Revisionismo
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Il termine Revisionismo indica l'atteggiamento di chi sostiene la necessità di correggere opinioni o tesi ritenute correnti o dominanti.
Diversi sono gli esempi di revisionismo:
- nell'ambito della prassi marxista sono qualificati con questo nome i movimenti riformisti della fine del XIX secolo o, nel secondo dopoguerra, chi non si conformava alla leadership dell'URSS
- In politica estera, è la tendenza a rivedere trattati internazionali come per
- nell'ambito della storiografia coloro che reinterpretano eventi opponendosi a teorie consolidate
- In Italia, sono casi di Revisionismo storiografico il dibattito circa la rivoluzione napoletana del 1799, sulle interpretazioni del Risorgimento, sul Brigantaggio e soprattutto sul fascismo.
- impropriamente, e soprattutto a scopo denigratorio, si tende a confondere come tesi naziste o neonaziste quello che è una ricerca storica, secondo la quale lo sterminio premeditato e volontario degli ebrei non sarebbe avvenuto e sarebbe un'invenzione delle potenze alleate per giustificare la debellatio della Germania nel 1945 e la nascita dello Stato di Israele nel 1947. Queste tesi sono contigue (e spesso si sovrappongono) con altre che discutono i problemi della genesi della seconda guerra mondiale e sulle dimensioni, modalità e sull'intenzionalità dell'Olocausto, causando non pochi problemi di ordine etico, legale, politico e metodologico al dibattito nella comunità scientifica.
Indice |
[modifica] Revisionismo della prassi marxista
Per approfondire, vedi la voce Revisionismo del marxismo. |
La parola Revisionismo è utilizzata per indicare una revisione radicale delle idee di Karl Marx e di Friedrich Engels in materia di lotta di classe e di dittatura del proletariato.
In questo senso revisionisti sono i movimenti europei laburista e socialdemocratico che, in opposizione al movimento comunista hanno auspicato sin dal XIX secolo la trasformazione in senso socialista dello Stato borghese nel rispetto delle libertà politiche e nell'accettazione del metodo democratico. Per questa ragione storicamente in campo politico revisionismo è sinonimo di socialismo riformista. Ma esistette pure un revisionismo di sinistra identificabile nel sindacalismo rivoluzionario.
In seguito alla trasformazione marxista-leninista dei movimenti comunisti, revisionismo è diventata anche l'accusa che i partiti comunisti, che fino a tutti gli anni settanta del 1900 si ispiravano alle direttive di Mosca, rivolgevano non solo alla Socialdemocrazia europea ma anche a tutti quei partiti comunisti che non riconoscevano il primato e le direttive del PCUS.
Accuse di revisionismo furono, ad esempio, portate al maresciallo Tito per la sua re-interpretazione del comunismo nel suo paese (l'allora Jugoslavia) ed allo stesso Nikita Khruščёv per il ripudio del principio marxista-leninista della inevitabilità della guerra e l'accettazione della coesistenza pacifica.
[modifica] Revisionismo storiografico
Per approfondire, vedi la voce Revisionismo storico. |
La storia - in quanto scienza umana - quando vede applicato il metodo scientifico alla propria materia è intimamente revisionista.
« ogni storico è un revisionista ma la sua preoccupazione ed il codice deontologico connesso alla sua professionalità gli impongono di operare applicando una appropriata metodologia, di applicare un corretto trattamento delle fonti e di operare analiticamente senza preconcetti. » | |
(Enrico Neami)
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L'uso politico che continuamente viene fatto delle vicende storiche, tuttavia, impone spesso ob torto collo coloriture di fazione alle tesi revisioniste, che per questo spesso non vengono dibattute per il loro intrinseco valore scientifico, ma solo per le ricadute politiche che esse possono avere, in particolare quando queste coincidano con una critica delle basi storico-mitiche di un potere politico costituito. Il primo caso di revisionismo storico in tal senso può essere considerato lo smascheramento della cosiddetta "Donazione di Costantino" ad opera del filologo Lorenzo Valla.
A causa del fatto che analogamente al revisionismo anche alcune correnti di pensiero che negano in tutto o in parte l'olocausto ebraico durante la seconda guerra mondiale "revisionano" in qualche maniera una visione del passato, queste vengono definite "revisionismo dell'olocausto". Tale corrente viene però definita "negazionismo" dai detrattori, ma in realtà bisogna considerare che qualunque revisionismo nega in qualche modo qualcosa introducendo nuove informazioni e spesso sostituendolole a quelle considerate sbagliate, riduttive o di parte.
Secondo diversi critici il negazionismo avrebbe forti affinità con la cosiddetta "teoria (o sindrome) del complotto".
[modifica] Revisionismo della seconda guerra mondiale
Particolare posto nell'ambito del revisionismo scientifico a causa della sua contiguità con varie forme di negazionismo e giustificazionismo è quello che riguarda le origini politiche della Seconda guerra mondiale e le sue conseguenze.
Per approfondire, vedi la voce Revisionismo della seconda guerra mondiale. |
- La critica dei processi di Norimberga. Alcuni revisionisti discutono le basi giuridiche di tali processi e la loro legittimità procedurale. Altri invece si concentrano su aspetti come la presunta falsificazione o la speciosità delle prove prodotte dall'accusa, il fatto che i vincitori avessero commesso crimini paragonabili a quelli degli sconfitti (come i gulag sovietici, i bombardamenti indiscriminati sui civili e l'invasione di nazioni neutrali).
- La "teoria del complotto giudaico". Negli anni cinquanta emersero due argomentazioni che contestavano la responsabilità tedesca della seconda guerra mondiale: la prima sostiene che il Weltjudentum (ebraismo mondiale) aveva dichiarato guerra alla Germania nel 1933, e i nazisti, come partito al governo della nazione, avevano semplicemente risposto alla minaccia; la seconda argomentazione sostiene che, poiché negli anni trenta, sotto la guida di Hitler, la Germania era divenuta una potenza industriale e militare, le potenze occidentali avevano cospirato contro di essa sostenendo la Polonia, e avevano quindi provocato la seconda guerra mondiale.
[modifica] Negazionismo dell'olocausto
Per approfondire, vedi la voce Revisionismo dell'Olocausto. |
« C’è un legame di continuità tra la politica nazista di occultamento delle prove del genocidio e le attività di alcuni presunti storici che da qualche tempo tentano di convincere il mondo che la Shoah sia la “grande impostura del ventesimo secolo”. Secondo questi autori, Auschwitz e le camere a gas naziste non sarebbero altro che un’invenzione della propaganda alleata, di matrice sionista, per estorcere riparazioni di guerra alla Germania sconfitta, allo scopo di finanziare lo stato di Israele. Solitamente ci si riferisce ad essi con l’etichetta di revisionisti (appellativo con cui essi stessi amano autodefinirsi), ma la storiografia ufficiale preferisce chiamarli negazionisti. Il motivo è semplice: mentre ogni storico che si rispetti è revisionista, nel senso che è disposto a rimettere costantemente in gioco le proprie conoscenze acquisite qualora l’evidenza documentaria lo induca a rivedere le sue posizioni, il negazionista è colui che nega l’evidenza storica stessa. Se il progresso scientifico consiste nell’avvicendarsi di paradigmi, allora ogni sostenitore di un nuovo paradigma è revisionista: Copernico era revisionista rispetto al sistema tolemaico, i sostenitori dell’innocenza di Dreyfus erano revisionisti rispetto a coloro che emisero il verdetto di colpevolezza nel 1894, e così via.. » | |
(Valentina Pisanty)
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Il revisionismo sull'Olocausto è un ambito che tende ad assumere caratteristiche scientifiche o antiscientifiche che spesso si confondono e si sovrappongono fra di loro. In genere il revisionismo scientifico tende ad analizzare le fonti e le modalità della persecuzione antiebraica tedesca, senza argomenti preconcetti. Il revisionismo antiscientifico (o parascientifico) invece parte dal presupposto che lo sterminio di milioni di ebrei durante la seconda guerra mondiale non sia mai avvenuto (o sia avvenuto in proporzioni enormemente minori a quanto conclamato) e pertanto viene definito più propriamente negazionismo.
Principale argomento del negazionismo sull olocausto:
- Sull'olocausto, il negazionismo sostiene, con varie argomentazioni, che esso non sarebbe mai avvenuto, pur accettando che una persecuzione vi sia stata, ma sostanzialmente quasi "indolore" fin quando la Germania, devastata dalla guerra, non ha potuto più assicurare cibo e assistenza sanitaria agli internati nei ghetti e nei lager, che avrebbero quindi iniziato a morire in gran copìa, ma sempre in un numero molto inferiore ai 4 o 6 milioni comunemente accettati dalla storiografia ufficiale. [1]
Il "padre del negazionismo" è considerato Paul Rassinier. Il punto focale del movimento revisionista è costituito dall'Institute for Historical Review, dal periodico di tale istituto e dal congresso annuale tenuto e popolato da studiosi tra i quali il direttore dell'istituto Mark Weber, David Irving, Robert Faurisson, Ernst Zundel, Germar Rudolf e David Cole.
Le posizioni scientifiche revisioniste sull'Olocausto invece dividono gli studiosi in due gruppi, chiamati essenzialmente "intenzionalisti" e "funzionalisti"
Per approfondire, vedi la voce Funzionalismo contro intenzionalismo. |
[modifica] Altri negazionismi e loro rapporto col revisionismo storiografico
Esistono anche altri negazionismi, normalmente riguardanti persecuzioni e stermini contro popolazioni minoritarie o sconfitte. In particolare sono oggetto di aspro dibattito le cifre e le modalità di persecuzione degli:
- Armeni durante la grande guerra (da parte dei turchi ottomani e dei curdi)
- Montagnard in Vietnam dopo la riunificazione del Paese (da parte dei vietcong)
- Italiani d'Istria e Dalmazia nel 1943-1947 (da parte degli iugoslavi)
- Tibetani dopo l'occupazione cinese nel 1953 (da parte dei cinesi popolari)
- Tedeschi dei territori passati alla Polonia e dei Sudeti nel 1945 (da parte di polacchi e boemi)
In Turchia, in particolar modo, la legge proibisce di parlare di "genocidio armeno" e punisce come diffusione di notizie false e tendenziose il dibattito e la denuncia circa l'uccisione di un numero di armeni oscillante fra i 700.000 e il milione e mezzo fra 1915 e 1917.
In Italia il dibattito attorno alle cosiddette "foibe" (cavità carsiche nelle quali venivano precipitati i prigionieri dei partigiani iugoslavi, vivi o morti) vede tutt'ora la negazione da parte di alcune parti politiche e degli ambienti allogeni sloveni che vi sia stata l'eliminazione sistematica di 6-12 mila italiani in Istria e Dalmazia, con lo scopo di decapitare la comunità giuliano-dalmata e fiaccare la sua volontà di resistenza all'invasione iugoslava, oppure costringerla (come è avvenuto) all'emigrazione in massa. Secondo gli ambienti negazionisti, nelle "foibe" sarebbero stati celati i cadaveri di alcune centinaia di "criminali fascisti" e "collaborazionisti".
In Germania, il recente annuncio da parte del governo di Berlino di voler dedicare un museo ai cittadini tedeschi espulsi da Slesia, Pomerania e Prussia e dai Sudeti, ha provocato vivaci proteste da parte del governo polacco.
E' importante notare che a differenza del negazionismo dell'olocausto nazista, questi negazionismi si configurano spesso e volentieri non già come "revisionismi", bensì come "storia ufficiale". Il revisionismo storiografico, di conseguenza, risulta essere la loro antitesi, ed è una costante minaccia alla sopravvivenza di questi costrutti ideologici.