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Chiesa di Santa Sofia (Benevento) - Wikipedia

Chiesa di Santa Sofia (Benevento)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Chiesa di Santa Sofia
Chiesa di Santa Sofia (Benevento)
Città Benevento
Regione Campania
Stato bandiera Italia
Religione cattolica
Diocesi Arcidiocesi di Benevento
Anno di consacrazione 774
Architetto {{{Architetto}}}
Stile architettonico vario
Inizio della costruzione decennio 740
Completamento 762 (stato attuale 1951)
Sito web
Note {{{Note}}}


Il complesso monumentale di Santa Sofia si trova a Benevento, nella piazza precedentemente omonima, oggi intitolata a Giacomo Matteotti, affacciata su Corso Garibaldi. Comprende la chiesa, una delle più importanti della Langobardia Minor giunta fino ai giorni nostri, il campanile antistante la piazza, l'ex monastero con un bel chiostro, la fontana al centro dell'area. È stato candidato per la lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO: per questo motivo, è in corso un restauro che evidenzierà le sue caratteristiche longobarde [1].

Indice

[modifica] Cenni storici

Annuncio a Zaccaria (particolare), affresco nell'abside
Annuncio a Zaccaria (particolare), affresco nell'abside
Affresco della Visitazione
Affresco della Visitazione

La chiesa fu fondata in epoca longobarda, forse da Gisulfo II, e completata sotto Arechi II nel 762. Sorta accanto ad un monastero benedettino, fu costruita su modello della cappella di Liutprando a Pavia. Fu dedicata a Santa Sofia, la Sapienza, con una donazione del 774. Arechi vi annesse un monastero femminile alle dipendenze di Montecassino, retto dalla sorella Gariperga, e vi conservò, dedicandogli un altare, le reliquie di San Mercurio abbandonate (633) presso Quintodecimo dal perdente imperatore Costante II.

L'abbazia divenne, attorno al XII secolo, una delle più importanti dell'Italia meridionale. Attorno a questo periodo, ad opera dell'abate Giovanni IV il Grammatico, capo del monastero dal 1119, subì le prime modifiche: furono infatti aggiunti un campanile romanico sulla sinistra della facciata e un protiro a quattro colonne davanti alla porta d'ingresso, con un bassorilievo ora posizionato nella lunetta sovrastante l'ingresso.

Nel 1595, i benedettini abbandonarono il monastero. Gravi danni subì poi la chiesa nei terremoti del 5 giugno 1688 e del 1702: a causa del primo crollarono le aggiunte medievali e la cupola primitiva. Già in quest'occasione il Cardinale Orsini, il futuro papa Benedetto XIII, volle che la chiesa fosse ricostruita secondo il gusto barocco: nei lavori di restauro, affidati dal 1705 all'ingegnere Carlo Buratti, la pianta fu trasformata da stellare a circolare, furono costruite due cappelle laterali, fu cambiato l'aspetto dell'abside, della facciata, dei pilastri. Furono inoltre distrutti quasi del tutto gli affreschi di artisti legati alla scuola di miniatura beneventana (fine VIII - inizio IX secolo) che ricoprivano la chiesa, dei quali restano solo alcuni frammenti con Storie di Cristo e della Vergine.

Un discusso intervento di restauro nel 1951 ripristinò scrupolosamente, sulla base dei documenti disponibili, gli absidi e l'originale pianta della chiesa longobarda ed eliminò le cappelle settecentesche; tuttavia lasciò quasi immutata la facciata barocca.

[modifica] La chiesa

L'interno della chiesa
L'interno della chiesa

La chiesa di Santa Sofia presenta piccole proporzioni: si può circoscrivere con una circonferenza di 23,5 m di diametro. La pianta centrale si rifà a quella dell'omonima chiesa di Costantinopoli, ma è molto originiale: al centro sei colonne, prelevate forse dall'antico Tempio di Iside, sono disposte ai vertici di un esagono e collegate da archi che sorreggono la cupola.

L'esagono interno è poi circondato da un anello decagonale con otto pilastri di pietra calcarea bianca e due colonne ai fianchi dell'entrata, ognuno dei quali disposto parallelamente alla corrispondete parete. La disposizione delle colonne e dei pilastri crea insoliti giochi prospettici, inoltre la combinazione del decagono esterno con l'esagono interno dà luogo ad irregolari coperture a volta.

Non meno originale è la forma delle pareti. La zona delle tre absidi è circolare, ma nella porzione centrale ed anteriore le mura disegnano parte di una stella, interrotta dal portone, con 4 nicchie ricavate negli spigoli.

Degli affreschi originari, dai colori vivaci, che una volta ricoprivano tutto l'interno della chiesa, sono rimasti alcuni frammenti nelle due absidi laterali: l'Annuncio a Zaccaria, Zaccaria muto, l'Annunciazione e la Visitazione alla Vergine.

La facciata presenta, dal restauro settecentesco, degli spioventi ricurvi. Molto bello il portale romanico, nella cui lunetta si trova un bassorilievo del XIII secolo, originariamente posizionato sul protiro andato distrutto, che rappresenta Cristo in trono tra la Vergine, san Mercurio e Gregorio Abbot inginocchiato. Il portale è incluso in una cavità più grande che ricorda anch'essa un portale, fiancheggiata da due colonne che reggono un altro arco.

Non trascurabili le statue lignee di San Giovenale (1790) e l'Immacolata dello scultore Gennaro Cerasuolo che si trovava un tempo nel convento di San Francesco.

Piazza Matteotti
Piazza Matteotti
Il portale
Il portale
La zona absidale
La zona absidale

[modifica] Il monastero

Il chiostro in una foto di inizio Novecento
Il chiostro in una foto di inizio Novecento

Il monastero annesso alla chiesa oggi esistente è stato costruito tra il 1142 e il 1176 dall'abate Giovanni IV, in parte con frammenti di quello precedente del VIII secolo, distrutto dal terremoto del 986.

La sua parte più notevole è il chiostro, dalla struttura romanico-campana arricchita dal gusto arabo. È a pianta quadrangolare, composto da quindici quadrifore ed una trifora, che, nell'angolo a sud, ripiegando con la quadrifora dell'altro lato per dare spazio alla chiesa, forma un angolo sporgente di bell'effetto, esistente forse già nel primo chiostro costruito intorno all'VIII secolo. Al centro del giardino, un capitello incavato funge da pozzo.

Le aperture del chiostro sono adornate da 47 colonne di granito, calcare ed alabastro, ciascuna con la sua caratteristica, che su ciascuno dei lati si inseguono in una prospettiva composita. Poggiate su basi alte 50 cm, dimostrano il gusto creativo teso all'originalità dell'opera, tipico del tempo, come i capitelli ed i pulvini elaboratissimi, sfaccettati con le figurazioni più impensate: fogliame, allegorie, profili di figure umane e di animale, colte in momenti di vitalità e di forza. A partire dall'entrata dell'abbazia situata a sinistra della chiesa e procedendo in senso antiorario, si riconoscono tre sequenze, ad opera di tre monaci detti il Maestro dei Mesi, che realizzò una serie dei lavori agresti dell'anno (di cui sono riconoscibili sono quelli da giugno a dicembre), il Maestro dei Draghi e il Maestro della cavalcata di Elefanti.

Gli archi delle aperture sono a sesto ribassato, di gusto moresco. Essi sostengono la terrazza al piano superiore, con la suggestiva passeggiata su cui si aprono le stanze dell'ex monastero, che hanno subito svariati restauri e ammodernamenti.

Sotto Arechi II e la moglie Adelperga, che protesse gli studi di Paolo Diacono, nel monastero fiorirono le dispute dottrinali e le ricerche umanistiche, che continuarono nei secoli seguenti, al punto che, intorno al Mille, esso fu centro di attività tale da annoverare ben 32 dottori delle arti liberali.

Lo Scriptorium di Santa Sofia elaborò anche la famosa "lettera beneventana" (scrittura beneventana) derivata dai caratteri longobardi ed usata poi in codici e documenti, fino a tutto il XIII secolo, in tutte le regioni del Mezzogiorno, escluse Lucania e Calabria, fino alla Dalmazia ed alle isole Tremiti.

L'ex monastero è ora sede Museo del Sannio (insieme alla Rocca dei Rettori); possiede una raccolta di reperti archeologici (tra cui molti resti dell'antico tempio di Iside, come uno dei due obelischi), armi, stampe, monete ed una pinacoteca con quadri dal Cinquecento al Settecento.

Il muro di cinta
Il muro e la vecchia fontana in un'acquaforte di Carl Wilhelm Weisbrod (1806)
Il muro e la vecchia fontana in un'acquaforte di Carl Wilhelm Weisbrod (1806)

Per volere del cardinale Giuliano della Rovere (poi papa Giulio II), commendatario di Santa Sofia, tra il 1471 e il 1484 l'area antistante la chiesa fu chiusa da un muro di cinta di forma ellittica (su cui fu apposta un'epigrafe recante la data 1495). La Bulla riedificationis seu restaurationis, exarnationis ac dedicationis insignis eclesiae S.Sophiae Beneventi eiusque altarium del 30 aprile 1701 elenca fra i vari interventi di ricostruzione progettati dopo il terremoto del 1688, la distruzione di questo muro, che avvenne nel 1705 ad opera dell'architetto Buratti. Allo scopo di ampliare la via d'accesso al monastero, questi volle al suo posto mura più informi, con al centro un portale monumentale, visibile in varie riproduzioni di artisti della seconda metà del XVII secolo.

All'esterno del muro era addossata una fontana pittoresca che ricordava la munificenza dell'Orsini, abbellita da un bassorilievo rappresentante il Ratto delle Sabine, ora conservato nell'atrio del Palazzo Paolo V. Muro e fontana furono distrutti nel 1809, durante il principato di Talleyrand a Benevento.

Scavi successivi hanno individuato alcuni tratti di questo muro e la canaletta di scolo della fontana, nonché una serie di apprestamenti legati all'attività di un cantiere edile del XVIII secolo: ad est, verso l'attuale palazzo Petrucciani, sono stati trovati una vaschetta circolare di decantazione ed una fossa rettangolare, relativi ai lavori di restauro della chiesa e del campanile.

[modifica] Il campanile

Il campanile
Il campanile

Il primo campanile fu costruito da un tale Gregorio II, abate di Santa Sofia tra il 1038 ed il 1056, sotto il principato di Pandolfo III, come si legge da un epigrafe scritta in caratteri longobardi, in una lapide incastrata nella parete meridionale di quello attuale, e proteggeva il sepolcro di Arechi II. Crollò con il terremoto del 5 giugno 1688, rovinando sull'atrio monumentale costruito nel Millecento.

Il nuovo campanile fu ricostruito nel 1703, in una posizione diversa da quella originale, nell'ambito delle mura che allora recingevano il convento e il giardino. Nel 1915 rischiò di essere abbattuto dall'amministrazione comunale, che lo riteneva un ingombro inutile, e non affatto un opera d'arte da conservarsi; ma Corrado Ricci si adoperò presso il ministero competente affichè non venisse compiuta tale opera di distruzione.

Sulle pareti del campanile si possono ammirare gli stemmi delle dominazioni succedutesi in Benevento, posti in tempi recenti, come le tavole marmoree delle facciate sud ed est, rievocanti l'estensione del Sannio antico e del Ducato di Benevento.

[modifica] La fontana

La fontana Chiaromonte
La fontana Chiaromonte

Creato nel 1806 principe di Benevento, il Talleyrand si propose di restaurare i più importanti monumenti cittadini. Su proposta del governatore Louis de Beer, una volta sgomberata l'area antistante la chiesa di Santa Sofia, egli vi fece costruire la fontana oggi esistente.

Progettata dall'architetto Nicola Colle De Vita, è costituita da una vasca circolare al cui centro si erge un obelisco, sulla schiena di quattro leoni dalla cui bocca sgorga l'acqua. L'obelisco era sormontato da un globo con sopra l'aquila imperiale, emblema della Francia napoleonica, in bronzo. Alla facciata meridionale dell'obelisco si leggeva l'iscrizione: Carolo Maurizio / Optimo Principi / Pro publico curato bono Cives Beneventani / D. /A. MDCCCIX. La realizzazione dell'opera costò 2.000 ducati. La piazza, dedicata al Talleyrand (il suo nome era piazza Carlo Maurizio), fu donata dal principe al Comune con atto pubblico, il 21 aprile 1810.

Dopo il 1815, con l'avvento della Restaurazione, l'epigrafe fu poi raschiata via, anche se qualche traccia si scorgeva sotto la scritta Fontana Chiaromonte - Pio VII con cui la fontana fu dedicata al Papa (la parola fontana, invece che col t, era stata incisa incisa col d; fu corretta in seguito). All'aquila imperiale venne sostituito il triregno dei papi con le somme chiavi e, successivamente, questo fu sostituito con lo stemma d'Italia.

Recenti lavori di risistemazione della piazza hanno lasciato sui lati della fontana due oblò in vetro dai quali sono visibili le rovine sottostanti.

[modifica] Bibliografia

  • Mario Rotili, L'Arte nel Sannio, E.P.T., Napoli 1952
  • Alfredo Zazo, Curiosità storiche beneventane, ed. De Martini, Benevento 1976
  • Guida d'Italia - Campania, Touring Club Italiano, Milano 2005

[modifica] Collegamenti esterni


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