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Spartaco - Wikipedia

Spartaco

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Lo Spartaco di Denis Foyatier, 1830
Lo Spartaco di Denis Foyatier, 1830

Spartaco (Tracia120 a.C. – Lucania71 a.C.) è stato un gladiatore romano che capeggiò una rivolta di schiavi, la più impegnativa delle guerre servili che Roma dovette affrontare: viene per questo motivo soprannominato "lo schiavo che sfidò l'impero".

Indice

[modifica] Primi anni

Poco di preciso si sa sulla sua giovinezza: è comunque certo che nacque in Tracia da una famiglia di pastori; intraprese la professione dei padri, ma ridotto in miseria accettò di entrare nell'esercito romano, con cui combatté in Macedonia col grado di milite ausiliario. La dura disciplina cui era obbligato ed i numerosi episodi di razzismo che dovette subire all'interno della milizia lo convinsero a disertare e a scappare.

Catturato, fu giudicato disertore e condannato, secondo la legge criminale militare romana, alla riduzione in schiavitù. In seguito, intorno al 75 a.C., fu destinato a fare il gladiatore. Infatti, Spartaco venne venduto a Lentulo Battiato, un lanista, cioè organizzatore di spettacoli, che possedeva una scuola di gladiatori a Capua. Spartaco fu obbligato a combattere contro belve feroci e contro altri gladiatori com'era in uso a quel tempo per divertire popolo e aristocrazia.

[modifica] La ribellione

Spartaco, esasperato dalle inumani condizioni che Lentulo riservava a lui ed agli altri gladiatori in suo possesso, decise di ribellarsi a questo stato di cose e nel 73 a.C. scappò dall'anfiteatro in cui era confinato. Lo seguirono 200 compagni, di cui però solo una settantina arrivarono fino al Vesuvio, la prima tappa della rivolta spartachista. Sulla strada che portava al vulcano i ribelli si scontrarono con un drappello di soldati della locale guarnigione, che gli erano stati mandati incontro per contrastarli e catturarli.

Ma la vittoria arrise a Spartaco ed ai suoi, benché armati di soli attrezzi da cucina, di cui si erano impossessati nella caserma della scuola gladiatoria. Così ebbero modo di armarsi con le armi da guerra dei soldati romani caduti. Spartaco fu eletto a capo dei ribelli, insieme ai galli Enomao e Crixus (detto anche Crisso o Crixio) e si rifugiarono ai piedi del vulcano per riorganizzarsi e decidere sul da farsi.

[modifica] Prime fasi

Il Senato di Roma inviò, in rapida successione, due pretori, prima Caio Clodio Glabro e poi Publio Varinio, in Campania, con l’ordine di reprimere la rivolta. Glabro arruolò, letteralmente strada facendo, una legione raccogliticcia di 3000 unità circa, fatta di uomini inesperti e non addestrati. Infatti, va ricordato che Roma non ha mai posseduto fino alla tarda Repubblica un esercito professionale permanente, ma si arruolavano le legioni in occasione delle campagne militari. Tuttavia, una spedizione di repressione del brigantaggio e cattura di schiavi fuggitivi era considerata non particolarmente onorevole dal punto di vista militare per i legionari, i quali non avevano neppure la prospettiva di fare bottino di guerra, visto che si trattava, diremmo noi oggi, di un’operazione di polizia militare interna, dunque, senza speranza di saccheggio, né di premio di congedo.

Quando Glabro cinse d’assedio la posizione sulla quale si erano asserragliati Spartaco ed i suoi, questi ultimi, profittando dell’oscurità, riuscirono ad aggirare l’accerchiamento senza che le sentinelle romane se ne accorgessero, per cui riuscirono addirittura a circondare l’accampamento romano e forti della sorpresa l’attaccarono, sterminando una gran parte dei legionari, mentre altri ancora si davano ad una precipitosa fuga in quella che viene denominata "battaglia del Vesuvio". Questo successo militare ottenuto grazie all’esperienza militare di Spartaco ed alla sua sagacia tattica fece accorrere tra le sue fila un enorme numero degli schiavi fuggitivi, pastori e contadini poveri dei dintorni del Vesuvio, sicché la cinta d’assedio posta intorno al Vesuvio fu spezzata e più legioni romane finirono per essere successivamente e nettamente sconfitte in Campania.

Il successo militare più eclatante ottenuto dai rivoltosi fu quello conseguito contro il pretore Publio Varinio ed i suoi legati propretori, Furio e Cossinio: Spartaco non si limitò a sconfiggere i soldati, ma riuscì anche ad impadronirsi dei cavalli, delle insegne delle legioni e dei fasci littori del pretore. Da questa posizione egli riuscì a dominare su tutta la ricca regione campana.

In effetti, accadde che Cossinio si fece cogliere di sorpresa mentre faceva il bagno a Saline, una località tra Herculaneum e Pompei ed a stento riuscì a salvarsi, per il momento, dal colpo di mano operato dai ribelli. Successivamente dopo un inseguimento, Spartaco operò l’assalto finale nel quale perirono moltissimi legionari e lo stesso legato. Quindi, venne il turno di Varinio il quale, dal canto suo, aveva preso delle contromisure preventive atte a dissuadere attacchi di sorpresa del nemico. Tuttavia, la disciplina militare nel campo romano lasciava molto a desiderare: parte dei legionari era ammalata mentre la parte superstite si era ammutinata evidentemente per l’incapacità nell’esercizio del comando militare di Varinio, oltre che per la scarsa qualità umana dei reparti a disposizione del pretore, che si vide costretto ad inviare il questore Caio Toranio, allo scopo di fare rapporto al Senato sull’andamento delle operazioni.

Non deve assolutamente sorprendere un simile rovescio subito dalle armi romane, sia perché non si trattava delle legioni migliori, sia perché i pretori ed i loro legati, ufficiali arruolati al seguito e tratti dal loro entourage politico–amministrativo–amicale, erano spesso e volentieri completamente digiuni di strategia e di tattica militare, siccome in Roma si occupavano essenzialmente di esercitare la giurisdizione e solo raramente, ed in casi eccezionali, erano investiti di comandi militari.

Evidentemente, i consoli in carica Gaio Cassio Longino e Marco Terenzio Varrone Lucullo non avevano particolare interesse ad impegnarsi in questa campagna e la sottovalutazione di Spartaco fu la causa dell’espandersi del conflitto, che causò molte perdite umane ed economiche. Resosi conto di ciò, Spartaco decise di volgere la sua marcia verso sud in direzione di Cuma, dopo essere riuscito a spezzare il tentativo di accerchiamento e successivo aggancio operato da Varinio. I ribelli spartachisti riuscirono a svernare nel 73-72 a.C. indisturbati, anzi non solo con le razzie si alimentavano, ma riuscirono anche ad equipaggiarsi con armi fabbricate da loro stessi.

Tuttavia, iniziò a serpeggiare il seme della discordia anche nel campo di Spartaco, poiché i ribelli Galli e Germani, capeggiati da Crisso ed Enomao volevano riprendere l’iniziativa attaccando le legioni romane, mentre Spartaco, ben consapevole della resistenza e capacità di ripresa sulla lunga distanza degli eserciti romani, era contrario. Ed, infatti, si decise di estendere la rivolta anche a Sud della Campania, occupando quindi la Calabria e la Lucania (oggi Basilicata). In queste zone, contro gli ordini stessi di Spartaco i ribelli Galli e Germani si abbandonarono ad ogni sorta di violenza, saccheggio, devastazione: villaggi bruciati, donne stuprate e assassinate, bestiame depredato, sembrava che un’apocalisse si fosse abbattuta sulla Campania. Tutti i tentativi di Spartaco d’impedire questi eccidi furono vani, tanto che iniziò ad attirarsi l’odio dei suoi stessi seguaci.

Nel 72 a.C. sembrò che il Senato iniziasse a prendere sul serio la rivolta spartachista, sulla scia dell’indignazione popolare che aveva sollevato la scia di sangue, saccheggi e stupri commessi dagli schiavi fuggitivi e deliberò che i consoli di quell’anno, Lucio Gellio Publicola e Gneo Cornelio Lentulo Clodiano schiacciassero la rivolta. Crisso, con una maggioranza di ribelli celti e germanici ai suoi ordini, scese in Apulia (oggi Puglia), ma qui fu sconfitto da Publicola nella "Battaglia del Gargano". L'esito fu così disastroso che Quinto Avio, il propretore di Gellio, riuscì assolutamente indisturbato ad uccidere Crisso con un pugnale.

Spartaco non si intimorì alla notizia della morte dell'alleato, ed anzi riuscì a battere nuovamente le truppe romane, attestate in due eserciti comandati dai consoli Lucio Gellio Publicola e Gneo Cornelio Lentulo Clodiano uno di qua e uno di là dell'Appennino. [1] L'esercito comandato dal console Clodiano Lentulo, nel tentativo si sbarrare il passo agli insorti, sarebbe stato sconfitto (estate del 72 a.C.) nei pressi di una zona dell'Appennino, che in una pubblicazione di Laura Battistini, (attingendo alla descrizione di Sallustio, Fragments de la Grande Histoire, Quatrieme Livre, CCCXXXVII; e a diverse altre fonti storiche accreditate), viene indicata nell'attuale località di Lentula al confine fra le province di Pistoia e di Prato. [1] [2] [3]. Spartaco ebbe la meglio anche sul governatore della Gallia cisalpina, il proconsole Caio Cassio Longino Varo [4], che gli venne incontro nei pressi di Mutina Modena con un esercito di 10.000 uomini, ma fu letteralmente sbaragliato ed a stento si salvò, dopo un’enorme strage di legionari romani.

Addirittura Spartaco, quasi come per una pena del contrappasso, immolò ben 300 prigionieri romani in occasione del funerale di Crisso, mentre alcuni prigionieri furono costretti a combattere come gladiatori in giochi improvvisati. Era quindi praticamente riuscito nel suo intento, cioè quello di attraversare le Alpi e congiungersi con gli schiavi del Nord Europa in modo da lasciare ognuno libero di tornare alla propria casa. Tuttavia una grande parte degli schiavi vittoriosi (soprattutto i contadini meridionali) volle restare in Italia o al limite marciare contro Roma, approfittando del momento di debolezza dell'esercito romano.

Spartaco inizialmente non aderì a questo progetto, convinto del suo fallimento: egli avrebbe preferito arrivare fino in Gallia, in modo da avere il sostegno della popolazione locale che già da tempo mostrava una certa insofferenza verso la dominazione romana. Decise comunque di accettare la volontà della maggioranza, a patto che essi fossero tornati al sud in modo da avere più alleati (gli eserciti romani erano sempre in netta superiorità numerica), non senza aver prima sconfitto di nuovo un esercito consolare nel Piceno. A quel punto le fonti riportano che balenò tra i ribelli l’idea di attaccare la stessa Roma, dove già serpeggiava la paura di un nuovo incendio gallico, ma Spartaco fece desistere i suoi, poiché valutava di non avere un esercito ben armato ed equipaggiato.

Perciò, guidò le sue truppe verso la Lucania e si fermò nei pressi di Turi, ove riarmò il suo esercito, alimentandolo con le razzie ed i saccheggi e si scontrò nuovamente coi i Romani che furono ancora una volta sconfitti.

[modifica] L'intervento di Crasso

Nel dicembre nel 72 a.C., proprio mentre Spartaco tornava in Basilicata, il Senato romano diede al proconsole Marco Licinio Crasso l'incarico di reprimere la rivolta. Crasso pretese il comando su otto legioni, in modo tale da avere una schiacciante superiorità in termini numerici.

Crasso mosse contro Spartaco con sei legioni, cui si aggiunsero le altre due consolari ripetutamente sconfitte, che le fonti, però, riferiscono essere state decimate dal loro stesso nuovo comandante. Infatti, si narra che, venuto a battaglia con l’esercito spartachista, Crasso sia stato sconfitto e per punizione abbia ordinato la decimazione delle legioni consolari fino all’immane cifra di ben 4.000 legionari giustiziati con il sistema della verberatio (a bastonate) per la codardia mostrata nei confronti del nemico. Ma il principale responsabile di quest’ennesimo rovescio era stato un amico di Crasso, Mummio, che, insieme ad altri nobili, si era posto agli ordini del proconsole, com’era consuetudine per la nobiltà quando s’intraprendeva qualche campagna al comando di valorosi condottieri, per mettersi in luce nelle campagne politiche. Mummio disobbedì agli ordini ed attaccò Spartaco, ma questi reagì sopraffacendolo.

Con l'uso della verberatio Crasso si guadagnò più di Spartaco la paura ed il timore reverenziale dei suoi uomini, ristabilendo, in questo modo alquanto sanguinario, ma non inconsueto nella storia dell’esercito romano, la disciplina e la fedeltà delle sue truppe.

Spartaco, preso in controtempo da questa decisione, decise allora di sbarcare in Sicilia in modo tale da unirsi a una rivolta di schiavi, indipendente alla sua, che si stava svolgendo in quel momento in Trinacria. Tuttavia, a causa del tradimento di alcuni pirati cilici (che si misero d'accordo con il governatore della Sicilia Verre), fu costretto a rimanere fermo, nonostante il tentativo di attraversare lo stretto a bordo di zattere improvvisate che però non riuscivano ad assicurare l’approdo, anche perché il famigerato governatore di Sicilia Caio Verre, aveva nel frattempo fortificato le coste nei pressi di Messana.

Crasso ordinò la creazione di un grande muro protetto da un fossato molto largo e profondo, per non fare arrivare rifornimenti di alcun genere alle truppe di Spartaco e tenere impegnati e ben allenati i legionari. Infatti, accadeva che Spartaco ricevesse aiuto da briganti, schiavi fuggitivi e disertori, ma non dai contadini o dagli abitanti delle città atterriti dalle sue imprese. Tuttavia, Spartaco, dopo una serie di tentennamenti, poiché in campo aperto aveva subito dei parziali rovesci da parte dell’esercito romano, decise di forzare il blocco, facendo attraversare le sue truppe in un punto delle opere di difesa che era stato neutralizzato.

[modifica] La sconfitta

La morte di Spartaco, crocifisso lungo la via Appia, marmo bianco di Louis-Ernest Barrias, 1871, ora a Parigi, Tuileries Gardens.
La morte di Spartaco, crocifisso lungo la via Appia, marmo bianco di Louis-Ernest Barrias, 1871, ora a Parigi, Tuileries Gardens.

Rotto il blocco Spartaco si diresse verso l’Apulia, chi dice perché di lì volesse salpare alla volta della Tracia, chi perché voleva far insorgere gli schiavi di quella regione. Crasso lo attaccò alle spalle, ma egli riuscì inizialmente a sconfiggerlo nella "battaglia di Petilia". Tuttavia, a causa della stanchezza dei suoi uomini, Spartaco non poté sfruttare al meglio il suo successo, avvenuto nel gennaio del 71 a.C., permettendo così alle truppe di Gneo Pompeo, giunto dall’Hispania, di unirsi a quelle di Crasso: il nuovo esercito romano, numeroso e ben armato, costrinse Spartaco prima alla fuga verso Brindisi (dove due suoi ex alleati, Castro e Giaunico, vollero muovere battaglia da soli ai romani, perdendo nettamente) e poi alla ritirata, ancora verso la Lucania, Difatti la piana del metapontino, oggi nella provincia di Matera, è teatro del passaggio dell’esercito di schiavi e disperati di Spartaco che gli permisero di raccogliere nuovi consensi. Plutarco parla dell’arrivo di “molti mandriani e pastori della regione che, gente giovane e robusta, si unirono ad essi”, e di agire liberamente saccheggiando molti insediamenti in zona tra le quali Heraclea, oggi Policoro, e Metaponto, (Metapontum) dove il gladiatore ribelle si incontrò con il pirata cilicio Tigrane (presumibilmente Tigrane II) per organizzare il sospirato imbarco da Brindisi verso la Cilicia, poi fallito per il tradimento di quest’ultimo.

L’arrivo delle truppe di Pompeo e di Marco Terenzio Varrone Lucullo proconsole di Macedonia aveva dato la scossa a Crasso, che, a quel punto, non voleva dividere la gloria dell’impresa con il suo rivale, anche perché a Roma si rumoreggiava sulla lunghezza della campagna stessa. Nei pressi del fiume Sele si svolse la battaglia finale, preceduta da numerosi e molto cruenti scontri, prima di questa battaglia Spartaco uccise il suo cavallo dicendo che se avesse vinto avrebbe avuto tutti i cavalli che voleva ma se avesse perso non voleva essere tentato di scappare: 60.000 schiavi morirono. I romani persero solo 1.000 uomini e fecero 6.000 prigionieri; a quanto è dato sapere alcuni legionari romani dissero che Spartaco si buttò per primo contro di loro e dopo aver ucciso alcuni soldati romani fu crivellato da cosi' tanti colpi che il suo corpo non potè essere ritrovato. Crasso fece crocifiggere – nudi – lungo la via Appia (che porta da Taranto a Roma) tutti i prigionieri.

Altri reparti dell'esercito ribelle, circa 5.000 uomini, tentarono la fuga verso nord, ma vennero raggiunti e annientati da Pompeo, che sopraggiungeva. Terminava così la rivolta di Spartaco. Ancora nel 61 a.C. il propretore Ottavio, mentre si recava in Macedonia, di cui aveva ottenuto per sorteggio l’amministrazione dopo la pretura, annientò gli ultimi brandelli dell’esercito di Spartaco e di Lucio Sergio Catilina che si erano rifugiati a Turi.

[modifica] Popolarità dopo la morte

Spartaco, che secondo alcuni storici testimoni oculari delle sue imprese era alto, bello, intelligente, gentile e carismatico, divenne un personaggio leggendario, un emblema dell'eroe idealista capace di lottare in nome della libertà e di sconfiggere i più forti eserciti del mondo grazie allo slancio ideale più che alle armi.

Già la sua ribellione viene citata dal poeta latino Claudiano, quasi cinque secoli dopo i fatti, nel poema: De bello Gothico, accostando la debolezza dei Romani del V secolo alla ignominiosa sconfitta delle forze romane per opera dello schiavo Spartaco[2].

La sua figura ispirò romanzi, film, ed alcuni uomini politici quali Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht che nel 1919 fondarono la Lega di Spartaco e che vennero definiti appunto "spartachisti".

[modifica] Adattamenti cinematografici

[modifica] Sport

[modifica] Note

  1. ^ Laura Battistini, Lentula la dinastia dei Lentuli, la guerra di Spartaco e la storia di antichi villaggi dell'Appennino Tosco Emiliano, seconda edizione 2000, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
  2. ^ Claudio Claudiano De Bello Gothico 155-159

[modifica] Bibliografia

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti


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