Paleoveneti
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I Paleoveneti erano una popolazione indoeuropea stanziata nell'odierna Italia nord-orientale, che sviluppò una propria originale civiltà durante il I millennio a.C..
Caso unico tra i popoli a loro contemporanei nell'Italia settentrionale, si può stabilire l'identità tra la popolazione e la cultura veneta, ovvero ai Paleoveneti è attribuito quanto realizzato sul piano materiale e spirituale nel territorio veneto. Questa forte identità si crea durante un lungo periodo, lungo tutto il I millennio a.C., anche se nel tempo subì diverse influenze. Di questa popolazione e identità la documentazione archeologica è particolarmente ricca.[1]
I Paleoveneti si stanziarono inizialmente nell'area tra il Lago di Garda ed i Colli Euganei, allargandosi successivamente fino a raggiungere confini simili a quelli del Veneto attuale, anche se bisogna considerare che la linea di costa del Mar Adriatico è più arretrata rispetto ad oggi. Secondo i ritrovamenti archeologici (che concordano anche con le fonti scritte) i confini occidentali del loro territorio correvano lungo il Lago di Garda, quelli meridionali seguivano una linea che parte dal fiume Tartaro, segue il Po e raggiunge Adria, mentre quelli orientali giungevano fino al Tagliamento, anche se tra questo e l'Isonzo era comunque forte la presenza veneta, tanto che si può parlare di popolazione veneto-illirica.[2] I confini settentrionali erano invece meno definiti e omogenei, ma il territorio veneto risaliva soprattutto i fiumi Adige, Brenta e Piave verso le Alpi, che fungevano comunque da confine naturale. La presenza veneta sulle Alpi è attestata soprattutto nel Cadore.
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[modifica] Etnonimo
Ai Paleoveneti ci si riferisce anche con i termini Veneti, Venetici, Heneti o Eneti. Sebbene nella storiografia, sia antica sia moderna, si impieghi correntemente il termine "Veneti", in opere di carattere non specialistico si ricorre al suffisso "paleo-" (="antico") o all'espressione "Venetici" per distinguere il popolo dell'antichità dagli attuali abitanti della regione italiana del Veneto.[3]
Il nome "Veneti" ricorre frequentemente nelle fonti classiche. Erodoto riporta l'equazione Eneti=Illirici; nell'Europa centrale Tacito localizza i Veneti, i Venedi e i Venedae, distinguendoli dai Sarmati (si trattava probabilmente di un popolo slavo); Pomponio Mela cita il lago di Costanza come Venetus lacus; infine Venetulani sono un popolo laziale scomparso citato da Plinio. La frequenza di questo etnonimo in diverse aree europee non va però spiegato con ipotetici legami storici e linguistici tra i diversi popoli che ne hanno fatto uso, quanto piuttosto un'uguale derivazione, più volte ripetuta, dalla medesima radice indoeuropea *wen ("amare"). I "Veneti" (*wenetoi) sarebbero pertanto gli "amati", o forse gli "amabili", gli "amichevoli" [4]
[modifica] Storia
La storia dei Paleoveneti si può dividere in due momenti: uno antico, che va dalle origini fino al V secolo a.C., in cui è più evidente l'originalità culturale veneta, e uno più recente che va fino al I secolo d.C., che vede prima un influsso celtico, e poi una lenta assimilazione romana.
Nel periodo antico vi erano rapporti culturali con la Civiltà villanoviana, con l'Egeo e l'Oriente, e successivamente anche con gli Etruschi. Nel periodo più recente i Paleoveneti vennero circondati dai Galli: ad ovest si stanziarono i Galli Cenomani (con cui si sarebbero alleati, insieme ai Romani), a sud i Boi e ad est i Carni. Anche all'interno del Veneto vi fu qualche stanziamento di Galli, anche se in minima entità, e senza influenza sul mondo veneto. L'influsso culturale celtico diventò importante, e la cultura veneta lentamente mutò e si adeguò ai tempi. Successivamente divenne sempre più importante il contatto con la civiltà romana, da cui quella veneta venne assimilata.
[modifica] Le origini
[modifica] Il mito nella storiografia romana
Secondo la storiografia romana,[5] i Paleoveneti sarebbero stati una popolazione proveniente dalla Paflagonia, regione dell'Asia Minore sul Mar Nero. Essi furono da lì espulsi, e per questo parteciparono alla Guerra di Troia, dove l'anziano saggio Antenore implorò i troiani stessi di restituire Elena ai Greci. A Troia morì anche il capo degli Eneti (venivano così chiamati), che, senza patria e senza guida, si rivolsero ad Antenore che, dopo varie vicende, approdò sulle coste occidentali del Mar Adriatico settentrionale. Qui la popolazione scacciò gli Euganei, una popolazione di cui oggi non rimangono traccie rilevanti.
Nel racconto di Virgilio,[6] Antenore viene addirittura presentato come fondatore di Padova. Ai Paleoveneti viene associato pure Diomede, eroe divinizzato, il quale avrebbe fondato, oltre a Spina, anche l'importante città portuale di Adria, anche se l'abitato, pur avendo in effetti origini venete, è più conosciuta come emporio greco, come centro etrusco e successivamente gallico.
Plinio il Vecchio parla dei Paleoveneti riferendo ciò che aveva scritto Catone:
(LA)
« Venetos troiana stirpe ortos auctor est Cato »
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(IT)
« Catone attesta che i Veneti discendono dalla stirpe troiana »
|
(Gaio Plinio Secondo, Naturalis Historia, III, 130)
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Strabone invece riporta un'ipotesi diversa,[7] ovvero che i Paleoveneti fossero una popolazione celtica: questo, perché egli era a conoscenza dell'esistenza di una popolazione portante lo stesso nome, i Veneti dell'Armorica (l'odierna Bretagna).[8]
[modifica] Le ipotesi della storiografia moderna
Le fonti antiche concordano nel parlare dei Paleoveneti come di una popolazione giunta nella sua sede storica da una regione orientale, che raggiunse via mare l'Adriatico settentrionale e sbarcò nella costa occidentale; qui respinsero più a nord la popolazione nativa. Se l'ipotesi che vede nei Paleoveneti una popolazione orientale, frazionatasi e dispersasi dopo un'ampia diaspora è abbastanza realistica,[9] non lo è affatto l'ubicazione della loro patria originaria in un'area di cultura greca, e nemmeno la narrazione di uno spostamento via mare.
Per lungo tempo, la storiografia moderna ha accettato l'ipotesi, ispirata ad Erodoto, di una filiazione illirica dei Veneti, che sarebbero quindi stati il ramo più occidentale di quell'insieme di popolazioni indoeuropee. Nelle sue Storie,[10] lo storico greco parla degli Ἔνετοί come di una parte del popolo illirico, stanziata presso l'Adriatico. La tesi dell'illiricità dei Veneti, sostenuta principalmente da Carl Pauli a fine XIX secolo, continuò a essere largamente condivisa anche quando, nella prima metà del XX secolo, Vittore Pisani e Hans Krahe dimostrarono che Erodoto si riferiva in realtà a una tribù illirica stanziata nella Penisola balcanica, e non in area italica.[3]
La ricerca più recente, lavorando principalmente su materiale linguistico, è giunta a escludere una filiazione illirica per i Veneti, secondo quanto proposto già negli anni Quaranta dallo stesso Krahe. Dopo un'iniziale proposta di legare la lingua venetica alle lingue italiche (osco-umbro), si è infine affermato il riconoscimento del venetico come parte della stessa famiglia indoeuropea del latino e del falisco.[11]
La ricerca moderna, in questo modo, si è trovata in sostanziale accordo con quanto sostenuto già dalla storiografia latina: i Paleoveneti condividono con i Latini una comune origine protostorica, anche se non attraverso quel comune legame con l'Antica Grecia (e con Troia in particolare) postulato dai Romani mediante il mito di Antenore. L'insieme indoeuropeo veneto-latino si era formato come gruppo a sé in un'area dell'Europa centrale, probabilmente ubicato entro i confini dell'odierna Germania e parte di un vasto continuum indoeuropeo esteso nell'Europa centro-orientale fin dagli inizi del III millennio a.C..[12] Da qui mosse verso sud nel corso del II millennio a.C., probabilmente intorno al XV secolo a.C.;[13] mentre una parte di queste genti proseguì fino all'odierno Lazio (i Latini), il gruppo che avrebbe dato origine ai Paleoveneti si insediò a nord del Golfo di Venezia e lì si attestò definitivamente.
[modifica] Caratteri dell'insediamento veneto
I migranti che giunsero nell'area veneta dalle regioni nord-orientali erano più probabilmente piccoli gruppi di colonizzatori, piuttosto che un'intera popolazione. Al di là delle questioni sulla loro origine, i Paleoveneti erano di cultura progredita, abili guerrieri e commercianti arrivati alla fine del II millennio a.C. È probabile che i nuovi colonizzatori si siano sovrapposti alle popolazioni nativa (gli Euganei preindoeuropei).[14]
[modifica] L'apogeo (VIII-II secolo a.C.)
I Paleoveneti crearono una cultura unitaria che ebbe il suo massimo sviluppo tra l'VIII e il II secolo a.C., una cultura ben differente rispetto alle altre dell'Italia protostorica. Peculiarità di questa popolazione, presenti in tutto il territorio in cui erano stanziati, erano soprattutto le produzioni bronzee e fittili, le forti credenze religiose, le espressioni artistiche, l'agricoltura, armature e vestiti, lo strutturarsi di nuclei prima protourbani e quindi urbani, e l'allevamento di bestiame. Eccellevano, in particolare, nell'allevamento dei cavalli: al di là dell'esaltazione dei cavalli "veneti" compiuta da Omero nell'Iliade,[15] che faceva riferimento a un popolo che nulla aveva a che fare con i Paleoveneti, la fama di questa loro attività è attestata dal fatto che il tiranno di Siracusa, Dionigi I, aveva voluto importare cavalle venete per creare allevamenti di razza, poiché i destrieri veneti erano molto richiesti per i Giochi Olimpici.[16]
[modifica] L'integrazione nel mondo romano
La regione cispadana era abitata nel III secolo a.C. da numerose popolazioni bellicose - in particolare, i Galli che a partire dal secolo precedente avevano fatto irruzione nella regione - e i Romani si rivolsero, per ottenere aiuto, ai Paleoveneti, poiché li ritenevano consanguinei per via della leggenda di Antenore.[17] Romani e Paleoveneti stabilirono rapporti di amicizia e di alleanza (già nel 283 a.C. il Senato romano aveva stretto un patto con i Paleoveneti ed i Galli Cenomani per rallentare l'invasione gallica). Probabilmente i contatti avevano avuto inizio più anticamente, già nel 390 a.C.: infatti, quando i Galli Senoni di Brenno occuparono la stessa Roma, fu forse proprio grazie ad un azione diversiva dei Paleoveneti che potrebbero essere stati costretti a venire a patti con i Romani.[18]
Nel 225 a.C. i Romani mandarono ambasciatori presso i Paleoveneti ed i Galli Cenomani per stringere un'alleanza contro i Galli Boi e gli Insubri, che minacciavano le frontiere romane, ed essi rimasero dalla parte romana anche durante la Seconda guerra punica, mentre tutte le altre popolazioni galliche si erano schierate con Cartagine,[19]. Al termine della guerra, per poter completare la sottomissione della Gallia cisalpina (Galli e Liguri non accettavano la supremazia romana), Roma cominciò una vera e propria guerra di conquista, sempre sostenuta da Veneti e Cenomani. È probabile che in questo momento storico i Paleoveneti fossero legati ai Romani tramite amicitia, diversamente dai Galli legati a Roma dal foedus: questo legame era utilizzato soprattutto negli Stati ellenistici, e prevedeva la neutralità, che poteva diventare alleanza solo in via eccezionale[20]
I Paleoveneti non appaiono come un popolo bellicoso, e non furono coinvolti in battaglie o guerre importanti. Tuttavia non furono isolati, anzi intrattennero rapporti commerciali e culturali con la vicina Etruria e mutuarono certe caratteristiche artistico-sociali dai mercanti greci delle colonie. Ebbero con Roma rapporti amichevoli e si giovarono dell'aiuto della città laziale per allontanare la minaccia costituita dall'invasione dei Galli: in cambio di protezione, permisero ai Romani di stabilirsi pacificamente nel loro territorio, e in definitiva di colonizzarlo costruendo strade, ponti e villaggi. Il Veneto non venne quindi conquistato con la forza dai Romani, ma fu inglobato pacificamente e, con il tempo, la cultura veneta si perse e venne sostituita (in parte assimilata) dalle usanze di Roma.
[modifica] Società
[modifica] Villaggi e abitazioni
I Paleoveneti si stanziarono dapprima in piccoli villaggi, principalmente tra l'Adige e il Lago di Garda, ma anche nelle zone prealpine della Valbelluna, essendo allora la pianura Padana ricoperta da boschi e zone paludose. Una delle maggiori necropoli venete, perfettamente conservata, si trova infatti a Mel, tra Belluno e Feltre. I centri abitati sorgevano lungo i corsi d'acqua su dossi sabbiosi (dato che la sabbia è molto permeabile e si asciugava velocemente) e sulle colline.[21] I nuovi abitati erano costituiti di poche capanne rettangolari raggruppate e collegate le une alle altre; quando il villaggio si espandeva, si costruivano abitazioni con più ambienti, e con parti riservate ad attività artigiane.
Le case erano formate da pareti con uno scheletro in legno, che veniva solitamente ricoperto di argilla, mentre la base era in pietra, in modo da ridurre l'umidità. I pavimenti erano di argilla battuta, mentre il tetto era di paglia. Il cuore delle abitazioni era il focolare, realizzato da una base di argilla sulla quale erano stesi frammenti di ceramiche e ciottoli (in modo che trattenessero il calore, agendo da isolante); attorno a esso si raggruppava la famiglia. I centri maggiori erano dotati anche di porti: non solo quelli lungo la costa, ma anche quelli situati lungo fiumi con sufficiente portata d'acqua. In quest'ultimo caso veniva scavata una rete di canali, consentendo così l'attracco di barche.[22]
Sempre attorno ai centri più grossi i Paleoveneti iniziarono il disboscamento delle foreste, e si organizzarono in centri abitati sempre più grossi, soprattutto lungo i fiumi Adige, Brenta e Piave. Le maggiori città furono Este, Altino, Padova, Montebelluna, Oppeano e Gazzo Veronese.[23]
Le abitazioni sorte in aree montagnose erano differenti rispetto a quelle costruite in pianura o collina: si trattava di case seminterrate, con fondamenta in pietra ed elevazione in legno, esposte preferibilmente verso sud, in modo da ricevere la maggior quantità possibile di luce e calore.[22]
[modifica] Abbigliamento
Dai reperti archeologici, tra i quali abbondano le rappresentazioni di sacerdoti, capi e notabili, si può inferire che i Paleoveneti portavano grandi mantelli di lana pesante, che venivano appoggiati sulle spalle. Sotto il mantello, donne e uomini portavano una tunica di stoffa (più leggera rispetto al mantello), con maniche che potevano essere lunghe o corte, simili a quelle portate da Romani ed Etruschi. Nelle donne la tunica era spesso trattenuta da un cinturone (il quale veniva utilizzato anche dagli uomini e dai ragazzi), da cui, nella parte inferiore, si formavano delle pieghe. In alcuni casi esse vi sovrapponevano dei grembiuli. Le donne portavano anche, in testa o sulle spalle, uno scialle (o mantellina), simile a quello utilizzato in Veneto (soprattutto a Venezia e nella fascia montana) fino al Novecento.[25] I Paleoveneti portavano anche i cappelli, segni di distinzione e dalla tesa larga e rialzati sui bordi, stivali, utilizzati soprattutto per cavalcare, e calzature a punta. Dalle immagini pervenuteci si può vedere come era usanza maschile radersi il capo.
Sono arrivati sino ad oggi anche numerosi ornamenti del vestiario, come spilloni, pendagli, fibule, collane, braccialetti e orecchini, realizzati anche con materiali preziosi come oro, argento, corallo, ambra e perle.
[modifica] Armi
I guerrieri portavano inizialmente scudi rotondi simili a quelli degli opliti greci, elmi a calotta bassa e con una cresta, e venivano spesso rappresentati con lance a punta larga. Successivamente si diffusero grandi spade, scudi di forma ovoidale ed elmi simili a quelli utilizzati dai Galli.
[modifica] Religione
Non vi sono molte notizie scritte circa la religione veneta, ma sono stati ritrovati numerosi luoghi di culto, necropoli e materiale votivo. I luoghi di culto non erano quasi mai situati in edifici chiusi, ma i riti si svolgevano solitamente in boschi sacri, in luogo libero da vegetazione e circondato da grandi alberi.[26] All'interno si svolgevano processioni con canti e danze sacre, e all'interno di piccole edicole in legno vi erano rappresentazioni sacre. La quantità dei siti fa presumere l'esistenza di una classe sacerdotale, il cui compito era l'accensione dei suochi sacri e i sacrifici animali, oltre a quello di scrivere (la scrittura era un privilegio di pochi).[26]
Nelle necropoli venete si possono distinguere fra i doni modesti dei ceti meno abbienti e quelli dei più ricchi, i quali venivano depositati insieme alle spoglie come corredo funebre. Il corpo del defunto veniva cremato e le ceneri erano poste in apposite urne e, durante la sepoltura, si offrivano alle divinità cibo e bevande (si praticava, dunque, il rito del banchetto funebre).[26] Si è a conoscenza della presenza del culto degli elementi naturali, e in particolare dell'acqua medicamentaria (o per lo meno ritenuta tale), mediante la quale le divinità interveniva dando la guarigione: la cerimonia prevedeva la richiesta di guarigione da parte del malato, una processione e quindi vi erano le offerte a qualche idolo.[26]
Ad Este è stata rinvenuta una lamina da cui si può ricavare il nome di una divinità: Reitia, dea guaritrice, della natura, protettrice delle nascite e dea della fertilità.[26] Essa viene rappresentata con i tipici abiti paleoveneti e con in mano la chiave per aprire la porta dell'aldilà.
[modifica] Lingua
Per approfondire, vedi la voce Lingua venetica. |
La lingua dei Paleoveneti, detta dai linguisti lingua venetica o semplicemente lingua veneta, è documentata da iscrizioni risalenti a un arco di tempo compreso tra il VI e il I secolo a.C. e redatte prima in un alfabeto etruscoide (dal quale differiva per varie aggiunte, per esempio quella della vocale /o/), poi in alfabeto latino (entrambi derivati da quello greco).[27] Questa lingua è di classificazione incerta; tuttavia, condivide numerosi tratti fonetici e morfologici con il latino, tanto da condurre Giacomo Devoto e diversi altri studiosi a ipotizzare una parentela genetica tra i due idiomi, giunti in Italia nel corso di uno stesso movimento migratorio di elementi indoeuropei dall'Europa centrale o centro-orientale.[28]
[modifica] Cultura
[modifica] Arte
Pecularia dei Paleoveneti era la cosiddetta "arte delle situle". Queste situle venivano create tramite la lavorazione del bronzo in lamine, che venivano modellate e ricongiunte a formare non solo situle, ma anche più in generale vasi, coperchi, cinture e foderi di pugnali e spade. Le lamine venivano lavorate a sbalzo, ovvero l’artista batteva la lamina dal rovescio, facendo così sollevare al diritto le forme volute, creando un bassorilievo.
Con i Veneti si passò per la prima volta[29] dalla raffigurazione geometrica a quella di figure naturali e umane, come si può vedere nell'importante Situla Benvenuti. Questa situla, della quale manca la parte inferiore (che terminava in un basso piede svasato), era parte del corredo funebre di una tomba femminile, scoperta nella necropoli Benvenuti. Essa è il primo e più importante esempio di situla con raffigurazioni umane. Sono visibili tre fasce in cui sono rappresentate uomini, attività umane (guerra, gare, commercio) e figure mitologiche.[30]
Gli unici precedenti - soltanto per ciò che riguarda la forma - delle situle venetiche sono manufatti orientali e centro-europei.[29] Per quanto riguarda, invece, i soggetti raffigurati, l'unico precedente è il tintinnabulo della Tomba degli ori di Bologna, del VII secolo a.C.[29] Quest'arte nacque probabilmente in ambito veneto, dove si sviluppò per secoli passando da forme più naturali a forme più artificiose, in un certo senso "barocche".[29] Gli ultimi esempi ad oggi conosciuti di questa arte sono le laminette dei donari.[29]
[modifica] Note
- ^ Alessandra Aspes (ed.), Il Veneto nell'antichità: preistoria e protostoria, p.661.
- ^ Aspes, cit., p.663.
- ^ a b Francisco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa, p. 490.
- ^ Villar, cit., pp. 415-416.
- ^ Aspes, cit., p. 670.
- ^ Virgilio. Eneide. I, 242-249
- ^ Strabone. Geografia. V,3
- ^ Le fonti antiche hanno spesso ipotizzato che i Paleoveneti avessero la stessa origine dei Veneti della Gallia, citati da Cesare. Questa teoria, basata su somiglianze linguistiche superficiali (onomastica), non trova nessuna conferma nei dati linguistici, che anzi escludono una filiazione celtica dei Paleoveneti; cfr. Villar, cit., pp. 415-416.
- ^ Aspes, cit., p.672.
- ^ Erodoto, Storie, I, 196; V, 9.
- ^ Tesi articolata, tra gli altri, da Aldo L. Prosdocimi in Popoli e civiltà dell'Italia antica; cfr. Villar, cit., p. 490.
- ^ Villar, cit., p. 633-634.
- ^ Villar, cit., p. 480.
- ^ Aspes, cit., p.674.
- ^ Omero, Illiade, B 851-852.
- ^ Antichità: i Signori dei cavalli Focus Storia (17).
- ^ Ezio Buchi e Giuliana Cavalieri Manasse (ed.), Il Veneto nell'età romana, pp. 3-4, 52.
- ^ Plutarco. De fortuna Romanorum. 12, 325.
- ^ Buchi-Cavalieri Manasse, cit., p.15.
- ^ Buchi-Cavalieri Manasse, cit., p.20.
- ^ Secondo lo schema, tipicamente indoeuropeo, della "fortezza di collina" (indicata dai latini con il termine "oppidum").
- ^ a b Aspes, cit., p. 678.
- ^ Aspes, cit., p. 675.
- ^ Aspes, cit., p. 681.
- ^ Aspes, cit., pp. 679-680.
- ^ a b c d e Aspes, cit., pp. 680-682-683.
- ^ Aspes, cit., p. 666; Villar, cit., p. 490.
- ^ Villar, cit., pp. 490-491.
- ^ a b c d e Aspes, cit., pp. 683-684-686
- ^ Aspes, cit., pp. 668-669
[modifica] Bibliografia
[modifica] Fonti primarie
- Omero
- Scilace
- Erodoto, Storie
- Sofocle
- Polibio, Historiae, II, 17-24
- Gaio Giulio Cesare, De Bello Gallico
- Strabone, Geographica, IV, 4, 1
- Plinio il Vecchio,
- Tito Livio, Storia di Roma
- Pomponio Mela
- Pompeo Trogo
- Publio Cornelio Tacito, Germania
- Cassio Dione Cocceiano, Historiae Romanae, XXXIX, 40, 1
[modifica] Fonti secondarie
- Alessandra Aspes (a cura di) . Il Veneto nell'antichità: preistoria e protostoria. Verona, Banca popolare di Verona, 1984.
- Annamaria Chieco Bianchi; Michele Tombolani. I Paleoveneti. Padova, Programma, 1988.
- Ezio Buchi; Giuliana Cavalieri Manasse (a cura di) . Il Veneto nell'età romana. Verona, Banca popolare di Verona, 1987.
- Attilio Mastrocinque. Santuari e divinità dei Paleoveneti. Padova, La linea, 1987.
- Giovan Battista Pellegrini; Aldo Prosdocimi. La lingua venetica. Padova, Istituto di glottologia dell'Università di Padova, 1967.
- Aldo Prosdocimi (a cura di) . Popoli e civiltà dell'Italia antica. Roma, 1974.
- Francisco Villar. Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa. Bologna, Il Mulino, 1997. ISBN 8815057080
[modifica] Voci correlate
[modifica] Collegamenti esterni
- Museo archeologico di Mel, con approfondimenti sulla necropoli venetica. URL consultato il 19-03/2008.