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Testi latini arcaici - Wikipedia

Testi latini arcaici

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

I testi latini arcaici sono i testi latini, rinvenuti per via epigrafica su vari supporti, oppure tramandati per via letteraria, che risalgono a un'epoca compresa tra gli inizi documentati della lingua latina e la fine del III secolo a.C.

Si tratta di testi di vario genere, alcuni definibili "protoletterari", altri di carattere puramente occasionale. Comunque dell'insieme di questi testi non fanno parte le prime opere della letteratura latina, che si fa iniziare con Livio Andronico nella prima metà del III secolo a.C.. A differenza di queste ultime, pervenuteci in frammenti, i testi latini arcaici propriamente detti testimoniano in modo più o meno fedele le fasi linguistiche più arcaiche del latino; le prime opere letterarie invece hanno subito nel corso dei secoli successivi un generale processo di "normalizzazione" linguistica in senso classico.

L'arco cronologico di queste attestazioni non si spinge oltre il 150 a.C., ritenuta solitamente la data approssimativa dell'inizio della fase classica della lingua latina.

Indice

[modifica] “Vaso di Dueno”

Si tratta probabilmente del più antico testo latino superstite in assoluto, risalendo al VII secolo a.C.

Fu trovato a Roma nel 1880, inciso su un vaso. Il testo è strutturato in tre versi scritti con scrittura sinistrorsa.

La definizione di "vaso di Dueno" è comunque imprecisa, poiché si tratta non di uno, ma di tre vasetti d'argilla collegati tra loro in un'unica struttura.

L'interpretazione del testo è poco chiara; anche la spiegazione del termine "Duenos" è problematica, forse si tratta del nome proprio del vasaio, forse vale come riconoscimento delle sue capacità artistiche (in questo caso dunque Duenos = Bonus) e pertanto ha valore aggettivale.

[modifica] Testo

iouesat deiuos qoi med mitat nei ted endo cosmis uirco sied

asted noisi ope toitesiai pakari uois

duenos med feked en manom einom duenoi ne med malo statod

[modifica] Possibile interpretazione

Colui che mi invia scongiura gli dei che le fanciulle non ti concedano favori

se non vuoi essere soddisfatto per opera di Tutera.

Un buono mi ha fatto fare a fin di bene e per un buono non sia un male porgermi.

[modifica] Lapis niger

Riporta un testo frammentario in scrittura bustrofedica, anch'esso di difficile interpretazione; potrebbe trattarsi di una formula di prescrizione d'accesso ad un luogo sacro conservato nel Foro romano.

Da notare sono anche qui alcune forme che permettono di osservare le fasi arcaiche di termini presenti anche nel latino classico: es. "sakros" = "sacer".

[modifica] Testo

quoiho °(

) sakros:es

edsord(

)°a(°)°as

recei:°°(

)euam

quos:re(

)m:kalato

rem:ha °(

od:iouxmen

ta:kapia:dotau(

m:i:te:ri °(

)m:quoìha

uelod:nequ(

)iod:iouestod

loiuquiod

[modifica] Possibile resa in latino classico

Qui hunc lapidem rupsit violassit, is lovis sacer erit. Sordis qui faxit, asses CCC multae erunt... Regi multae exactio erti. Cum rex ducet in rem divam, quos rex ducet augures, ii iubeant suum kalatorem haec kalare. "Si quis cum iumentis veniat, ex iugo iumenta capiat, donec rex augures suum iter rite pergant". Si iumento ceciderit quid sordium alieni alvo, neque saluto, vitio fiet, si saluto, auspicio iusto liquido (fiet).

[modifica] Traduzione

Chi romperà o profanerà questa pietra sarà vittima di Giove. Per chi farà lordume, la multa sarà di trecento assi... L'esazione della multa competerà al re. Quando il re li guiderà al rito, gli auguri condotti ordinino al suo banditore di bandire questi ordini: se qualcuno giunge con giumenti, prenda i giumenti dal giogo, finché re ed auguri proseguano, secondo il rito, il loro cammino. Se dal ventre di un giumento cadrà lordume e non sarà disciolto sarà colpa, se sciolto, sarà di retto auspicio sicuramente.

(interpretazione, trascrizione in latino classico, traduzione Gianotti)

[modifica] Lapis Satricanus

[modifica] Testo

...iei steterai Popliosio Valesiosio

suodales Mamartei...

[modifica] Traduzione

...i compagni di Publio Valerio

dedicarono a Marte...

[modifica] Carmen Saliare

Questo carme era intonato dal collegio dei Salii nel mese di marzo e di ottobre, in onore del dio della luce.

È da datare intorno al VI sec. a.C., ma ci è stato tramandato per via letteraria da Varrone (De lingua latina VII, par 26-27). Altre attestazioni del carmen sono rintracciabili nel grammatico Terenzio Scauro (De orthographia) e in Festo.

Nella stessa opera Varrone ci fornisce notizie sulla nascita di questo collegio sacerdotale, sulle sue funzioni e la sua struttura.

Esso si sarebbe costituito in un'epoca antichissima per impedire il trafugamento di uno scudo sacro caduto dal cielo, che i Salii presero sotto la propria custodia. A tal fine fecero forgiare dal fabbro Mamurio Veturio undici scudi, e il dodicesimo di origine divina sarebbe rimasto mimetizzato tra gli altri.

I sacerdoti erano 24 distinti in 12 palatini e 12 collini, così definiti dal luogo dove avevano sede i rispettivi luoghi di culto (il Palatino ed il Quirinale). La loro carica era a vita e potevano essere rimossi solo in caso di elezione a pretori, consoli, flamini.

Il termine "Salii" è riconducibile al verbo "salire" = "saltare", forse in riferimento alle danze rituali che i sacerdoti praticavano.

Nel testo è da notare soprattutto la forma "tremonti": si tratta dell'unica attestazione documentata nella lingua latina di una desinenza primaria indoeuropea (-nti). In latino classico si generalizzò uniformemente l'uso delle sole desinenze secondarie (-nt).

Interessante è inoltre anche l'attestazione della forma di infinito "tonase", senza rotacismo, per "tonare". Da notare infine leucesie, vocativo riferito a Giove, che conserva il dittongo eu, unico esempio latino

[modifica] Testo

Divom parentem cante,

Divom deo supplicate.

Quonne tonas, Leucesie,

Prai tet tremonti

Quot ibei tet dinei

Audiisont tonase.

(Gr. Lai. 7 p. 28 Keil)

[modifica] Resa in latino classico

Deum eum patrem cantate,

Deorum deum supplicate.

Cum tonas, Luceri,

prae te tremunt

quot ibi te di

audierunt tonare

[modifica] Traduzione

Lui, padre degli dei, cantate;

inginocchiatevi davanti al dio degli dei

Quando tuoni, o signore della luce,

davanti a te tremano

quanti dei nel cielo t'udirono tonare.

[modifica] Carmen Arvale

Nel nome del collegio sacerdotale dei "Fratres Arvales", che intonavano questo carme durante i loro riti, è evidente la connessione con "arva" e dunque il carattere eminentemente agrario di questo consorzio. I sacerdoti erano dodici e celebravano riti secondo formule arcaiche, particolarmente in onore della dea Dia, nel bosco sacro a questa consacrato in prossimità del Tevere verso Ostia.

I loro riti propiziatori a varie divinità tra cui Marte, aprono il problema della valutazione di questo carme invocato contro "epidemie e rovine alle quali egli reagirà come guerriero. Resta tuttavia il fatto che la società essenzialmente agraria dei Latini l'associava a riti assolutamente pacifici." (cf. Pastorino "La religione romana", Milano 1973)

II frammento di questo canto, tra i più antichi documenti della poesia religiosa latina, ci è stato conservato da un'epigrafe del 218 d.C., dunque della piena età imperiale, ma fortunatamente fedele nella trascrizione delle più antiche forme.

[modifica] Testo

E nos, Lases, iuvate! (ter)

Neve lue rue, Marmar, sins incurrere in pleoris! (ter)

Satur fu, fere Mars, limen sali, sta ber ber! (ter)

Semunis alternei advocapit conctos. (ter)

E nos, Marmor, iuvato! (ter)

Triumpe triumpe triumpe triumpe triumpe (ter)

(Acta, 218 d.C.)

[modifica] Resa in latino classico

O nos, Lares, iuvate (ter)

ne luem ruinam, Marmar, sinas incurrere in plures! (ter)

satur es, fere Mars; limen sali, sta illic illic! (ter)

Semones alternis advocabit cunctos. (ter)

O, nos, Marmar, iuvato! (ter)

triumphe triumphe triumphe triumphe triumphe! (ter)

[modifica] Traduzione

Oh, a noi! Lari, aiutateci! (tre volte)

No, pestilenza e rovina, o Marmar,

non permettere che trascorrano tra il popolo! (tre volte)

Sii sazio, o feroce Mars;

balza sulla soglia; fermati là là! (tre volte)

I Semòni, sei alla volta, li chiamerà tutti a parlamento (tre volte)

Oh, a noi! Marmor, aiutaci! (tre volte)

Trionfo! (tre volte)

[modifica] Cista Ficoroni

Si tratta di un recipiente di bronzo di forma cilindrica. È così chiamato dal nome di colui che lo ritrovò nel 1738 in una tomba a Preneste. La datazione è incerta (IV o II secolo a.C.).

Da notare sono la presenza dell'originaria desinenza "os" del nominativo (Manios, Novios, Plautios) per "us"; "med" = me (accusativo) per il classico "me"; "fileai", "Romai" = "filiae" (dativo), "Romae" (locativo).

[modifica] Testo

Dindia Macolnia fileai dedit

Nouios Plautios med Romai fecid

(C.I.L., I, 561, 14, 4112)

[modifica] Adattamento in latino classico

Dindia Macolnia filiae dedit,

Novius Plautius me Romae fecit

[modifica] Traduzione

Dindia Macolnia (mi) donò alla figlia,

Novio Plauzio mi fece a Roma.

[modifica] Lamina bronzea di Lavinio

Si tratta di un'iscrizione sinistrorsa del VI-V secolo a.C. dedicata ai Dioscuri.

[modifica] Testo

castorei. podlouqueìque qurois

[modifica] Adattamento in latino classico

Castori Pollucique curis

[modifica] Traduzione

Ai Dioscuri Castore e Polluce

[modifica] Coppa di Civita Castellana

L'iscrizione, di tono simposiaco, presenta elementi fonetici latini e falischi che la fanno risalire al V-IV sec. a.C..

Presumibilmente proviene dall'Umbria come indica la presenza di forme dialettali tipiche di quell'area: es: "pipafo" = "bibam"; "carefo" = "carebo", in cui si nota la presenza nella prima forma del raddoppiamento unito all'uscita in "fo" ("bo" latino); "foied" (lat. "hodie" con la "f" al posto della "h" iniziale; "cra" (lat. "cras").

[modifica] Testo

Foied vino pipafo, cra carefo

[modifica] Adattamento in latino classico

Hodie vinum bibam, cras carebo

[modifica] Traduzione

Oggi bevo vino, un giorno dovrò morire

[modifica] Cippo di Spoleto

Si tratta di un cippo di pietra trovato a Spoleto nel 1876.

Presenta iscrizioni sulle due facce, ed è da datare successivamente al 241 a.C., anno in cui la città divenne colonia latina, contiene un divieto:

[modifica] Testo

faccia a:

honce loucom

ne qus violatod

neque exvehito neque

exferto quod louci

siet neque cedito

nesei quo die res deina

anua fiet eod die

quod rei dinai cau(s)a

f)iat sine dolo cedre

l)icetod sei quis

faccia b:

violasit Iove bovid

piaclum datod

sequis scies

violasit dolo malo

Iovei bovid piaclum

datod et a. CCC

moltai suntod

eius piacli

moltaique dicator(ei

exactio est(od

[modifica] Traduzione

Questo bosco sacro nessuno violi e nulla sottragga o porti via di appartenenza al bosco e non faccia legna tranne nel giorno del rito annuale; però in quel giorno — quanto si fa per rito annuale — sia lecito far legna senza infrazioni. Se qualcuno / commetterà violazione offra espiazione a Giove con un bue e se qualcuno sciente la commetterà e con mala intenzione offra espiazione a Giove con un bue e ci sia multa di trecento assi. Di quell'espiazione e di quell'oblazione l'esazione è affidata al dedicatario.

(Gianotti)

[modifica] Lamina di Falena

È una lamina bronzea incisa sulle due facce, rinvenuta in Etruria e da datare a un'epoca successiva al 238 a.C.

Contiene una dedica di cuochi falischi; la seconda parte è in saturni.

faccia a:

Iovei Iunonei Minervai

Falesce, quei in Sardinia sunt,

donum dederunt. magistreis

L. Latrìus K. f., C. Salv(e)na Voltai f. coiraveront.

faccia b:

gonlegium quod est aciptum aetatei aged(ai)

opiparum a(d) veitam quolundam festosque dies,

quei soueis aastutieis opidque Volgani

gondecorant sai(pi)sume comvivia loidosque,

ququei huc dederu(nt i)nperatoribus summeis

utei sese lubent(es be)ne iovent optantis

(C.I.L., I, 2, 364)

[modifica] Adattamento in latino classico

A - lovi lunoni Minervae Falisci qui in Sardinia sunt donum dederunt. Magisteri L. Latrìus Kaesonis filius, C. Salvena Voltae filius curaverunt.

B - Collegium quod est acceptum aetati agendae opiparum ad vitam colendam festosque dies, qui suis astutiis opeque Vulcani condecorant saepissime convivia ludosque, coqui hoc dederunt imperatorìbus summis (dis), uti sese libentes bene iuvent optantes.

[modifica] Traduzione

A - A Giove, Giunone e Minerva diedero in dono i Falisci che sono in Sardegna. Sovrintendenti furono Lucio Latrio figlio di Cesone, Gaio Salvena figlio di Volta.

B - Un'associazione ben accetta per ammazzare il tempo, ben dotata per godere la vita e i giorni di festa, i cuochi che coi loro trucchi e l'aiuto di Vulcano tanto spesso onorano banchetti e giochi, quest'oggetto han dedicato ai sommi comandanti augurando che essi si compiacciano d'assisterli. (trascr., tr. Gianotti)

[modifica] Iscrizioni funebri varie

  • Un'iscrizione posta dal padrone sulla tomba del proprio liberto:
    • Testo

... o L. I. scurrae homini

(probi)ssumo maxumae

(fidei) optumo leiberto

(patronus) fecit

    • Traduzione


Al ... liberto di Lucio

di professione buffone

onestissimo ed ottimo liberto

di massima fedeltà

il padrone pose.

(tr. Gianotti)

    • Testo

Hospes quod deico paullum est: asta oc pellege.

Heic est sepulcrum hau pulcrum pulcrai feminae.

Nomen parentes nominarunt Claudiam.

Suom mareitum corde deilexit souo.

Gnatos duos creavit. horunc alterum

In terra linquit, alium sub terra locat.

Sermone lepido, tum autem incessu commodo.

Domum servavit, lanam fedi. dixi. abei.

(C.I.L., 1, 1211)

    • Traduzione

Viandante, quel che dico è poco... Fermati e leggi.

Questo è il sepolcro non bello di una bella donna.

Di nome, i genitori la chiamarono Claudia.

Con tutto il cuore amò suo marito;

ebbe due figli: di essi, uno ancora sulla terra

lascia, l'altro sotto la terra ha disteso.

Altera nel parlare, graziosa nell'incedere,

custodì la casa filando la lana. È tutto: ora va’.

  • Iscrizioni sepolcrali su lucerne (230-220 .C.?)
    • 1) Testo

Claudio; non sum tua

    • 1) Traduzione

Per Claudio; non sono tua

    • 2) Testo

Sotae sum; noli me tanger

    • 2) Traduzione

Sono di Sota; non toccarmi.

    • 3) Testo

Ne atigas; non sum tua, M. sum

    • 3) Traduzione

Non portarmi via; non sono tua, sono di Marco.

[modifica] Le iscrizioni degli Scipioni

Scoperte nel 1614 e nel 1780 nel sepolcro ipogeo di famiglia degli Scipioni, sulla via Appia, risalgono al sec. III a.C..

Può valere come esempio per tutte l’epitaffio di Lucio Scipione Barbato: posto su un'iscrizione più antica, deve naturalmente essere datato prendendo come terminus post quem la sua morte (ca. 273 a.C.).

[modifica] Testo

Cornelius Lucius Scipio Barbatus

Gnaivod patre prognatus, fortis vir sapiensque,

quoius forma virtutei parisuma fuit,

consol censor aidilis quei fuit apud vos,

Taurasia Cisauna Samnio cepit,

subigit omne Loucanam opsidesque abdoucit...

(C.I.L., 1, 7)

[modifica] Traduzione

Lucio Cornelio Scipione Barbato,

figlio di Gneo, uomo forte e sapiente,

la cui bellezza fu pari al valore,

console, censore, edile presso voi (Romani),

conquistò Taurasia, Cisauna, il Sannio.

Soggiogò tutta la Lucania e ne trasse ostaggi...

[modifica] Carmen Lustrale

Detto anche "Carme del Lustrum Ambarvale"; si tratta di una preghiera a Marte, che veniva recitata dal pater familias in maggio durante il rito della purificazione dei campi, nell'ambito della festa dei Suovetaurilia. Questa festa prendeva il nome dal sacrificio di un maiale, una pecora e un toro che vi avveniva.

Il carme nei contenuti risale a un'epoca antichissima, ma nella forma linguistica in cui ci è stato tramandato si presenta molto modernizzato in senso classico, sebbene comunque alcuni termini appaiano ancora in una forma piuttosto arcaica.

Dobbiamo la sua conservazione a Catone, che lo riporta in De agri cultura, 141, 3. Lo scrittore fornisce varie notizie su questa antica pratica religiosa di Roma, particolarmente legata alle origini agricole della sua società. Marte appare infatti anche qui, come nel "Carmen Arvale", invocato non come dio della guerra ma come benefica divinità dell'agricoltura.

[modifica] Testo

Mars pater te precor quaesoque

uti sìes volens propitius

mihi domo familiaeque nostrae;

quoius rei ergo

agrum terram fundumque meum

suovitaurilia circumagi iussi:

uti tu morbos visos invisosque

viduertatem vastitudinemque,

calamitates intemperiasque

prohibessis defendas averruncesque; […]

[modifica] Traduzione

O padre Marte ti prego e scongiuro,

perché tu sia favorevole e propizio

a me alla casa e alla nostra famiglia

e per questa grazia

intorno al mio campo alla mia terra al

mio fondo i suovetaurilia ho fatto

condurre

perché tu i mali visibili e invisibili

sciagura desolazione

calamità intemperie

impedisca difenda allontani […]

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni


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