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Cosacchi - Wikipedia

Cosacchi

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Un cosacco ucraino. Disegno di Dariusz T. Wielec.
Un cosacco ucraino. Disegno di Dariusz T. Wielec.

I Cosacchi (in russo: Каза́ки, Kazaki; in ucraino: Козаки́, Kozaky; forse dalla parola turco-tartara qazaq', nomade o uomo libero) sono una antica comunità militare, che vive nella steppa dell’Europa dell’Est (Russia meridionale, storicamente Ucraina) e dell’Asia (Siberia e Kazakistan).

Inizialmente con tale termine furono individuate le popolazioni nomadi tartare (mongole) delle steppe della Russia del Sud. Tuttavia, a partire dal XV secolo, il nome fu attribuito a gruppi di slavi (per lo più russi e ucraini) che popolavano i territori che si estendevano lungo il basso corso dei fiumi Don e Dnepr (questi ultimi erano noti come cosacchi dello Zaporož'e); in questo senso, i cosacchi non costituiscono un gruppo etnico in senso proprio. Altre zone di colonizzazione successiva furono la pianura ciscaucasica (bacini dei fiumi Kuban' e Terek), il basso Volga, la steppa del bacino dell'Ural e alcune zone della Siberia orientale nel bacino del fiume Amur.

Il nome cosacco apparirebbe per la prima volta nel 1395, nelle Cronache della Rutenia, ma secondo altri storici solo nel 1444, in un manoscritto russo, per designare soldati mercenari nomadi e liberi (ovverosia non soggetti agli obblighi feudali), che spesso offrivano i loro servigi ai vari principi.

[modifica] Storia

I cosacchi furono il frutto del mescolamento di popolazioni nomadi tartare le cui fila furono via via ingrossate da parte di avventurieri (ukhodniki), contadini e servi della gleba che contavano di sfuggire nella steppa l’autorità dello stato nonché le dure condizioni di vita imposte loro dalla nobiltà feudale, che, oltre ad amministrare, possedeva territori e ogni cosa gravasse su di essi, ivi inclusi villaggi e anime. Questa versione viene contestata da parte di alcuni storici, i quali sostengono che i cosacchi discendano dagli antichi sciti, dai kazari, dagli alani o addirittura dai tartari, dai turcomanni, dai circassi o financo dai kirghizi. Tuttavia, secondo il massimo storico cosacco, Anatolij Aleksandrovich Gordeev, la nascita andrebbe rinvenuta nelle popolazioni russe originariamente deportate come schiavi dai tartari e che ben volentieri in seguito accolsero nelle loro fila avventurieri, contadini e servi della gleba russi in fuga.

I cosacchi erano seminomadi e vivevano di caccia, pesca e scorrerie ed erano costantemente in lotta con i tartari che insistevano sulla stessa area, quantunque non mancassero mescolanze tra le due popolazioni antagoniste. Più tardi i cosacchi svilupparono anche una agricoltura stanziale. I cosacchi erano organizzati in comunità militari e di mestiere rette da un ataman. Tutte le cariche erano di norma elettive e le questioni più rilevanti erano affrontate dall'assemblea della comunità secondo principi di uguaglianza e autonomia assoluta.

I cosacchi guidati da un ideale di vita avventuroso, caratterizzati da una propria cultura e gelosi della propria autonomia, finirono per svolgere il ruolo di difensori della religione ortodossa e dei confini più remoti dell’impero zarista, in specie contro tartari e turchi, nonché quello di pionieri nella conquista di nuovi territori a nome dello Zar.

Appoggiarono inizialmente la rivoluzione russa, schierandosi con l’Armata rossa, probabilmente per reazione alla mutata politica zarista nei loro confronti, ma nel 1918 passarono in gran parte alle forze antibolsceviche (Armate bianche), allorché videro pesantemente minacciate la loro autonomia e le loro prerogative. Con la sconfitta delle forze filozariste molti lasciarono i territori sovietici, in quanto oggetto delle misure di "decosacchizzazione", stabilite il 24 gennaio 1919 dal Comitato centrale del partito comunista bolscevico. Queste presero la forma di deportazioni di massa, di fucilazioni indiscriminate e di impiego nei lavori forzati. Si ritiene che circa 100 mila cosacchi si rifuggiarono all'estero, ingrossando le fila della emigrazione bianca. La politica di "decosacchizzazione" ebbe il suo culmine nel 1925, allorché il plenum del Comitato centrale del Partito comunista bolscevico pose fine alla tutela delle particolarità dei cosacchi e varò misure atte a cancellare quanto restava delle loro tradizioni.

Durante la seconda guerra mondiale essi combatterono tenacemente contro gli invasori delle truppe dell'Asse, tuttavia parte di loro, memori delle politiche di "decosacchizzazione" subite ad opera dei bolscevichi e lusingati dalla prospettiva di riguadagnare la perduta autonomia, passarono nelle fila tedesche, parte nella Wehrmacht e parte nelle Waffen-SS. Gran parte dei volontari cosacchi furono inquadrati nell’armata del generale A.A. Vlassov. Con il deteriorarsi della situazione sul fronte russo, i cosacchi furono ridislocati assieme alle loro famiglie in Carnia e nell’alto Friuli (Operazione Ataman), dove vennero impiegati anche contro le formazioni partigiane italiane e jugoslave, rendendosi però responsabili di violenze pure contro la popolazione civile.

Alla fine del conflitto, arresisi alle truppe britanniche, furono rimpatriati forzatamente o con l'inganno, assieme a mogli e figli, dagli Alleati, in ottemperanza degli accordi intercorsi durante la conferenza di Yalta. Tra essi molti non erano neppure cittadini sovietici, giacché fuoriusciti, come sopra ricordato, negli anni venti. Durante il rimpatrio ebbero luogo diversi episodi di suicidio collettivo. Coloro i quali giunsero a destinazione furono fucilati, impiccati o internati nei gulag, sorte condivisa dai prigionieri di guerra dell'Armata Rossa rimpatriati, giacché Stalin, per questa sola ragione, li considerava traditori (la Duma, il 12 giugno 1992, ha approvato una risoluzione per la riabilitazione dei cosacchi quali vittime dello stalinismo).

Si stima che attualmente i cosacchi siano tra mezzo milione e tre milioni, molti dei quali contadini, mentre altri servono nell’esercito. Pur aspirando all’autonomia, non hanno mai potuto raggiungerla essendo sparpagliati su varie zone della Federazione russa.

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