Fanny e Alexander
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Fanny e Alexander | |
Titolo originale: | Fanny och Alexander |
Paese: | Svezia/Francia/Germania |
Anno: | 1982 |
Durata: | 197' (cinema), 188' (DVD, 312' (TV)) |
Colore: | colore |
Audio: | sonoro |
Rapporto: | 1,66:1 |
Genere: | drammatico, fantastico |
Regia: | Ingmar Bergman |
Soggetto: | Ingmar Bergman |
Sceneggiatura: | Ingmar Bergman |
Produttore: | Coproduzione: Svenska Filminstitutet, Cinematograph Ab (televisione svedese), Gaumont International (Francia), Svt Drama, Persona Film, Tobis Film Kunst (Germania) |
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Fotografia: | Sven Nykvist |
Montaggio: | Sylvia Ingemarsson |
Musiche: | Daniel Bell, Benjamin Britten, Frans Helmerson, Marianne Jacobs |
Costumi: | Marik Vos |
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Fanny e Alexander è un film del 1982 diretto dal regista svedese Ingmar Bergman.
Nato originariamente come film per la televisione, e licenziato in una prima versione di sei ore studiata per una eventuale suddivisione in puntate, fu convertito in una versione per il cinema di una durata di circa tre ore; i tagli hanno dato adito a qualche critica circa la inattesa apparizione o la repentina "scomparsa" di alcuni personaggi.
Fu un kolossal, la cui costosissima produzione sbilanciò gravemente il "Filminstitutet", istituto cinematografico statale di Svezia, al punto da minacciarne la bancarotta.
Il film vinse 4 premi Oscar su ben 6 nomination; le candidature per il premio al miglior regista ed alla migliore sceneggiatura originale, entrambe riferite a Bergman, non furono coronate da successo, negando al regista l'ultima possibilità di ricevere una statuetta personale per una sua opera.
Indice |
[modifica] Trama
Ambientato nel 1907 in una città della provincia svedese, il film narra le vicende di una agiata famiglia borghese, gli Ekdhal, i cui componenti centralisticamente si riferiscono alla figura forte, a tratti saggia, della nonna Elena, che in gioventù è stata attrice. La famiglia, ma più in generale il mondo intero, sono osservati con gli occhi innocenti e visionari dei due bambini Fanny e Alexander, figli del direttore del teatro locale Oscar. Gli zii Gustaf Adolf e Carl, con le rispettive mogli, completano la cerchia familiare.
Quando la malattia porta alla morte Oscar, la madre di Alexander, Emilie, trova conforto nella religione e finirà per sposare un pastore protestante, Vergérus. La vita di Fanny e Alexander subisce un grande e brusco cambiamento, dalla dimora sontuosa e ricca di giochi dovranno adattarsi alla rigidità e all'austerità della canonica. Alexander non ha più il teatrino di marionette per dare libero sfogo alla sua fantasia, così trae spunto dalle vicende del mondo reale e dalla vita nella canonica, in cui è avvenuto un fatto tragico poco prima del loro arrivo e di cui Alexander dà la sua libera interpretazione. La fantasia e la realtà si confondono scatenando l'ira incontrollata e apparentemente ingiustificata del pastore.
Fanny e Alexander sono ora prigionieri nella canonica tanto che la nonna dovrà organizzare, con l'aiuto del suo amante ebreo, il rapimento dei bambini. Nella notte in cui è nascosto nel magazzino del rigattiere ebreo, Alexander con le sue visioni si interroga sul mistero della vita. Ed infine giunge la liberazione, con la morte accidentale del vescovo in un incendio scoppiato mentre dorme.
Alle vicende di Fanny e Alexander si intrecciano quelle personali degli zii Gustav Adolf e Carl. Il finale si distingue con le parole[1] della nonna Helena che comincia a leggere per Alexander che ha appoggiato la testa sul suo grembo.
« Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile. Il tempo e lo spazio non esistono, l'immaginazione fila e tesse nuovi disegni » |
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[modifica] Analisi del film
[modifica] I connotati autobiografici del film
Il film è fortemente autobiografico e Bergman ricostruì sul set con precisione e amore le cinque stanze della casa di Uppsala e il loro contenuto come atto di riconoscenza dovuto per la persona e per i luoghi dove riusciva ogni tanto a rifugiarsi durante la sua tumultuosa infanzia.
Alexander è quindi Bergman stesso e nonna Helena, interpretata in modo magistrale da Gun Wallgren, giovane per essere una nonna, è la nonna tanto amata dal regista e rappresenta la mamma che avrebbe voluto avere. Il pastore Vergérus, con la sua cattiveria, rappresenta il padre di Bergman, quel padre-padrone che tanto lo ha oppresso e dal cui fantasma non è mai riuscito a liberarsi tanto che alla fine del film il fantasma di Vergérus gli dirà:
« Non ti libererai di me » |
Oscar rappresenta invece il padre che Bergman avrebbe voluto avere, con la sua umanità e la sua passione per il teatro.
Il film può essere letto secondo varie chiavi di lettura perché, come lo definì lo stesso aurore, esso è "un arazzo, un'immensa tappezzeria dove ognuno può scegliere cosa vuol vedere"[2]
[modifica] I temi principali
Il tema del film viene annunciato subito dalle prime inquadrature quando Oscar, rivolgendosi ai teatranti, dice:
« L'unico talento che io ho è quello di amare quel piccolo mondo racchiuso tra le spesse mura di questo edificio e soprattutto mi piacciono le persone che abitano qui in questo piccolo mondo. Fuori di qui c'è il mondo grande e qualche volta capita che il mondo piccolo riesca a rispecchiare il mondo grande tanto da farcelo capire un po' meglio. In ogni modo riusciamo a dare a tutti quelli che vengono qui la possibilità, per qualche minuto, per qualche secondo, di dimenticare il duro mondo che è la fuori. Il nostro teatro è un piccolo spazio fatto di disciplina, di coscienza, di ordine e di amore » |
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Questa apologia dell'arte vista come universo riprende il tema pirandelliano del rapporto tra arte e vita, fra teatro e vita.
Un altro tema che viene ripreso nel film è quello della maschera-persona alla quale si riferiscono Emilie e Vergérius.
Un altro tema dominante è quello della famiglia, la famiglia in sé, l'atmosfera della famiglia che, malgrado i difetti di ciascun membro e dei suoi dolori, può dare la felicità. Oscar prima di morire dirà alla moglie e ai figli:
« Non c'è nulla che possa separarmi da voi né adesso né dopo. Io lo so, lo vedo con estrema chiarezza. Penso che potrò esservi più vicino che in vita. » |
In questo modo Bergman ritorna sul tema della vita e della morte e sembra, in un certo senso, risolvere il suo dubbio sull'esistenza anche se altri personaggi mettono in dubbio la trascendenza.
[modifica] Le tecniche
La fotografia è eccezionale come negli altri film e Bergman usa il colore con maestria alternando il rosso per le scene della famiglia e il grigio, che richiama quasi il bianco e nero, per la casa del vescovo.
La musica riporta in modo funzionale brani del Notturno (musica) op. 27 n. 1 di Chopin, le Suites per violoncello (op. 72, 80 e 87) di Britten e del Quintetto per pianoforte di Schumann.
Gli attori, tutti di estrema bravura, insieme ai tecnici, agli arredatori, ai pittori, ai carpentieri formano una affiatatissima équipe, e come ha scritto il regista stesso nella sua autobiografia[3]:
« C'è una soddisfazione quasi sensuale nel lavorare a contatto con persone forti, autonome e creative... Mi capita di provare una forte nostalgia di tutto e di tutti. Capisco quel che intende dire Fellini quando afferma che il cinema è per lui un modo di vivere... A volte è una particolare fortuna essere regista cinematografico » |
[modifica] Note
- ^ Ingmar Bergman, Fanny e Alexander, 1981
- ^ Ingmar Bergman da una intervista riportata su "Il giorno", 16 ottobre 1982
- ^ Ingmar Bergman, Op. Cit., p. 64
[modifica] Voci correlate
[modifica] Collegamenti esterni
- Scheda su Fanny e Alexander dell'Internet Movie Database
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