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Seconda sofistica - Wikipedia

Seconda sofistica

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La Seconda Sofistica o eristica (dal greco erìzein, “battagliare”, probabilmente ad indicare l’arte di battagliare con le parole) è una evoluzione della Prima Sofistica di Protagora e di Gorgia. All’eristica, infatti, non interessa se un discorso possa essere vero o falso né le definizioni delle parole che vengono impiegate; il suo unico fine è quello di confutare il proprio avversario e di persuaderlo di avere ragione mediante la retorica. Per questo i secondi sofisti si vantavano di poter confutare qualsiasi cosa che si dica esser vera o esser falsa. A causa di queste caratteristiche l’eristica ha finito per influenzare in modo eccessivamente negativo la figura del sofista, in particolare quella di Protagora e di Gorgia, il cui contributo importante – in particolare il relativismo culturale e il fenomenismo epistemico – nella storia della filosofia occidentale è stato riconosciuto solo di recente.


Indice

[modifica] Eutidemo e Dionisodoro

L’eristica viene presentata abbastanza dettagliatamente nel dialogo giovanile di Platone: Eutidemo. Qui Platone mostra come i sofisti, Eutidemo e Dionisidoro, usino giochi di parole col fine di confutare il proprio avversario dialettico senza, tuttavia, minimamente interessarsi della validità oggettiva delle proprie affermazioni o sul significato delle parole che vengono impiegate. Ne emerge, così, un personaggio a cui non interessa la conoscenza delle cose ma solo la vittoria dialettica sugli altri. Non a caso questo uso della ragione è stato definito «distruttivo»:

« […] nell’impianto stesso della discussione greca c’è un intento distruttivo, e un esame delle testimonianze sul fenomeno ci convince che tale intento è stato realizzato dalla dialettica. Si è detto prima che nella discussione la tesi del rispondente viene di regola confutata dall’interrogante: in tal caso sembrerebbe comunque aversi un risultato costruttivo, in quanto la demolizione della tesi coincide con la dimostrazione della proposizione che la contraddice. Ma per il perfetto dialettico [l’erista] è indifferente la tesi assunta dal rispondente: costui può scegliere nella riposta inziaile l’uno oppure l’altro corno della contraddizione, e in entrambi i casi la confutazione seguirà inesorabilmente. In altre parole se il rispondente assume una tesi, tale tesi sarà demolita dall’interrogante, e se sceglierà la tesi antitetica, anche questa verrà egualmente demolita dall’interrogante.[1] »

Chiaramente ciò è in pieno contrasto con la filosofia socratica che concepisce la conoscenza come un momento di dialogo costruttivo nel quale gli interlocutori rinunciano (o, perlomeno, mettono tra parentesi) ai propri pregiudizi per ricercare insieme la verità. La disputa dialettica per questi sofisti è, al contrario, semplicemente un gioco che simula una battaglia nella quale è necessario avere la meglio a prescindere da ciò che si sostiene. In tal senso gli eristi estremizzano la dottrina dei doppi discorsi di Protagora. Se, infatti, in Protagora essa veniva utilizzata per dimostrare la relatività di valori culturali ed etici, gli eristi la usano solamente per dimostrare che il proprio interlocutore ha torto e che si può dire il contrario di qualsiasi cosa. Anche a causa loro il termine retorica assumerà un significato alquanto negativo come mera arte della persuasione, contrapposta da Platone alla dialettica come tecnica per il raggiungimento della conoscenza vera (quella delle idee). Un’altra tecnica utilizzata è la reductio ad absurdum, ovvero costringere il proprio interlocutore, mediante un ragionamento logico apparentemente valido ma che infine non è altro che un sofisma, ad affermare il contrario di ciò che precedentemente aveva sostenuto, ovvero a dedurre una conclusione che contraddice le premesse che aveva sostenuto.

« Questi sono, in realtà, insegnamenti per giuoco: ed ecco perché io dico ch’Eutidemo e Dionisodoro si divertono con te; e divertimenti li dico, perché, sia pur imparando simili sottigliezze, molte, o tutte, non per questo si saprebbe affatto meglio in che consistono le cose, ma solo si sarebbe in grado di divertirsi con la gente, giocando sui diversi significati dei nomi, dando alla gente lo sgambetto e atterrandola, con chi, scartando via lo sgabello di sotto a chi sta per mettersi a sedere, si diverte e rie a di sotto a chi sta per mettersi a sedere, si diverte a vederlo cadere già.[2] »
(Platone, Eutidemo)

Dal punto di vista del profilo umano gli eristi sono presentati da Platone come arroganti e sicuri di sé, probabilmente a causa delle loro capacità di poter confutare ogni avversario. Così è abbastanza facile che deridano il proprio avversario appena confutato. In realtà per Platone essi non possono essere dei sapienti, e di conseguenza non possono neanche insegnare la «virtù», proprio perché posso dire di tutto il contrario. In fine dei conti, sostiene Platone, essi sono sia «filosofi» sia «politici» e proprio per questo sono inferiori sia agli uni che agli altri. Sono filosofi in quanto trattano di questioni filosofiche, ma sono anche inferiori ad essi perché non ricercano la virtù o la verità ma si limitano a controbattere ciò che afferma l’avversario dialettico. Sono politici in quanto cercano di persuadere più persone possibili dei propri ragionamento, ma sono anche inferiori ad essi perché a loro non interessa il bene della città e dei propri cittadini. Per quanto possa essere negativo il giudizio che Platone ha degli eristi, occorre ricordare che essi, per lo stesso Platone, hanno anche una funzione. Difatti con i loro discorsi doppi fanno spostare l’attenzione sull’ambiguità che le parole assumono a seconda dei contesti e dell’uso che se ne fa e quindi sulla necessità di stabilire dei significati chiari e distinti: «In primo luogo […] bisogna imparare la correttezza dei nomi; appunto questo ti mostrano i due forestieri [Eutidemo e Dionisodoro]». Anche se quest’ultimo compito non viene adempiuto dall’eristica giacché completamente disinteressata nei confronti della vera conoscenza che consiste, secondo Socrate, nel raggiungimento della «definizione comune» della cosa discussa.

[modifica] Scuole socratiche minori

Le scuole socratiche minori sono riconducibili all'eristica. Fondate tra il IV e il III secolo a.C., partivano dal presupposto che non vi è alcuna possibilità per la conoscenza umana di giungere alla verità. Per questo motivo qualsiasi opinione era sul medesimo piano di verità, ovvero di qualsiasi cosa, con opportune dimostrazioni e confutazioni, era possibile dimostrare il contrario. Ciò implicava anche l'impossibilità della comunicazione intersoggettiva e l'abbandono di qualsiasi interesse politico. Erano dette socratiche poiché i loro fondatori furono discepoli di Socrate e da lui acquisirono soprattutto la tecnica dell'ironia, la quale consisteva nel confutare le opinioni del proprio interlocutore facendolo contraddire o facendo rendere consapevole della propria ignoranza. Per Socrate l'ironia era solo la prima fase del suo metodo (pars destruens), per i socratici minori era invece il punto di arrivo. A queste scuole si devono anche degli importanti studi sul linguaggio e sulla logica. In particolare i megarici, come Eubulide, elaborarono dei dilemmi sui quali s'interrogarono per secoli i logici.

Le scuole socratiche minori che diedero il loro contributo all'eristica sono tre:

[modifica] Note

  1. ^ Giorgio Colli, La nascita della filosofia, Milano, 1975, p. 86.
  2. ^ Platone, Eutidemo, [278b] (trad. it. in Platone, Opere Complete (a cura di F. Adorno), Roma-Bari, 1975, pp. 16-65.

[modifica] Bibliografia

  • A. Levi, Storia della sofistica, Bari, 1966.
  • Platone, Eutidemo (trad. it. in Platone, Opere Complete (a cura di F. Adorno), Roma-Bari, 1975, pp. 16-65.
  • Mario Untersteiner, I Sofisti, Milano, 1967.

[modifica] Voci correlate

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