali spicca la Tomba Inghirami di Volterra, con le urne in alabastro originarie.

[modifica] La sezione romana

L'Idolino di Pesaro
L'Idolino di Pesaro

Fra le opere più ineterssanti il bronzo dell'Idolino di Pesaro, statua di giovinetto alta 146 centimetri, copia romana di un originale greco-classico che fu trovata in frammenti al centro di Pesaro nell'ottobre 1530 in quella che era una residenza senatoria, e che arrivò a Firenze nel 1631 con l'eredità di Vittoria Della Rovere; questa scultura, dal basamento rinascimentale, ispirò molti artisti del periodo del Cinquecento e oggi ha trovato una suggestiva collocazione al termine della galleria del secondo piano.

Interessanti è il torso di Livorno, forse copia di un originale greco del V secolo a.C.

Di grande realismo è la testa bronzea del cosiddetto Gallo Treboniano, opera tarda del III secolo.

Importante è anche il bronzo della Minerva d'Arezzo, copia romana di un modello greco attribuito a Prassitele del IV secolo a.C. Altre sale ospitano accanto a materiali decorati etruschi, lucerne, pesi e basette romani. Notevole è anche la collezione cammei romani collezionati dai Medici e dai Lorena, accanto a esemplari rinascimentali e di oreficeria granducale come termine di confronto (la gran parte di queste collezioni si trova al Museo degli Argenti di Palazzo Pitti).

[modifica] La sezione greca

Il Vaso François
Il Vaso François

La collezione di ceramiche attiche è molto vasta e comprende una grande sala con numerose vetrine al secondo piano. Per lo più i pezzi provengono da tombe etrusche e sono frutto degli scambi con la Grecia, in particolare con Atene (luogo di produzione della maggior parte dei reperti) e risalgono al periodo tra il VI e il IV secolo a.C.

Fra i vasi più importanti il cosiddetto Vaso François, dal nome dell'archeologo che lo scoprì nel 1844 in una tomba etrusca a fonte Rotella, vicino Chiusi, un grande cratere a figure nere firmato dal vasaio Ergotimos e dal pittore Kleitias, che riporta una serie impressionante di racconti della mitologia greca su sei file di figure, datato attorno al 570 a.C.

Altre opere notevoli sono l'hydria a figure rosse firmato dal Pittore di Meidias (550-540 a.C.) e le coppe dei Piccoli Maestri (560-540 a.C.) così denominate dal miniaturismo dei ceramografiche le figurano.

Tra le sculture l'Apollo e l'Apollino Milani (VI secolo a.C.) dal nome del donatore. Pure greci sono il torso d'Atleta (V secolo a.C.) e la grande Testa Equina ellenistica (o testa del cavallo Medici Riccardi dalla primitiva collocazione nel palazzo Medici Riccardi) frammento di una statua equestre che ispirò Donatello e Verrocchio nei due celebri monumenti di Padova e Venezia. Nel corridoio sono esposti due kouroi arcaici in marmo.

[modifica] Il Museo Egizio

Una sala della sezione chiamata Museo Egizio
Una sala della sezione chiamata Museo Egizio

La raccolta è seconda in Italia solo al Museo egizio di Torino[1], e, alloggiata in delle sale decorate in maniera speciale al primo piano, trae origine dalle collezioni Nizzoli e Schiapparelli e dalla campagna di scavi di Ippolito Rosellini e François Champollion. Tra le altre acquisizioni, importante fu quella dei papiri provenienti dagli scavi del 1934-39. I reperti coprono molte delle attività quotidiane dell'Antico Egitto, con oggetti anche in materiali fragili come il legno, il tessuto e l'osso. L'esposizione è in corso di graduale risistemazione, privilegiando criteri cronologici e topografici piuttosto che tematici.

L'epoca preistorica dell'Antico e Medio Regno è documentala da selci, vasi e stele. Fra le opere più interessanti i modelli di due servitori, la macinatrice di grano e la donna che fa la birra risalenti dell'antico regno. Nella sala successiva è esposto il pregevole ritratto femminile proveniente dalla necropoli di Al-Fayum, un celebre rilievo con scribi dalla tomba del faraone Homrehb a Saqqara, e lo straordinario è il carro da guerra o da caccia, quasi intatto in osso e legno, risalente al XV secolo a.C., trovato vicino a Tebe assieme a tessuti, cordami, mobili, copricapi, borse e ceste. Risalgono allo stesso periodo il rilievo raffigurante la dea Maat, dalla tomba del faraone Sethy I nella valle dei re, il calice di faience a bocca quadrata (due soli esemplari al mondo) e numerosi esempi di statuette e oggetti legati alla vita quotidiana.

La Sala VIII è dedicata all'epoca finale della civiltà egizia e mantiene l'originale allestimento dell'ottocento. Particolarmente interessante è il corredo dalla tomba di una nutrice della figlia del faraone Taharqa (XXVV dinastia) con due sarcofagi. È esposto qui anche l'involucro del corpo della donna chiamata Takherheb, in tela stuccata coperta di foglia d'oro.

L'arte copta è documentata dagli scavi dell'Istituto Papirologico Fiorentino ad Antinoe, fondata dall'Imperatore Adriano nel Medio Egitto. Tra i reperti una ricca collezione di stoffe (tuniche, cuffie, calzini, frammenti di decorazione e un mantello di seta) e numerosi oggetti legati alla vita quotidiana o alle usanze funebri.

[modifica] Note

  1. ^ Toscana etrusca e romana, Guide archeologiche, Touring Club Italiano, Milano 2002

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