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Eugenio Colorni - Wikipedia

Eugenio Colorni

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Eugenio Colorni (Milano22 aprile 1909 – Roma30 maggio 1944) è stato un filosofo e politico italiano.

Nacque da famiglia di origine ebrea. Il padre Alberto era un commerciante nato a Mantova, la madre Clara Pontecorvo era di famiglia pisana. Oltre che per le sue opere filosofiche, il Colorni ha importanza in quanto uno dei massimi promotori del federalismo europeo: con Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, partecipò alla scrittura del Manifesto di Ventotene di cui curò l'introduzione e la pubblicazione.

Indice

[modifica] Formazione

La sua formazione adolescenziale - come racconta egli stesso nella Malattia filosofica - fu influenzata dal rapporto con i cugini Enrico, Enzo ed Emilio Sereni, tutti più grandi di lui. Fu Enzo, che era convintamente socialista e sionista, ad esercitare una forte influenza ideale e religiosa, tanto da far avvicinare, per breve tempo, il quattordicenne Eugenio, al sionismo.

Durante il liceo - frequentò il Manzoni di Milano - Colorni si appassionò al Breviario di estetica di Benedetto Croce.

Nel 1926 si iscrisse alla facoltà milanese di Lettere e filosofia. Giuseppe Antonio Borgese e Piero Martinetti furono suoi insegnanti prediletti. Col secondo dei due si laureò in filosofia nel 1930 discutendo una tesi su Sviluppo e significato dell'individualismo leibniziano; a Leibniz dedicherà poi gran parte dei suoi studi.

Risale agli anni universitari l'amicizia con Guido Piovene, che sarà giornalista e scrittore, amicizia che però verrà interotta nel 1931 per via di certi articoli antisemiti pubblicati da Piovene su L'Ambrosiano. In quel periodo Colorni partecipò all'attività dei Gruppi goliardici per la libertà di Lelio Basso e Rodolfo Morandi.

Nel 1928, sotto lo pseudonimo di G. Rosenberg, pubblicò su Pietre, la rivista di Basso, un articolo sull'estetica di Roberto Ardigò. Nel 1930 si accostò al gruppo milanese di Giustizia e Libertà; collaborò in seguito col nucleo giellista torinese, che fa capo prima a Leone Ginzburg e poi a Vittorio Foa.

Nel 1931 compì un viaggio di studi a Berlino: oltre ad incontrare Benedetto Croce e discutere con lui, conobbe la giovane ebrea berlinese Ursula Hirschmann, che sposerà nel 1935 e dalla quale avrà tre figlie (Silvia, Renata, Eva). Dal 1931 cominciò a scrivere recensioni e articoli per Il Convegno, La Cultura, Civiltà moderna, Solaria e la Rivista di filosofia di Martinetti. Nel 1932 pubblicò con la società editrice "La Cultura" di Milano uno studio critico a L'estetica di Benedetto Croce.

Tra il 1932 ed il 1933 fu lettore d'italiano all'Università di Marburgo; con l'avvento del nazismo tornò in Italia.

Nel 1933, conclusa la tesi di perfezionamento sulla filosofia giovanile di Leibniz, vinse il concorso per l'insegnamento di storia e filosofia nei licei; dopo una prima assegnazione al liceo Grattoni di Voghera, nel 1934 ottenne la cattedra di filosofia e pedagogia all'istituto magistrale Carducci di Trieste; qui conobbe e frequentò, fra gli altri, Umberto Saba (ritratto poi in Un poeta) ed anche Pier Antonio Quarantotti Gambini, Bruno Pincherle ed Eugenio Curiel.

Nel 1934, nella collana scolastica che Giovanni Gentile diresse per Sansoni, pubblicò una traduzione della Monadologia di Leibniz, preceduta da una lunga introduzione intitolata Esposizione antologica del sistema leibniziano. Come scrive Eugenio Garin, «Leibniz lo costrinse ad affrontare studi di logica e di matematica, a rimettere in discussione il modo stesso di concepire la scienza, e i rapporti fra scienza e filosofia. [...] Ripartì da Kant e dalla problematica kantiana, e meditò sulle conseguenze che la fisica teorica e la psicanalisi potevano avere per la dissoluzione di impostazioni filosofiche tradizionali».

Quando, come si legge in Un poeta, Umberto Saba gli domanderà «Perché fa filosofia?», Colorni concluse: «Da quel giorno, io non faccio più filosofia». «In realtà non era la filosofia che rifiutava, ma un orientamento legato a quell'idealismo di cui erano seguaci [...] Croce come Gentile e Martinetti» (Garin).

[modifica] Attività politica

A partire dal 1935 Colorni intensificò il proprio impegno politico specie in campo antifascista. Quando gli arresti del maggio 1935 annientarono il gruppo torinese di Giustizia e Libertà, prese contatto con il Centro interno socialista creato a Milano nell'estate del 1934 da Rodolfo Morandi, Lelio Basso, Lucio Luzzato, Bruno Maffi e altri.

Nell'aprile del 1937, dopo gli arresti di Luzzato e Morandi, Colorni divenne uno dei principali dirigenti del Centro.

Nell'estate del 1937, in occasione del "IX Congresso internazionale di filosofia", incontrò a Parigi Carlo Rosselli, Angelo Tasca, Pietro Nenni e altri esponenti della direzione del PSI. Con vari pseudonimi, ma soprattutto con quello di Agostini, nel 1936-37 pubblicò importanti articoli su Politica socialista e sul Nuovo Avanti.

L'8 settembre 1938, all'inizio della campagna razziale, fu arrestato a Trieste in quanto ebreo e antifascista militante: nell'ottobre successivo vennero pubblicati contro di lui, sul Piccolo di Trieste e sul Corriere della Sera, alcuni articoli di particolare livore antisemita. Dopo qualche mese di carcere a Varese, fu condannato a cinque anni di confino.

[modifica] Il confino a Ventotene

Dal gennaio 1939 all'ottobre 1941 fu confinato nell'isola di Ventotene, dove proseguì i suoi studi filosofico-scientifici e discusse intensamente con gli amici confinati, Ernesto Rossi, Manlio Rossi Doria e Altiero Spinelli: un'eco fedele di quelle discussioni si ritrova nei sette Dialoghi di Commodo, scritti in collaborazione con Spinelli e pubblicati postumi. È di questo periodo la sua adesione alle idee federaliste, elaborate soprattutto da Spinelli e Rossi (nel 1944, con una sua prefazione, Colorni pubblicherà a Roma il Manifesto di Ventotene, redatto da Rossi e Spinelli nel 1941).

Nell'ottobre del 1941, grazie anche all'intervento di Giovanni Gentile, ottenne di essere trasferito a Melfi, in provincia di Potenza.

Nel 1942, insieme con Ludovico Geymonat, elaborò il progetto di una rivista di metodologia scientifica.

Il 6 maggio 1943 riuscì a fuggire a Roma dove visse latitante. Si dedicò all'organizzazione del PSIUP, nato dalla fusione del PSI col gruppo giovanile del Movimento di unità proletaria. Tra il 27 ed il 28 agosto partecipò a Milano, in casa di Mario Alberto Rollier, alla riunione che diede vita al Movimento federalista europeo. Dopo l'8 settembre svolse a Roma un'intensissima attività nella Resistenza: prese parte alla direzione del PSIUP, fu redattore capo dell'Avanti! e, pur clandestino, s'impegnò a fondo nella ricostruzione della Federazione giovanile socialista e nella creazione della prima brigata partigiana Matteotti.

Il 28 maggio 1944, pochi giorni prima della liberazione di Roma, venne fermato in via Livorno da una pattuglia di militi fascisti della banda Koch: tentò di fuggire, ma fu raggiunto e ferito gravemente da tre colpi di pistola. Trasportato all'Ospedale San Giovanni, morì il 30 maggio sotto la falsa identità di Franco Tanzi.

Nel 1946 fu conferita, alla sua memoria, la medaglia d'oro al valor militare.

[modifica] Bibliografia

[modifica] Fonti

  • Elvira Gencarelli, Profilo politico di Eugenio Colorni, «Mondo Operaio», n. 7, luglio 1974, pp. 49-54
  • Elvira Gencarelli, Eugenio Colorni, voce in Il Movimento Operaio Italiano. Dizionario Biografico, Editori Riuniti, Roma, 1976, vol. II, pp. 74-81
  • Leo Solari, Eugenio Colorni. Ieri e sempre, Marsilio, Venezia, 1980 (oltre a un lungo saggio introduttivo, contiene anche scritti di carattere politico)
  • Norberto Bobbio, Maestri e compagni, Passigli Editori, 1984
  • Massimo Orlandi, Il socialismo federalista di Eugenio Colorni, tesi di laurea (inedita), Università degli studi di Firenze, Anno Accademico 1991-1992
  • Gaetano Arfé, Eugenio Colorni, l'antifascista, l'europeista, in aa.vv., Matteotti, Buozzi, Colorni. Perché vissero, perché vivono, Franco Angeli, Milano, 1996, pp. 58-77
  • Sandro Gerbi, Tempi di malafede. Una storia italiana tra fascismo e dopoguerra. Guido Piovene ed Eugenio Colorni, Einaudi, Torino, 1999
  • Geri Cerchiai, L'itinerario filosofico di Eugenio Colorni, in «Rivista di Storia della Filosofia», n. 3, 2002


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