Città scomparse del Lazio arcaico
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Le città scomparse del Lazio arcaico sono i numerosi centri urbani esistenti nell'antico Latium prima della progressiva conquista da parte di Roma. Le fonti antiche riportano circa cinquanta antichissime comunità, fiorite nel Latium vetus (e alcune nel Latium adiectum) durante l'età del bronzo, in gran parte distrutte o ridotte ai minimi termini nel corso della prima grande espansione territoriale romana dell'età monarchica.
Indice |
[modifica] Introduzione
[modifica] Le città del Latium Vetus sopravvissute alla conquista romana
Solo a partire dalla fine del V secolo a.C., le città conquistate durante la successiva estensione dello stato romano furono non più distrutte, ma annesse politicamente.
Si trattava generalmente delle città più lontane da Roma, alle quali l'espansione romana giunse solo in un'epoca relativamente più recente; esse divennero municipia, sia di diritto romano (optimo iure) che di diritto latino (latini nominis), restando talvolta città importanti fino alla piena età storica, e alcune anche oltre, fino a oggi.
È il caso ad esempio di Tibur (Tivoli), Nomentum (Mentana), Praeneste (Palestrina), Lanuvium (Lanuvio), Velitrae (Velletri), Gabii, Ardea, Aricia (Ariccia), Tusculum (presso Frascati), e anche di Lavinium (Pratica di Mare, presso Pomezia), di cui però rimase attiva e frequentata ancora in età imperiale solo l'area sacra[1].
[modifica] Le città scomparse in seguito alla conquista romana
Le città più numerose, quelle specificamente oggetto di questa voce, invece scomparvero completamente in epoche più o meno arcaiche: si tratta in genere delle più vicine a Roma, che furono conquistate per prime e distrutte, e di esse spesso conosciamo addirittura solamente i nomi, tramandati dalle fonti antiche.
[modifica] Le fonti storiche
[modifica] Plinio il Vecchio
L'elenco più ampio di città scomparse del Lazio arcaico che ci sia stato tramandato è quello fornito da Plinio il Vecchio[2], che cita "53 populi" di cui alla sua epoca (I secolo d.C.) non rimaneva traccia. L'elenco non è tuttavia organico, essendo diviso in due parti: inizialmente vengono citate, senza un ordine preciso, le città del Lazio in generale con il loro nome, mentre di seguito si elencano in ordine alfabetico le popolazioni cittadine dell'area albana, citate con il nome degli abitanti, definiti nell'insieme "populi albenses".
Nelle due liste si riscontrano evidenti discordanze: le città nominate realmente non sono 53, ma 50, e anche inserendo le città scomparse di Apiolae e di Amynclae, citate a parte, la cifra totale non risulta ugualmente. Più probabilmente questo numero deve essere considerato un errore di Plinio. Solo di poche di queste città si è peraltro potuto individuare con una certa sicurezza il sito, e di pochissime esistono tracce più o meno importanti.
Le ultime due città citate da Plinio nel suo primo elenco, Norba e Sulmo (Sermoneta), a differenza di tutte le altre e anche di quelle del suo secondo elenco dei populi albenses, erano situate nel Latium adiectum, a notevole distanza da Roma e dall'area di più antico popolamento atino: la loro distruzione si ebbe solo nell'ambito della guerra civile tra Mario e Silla (I secolo a.C.) e non furono le uniche città del Latium adiectum a scomparire durante l'età repubblicana (come ad esempio nel caso di Fregellae).
Il secondo elenco di Plinio passa in rassegna i cosiddetti "populi albenses", ossia le comunità cittadine che abitavano nella regione del Mons Albanus (oggi Monte Cavo) o nelle zone limitrofe (Colli Albani).
Questi popoli si erano riuniti con gli altri Latini del Latium vetus nella Lega latina, di cui era fulcro il santuario di Giove Albano sul mons Albanus, dove periodicamente si riunivano per celebrare la festa delle feriae latinae, con il sacrificio di un toro bianco, le cui carni venivano quindi ripartite tra i rappresentati delle varie città lì riuniti, consumate in un banchetto comunitario. Alla fine delle celebrazioni una parte di queste carni veniva portata nella propria città da ognuno di questi rappresentanti.
Alcune città elencate da Plinio tra quelle della zona albana non risultano attestate in nessun'altra fonte, e in alcuni casi esistono persino dispute filologiche sulla corretta versione del loro nome.
[modifica] Altre fonti antiche
Dionigi di Alicarnasso nelle Romanae Antiquitates, in cui narra le vicende più antiche della storia di Roma, cita le 29 città della Lega latina che si erano coalizzate contro Roma: contrariamente a Plinio l'elenco comprende sia città in seguito scomparse, sia città ancora esistenti ai suoi tempi.
Anche il geografo Strabone cita il nome di alcune città del Lazio scomparse alla sua epoca (fine del I secolo a.C. - inizi del I secolo d.C.), ma senza fornirne un elenco organico: in particolare nomina[3] Collatia, Antemnae, Fidenae e Labicum come ridotte ai suoi tempi a semplici villaggi o a possedimenti agricoli privati. Cita inoltre Apiolae e Suessa descrivendo l'espansione romana nella pianura Pontina a danno dei Volsci, a cui tali città erano appartenute, mentre di seguito, parlando dello stanziamento degli Equi, cita Alba Longa, implicitamente considerata non più esistente. Tra le città situate presso i Colli Albani nomina Tellenae, che Plinio pochi decenni più tardi elenca tra le città ai suoi tempi scomparse.
Infine lo storico Tito Livio cita a più riprese molte antiche città latine poi scomparse, coinvolte nelle vicende più antiche di Roma, narrate nei primi libri della sua opera Ab Urbe Condita.
[modifica] I resti archeologici
Solo poche delle città scomparse del Lazio arcaico citate dalle fonti sono sufficientemente conosciute anche per i resti archeologici: si tratta essenzialmente di Satricum, Politorium, Tellenae, Ficana, Crustumerium, Corniculum, Antemnae, Collatia, Fidenae, Pedum e Querquetulum. Di altre al contrario, anche quando nelle fonti storiche si riportino numerose notizie, permangono dubbi persino sulla precisa identificazione della località (Alba Longa, Apiolae, Pometia, Corioli).
Qui di seguito saranno passate in rassegna più dettagliatamente le città citate nell'elenco di Plinio, come detto il più completo, per le quali le fonti antiche abbiano tramandato almeno qualche notizia, e la nostra conoscenza non si limiti puramente a un semplice nome.
[modifica] Le città del primo elenco pliniano
[modifica] Antemnae
Per approfondire, vedi la voce Antemnae. |
[modifica] Collatia
Collatia è collocata da Strabone a circa trenta stadi da Roma e viene citata tra le antiche città del Lazio ridotte all’epoca dell’autore a semplici villaggi o tenute agricole. Il sito esatto della città non è stato indentificato con certezza: secondo alcune ipotesi potrebbe essersi trovata presso l'attuale località di Lunghezza, a est di Roma, dove sono stati effettivamente scoperti i resti di un'antica città. Tale ipotesi risulta avvalorata dalla presenza di una strada consolare chiamata Via Collatina (tuttora esistente e regolarmente percorsa dalle auto) che termina proprio a Lunghezza; secondo una antica usanza alcune strade consolari romane prendevano il nome dalla località dove terminavano: ad esempio Via Ardeatina termina ad Ardea, Via Anagnina ad Anagni, Tuscolana a Tuscolo (oggi Frascati).
Secondo la tradizione sarebbe stata una colonia di Alba Longa, fondata dal re latino Silvio, discendente di Enea, e avrebbe dato i natali a Lucio Tarquinio Collatino, semileggendario protagonista delle vicende legate alla nascita della repubblica a Roma.
[modifica] Corniculum
Corniculum è stata localizzata nella posizione dell'attuale località di Montecelio, nei Monti Cornicolani, a cui avrebbe dato il nome.
La città venne conquistata e distrutta da Tarquinio Prisco[4]. Secondo la tradizione era la città natale di Ocresia, la madre di Servio Tullio; sarebbe stata la moglie o la figlia del re della città, catturata come schiava al momento della sua distruzione.
Presso Montecelio sono stati ritrovati vari materiali risalenti all'età del ferro e frammenti ceramici del VII-VI secolo a.C., che per alcuni hanno suffragato l'identificazione della città.
[modifica] Crustumerium
Crustrumerium o Crustumeria è stata identificata con il centro antico scavato nella località della Marcigliana, nella zona a nord di Roma, lungo la via Salaria presso Monterotondo.
Nelle citazioni delle fonte antiche il nome presenta diverse varianti: Tito Livio la nomina sia come Crustumeria[5], che come Crustumerium[6], mentre sono forme poetiche dovute a ragioni metriche le varienti citate da Virgilio (Crustumeri[7]) e da Silio Italico (Crustumium[8]). La città dava inoltre il nome alla campagna circostante, detta ager Crustuminus.
Virgilio in particolare la nomina nell’Eneide tra le cinque città impegnate nella fabbricazione delle armi che le popolazioni dell'Italia centrale dovevano usare per combattere Enea[9]; Tito Livio la menziona nell'episodio del ratto delle sabine[10].
Le fonti la attribuiscono sia ai Latini che ai Sabini: secondo Diodoro Siculo sarebbe stata fondata da Alba Longa, mentre secondo Plutarco era una città sabina.
Sia Tito Livio[11] che Dionigi di Alicarnasso ne riportano la conquista da parte di Romolo, che ne avrebbe fatto in seguito una colonia romana, mentre la distruzione definitiva della città dovette avvenire alla fine del VI secolo a.C.[12], con il trasferimento della popolazione a Roma e la creazione della nuova tribù Crustumina.
Gli scavi condotti nella città, nella Riserva naturale della Marcigliana, hanno portato alla luce resti di fortificazioni e numerose tombe di grande interesse, con corredi risalenti fino all'età del bronzo e comprendenti vasi greci a figure rosse di notevole qualità.
Gli scavi, inoltre, hanno permesso di appurare che la città occupava un'area di 60 ettari.
[modifica] Ficana
Ficana era collocata sulla sponda sinistra del fiume Tevere, presso l'attuale Acilia, sulle piccole alture del monte Cugno, oggi ridotto a una collinetta, ma un tempo più scosceso e posto a dominare strategicamente il fiume. La località è stata scavata e il rinvenimento di un'epigrafe ha consentito di identificarla con sicurezza con l'antica Ficana.
Secondo il racconto di Dionigi di Alicarnasso sarebbe stata distrutta una prima volta, insieme a Politorium e a Tellenae, dal re di Roma Anco Marzio, nel corso delle sue conquiste in direzione del mare durante il VII secolo a.C. e la popolazione sarebbe stata trasferita sull'Aventino. Ripopolata due anni dopo da popolazioni latine sarebbe stata definitivamente distrutta, abbattendone le mura e incendiando gli edifici superstiti.
I resti archeologici tuttavia testimoniano una realtà diversa: proprio nel corso del VI secolo a.C., dopo la conquista romana, l'abitato raggiunse la massima espansione, decadendo invece rapidamente tra il IV e il III secolo a.C., in corrispondenza con lo sviluppo di Ostia, fino ad essere del tutto scomparsa in epoca augustea.
Gli scavi condotti a monte Cugno hanno riportato alla luce un muro di cinta con delle abitazioni e una necropoli. Tra i materiali dei corredi funeari si trovano diverse anfore con alto collo, spalla pronunciata e ricca decorazione sia plastica che incisa, di una tipologia attestata esclusivamente nel Latium vetus nel corso del VII secolo a.C. questi oggetti sono chiara testimonianza di una grande ricchezza e di una cultura materiale raffinata.
[modifica] Politorium
Politorium è stata identificata con il centro arcaico rinvenuto negli scavi della località di Castel di Decima, nella periferia sud-est di Roma. Manca tuttavia una conferma epigrafica che confermi con certezza la localizzazione.
I riferimenti alla città nelle fonti antiche sono numerosi: Catone, nelle Origines[13] parlava della sua fondazione, mentre Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso[14] la citano parlando della sua conquista e distruzione ad opera del re di Roma Anco Marzio, che ne avrebbe trasferito la popolazione sull'Aventino.
Politorium fu dunque probabilmente conquistata e distrutta nel corso della prima espansione di Roma verso il mare nel VII secolo a.C.., che portò alla caduta anche di Tellenae e di Ficana e che sarebbe culminata nella fondazione di Ostia, attribuita dalla tradizione allo stesso Anco Marzio.
Negli scavi di Castel di Decima sono stati riportati alla luce i resti delle fortificazioni della città ma soprattutto una necropoli principesca che ha restituito un alto numero di corredi. Tra i più importanti oggetti rinvenuti si segnalano alcune ceramiche, tra le quali spicca un prezioso bicchiere corinzio trovato in una tomba maschile, che essendo databile con sufficiente precisione (ultimi anni dell'VIII secolo a.C.) consente di avere un appiglio cronologico abbastanza certo per situare nel tempo la città; esso testimonia inoltre l'esistenza di rapporti culturali e commerciali con il mondo greco. I rapporti erano ovviamente intensi anche con il limitrofo mondo etrusco, come testimonia per esempio un askos a ciambella di tipo greco, ma probabilmente di fabbricazione etrusca. Tra i rinvenimenti più notevoli è compresa infine un'olla di impasto rosso, con protomi di grifone applicate sulla spalla: questo vaso da banchetto, rinvenuto in una tomba femminile, era destinato a contenere il vino e nella sua tipologia imita chiaramente dei modelli orientali di bronzo, testimoniando quanto la cultura materiale di questa città fosse in quel periodo evoluta e raffinata.
[modifica] Satricum
Satricum era un'importante città latina situata presso il fiume Astura, non lontano da Anzio (attuale località "Le Ferriere"), riportata al primo posto nella prima lista di Plinio.
In età arcaica fu probabilmente la seconda città più grande del Latium Vetus dopo Alba Longa. Occupata nel IV secolo a.C. dai Volsci, fu incendiata e distrutta una prima volta dai Latini nel 377 a.C. e poi nuovamente distrutta dai Romani nel 346 a.C.[15].. Dionigi di Alicarnasso la cita nell'ambito delle 29 città latine alleate contro Roma[16].
Era sede di un'importante santuario dedicato alla Mater Matuta, che rimase frequentato anche dopo la distruzione della città, almeno fino al II secolo a.C. Il santuario era sede inizialmente di un culto praticato all'aperto, sull'acropoli cittadina. Nel VI secolo a.C. venne eretto un primo tempio, sostituito da secondo edificio di maggiore ampiezza nel V secolo a.C., che continuò ad essere restaurato nei secoli successivi e del quale restano importanti resti.
Il sito è stato oggetto di scavi che hanno interessato l'abitato antico, con il santuario della Mater Matuta, e la necropoli, riportando alla luce una grande quantità di oggetti, tra cui spiccano alcune stipi votive del santuario, e una nota epigrafe in latino arcaico (vedi: Testi latini arcaici).
[modifica] Suessa Pometia
Pometia o Suessa Pometia[17] è citata da numerosi autori antichi[18], ma rimane priva di precisa localizzazione: la moderna città di Pomezia, fondata negli anni trenta del XX secolo, ne riprende infatti solo il nome.
Tito Livio e Strabone attestano che era volsca quando fu conquistata da parte del re di Roma Tarquinio il Superbo[19]. In seguito la città si consegnò agli Aurunci e quindi fu nuovamente presa dai Romani nei primi anni della repubblica. Le successive vicende sono ignote; la città scomparve senza lasciare traccia.
Sulla sua collocazione sono state formulate diverse ipotesi: alcuni la collocano nell'Agro pontino, che avrebbe ripreso il nome proprio dalla città (ager Pomentinus ovvero territorio di Pometia), in direzione dei Colli Albani, mentre secondo altri sarebbe identificabile con Satricum; questa sarebbe stata quindi una sola città, che avrebbe avuto il nome aurunco di Suessa (cfr. la città, pure aurunca, di Suessa Aurunca), quello volsco di Satricum e infine quello latino di Pometia[20].
[modifica] Tellenae
Tellenae è stata identificata con il centro a cui apparteneva una necropoli rinvenuta dagli scavi presso la località di Trigoria, lungo l'attuale via Laurentina, nella periferia sud-orientale di Roma. Anche in questo caso mancano comunque conferme epigrafiche per l'identificazione.
Strabone[21] la cita come prossima ai Colli Albani e il sito in questione si trova proprio in una zona collinare prossima all'area albana. L’autore non specifica peraltro che alla sua epoca fosse scomparsa, ma si può supporre che fosse ridotta a un villaggio insignificante, e pochi decenni più tardi, ai tempi di Plinio, poteva risultare effettivamente abbandonata del tutto.
Come per Politorium, Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso[22] ne riportano la distruzione ad opera di Anco Marzio durante l'espansione di Roma verso il mare nel VII secolo a.C., mentre la popolazione sarebbe stata trasferita sull'Aventino.
[modifica] Altre città del primo elenco pliniano
- Amitinum era un centro situato a est di Roma, sui monti Cornicolani, presso Corniculum, come sembra attestato dal rinvenimento di un'epigrafe[23] che cita un "pagus amentinus".
- Antipoli è un enigmatico nome che si riferisce forse a un insediamento arcaico situato sul Gianicolo. Questo colle nell’età più antica non era compreso all’interno della città di Roma, ma fu inserito solo successivamente, anche perché costituiva un importante baluardo strategico [24].
- Caenina si sarebbe trovata nelle strette vicinanze della Roma più arcaica[25] e secondo la leggenda sarebbe stata distrutta da Romolo, dopo averne ucciso il re Acro in un duello.
- Camerium, detta anche Cameria, era una città latina situata a nord-est di Roma; è citata da varie fonti riguardanti l'età monarchica[26]. Dionigi di Alicarnasso tramanda che fu conquistata e distrutta nel 502 a.C.[27].
- Medullum o Medullia secondo alcune ipotesi[28], si sarebbe trovata presso l'attuale Sant'Angelo Romano, sulla riva destra del fiume Aniene. Si tratta tuttavia di teorie prive di grande fondamento. Venne presto conquistata dai Romani [29].
- Saturnia è un altro nome assai enigmatico: potrebbe riferirsi a un insediamento di estrema antichità, situato su un’area occupata più tardi dalla stessa città di Roma: secondo Varrone[30] si sarebbe trovata sul Campidoglio, ai piedi del quale sarebbe esistito un santuario dedicato al dio Saturno, mentre Ovidio nei Fasti [31] attribuisce il nome a Roma stessa. Su questa base si è ipotizzata una connessione con il "nome segreto" di Roma, sulla presunta e misteriosa esistenza del quale ci informano varie fonti antiche. Si sarebbe trattato di un nome rituale, la conoscenza del quale sarebbe dovuta restare nota solo ai sacerdoti di rango più elevato; doveva rimanere segreto per evitare che, pronunciato a sproposito, attirasse la sventura sulla città. Si pensa che la dea Angerona avesse tra le sue funzioni anche quella di proteggere la segretezza di tale nome. Tuttavia, che questo nome fosse proprio "Saturnia" resta pura speculazione.
- Scaptia secondo Tito Livio [32] avrebbe dato il suo nome alla tribù Scaptia. Per la sua collocazione si è ipotizzata la piana sottostante Tivoli, oppure l'attuale Passerano [33].
- Tifata, di ignota collocazione, avrebbe dato il nome alla "curia Tifata", istituita secondo la tradizione all'epoca di Romolo[34].
[modifica] Le città elencate tra i populi albenses
[modifica] Alba Longa
Per approfondire, vedi la voce Alba Longa. |
Gli Albani sono il primo popolo citato nell'elenco pliniano. Alba fu con ogni probabilità la città principale e più grande di tutto il Latium Vetus per tutta l'età arcaica, al centro della regione e sede santuario federale; la città dava inoltre il suo nome al monte soprastante (il mons Albanus, oggi Monte Cavo) e al lago sottostante (il lacus Albanus, oggi lago di Albano).
Alba è indissolubilmente legata alle leggende più antiche riguardanti la fondazione di Roma[35] e i suoi primi secoli di vita. Sarebbe stata fondata da Ascanio, figlio di Enea, trent'anni dopo la fondazione di Lavinium. Dalla sua casa regnante sarebbe provenuto il fondatore eponimo di Roma, Romolo. Secondo la tradizione, quando a Roma era re Tullo Ostilio, nella prima metà del VII secolo a.C., le due città avrebbero iniziato ad avere rapporti conflittuali tra loro e Alba sarebbe stata alla fine distrutta dai Romani. Strabone [36] accenna a questi fatti e aggiunge che durante la distruzione il santuario della città sarebbe stato risparmiato e, dopo la fine della città gli Albani sarebbero stati dichiarati cittadini romani.
Il sito esatto della città antica non si è potuto ancora identificare con certezza: esistono ipotesi che l'identificano con l'attuale Castel Gandolfo, sulle pendici del Monte Cavo. Al momento della sua scomparsa conservava ancora probabilmente il carattere di abitato sparso. La memoria del nome rimase tuttavia viva: quando Settimio Severo ricavò dalla grande villa costruita da Domiziano in quello che era stato il circondario di Alba, un accampamento destinato ad accogliere la II Legio Partica, esso fu chiamato "Castra Albana", e da esso si sviluppò nella tarda antichità la città di Albano Laziale.
[modifica] Corioli
Città latina, di incerta ubicazione; probabilmente situata presso le pendici sud-ovest dei Colli Albani presso l'odierna Cecchina e non lontano da Lanuvium, fu conquistata dai Volscii nella prima metà del V secolo a.C..
La città è legata alle vicende dell'eroe romano Coriolano, che da essa riprese il suo cognomen.
[modifica] Fidenae
A differenza delle precedenti, è una città la cui ubicazione è determinabile con una certa precisione, e va detto che sebbene venga inclusa da Plinio nel novero delle comunità albane, aveva in realtà un'ubicazione del tutto diversa, ossia a poche miglia a nord di Roma.
Il sito è localizzabile presso l'attuale Villa Spada, lungo la via Salaria, ed è attualmente parte della periferia della capitale.
Secondo la tradizione sarebbe stata fondata da Alba Longa. Per lungo tempo fu contesa tra Roma e gli Etruschi di Veio; successivamente entrò in conflitto con Roma e fu da essa distrutta. Anche per Fidenae, come per altre antiche città scomparse, la distruzione non fu in realtà completa, ma il saccheggio e la devastazione le arrecarono un colpo così duro da farla decadere irreversibilmente e ridurla a un semplice villaggio[37].
[modifica] Pedum
Una delle più importanti città della Lega Latina, era situata tra Tibur e Praeneste, presso l'odierna Gallicano nel Lazio.
Venne conquistata dai Romani prima ad opera di Coriolano[38] e quindi definitivamente nel 338 a.C. In seguito decadde.
[modifica] Querquetulum
Citata anche da Dionigi di Alicarnasso[39], è dai più identificata con l'attuale Corcolle, tra Tivoli e Gallicano nel Lazio. Nel nome stesso di questo piccolo villaggio peraltro si potrebbe intravedere una abbastanza probabile sopravvivenza dell'antico.
Nelle vicinanze di Corcolle sono venuti alla luce dei materiali dall'età del ferro fino al II secolo a.C., tra cui oggetti votivi riferibili a un tempio connesso con una fonte.
[modifica] Altre città dell’elenco dei Populi Albenses
- Bola, città degli Equi situata tra Labicum e Praeneste, citata da Virgilio nell'Eneide[40] e chiamata Bolae da Livio[41].
- Tolerium, di incerta localizzazione, forse nei pressi di Praeneste[42]. Fece parte della Lega latina[43] e viene citata a proposito dell'episodio di Coriolano[44]. Scomparve probabilmente alla metà del V secolo a.C.
- Vitellia, o Vetelia, si trovava sul confine tra Latini ed Equi e viene citata da Svetonio[45] a proposito delle origini dell'imperatore Vitellio, a causa della somiglianza del nome.
[modifica] Città menzionate al di fuori delle due liste pliniane
[modifica] Apiolae
Apiolae si trovava probabilmente nella pianura Pontina, forse non lontanto dalle pendici dei Colli Albani, al confine tra Latini e Volsci.
Le fonti fanno intuire che la città fosse a lungo contesa. Viene menzionata da Plinio il Vecchio al di fuori delle due liste delle città scomparse del Lazio[46], sulla base di informazioni attribuite a Valerio Anziate; inoltre è citata da Strabone[47] come antica città volsca.
Sarebbe stata conquistata dal re di Roma Tarquinio Prisco[48] e con il bottino ricavato secondo alcune fonti si sarebbe iniziata l'edificazione del tempio di Giove Capitolino, mentre secondo altri si sarebbe finanziata la celebrazione di splendidi giochi[49]. La popolazione sarebbe stata trasferita sull'Aventino.
[modifica] Note
- ^ Strabone (Strab., V, 3, 5) dice che il santuario era amministrato dagli Ardeati attraverso loro addetti.
- ^ Plin., Naturalis Historia, III, 68 e 69
- ^ Strab., V. 3,2
- ^ Liv., I,38 e 39; Dion.Hal., III,50 e IV,1; Ov., Fasti VI,627-628 e seguenti
- ^ Livi., II,19
- ^ Liv., I,38
- ^ Verg., Aen. VII, 631
- ^ Sil. VIII,367
- ^ Verg., Aen. VII, 629-631
- ^ Liv., I,9 e 11
- ^ Liv., I,38
- ^ Liv., II,19
- ^ Cato, Orig. 54P
- ^ Liv., I,33; Dion.Hal. III,37-38 e 43
- ^ Liv. VI,33 e VII,27
- ^ Dion.Hal. V, 61
- ^ Strabo, (V,3,4)
- ^ Cato, Orig. 58,P ;Cic., Rep. II,44; Dion.Hal. IV,50 e VI,29
- ^ Liv. I,53; Strab. V,231
- ^ L'ipotesi è sostenuta da Conrad Michael Stibbe e da Filippo Coarelli
- ^ Strabone, V.3,4
- ^ Liv. I,33; Dion.Hal. III,38
- ^ CIL VI,251
- ^ Liv. I,33; Cass.Dio., XXXVII,23.
- ^ Festo, 39 L
- ^ Liv. I,38; Dion.Hal. II,50; III,51; Plut., Rom. 24
- ^ Dion.Hal. V,21,40 e 49
- ^ L'ipotetica localizzazione è sostenuta da Hubert Zehnacker
- ^ Livio, I,33 e 38; Dionigi di Alicarnasso, II,36; III,1,34
- ^ Var. L.L. V,42; vedi anche Dionigi di Alicarnasso, I,34; II,1 e Festo, 430 L
- ^ Ov., Fasti, VI,31
- ^ Liv. VIII,17
- ^ Secondo un'ipotesi formulata da Hubert Zehnacker
- ^ La notizia è tramandata dallo Pseudo-Festo (503 L).
- ^ Ver., Aen. I,271; Liv. I,29-30
- ^ Strab. V, 3,4
- ^ Strab., Cic., Leg.Agr. II,96; Hor., Epist. I,11,8
- ^ Liv. II,39; Dion.Hal. VIII,19 e 26; Plut., Cor. 28
- ^ Dion.Hal. V,61
- ^ Ver., Aen. VI,775
- ^ Liv. IV,49
- ^ Dionigi di Alicarnasso la cita in un passo (VIII,26) insieme a Pedum e probabilmente nella vicinanze di essa
- ^ Dion.Hal., V,61
- ^ Dion.Hal. VIII,17; Plut., Cor. 28)
- ^ Svet., Vit. 1
- ^ Plin., Nat.Hist. III, 70
- ^ Strab. V,3,4
- ^ Dion.Hal. III,49
- ^ Liv. I,35
[modifica] Voci correlate
- Portale Antica Roma: accedi alle voci di Wikipedia che parlano di Antica Roma