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Speriamo che sia femmina - Wikipedia

Speriamo che sia femmina

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Speriamo che sia femmina

Liv Ullmann
Titolo originale: Speriamo che sia femmina
Lingua originale: {{{linguaoriginale}}}
Paese: Italia/Francia
Anno: 1985
Durata: 120'
Colore: colore
Audio: sonoro
Rapporto: {{{ratio}}}
Genere: commedia
Regia: Mario Monicelli
Soggetto: Tullio Pinelli
Sceneggiatura: Mario Monicelli, Tullio Pinelli, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Suso Cecchi d'Amico
Produttore: {{{nomeproduttore}}}
Produttore esecutivo: {{{produttoreesecutivo}}}
Casa di produzione: {{{casaproduzione}}}
Distribuzione (Italia): {{{distribuzioneitalia}}}
Storyboard: {{{nomestoryboard}}}
Art director: {{{nomeartdirector}}}
Character design: {{{nomecharacterdesign}}}
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Animatori: {{{nomeanimatore}}}
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Episodi:
Fotografia: Camillo Bazzoni
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Effetti speciali:
Musiche: Nicola Piovani
Tema musicale: {{{temamusicale}}}
Scenografia: Enrico Fiorentini
Costumi: {{{nomecostumista}}}
Trucco: {{{nometruccatore}}}
Sfondi: {{{nomesfondo}}}
Sequel: {{{nomesequel}}}
Si invita a seguire le linee guida del Progetto Film

Speriamo che sia femmina è un film diretto dal regista Mario Monicelli nel 1985.

Indice

[modifica] Trama

In un grande casale della campagna toscana (in realtà il film fu girato nell'alto Lazio a Vicovaro) vivono in armonia ben otto donne, anzi ne manca una che non compare nel film e che si dice viva a Catania e un'altra ancora che si vedrà nella parte centrale del film: l'amante romana del conte. Un racconto dunque quasi tutto al femminile dove le donne sono una maggioranza che sovrasta i pochi uomini che partecipano alla storia.

Elena (Liv Ullmann), la padrona, dirige la fattoria ed è una donna energica e razionale, mentre un'altra, la domestica Fosca (Athina Cenci), pratica e di buon senso, è il vero nume tutelare della casa, che provvede alle necessità materiali di tutte. Fosca cura sua figlia Martina e la nipote di Elena. Claudia (Catherine Deneuve), famosa attrice che vive a Roma, che, per egoismo e necessità di lavoro, ha praticamente abbandonato la figlia Irma (Simona Cera) affidandola alla sorella.

Un'altra donna, una delle figlie più grandi della padrona, Franca (Giuliana De Sio), appare in casa o scompare a seconda dei fidanzati presi o lasciati. Infine l'ultima Malvina (Lucrezia Lante della Rovere), mite e sottomessa, pensa prevalentemente ad allevare e curare con affetto i cavalli della fattoria.

In questo gineceo l'unica figura maschile è lo zio Ugo Bernard Blier, completamente rimbambito e fastidioso per i suoi imprevedibili colpi di testa, accudito passo passo dalla domestica. In questo ambiente tutto sommato sereno, dove ognuno vive come vuole, arriva il conte Leonardo (Philippe Noiret), marito della padrona, sebbene i due vivano separati di comune accordo. Il motivo della visita è al solito economico. Il conte vorrebbe ristrutturare un complesso termale in disuso, di proprietà della famiglia, per trasformarlo in un locale moderno, che diverrebbe, secondo lui, una vera miniera d'oro ma, mancandogli i denari per realizzare il proficuo affare è venuto a battere cassa. Le sue speranze saranno deluse. La moglie chiede un parere sull'affare al suo esperto fattore Nardoni (Giuliano Gemma), che fra l'altro è il suo amante, che la sconsiglia di impegnarsi in un'impresa del tutto sballata.

Nel frattempo le due ragazzine sono scappate a Siena per assistere, contro la volontà e all'oscuro dei parenti, ad un concerto di un cantante pop. La famiglia e il fattore si mobilitano alla loro ricerca. Poco tempo prima il conte, con alle costole lo zio Ugo, era andato in auto a visitare un belvedere posto ai margini di un profondo dirupo. Deluso e senza i finanziamenti sperati, decide di tornare a Roma. Nel fare manovra sull'orlo del dirupo chiede assistenza, per eseguire la retromarcia e non finire nel fossato, allo zio Ugo che nel frattempo sta eseguendo un suo strambo "esperimento" con un piccione che lancia nel vuoto gridandogli: "Vai!". Il grido viene equivocato dal conte che precipita nel burrone morendo sul colpo.

Il fattore Nardoni ritrova le bambine fuggite che vengono riportate a casa dove giunge la notizia della morte del conte. Tutte, meno naturalmente lo zio Ugo che ha dimenticato completamente l'accaduto, si sentono colpevoli di essersi preoccupate delle bambine mentre il povero conte si sfracellava al belvedere. Durante il funerale compare ancora un'altra donna: Lolli, (Stefania Sandrelli) l'amante del defunto conte, anche lei vittima indebitata per gli affari sconclusionati di Leonardo, che viene bene accolta da Elena e dalle altre donne. Tornate a casa, Franca annuncia che ha deciso di sposarsi con Giovannini (Paolo Hendel) uno squinternato studioso di canti popolari, quasi per assolversi dal rimprovero del padre che, prima di morire, l'aveva biasimata per il suo modo disinvolto di vivere l'amore. Da qui si origina un reciproco rinfacciarsi di colpe e accuse per la morte del conte che causa la crisi delle donne convincendo Elena che ormai il legame che le univa si è spezzato e quindi decide di vendere tutto.

[modifica] Tematiche

Il film è tutto incentrato sulla contrapposizione fra l'elemento femminile, in maggioranza per le numerose protagoniste, e quello maschile dove i pochi rappresentanti del sesso "forte" vengono presentati come cialtroni e ridicoli sia in vita che in morte (il conte Leonardo),[1] "bischeri" (Giannini) o addirittura deboli mentali (lo zio Ugo). Unica figura che sembra salvarsi nel deludente gruppo maschile sembra essere quella dell'equilibrato fattore, in realtà anch'esso strumento innamorato nelle mani di Elena.[2]

Appare chiara la simpatia e la fiducia che il regista ha per le donne di cui apprezza il buon senso di Elena e Fosca,la leggerezza di vivere di Franca, che si serve degli uomini e poi li abbandona tranquillamente, l'amore ingenuo e generoso di Lolli, la serena mitezza di Malvina.

Da notare anche la contrapposizione che il regista mette in rilievo tra l'ambiente finto toscano, con il vecchio e accogliente casale, nonostante che non vi sia né luce elettricatelefono (salvo quello di barattoli e spago "inventato" dallo zio Ugo), con i buoni cibi genuini, con l'arguzia e la semplicità della vita campagnola messa a confronto, nell'ultima parte del film, con quello romano cittadino, dove vive freneticamente Martina Leonardi con i suoi salotti pseudo-intellettuali e i suoi deludenti e falliti amori, con sullo sfondo il continuo rumore del traffico stordente che accompagna la sua vita.

Il titolo del film spiega perché queste donne, apparentemente fragili, ma invece forti e consapevoli dello loro nascosta superiorità morale, ed anche fisica, sperano che il nuovo nato che attende Franca - rimasta incinta del "bischero" che poi non ha sposato - venga a rinfoltire le loro file e a rendere meno stupida la parte maschile del genere umano. Sembra dire il regista: «Speriamo davvero che il mondo sia un po' più femmina».[3]

[modifica] Note

  1. ^ «Un gioco perfetto. Di caratteri, di sentimenti, di situazioni. Con un basso continuo di ironia che si fa intendere tra le pieghe del racconto anche quando la nota è al dramma: la morte di Leonardo, ad esempio, cui lì nessuno pensa...». (Gian Luigi Rondi, Il Tempo 1 Marzo 1986)
  2. ^ «...la donna d'oggi, non più pazza per amore ma savia per dolore, la fermezza che procurano l'attaccamento alla terra e il piacere della famiglia, l'inaffidabile fragilità dei maschi.» (Giovanni Grazzini,Il Corriere della Sera)
  3. ^ «Viva le donne. È infatti grazie ai nostri eterni Dei che uscito un po' ammaccato dagli ultimi film, tutti incentrati su figure maschili, Mario Monicelli ci dà una delle opere più belle di tutta la sua carriera, degna d'uscire dall'orto italiano per la sua ricchezza di chiaroscuri e l'eccellenza della sua architettura.» (Giovanni Grazzini op.cit.)

[modifica] Bibliografia

  • M. Morandini, Dizionario dei film, ed. 2007, Zanichelli

[modifica] Collegamenti esterni


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