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Vallo Alpino - Wikipedia

Vallo Alpino

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'opera 10 presso la Croda Sora i Colsei, dello Sbarramento Passo Monte Croce Comelico
L'opera 10 presso la Croda Sora i Colsei, dello Sbarramento Passo Monte Croce Comelico
L'opera 9 dello Sbarramento Dobbiaco
L'opera 9 dello Sbarramento Dobbiaco
L'opera 13 dello sbarramento Malles-Glorenza
L'opera 13 dello sbarramento Malles-Glorenza
Tipica cupola di areazione di un bunker
Tipica cupola di areazione di un bunker
L'opera 10 presso la Croda Sora i Colsei, dello Sbarramento Passo Monte Croce Comelico
L'opera 10 presso la Croda Sora i Colsei, dello Sbarramento Passo Monte Croce Comelico
Un esempio di atipico sbarramento anti carro: i denti di Drago, presso lo Sbarramento Pian dei Morti
Un esempio di atipico sbarramento anti carro: i denti di Drago, presso lo Sbarramento Pian dei Morti
Schema di funzionamento del condizionamento d'aria
Schema di funzionamento del condizionamento d'aria
Evoluzione nel dopoguerra
Evoluzione nel dopoguerra
Le tre ventole di areazione manuale all'interno dell'opera 5 dello sbarramento di Tenne
Le tre ventole di areazione manuale all'interno dell'opera 5 dello sbarramento di Tenne

Il Vallo Alpino del Littorio (anche chiamato linea non mi fido) è un sistema di fortificazioni formato da opere di difesa (bunker), volute da Mussolini e costruite per proteggere il confine italiano con i paesi confinanti, quali la Francia, la Svizzera, l'Austria e la Jugoslavia, pochi anni prima della seconda guerra mondiale.

Prima della seconda guerra mondiale, le opere di difesa erano presidiate dalle unità dalla GaF, il Corpo di Guardia alla Frontiera, un corpo specificatamente creato per il presidio delle opere fortificate, il cui motto era Dei Sacri Confini Guardia Sicura.

Indice

[modifica] La storia del Vallo Alpino

[modifica] Storia del Vallo Alpino prima della seconda guerra mondiale

Alla fine della prima guerra mondiale si ebbe una considerevole politica di fortificazione da parte delle Nazioni Europee. I problemi politici e territoriali, lasciati aperti dal Trattato di Versailles, diedero un impulso ad una corsa alla difesa delle frontiere, rendendole inaccessibili tra il 1920 e il 1940.

Le opere fortificate presero vari nomi tra cui:

Alla fine della prima guerra mondiale l’Italia si trovò a dover difendere una frontiera molto ampia, e soprattutto montuosa. Si trattavano infatti di 1.851 chilometri di linea di confine, così suddivisi:

La data di inizio della costituzione del Vallo Alpino del Littorio è posta intorno al 1931, e i lavori per il suo completamento continuarono per diversi anni, proseguendo in alcuni casi, anche durante il conflitto. Il progetto iniziale comprendeva un grande semiarco, che comprendeva tutto l’arco alpino, partendo da Ventimiglia e arrivando all'allora città italiana di Fiume. La fortificazione del confine svizzero, invece, non fu interessata da lavori, dato che erano ancora esistenti alcune opere risalenti alla prima guerra mondiale.

« Ministero della Guerra, Comando del Regio Corpo di Stato Maggiore, circolare n. 200 del 6 gennaio 1931, “Direttive per la organizzazione difensiva permanente in montagna”.

La struttura del Vallo Alpino era assai complessa ed era articolata in tre zone:

  • La prima linea di fortificazioni era denominata “Zona di Sicurezza” ed era munita di capisaldi con la funzione di tenere le posizioni più importanti ed impedire azioni di sorpresa.
  • La seconda linea di fortificazioni era denominata “Zona di Resistenza” era più arretrata ed era prevista di fortificazioni più grandi, in grado di resistere anche isolate per un tempo prolungato. Esempio delle Opere di Verzegnis.
  • Ultima linea fortificata era la “Zona di Schieramento” dove sarebbero dovute affluire le artiglierie e le truppe di rincalzo al momento della mobilitazione.

A seconda dell’importanza della zona da difendere e della probabile entità dell’offesa nemica, vennero realizzate tre principali tipologie di sistemazioni di difesa.

Le grandi Fortificazioni, dette opere di tipo A, erano per lo più ricavate nella roccia. Molto più diffuse furono le fortificazioni di medie dimensioni, dette di tipo B. Le fortificazioni più comuni erano quelle di piccole dimensioni dette di tipo C.

Tutte le strutture permanenti erano presidiate da unità della Guardia alla Frontiera.

 »
(Regio Decreto del 28 aprile 1937.)

Questa nuova difesa dei confini italiani era in realtà un progetto al limite della capacità industriali ed economiche del paese, infatti i lavori subirono negli anni consistenti rallentamenti dovuti alla scarsità di fondi, ma anche di materie prime. Infatti alla vigilia della seconda guerra mondiale erano state ultimate all'incirca 208 opere con 647 mitragliatrici e 50 pezzi d’artiglieria con una potenza di circa 2000 uomini, ossia le forze destinate alla prima linea di fortificazioni. Successivamente i lavori di fortificazione proseguirono fino all’ottobre 1942.

La difesa italiana era organizzata in maniera differente rispetto a quella francese o tedesca, infatti il Vallo Alpino era pensato per utilizzare armi che all'epoca erano di uso comune nella fanteria e nell’artiglieria; a queste in alcuni casi si era pensato di affiancate un ulteriore potenza di fuoco come i lanciafiamme e i mortai, e in alcuni casi anche vecchi pezzi d’artiglieria rimasti nei vecchi forti della prima guerra mondiale. Soltanto raramente, e solo in alcune valli, fu pensato l'utilizzo di gas tossici, come ad esempio l'Iprite.

Per l'acciaio che serviva per i cannoni e generalmente per le armi, furono inviati dall'alleato Hitler in Italia ingenti quantità di merci, per far fronte alle carenze delle materie prime italiane. l'acciaio che arrivava in italia, veniva fuso nuovamente per poter ottenere delle putrelle e feritoie corazzate, ad uso delle opere fortificate.

Una nota a se, la vuole la costruzione del Vallo Alpino Littorio in Alto Adige, che fu costruito al confine con l'Austria, nonostante l'Italia fosse alleata con la Germania nazista.

[modifica] Il Vallo Alpino durante la seconda guerra mondiale

Nonostante la corsa agli armamenti subito prima dell'inizio dello scoppio del conflitto, e la frenetica preparazione dei questi sbarramenti difensivi, il Vallo Alpino non ha avuto occasione di svolgere il suo compito, se non in rare occasioni.

Effettivamente negli scontri, solamente alcune delle opere occidentali ebbero il battesimo del fuoco, infatti furono adoperate in maniera marginale in azioni rivolte verso la Francia, nel giugno 1940, con un compito offensivo.

Un altro compito lo ebbero quattro anni dopo, quando le opere furono adoperate, dai nazisti, per rallentare l’avanzata delle truppe alleate degli americani e degli inglesi.

[modifica] Storia del Vallo Alpino dopo la seconda guerra mondiale

Alla fine del conflitto alcune opere del Vallo Alpino Occidentale vennero demolite (1948) come previsto dalle clausole del trattato di pace, mentre le opere del Vallo Alpino Orientale entrarono in possesso della Jugoslavia a causa della cessione di parte del Friuli Venezia Giulia alla Jugoslavia. Gli accordi di pace sancivano inoltre che vi fosse lungo il confine, una fascia di almeno 20 chilometri in cui non doveva essere costruita alcuna nuova fortificazioni, o ampliamento di vecchie opere difensive.

Nonostante ciò, dopo la fine del conflitto mondiale si ebbe una nuova esigenza di difendere l’Italia da eventuali aggressioni dall'oriente, che portò ad una nuova valorizzazione delle opere fortificate rimaste del Vallo Alpino e alla costruzione a ridosso della nuova frontiera di nuove opere. Il progetto fu finanziato dalla NATO. Questa nuova idea difensiva prevedeva che al confine con l’Austria venissero riutilizzate le opere già esistenti della seconda guerra mondiale, mentre sul confine con la Jugoslavia, venisse costruita una nuova linea di difesa. L'Italia si ritrovò così con una nuova linea difensiva che partendo dal Passo Resia si estendeva fino alle sorgenti del Natisone, e ancora, lungo il corso del Tagliamento fino quasi alla sua foce.

La nuova linea di difesa adottò come arma principale torrette di vecchi carri armati, enucleate. Questa tecnica di utilizzare mezzi dimessi o sostituiti è stata appresa dalle linee di difesa tedesche costruite in Italia. Quest'arma permetteva un notevole volume di fuoco che poteva essere indirizzato su 360° gradi, offrendo al contempo un ridotto bersaglio.

Ancora nel 1976 questo sistema difensivo, basato sulla fortificazione permanente, era considerato strategico dallo Stato Maggiore, nonostante l'era nucleare. Infatti all'epoca si considerava che le fortificazioni potessero avere una buona resistenza ad una esplosione nucleare ravvicinata.

[modifica] La fine del Vallo Alpino

La caduta dell’Unione Sovietica, il termine dell'ipotetica minaccia che poteva irrompere da oriente e le variazioni nei paesi del Patto di Varsavia, diedero il colpo finale ai reparti d’arresto e alle opere del Vallo Alpino.

Tra il 1991 e il 1992 tutte le opere che non erano ancora dismesse vennero sigillate e tutti i corrispondenti reparti vennero sciolti. Attualmente nessuna delle opere è stata conservata come testimonianza di quei reparti che vi prestarono servizio. Tutte le opere inoltre vennero private dell'armamento e degli allestimenti interni e, nella maggior parte dei casi, chiuse mediante la saldatura degli ingressi e delle feritoie. Al giorno d'oggi esse rimangono soltanto silenziose testimonianze di una parte poco nota della nostra storia.

Oggi si vuole attuare una politica di conservazione e rendere quindi visitabili queste opere per tramandare alle future generazioni una testimonianza di un tormentato periodo di vita militare.

Una piantina di un ipotetico sbarramento, con le sue componenti principali
Una piantina di un ipotetico sbarramento, con le sue componenti principali

[modifica] Le strutture degli sbarramenti

La linea difensiva del Vallo Alpino era concepita attraverso diversi sbarramenti difensivi che impedivano l'accesso attraverso le zone di transito, utilizzando i fianchi delle vallate, e il fondo valle quando vi era una valle sufficientemente ampia.

Solitamente uno sbarramento difensivo aveva come elementi fondamentali:

  • un certo numero di bunker dislocati nella zona, armati con mitragliatrici e cannoni anticarro che possibilmente battessero l'intera area;
  • un fossato o muro anticarro, che poteva in alcuni casi essere integrato da un campo minato e recinzione con filo spinato;
  • alcune postazioni d’artiglieria armate di mortai, arretrate rispetto allo sbarramento, per l'appoggio e l'interdizione;
  • osservatori posti sulle cime più alte, aventi una migliore visuale;
  • ampi ricoveri per truppe, in posizione più arretrata;
  • per le opere meno raggiungibili, a volte venivano costruite teleferiche;
  • collegamenti stradali, per poter schierare l'artiglieria di appoggio in maniera rapida ed efficace.
  • una rete di collegamenti via cavo o fotoelettrici;
Il canale di comunicazione per l'apparato fotofonico all'interno di un bunker
Il canale di comunicazione per l'apparato fotofonico all'interno di un bunker

[modifica] Comunicazioni tra e nelle Opere

All'interno di ogni opera era prevista una rete telefonica ed altri sistemi per collegare le varie postazioni al comando. Ad esempio furono usati tubi portavoce, segnali luminosi e campanelli d'allarme.

Per quanto riguarda invece i collegamenti esterni questi erano basati sulle stazioni fotofotoniche, o sulle stazioni radio ed infine sulla rete telefonica con cavo sotterrato.

[modifica] Gli apparati fotofonici

Gli apparati fotofonici erano delle stazioni di tipo ottico, che permettevano la trasmissione in fonia, trasformando il segnale audio acquisito da un microfono in una modulazione, poi trasformata in modulazione luminosa e trasmessa mediante l'impiego di fonti luminose, normali o infrarosse. Il messaggio luminoso ricevuto dalla stazione ricevente, colpiva una cellula fotoelettrica, che doveva essere collegata su una linea retta con la lampadina trasmittente, oppure usando un sistema di specchi. La cellula fotoelettrica quando veniva colpita dal segnale, andava a generare una tensione modulata, che quindi veniva demodulata, e successivamente amplificata per poter permettere all'operatore in cuffia di ascoltare e comprendere il messaggio trasmesso. Questi apparecchi, all'avanguardia per quei tempi, furono messi a disposizione delle autorità militari dal '35. Alloggiando le unità trasmittenti e riceventi in brevi tubi è possibile schermare l'influenza della luce ambientale

Esistevano due tipi di stazione: da 115 mm e da 180 mm, a seconda delle dimensioni dello specchio di trasmissione. Solitamente la stazione era posta nei pressi dell'ingresso, e operava tramite una feritoia a costituita da 2 tubi paralleli. Questo sistema permetteva una comunicazione fino ai 6 km di distanza di giorno e 9 km di notte. I valori venivano dimezzati se si impiegavano schermi per infrarossi. In telegrafia ottica invece, di notte, si potevano raggiungere i 50 km di portata. Qeusti valori erano naturalmente soggetti alle condizioni climatiche.

[modifica] Stazioni radio

Data la poca resistenza dei sistemi fotofonici in caso di nebbia o fumo denso, si decise di dotare l'opera di una radio.

Un primo modello di radio fu la R4/D; fu successivamente sostituito dal modello RF4/D. Queste radio, oltre ad essere ingombranti (antenne di 20 m, di tipo a dipolo) e pesanti (la R4/D pesava 152 kg), avevano una portata di 50-60 km, ed operavano attorno ai 1.300-4.285 kHz la prima e 1.270-4.300 kHz la seconda. Spesso il condotto della fotofonica veniva utilizzato per riporre l'antenna.

Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, gli apparecchi radio (ed anche le reti telefoniche) ebbero sempre più un ruolo principale nelle comunicazioni. Alcuni dei modelli usati furono:

  • Stazione "CPRC-26". Quet'apparecchio in radiofonia FM semplice, veniva usato per mantenere i contatti dall'interno dell'opera con il plotone difesa vicina, quando questo usciva dall'opera ad esempio per pattugliamenti. La radio aveva le dimensioni 28,5x26x10,2 cm, con un peso complessivo di 4,8 Kg (inclusi gli accessori, le batterie e la borsa). La radio aveva 6 canali, con una gamma di frequenze compresa tra i 47 e i 55,4 Mhz. Le pile davavno alla radio un'autonomia di 20 ore. Utilizzando la propria antenna stilo, l'apparecchio aveva una portata di 1,5 Km, che potevano aumentare fino a 3 Km, se la lunghezza dell'antenna veniva allungata aggiungendo uno spezzone di filo di 1,22 m.
  • Stazione "SCR-300". Quet'apparecchio in radiofonia FM semplice, veniva usato per mantenere i contatti dall'interno dell'opera con il plotone difesa vicina, ma anche per la comunicazione opera-opera. La radio aveva le dimensioni 28x43x15 cm, con un peso complessivo di 15 Kg (inclusi gli accessori, le batterie e la borsa). La radio aveva 40 canali, con frequenze attorno ai 48 Mhz. A seconda delle pile che venivano utilizzate, la radio poteva avere un'autonomia di 10 o 20 ore. La radio aveva due antenne in dotazione, quella a stilo corta, e quella a stilo lunga, che davano rispettivamente una portata di 3 e 5 Km.
  • Stazione "AN/GRC-9". Quet'apparecchio in radiofonia AM (semplice e non), veniva usato per mantenere i collegamenti dal comando sbarramento ai comandi superiori. La radio era composta da tre parti fondamentali e distinte: un confano apparati con dimensioni 40x29x22 cm, per un peso di 15 Kg, un cofano alimentatore-vibratore di dimensioni 45x24x27 cm, per un peso di 37 Kg e un cofano alimentatore-sulvoltore di dimensioni 33x28x30 cm, con un peso di 16 Kg. Complessivamente l'apparecchio aveva un peso di 80 kg. La radio funzionava tra i 2 e i 12 Mhz. Per l'alimentazionde dell'apparato potevano essere adottate tre soluzioni, che fornivano rispettivamente 6, 12, o 24 V, e quindi davano gli davano rispettivamente 5, 8, o 14 ore di autonomia. A seconda dell'antenna la radio poteva ottenere uan portata differente. Se veniva usata l'antenna a stilo, che poteva essere composta da 5 elementi lunghi 1 m, raggiungeva i 25 Km infonia, e 56 km in telegrafia. Se invece si utilizzava un antenna filare, la radio raggiungeva i 40 km di portata in fonia, e 120 km in telegrafia.

[modifica] Rete telefonica

Questo tipo di collegamenti furono inseriti nelle varie circolari, e iniziati ad essere previsti negli anni '40, ma non furono ritenuti di primaria importanza, vista che la maggior parte delle opere non era ancora conclusa. Così, alla sospensione dei lavori ('41-'42), nessun opera era dotata di tale collegamento.

A ciò si mise rimedio nel dopoguerra, con il reimpiego di alcune opere. Le opere furono così dotate di rete telefonica sia interna che esterna. Furono usati degli apparati suplettivi chiamati “Complessi aggiuntivi OB/9”, che comprendevano un’antenna tipo stilo, un cavo coassiale di collegamento, un adattore d’antenna e un picchetto con isolatore per il sostegno dell’antenna stessa. Alcuni degli appartati usati furono:

  • apparato telefonico da campo tipo "EE-8". Fu usato per i collegamenti interni dell'opera. L'apparato era sistemato all'interno di una custodia in cuoio o di tela di dimensioni 26x21x11 cm, con un peso complessivo dell'apparato (incluse le pile) di 5,1 Kg. L'alimentazione era fornita da due pile BA-30 poste in serie, che fornivano una tensione di 3 V.
  • centralino telefonico campale tipo "UC", a 10 linee. Fu usato per i collegamenti interni ma anche esterni verso le altre opere dello sbarramento. L'apparecchio era costituito principalmente da una scatola metallica di dimensioni 53x20x20 cm, per un peso totale dell'apparecchio di 21,5 Kg. L'alimentazione era fornita da 3 pile WB-0/200 poste in serie, che fornivano una tensione di 4,5 V.
  • centralino telefonico campale "SB-22/PT", che andava a sostituire all'inizio degli anni '80 il modello "UC", aumentando le linee a 12. Fu usato per i collegamenti interni ma anche esterni verso le altre opere dello sbarramento. L'apparecchio era costituito principalmente da una scatola metallico a tenuta stagna di dimensioni 13x39x33 cm, per un peso complessivo dell'apparato di 14 Kg. Per l'alimentazione servivano 2 pile BA-30 collegate in serie che fornivano in uscita 3 V. Di queste ne servivano due per il microtelefono, e altrettante per l'illuminazione e alimentazione suoneria.
Tipica porta stagna all'interno di un bunker
Tipica porta stagna all'interno di un bunker
Un bagno alla turca all'interno dell'opera 15 dello Sbarramento di Mules
Un bagno alla turca all'interno dell'opera 15 dello Sbarramento di Mules
Alcune vasche d'acqua, per la sopravvivenza all'interno di un bunker in caso di attacco
Alcune vasche d'acqua, per la sopravvivenza all'interno di un bunker in caso di attacco
Cartello trilingue indicante la presenza di un bunker
Cartello trilingue indicante la presenza di un bunker

[modifica] La struttura dell'Opera

Col termine "Opera" si vuole intendere un manufatto di difesa, realizzato in caverna, oppure in superficie, e successivamente ricoperto, con il compito di difendere la zona a lei assegnata. Le opere in caverna sono scavate nella roccia, e le loro strutture interne venivano realizzate in seguito in calcestruzzo. Si riutilizzava in seguito il materiale estratto per la costruzione dei malloppi esterni (sia quelli per le camere di combattimento che quelli per la difesa degli ingressi). L'ipotesi migliore era di costruire le opere, scavandole quindi nella roccia, ma questo non era sempre possibile, e quindi spesso si adottava anche (o solamente) il calcestruzzo per costruire efficaci strutture difensive (con pareti da 3,5 fino a 4,5 metri di spessore). Queste erano solitamente costruite fuoriterra, e quindi dovevano essere ricoperte da terra, e vegetazione (a volte anche con alberi) per migliorarne la difficile mimetizzazione.

I punti più importanti, per lo scopo in sè dell'opera, erano le camere di combattimento, ovvero quelle piccole szanze che ospitavano cannoni o mitragliatrici, dietro un'apposita feritoia. Queste erano i punti più deboli dell'intera struttura, che per loro naturano erano più esposte e vulnerabili. Si decise quindi di proteggerle inserendo delle robuste piastre d'acciacio, riducendo così anche la dimensione delle aperture. A queste piastre, annegate nel calcestruzzo, erano spesso attaccati gli affustini per i cannoni o mitragliatrici (appositamente fatti costruire nello stabilimento militare di Terni). Queste piastre, chiamate piastre di blindamento, potevano essere sostanzialmente di due tipi, piana o curva, con uno spesso di circa 15 cm in media. Dato che le feritoie erano gli unici punti visibili dall'esterno, la loro mimetizzazione era ben curata. Si decise di coprire le feritoie in tempi di pace inizialmente con dei teli metallici su cui veniva fissata una rete metallica rivestita di cemento; successivamente lo sis sostituì con della vetroresina. Indifferentemente dal materiale usato, questa copertura doveva confondersi ottimamente con la morfologia ed i colori dell'ambiente in cui era costruita l'opera.

Oltre alle camere di combattimento, altro punto debole dell'opera è rappresentato dai suoi ingressi (spesso unico). Questo solitamente si trovava in direzione opposta a quella dell'ipotetica invasione, e se era possibile veniva realizzata un'apposita trincea per celarne l'esistenza. L'ingresso era sempre ben difeso da almeno una apposita caponiera. anche all'ingresso era data una grande importanza per quanto riguarda il mimetismo.

Le opere all'interno avevano lunghi e stretti corridoi, spesso interrotti da scalinate che portavano alle camere di combattimento, ma anche agli altri piani, dato che le Opere potevano essere costruite anche su due o più piani. Solitamente al piano superiore si trovavano le camere da combattimento, le riservette delle munizioni, il gruppo elettrogeno, i locali per le comunicazioni, il posto comando e i locali servizi, mentre al piano inferiore si trovavano i dormitori (ricoveri), che utilizzavano particolari strutture di letti a castello in ferro (questi altro non erano che dei corridoi allargati). Presso l'ingresso dell'opera solitamente erano dislocate le latrine, con turche, che riducevano così la necessità di dover uscire dall'opera. Erano inoltre previsti locali adibiti ad infermeria. Ogni camera da combattimento era isolata dal resto dell'opera tramite una porta stagna (come quella delle navi), che aveva il compito di evitare intossicazioni, che potevano avvenire dall’biossido di carbonio (CO2) che le armi da fuoco producevano. Infatti gli armatori utilizzavano maschere antigas, collegate ad un sistema di circolazione dell'aria, che si azionava manualmente attraverso delle manopole poste dietro i portelloni. Le porte, quella d'ingresso e quelle che collegavano le varie parti dell'Opera, erano stagne, di tipo navale, con un apertura azionata tramite un volante, del tutto simili alle porte dei sottomarini, o delle navi militari.

Ogni Opera progettata dal 1939 (circolare 15.000 del Generale Graziani), era concepita di tipo permanente, ed era allestita per poter ospitare la truppa ed il suo relativo comando, e dargli la possibilità di poter resistere senza aiuti esterni per anche un mese (la normale autonomia era invece di 8 giorni). Anche per questo motivo all'interno dell'opera erano presenti alcune vasche d'acqua, magazzini per viveri e munizioni, impianti d'illuminazione, di ventilazione, di filtraggio e di rigenerazione di aria ed infine gli impianti di protezione anti CO2.

All'interno delle opere, in tempo di pace l’energia elettrica era fornita dall'ENEL, mentre all'occorrenza si potevano utilizzare gruppi elettrogeni.

Le opere solitamente erano immerse nell'ambiente circostante e dovevano mimetizzarsi perfettamente. Infatti tra la moltitudine di opere, si possono osservare come siano stati utilizzati materiali che imitano la roccia circostante e come sia stata impiantata vegetazione ad hoc. Particolare cura veniva data alle feritoie, alle cannoniere e agli ingressi, i punti più esposti.

Solitamente le opere di una certa dimensione avevano due oltre all'ingresso prncipale anche un uscita di emergenza, posta in una posizione opposta all'entrata principale, per poter avere una via di fuga in caso di penetrazione all'interno dell'opera. questa poteva essere un'altra porta o a volte veniva usata anche una semplice e piccola botola.

Nei pressi degli sbarramenti erano quasi sempre presenti, in posizioni leggermente più arretrate, delle casermette adibite ad alloggiare i soldati che avevano il compito di mantenere l'efficenza delle opere, sorvegliarle e in caso di necessità anche provvedere ad una immediata riattivazione delle opere, secondo piani ben prestabiliti.

La mitragliatrice Breda Mod.30 usate nelle opere del Vallo Alpino
La mitragliatrice Breda Mod.30 usate nelle opere del Vallo Alpino
Il cannone 47/32 mod.35 usato nei bunker
Il cannone 47/32 mod.35 usato nei bunker

[modifica] Armamento prima della guerra

Ogni opera era dotata di almeno un cannone anti-carro e un certo numero di mitragliatrici.

Solitamente l'armamento prevedeva:

  • Mitragliatrice Fiat Mod. 14/35 (machinegun) per le casematte in calcestruzzo o per le cupole metalliche.
    • Dal '37 si cercò di sostituirla con il Breda mod.37, più robusta e precisa; l'ideale per il tiro d'accompagnamento e d'arresto. Fu utilizzata znche nel dopoguerra.
  • Mitragliatrice Breda Mod.30, utilizzata nelle caponiere per la difesa degli ingressi delle opere, un arma efficace nel combattimento ravvicinato fino a 500 m.

L’artiglieria invece si costutuiva in generale di due modelli di armi anti carro:

  • Cannone 57/43 R.M mod. 887, posti su appositi affusti a forma di candeliere (erano in realtà cannoni dismessi dalla Regia Marina, prodotti dalla Nordenfeld). Fu successivamente sostituito dal 47/32 mod.35.
  • Cannone 47/32 mod.35, posto su un sostegno a forma di coda di rondine, e ben saldato alle piastre che erano già utilizzate per il 57/43 (quando nelle casematte, non vi era la corrazzatura, il cannone veniva installato su un affusto campale). Il modello era prodotto dalla Breda, su concessione della Boheler.

Oltre ai cannoni anticarro, furono utilizzati anche cannoni per il tiro di appoggio e sbarramento:

  • Cannone 75/27 Mod.06, posta su un giunto di forma sferica, collegato ad una piastra corazzata di 10 cm (con questo giunto, si riduceva la grandezza della feritoia ed inoltre si ottenevano ampi settori di tiro). Questo cannone era costruito dall'Ansaldo, su licenza Krupp.
  • Obice Škoda da 100/17 Mod.14 e 16, di provenienza austriaca, come preda bellica. Fu utilizzato in casamatta sul proprio affusto campale unicamente presso il caposaldo Col dei Bovi
  • Cannone d'accompagnamento 65/17 Mod.908. questo pezzo venne preso in considerazione sia all'interno delle opere che in postazioni all'aperto con funzione anticarro (unico esempio noto, opera 3 sbarramento Malles-Glorenza.

Oltre alle armi qui sopra citate, molti sbarramenti erano anche forniti di:

  • Mortaio da 81 mm mod.35, come difesa degli ingressi e per battere gli angoli morti, grazie al tiro curvo. Inizialmente era impiegato all'esterno delle opere, ma comunque nei pressi degli ingressi. A volte erano previste piazzole apposite. Successivamente venne ideate la sua installazione all'interno delle fortificazioni. Poteva essere armato con:
    • bomba normale, di 3,265 kg, con 0,5 kg di alto esplosivo;
    • bomba di grande capacità, di 6,6 kg, con 2 kg di alto esplosivo.
  • mortaio leggero da 45 mm mod. "Brixia"
  • Lanciafiamme di tipo a scomparsa, appositamente studiato per l'utilizzo nelle fortificazioni, con una portata di 50 m.
  • Le armi individuali dei soldati.

L'opera oltre al suo mimetismo, era circondata solitamente da un campo minato e da del filo spinato per la difesa dai guastatori oltre che ad appositi cartelloni indicanti la presenza dell'opera (questi erano in realtà per tenere lonatni i curiosi e non i nemici).

Oltre al fossato o muro con funzione anticarro, che solitamente veniva realizzato nel fondovalle per sbarrare la via ai carri dell'invasore, vi erano dei piani tattici per il posizionamento di blocchi stradali e ferroviari e dei piani di fuoco con zone da battere, da adottare in caso di attacco.

La mitragliatrice BrenMk1
La mitragliatrice BrenMk1
La mitragliatrice MG42/59
La mitragliatrice MG42/59

[modifica] Armamento dopo della guerra

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando le opere vennero riaperte, e nuovamente presidiate, questa volta dagli Alpini d'Arresto, cambiarono in parte gli armamenti delle opere.

Mitragliatrici:

  • Mitragliatrice Breda 37
  • Fucile mitragliatore BrenMk1, per la difesa ravvicinata e degli ingressi.
  • Mitragliatrice MG42/59, che entro in servizio tra gli anni ’70 e ’80. Ciò comportò in molti casi una modifica degli affusti.

Per l'artiglieria invece:

  • Cannone 75/21 modello I.F., di produzione italiana.
  • Cannone 75/34 modello S.F., di produzione italiana.
  • Cannone 90/32, che andava a sostituire i due modelli precedenti. Questo cannone era di produzione belga, e esisteva nelle versioni leggera e pesante.
  • Cannone 105/25 mod. S.F., di produzione italiana, in sostituzione del 75/27. Questo cannone fu ricavato dal semovente italiano M-43 utilizzato durante la Seconda Guerra Mondiale
  • Vecchi carri armati (M4 Sherman, M26 Pershing, M47 Patton), che montano una torretta enucleata, oppure installando l’intero scafo in apposite vasche in cemento. Il primo aveva montato un cannone 76/55 (mod. SF. di produzione inglese, noto anche come "17 libbre"), mentre gli altri due un cannone M-3 da 90/50.
    • In alcuni casi è stato anche utilizzato lo scafo del Fiat M-15/42.

Inoltre le opere erano difese anche con l'impiego di campi minati


Con la dismissione/chisura delle opere nel 1992, tutte le armi vennero rimosse, comprese le torrette, carri o parti di esse (quando era possibile farlo, in quanto molte di queste erano saldate nel cemento armato).


la tabella dei simboli, con relativa legenda
la tabella dei simboli, con relativa legenda

[modifica] Simboli all'interno delle opere

All'interno dei bunker, soprattutto quelli montani, si utilizzava una particolare simbologia, che oltre ad una identificazione progressiva relativa alle postazioni di fuoco, indicava i locali e gli equipaggiamenti all'interno delle opere.

Solitamente all'ingresso dell'opera si trovava un cartello di alluminio che indicava il numero e la tipologia delle postazioni da fuoco, e quindi gli eventuali vari locali con le funzioni di camerata o di riserva ad esempio.

I cartelli normalmente erano costituiti da simboli bianchi stampati su sfondo nero incorniciato di bianco, stampati su cartellini di plastica di forma quadrata, che potevano essere appesi da soli o aggregati ad altri, formando così un cartello più complesso. Per elevare il grado della loro visibilità, solitamente i simboli erano rifrangenti.

A volte si è optato per delle scritte sui muri al posto di quelle sui cartelli, in diversi stili e colori, dovuti probabilmente soltanto al particolare estro creativo del pittore. Una segnaletica di questo tipo naturalmente aveva una longevità minore, ed è quindi difficile oggigiorno trovarne in condizioni ottimali.

[modifica] La manutenzione della fortificazione permanente in montagna

Il Comandante di cp. alp. arr. assicura la sorveglianza e manutenzione dei manufatti, delle armi, dei mezzi delle trasmissioni e dei materiali in dotazione, per tale compiti esso si avvale del plotone manutenzione opere di btg. , del personale di truppa, della propria compagnia, specializzato, del personale di presidio allo sbarramento. Di seguito vediamo le operazioni da svolgere e la loro cadenza:

  • il personale di presidio allo sbarramento provvede giornalmente alla sorveglianza delle opere, e quando necessario alla pulizia interna dei manufatti, alla manutenzione dei sentieri/ strada d'accesso all'opera, pulizia del fossato diamante, taglio di cespugli, messa in moto dei generatori elettrici, controllo di efficienza degli impianti di deumidificazione, manutenzione delle armi di reparto costodite presso la casermetta corpo di guardia.
  • il plotone manutenzione opere composto da Su. specializzati e truppa specializzata ,diviso in:
    • la squadra mantenimento provvede alla manutenzione delle opere murarie, del mascheramento, dei serramenti, dei materiali del genio in dotazione all'opera (estintori, serbatoi per acqua, segnaletica interna), degli impinati di deumidificazione, degli impianti elettrici interni ed esterni, la cadenza generalmente è trimestrale o quanto se ne ravvisi la neccessità, come ad esempio i rappezzi sulla finta roccia , la pittura delle torrette M e delle baracche P, la riverniciatura dei serramenti qualora si riscontrino tracce di ruggine, o la sostituzione della segnaletica mancante o in cattivo stato.
    • la squadra artiglieria provvede alla manutenzione delle artiglierie e degli affustini delle mitragliatrici e degli impianti ant. CO, con una cadenza mensile o semestrale secondo quanto prescritto dalle istruzioni relative ad ogni arma.
    • la squadra telecomunicazioni provvede alla manutenzione degli impianti telefonici con cadenza semestrale. Per le riparazioni che eccedevano la competenza del pl. man. opere intervenivano, ognuno per la parte di propria competenza, il personale della Direzione Genio, dell'Arsenale di Napoli, di STA.ME.CO. (stabilimento mezzi corazzati), del laboratorio di precisione esercito.

Le materie prime occorrenti, secondo le spettanze stabilite dalle normative in vigore, venivano prelevate presso il btg. L., il magazzino genio competente per territorio, acquistate dal commercio con appositi fondi assegnati di anno in anno. Le ispezioni, oltre al C.te di cp. erano eseguite dall'Ufficiale all'armamento di btg., dal nucleo ispettivo del C.do Brigata.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia

  • Le Strade dei Cannoni, Marco Boglione, Blu Edizioni, Torino 2005, ISBN 88-87417-68-7
  • Le fortificazioni del Vallo Alpino Littorio in Alto Adige, Alessandro Bernasconi, Giovanni Muran - Temi, Trento, 1999 ISBN 8885114180
  • Bunker, Josef Urthaler, Christina Niederkofler, Andrea Pozza - 244 pagine, formato 22,5 x 30,0 cm, custodia rigida in plexiglas, ISBN 8882663922
  • Fortezze e soldati ai confini d'Italia, Alessandro Bernasconi, Massimo Ascoli, Maurizio Lucarelli, edizione Temi del 2004, 188 pagine, ISBN 8885114792
  • La difesa dell'arco alpino (1862-1940), Massimo Ascoli, Editore Uff. Storico dell'Esercito, 2000, 270 pagine, EAN 9786001087639
  • Spie italiane contro forti austriaci. Lo studio della linea fortificata austriaca sugli altopiani trentini, Di Martino Basilio, 1998, 96 pagine, ISBN 8881300591
  • Dei sacri confini guardia sicura, Alessandro Bernasconi, Collavo Daniela, Editore Temi 2002, 312 pagine, ISBN 8885114717
  • Il Vallo Alpino a Cima Marta, Davide Bagnaschino
  • Alta Roja Fortificata, D.Bagnaschino - P.Corino
  • RUPI MURATE, Elvio Pederzolli
  • Fortificazioni nell'arco Alpino, M.Minola - B.Ronco

[modifica] Collegamenti esterni


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