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Indipendentismo siciliano - Wikipedia

Indipendentismo siciliano

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Bandiera ufficiale della Regione Siciliana
Bandiera ufficiale della Regione Siciliana

L' indipendentismo siciliano (nnipinnintisimu sicilianu in lingua siciliana), o anche separatismo siciliano, è una corrente politica che propugna l' indipendenza della Sicilia dall' Italia e da qualunque altro Stato in generale. L' indipendentismo siciliano si basa sul principio secondo cui la Sicilia è una nazione che possiede una propria storia, una propria cultura e una propria lingua, e sull'affermazione del fatto che la Sicilia non raggiungerà il suo massimo sviluppo culturale, sociale ed economico, qualora essa continuasse a far parte del sistema statale italiano. Un altro caposaldo di tale corrente politica è la totale avversione per l'associazione a delinquere Cosa Nostra e per qualsiasi organizzazione di stampo mafioso. La mafia viene considerata dagli indipendentisti siciliani come uno strumento di dominio e di oppressione verso il popolo siciliano, utilizzato a propri fini dai popoli esterni alla Sicilia.


Sono presenti diversi partiti che rappresentano in forma esplicita questa corrente politica, come il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia che nel 2004 ha ripreso l'attività del Movimento Indipendentista Siciliano a sessant' anni dalla sua nascita (1943), e il Fronte Nazionale Siciliano di chiara ispirazione socialista e progressista. Mentre il MIS è un movimento che non ha né capi né subordinati e aspira esclusivamente all'indipendenza della Sicilia, il FNS è un vero e proprio partito, con una gerarchia ben definita al suo interno, e pone come obbiettivi non solo l' indipendenza siciliana ma anche il federalismo e il confederalismo. Comunque entrambi i gruppi indipendentisti intendono usare le regole del gioco democratico con l'obiettivo di conseguire, per via pacifica, il diritto all' autodeterminazione della Sicilia come mezzo per arrivare all' indipendenza. Esistono altri partiti o gruppi minori come il Partito del Popolo Siciliano e l' Altra Sicilia-Antudo, che non ammettono una vera e propria indipendenza ma una forte autonomia siciliana, con una politica rivolta ai siciliani all'estero e alla valorizzazione della lingua siciliana e della cultura tradizionale. Un capitolo a parte richiede il gruppo di pressione Terra e Liberazione, nato nel 1984 da una costola del FNS, che punta a una politica di chiara ispirazione marxista e internazionalista.

Vi sono inoltre altri gruppi indipendentisti minori che si appoggiano ai due gruppi maggiori (MIS e FNS), composti prevalentemente da giovani, organizzati in licei o università. Il più importante è il FASG (Fronte d'Azione Siciliano Giovanile) della Provincia di Catania.

L' indipendentismo siciliano attualmente è un movimento pacifico che rifiuta la violenza, ma in passato tale corrente politica ha dato origine a vari gruppi paramilitari e al famigerato EVIS (Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia), guidato in un primo tempo dalla figura leggendaria di Antonio Canepa, professore universitario antifascista ed ex militante del PCI.

Indice

[modifica] Storia dell'Indipendentismo Siciliano

[modifica] Antecedenti dell'Indipendentismo Siciliano

[modifica] Nascita e sviluppo dell'Indipendentismo Siciliano

[modifica] Secolo XIX

Per la prima volta nella storia siciliana il separatismo, e non l'autonomismo, riesce a raggiungere la parte più bassa e povera del popolo. Tutto il secolo XIX è impregnato di ideali indipendentisti e nazionalisti; il popolo spesso organizza rivolte che si tramutano in rivoluzioni non appena coinvolgono la classe borghese dell'isola. La vera novità di questo secolo è l'impulso degli ideali romantici e nazionalisti che rapidamente permettono la nascità in tutta Europa di movimenti più o meno organizzati che promuovono l'idea di nazionalità e di liberazione nazionale. Se nel continente però questi ideali vengono "canalizzati" da una èlite o da una avanguardia borghese che permette di trasformare in fatti e prassi ciò che era un ideale popolare astratto, in Sicilia siamo di fronte a un vero e proprio movimento libero che di rado trova organizzazione e punti di riferimento stabili, anche per colpa di una classe politica che non ha mai saputo interpretare la volontà popolare o non ha saputo approfittare della situazione che poteva esserle favorevole. Questo, insieme alle continue repressioni dei sovrani di turno, spiega il fallimento delle rivoluzioni nazionali e l'intermittenza nel tempo dell'interesse nei confronti degli ideali nazionalisti siciliani.

Sino al 1814, il Regno di Sicilia aveva mantenuto il proprio autogoverno, rappresentato dal Parlamento Siciliano, nonostante l'unione personale (ovvero unico Re per due Regni) con il Regno di Napoli del Re; esso riservava tuttavia maggiori attenzioni verso quest'ultimo, provocando grossi scontenti al popolo siciliano. Nel 1812, il Re Ferdinando I di Borbone, scappando da una Napoli occupata da Napoleone, si rifugia in Sicilia, ove ad attenderlo vi sono gli onori dell'occasione, ma non solo: i Siciliani chiedono a gran voce una Costituzione che sappia garantire una stabilità dello Stato e maggiore certezza di diritto. Spinto indirettamente anche dagli interessi economici che gli inglesi avevano sull'Isola, Ferdinando concede la Costituzione, di chiara ispirazione inglese, che ben presto diverrà esempio di liberalità per i tempi. Nel 1814, però, a seguito del Congresso di Vienna, il Re Ferdinando I di Borbone, compie un vero e proprio colpo di mano: riunisce Regno di Sicilia e Regno di Napoli sotto una sola Corona, cioè quella del neonato Regno delle Due Sicilie, eliminando il Parlamento Siciliano che dichiara de facto decaduto. La monarchia borbonica compie la sua restaurazione, non ripristina l'unione dei regni di Napoli e di Sicilia nello status quo ante 1789, bensì fa un balzo indietro di cinque secoli e mezzo e restaura il regno di Carlo I d'Angiò[1].. L'atto viene visto dalla classe politica siciliana come un affronto verso quello che ininterrottamente, e da circa 700 anni, era stato un regno indipendente a tutti gli effetti. Quasi immediatamente ha inizio una campagna anti-borbonica, accompagnata da una propaganda dell'identità siciliana, soprattutto per voce delle èlites di Palermo. Ciò sfocia, nel 1820, ad una rivoluzione, a Palermo, che porta all'insediamento di un governo provvisorio, dichiaratamente separatista. Tuttavia, la mancata coordinazione delle forze delle varie città siciliane, porta all'indebolimento del potere del governo provvisorio (Messina e Catania osteggiarono la rivendicazione di Palermo a voler governare l'Isola), che ben presto decade sotto i colpi della repressione borbonica. Il fallimento di questa prima rivoluzione tuttavia non scoraggia le forze politiche sicilianiste, che riproveranno circa 20 anni più tardi.

Nel gennaio del 1848, dopo una prolungata crisi economica, a Palermo, a Chiazza dâ Feravecchia, ha inizio una nuova rivoluzione indipendentista, capitanata da Giuseppe La Masa. Dopo sanguinosi scontri, La Masa, al comando dell'esercito popolare, riesce a scacciare la luogotenenza generale e gran parte dell'esercito borbonico dalla Sicilia, costituendo un «comitato generale rivoluzionario» dagli inizi di febbraio. Il comitato generale istituisce un governo provvisorio a Palermo; tra le felicitazioni generali e l'ottimismo, Ruggero Settimo, un liberale moderato appartenente alla nobiltà siciliana, viene nominato presidente. Ma all'ottimismo ben presto succederà la disillusione; le forze politiche in coalizione appaiono infatti assai in contrasto: vi è nutrita presenza di liberali moderati, contrapposta a democratici e a qualche mazziniano.

I campi che accendono la miccia delle rivalità sono soprattutto l'istituzione di una Guardia Nazionale e del suffragio universale, entrambe sostenute soprattutto da Pasquale Calvi, membro democratico del governo. Scarse prese di posizione vi erano soprattutto su che linea di comportamento intraprendere verso il governo di Napoli e la possibilità di prendere o meno parte alla formazione dello Stato Italiano, quest'ultima sostenuta soprattutto dalla minoranza mazziniana. Intanto, nonostante l'appoggio concreto delle città siciliane al governo provvisorio di Settimo, le aree rurali diventano scarsamente controllate, e agitazioni contadine mettono in serie difficoltà le amministrazioni locali, che si ritrovano talvolta a chiedere aiuto all'esercito borbonico per ristabilire l'ordine. La repressione borbonica dell'estate del 1849, contro un governo provvisorio ormai instabile, decretava la fine dell'esperienza del 1848-1849 e la creazione di una frattura totalmente insanabile tra la classe politica siciliana e quella napoletana, gettando di fatto le fondamenta per l'appoggio alla spedizione dei mille, vista inizialmente come "ultima spiaggia" per poter liberarsi dai Borbone.

Ma già pochissimi anni dopo la spedizione dei mille e l'annessione dell'Isola al Regno di Sardegna, scoppiano in tutta l'isola focolai di ribellione contro la dittatura di Garibaldi, lo stato d'assedio imposto dalla marina piemontese e i vari saccheggi a danno di beni pubblici e privati. Nella notte tra il 15 ed il 16 di settembre, circa 4 mila contadini dalle campagne circostanti Palermo, raggiungono la città, la assaltano e spingono la popolazione alla ribellione. Fonti governative, parlano di circa "40 mila uomini in arme". La rivolta, che prende il nome di Rivolta del 7 e mezzo (quanti furono i giorni che durò), è organizzata in gran parte da ex-garibaldini, pentititisi d'aver appoggiato quest'ultimo per le gravi conseguenze portate dal Risorgimento. La marina piemontese, coadiuvata da quella inglese, decide di reprimere la rivolta bombardando la città dal porto: il risultato è una strage di tutti i rivoltosi, ed i sopravvissuti vengono arrestati ed in seguito condannati a morte.

[modifica] Secolo XX

[modifica] Secolo XXI

[modifica] Note

  1. ^ Francesco Renda, Storia della Sicilia dalle origini ai giorni nostri - Vol.II Da Federico III a Garibaldi, Palermo, Sellerio Editore, 2003. ISBN 8838919143 pag. 783


[modifica] Voci correlate

Altre lingue


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