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Relativismo etico sofistico - Wikipedia

Relativismo etico sofistico

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il relativismo etico, teorizzato dai sofisti del V secolo a.C., rifiuta l'esistenza di principi immutabili nel comportamento morale.

Indice

[modifica] Le origini

[modifica] La crisi dell'Atene del dopo Pericle

Già al tempo di Pericle, dopo le grandi vittorie sui Persiani, in Atene si sviluppano le classi emergenti come quelle dei mercanti, degli artigiani che si sostituiscono alla classe aristocratica terriera.

Pericle
Pericle

Si sviluppa l'imperialismo e l'orgoglioso proposito degli ateniesi di estendere la loro democrazia ai barbari da conquistare.

L'Acropoli con il Partenone raffigurazione del nazionalismo greco al tempo di Pericle
L'Acropoli con il Partenone raffigurazione del nazionalismo greco al tempo di Pericle

Ma ad Atene cominciano a delinearsi spinte individualistiche verso una società egoistica e consumistica. Pericle riesce ad armonizzare queste tendenze nell'ambito di una concezione più alta della società e dello Stato per cui il cittadino ateniese tanto più si sentiva protetto nei suoi interessi privati quanto più partecipava alla vita dello stato, alla vita politica, al processo di formazione delle leggi, alle assemblee.

Ma l'ostilità delle altre città greche, la guerra del Peloponneso contro Sparta, l'epidemia di peste ad Atene, dove morirà lo stesso Pericle, segnano il declino della città-stato.

Il regime democratico si corrompe, diventa demagogia, si diffonde la ricerca del piacere e del lusso e cresce anche il bisogno d'istruzione poiché le classi emergenti vogliono accanto al potere del denaro il prestigio della cultura.

In questo contesto storico appaiono i sofisti, effetto e non causa della crisi ateniese.

[modifica] Dal relativismo gnoseologico a quello etico

"L'uomo è misura di tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono"

Con questa espressione Protagora metteva fine al dibattito astratto che era nato tra i filosofi greci se la realtà fosse costituita dall'"essere" o dal "divenire".

I pluralisti avevano tentato una soluzione di compromesso che però si rivelava inefficace poiché sostenendo la molteplicità di esseri (il che permetteva il divenire), ciascuno dei quali aveva le stesse caratteristiche dell'essere unico parmenideo ( e con questo si soddisfacevano gli eleati ), non spiegava come potessero nascere le cose dall'aggregazione di esseri da sempre immobili e immutabili. Per cui erano costretti a far intervenire una forza esterna, un divenire, fosse essa l'amore e l'odio di Empedocle o il Nous di Anassagora, che desse la spinta iniziale alla nascita delle cose.

Un deus ex machina, ironizzava Aristotele, che risolveva l'intricata faccenda.

Ora il sofista Protagora sostiene che questo dibattito è inutile poiché ciò che conta non è la natura delle cose ma come l'uomo si debba rapportare con le cose stesse, come cioè l'uomo debba vivere al meglio nel mondo in cui si trova ad esistere.

L'uomo è collegato al mondo tramite i sensi e questi danno delle cose una visione che:

  • muta da individuo a individuo;
  • muta nello stesso individuo;
  • dura sin che dura la sensazione istantanea e fuggevole.

Quindi non sapremo mai ciò che è vero e ciò che è falso ma solo ciò che a noi sembra vero o ciò che a noi conviene far sembrare vero.

A coloro che obiettano allora di quale sapere siano sapienti i sofisti essi rispondono che non insegnano cultura, verità, ma quelle conoscenze che sono più capaci di produrre utilità e piacere nell'individuo. Essi insegnano una "technè", un sapere particolare che è "l'arte del vivere bene" che si possiede col "rendere più forte il discorso più debole", con la retorica.

Ed è proprio questo che richiedono i ricchi ateniesi desiderosi di fare carriera politica, di potersi difendere con perizia cavillosa nei tribunali.

La virtù con i sofisti non dipende più dalla nascita ma dal sapere accessibile a tutti quelli che possono pagarselo. Essi superano l'antico ideale aristocratico guerriero del bello e del buono (kalokagathia), della forza fisica e del valore, e per questo sono avversati dai regimi conservatori e benpensanti scandalizzati dall'insegnamento a pagamento di una educazione che prima si trasmetteva di padre in figlio.

Il sapere, la tecnica sofistica si propone invece di agganciare il sapere alla pratica della vita.

[modifica] Il giusto per natura

Qual è il criterio per stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è?

Prima dei sofisti era giusto ciò che stabilivano le leggi dello Stato consacrate dalla tradizione e dalla religione, sono gli dei che danno le leggi alla città.

Ma i sofisti, contestatori di ogni credenza e tradizione non accettano più questa verità precostituita e attraverso un'analisi "sociologica" ante litteram mettono a confronto le varie leggi degli stati e vedono che spesso ciò che è giusto per uno stato non lo è per un altro; se le leggi fossero dettate dagli dei dovrebbero essere identiche per tutti, per tutti stabilire lo stesso criterio di giustizia. Se così non è questo è dovuto al fatto che invece le leggi sono frutto di convenzioni umane.

Il criterio ionico della legge (v. Anassimandro) che esiste oggettivamente nell'ordine stesso della natura e che gli uomini riprendono e applicano alla loro città è ormai completamente superato.

Quindi le leggi cambiano da società a società ma tuttavia l'uomo ha bisogno di un criterio di giustizia, di un principio per il suo comportamento politico e morale.

Se vogliamo trovare un criterio unico valido per tutti ci dobbiamo riferire a ciò che nell'uomo è sempre presente e permane immutabile, cioè alla natura che non è soggetta alle convenzioni umane.

Se noi osserviamo il comportamento degli esseri naturali dove la natura si manifesta spontaneamente, come negli animali o nei neonati troveremo un principio inalterabile e uguale per tutti:

  • per natura è giusto ciò che piace.

Ma se tutti prendessero come elemento determinante del loro comportamento l'interesse egoistico individuale allora inevitabilmente andremo incontro ad uno stato di natura dove l'unica legge che conta è quella della giungla, dell'homo homini lupus, dove ognuno cerca di sopraffare l'altro.

Ciò non avverrà, sostengono i sofisti, perché la stessa natura ha stabilito un ordine per cui:

  • è giusto ciò che piace al più forte

e il più forte non sarà il più forzuto ma

  • colui che sa bene usare la parola

Ma intanto come ci si dovrà comportare nei riguardi dello Stato e della legge?

Per prudenza e utilità bisogna rispettare la legge ma trasgredirla solo se conviene e spezzarla quando si ha la forza per farlo.

[modifica] L'etica di Gorgia

Arrivato alla disperante conclusione, (secondo l'interpretazione dello Pseudo-Aristotele) che solo il nulla è, tramite un' inesorabile sequenza logica che non dà scampo:

  • l'essere non esiste:

poiché se è infinito nessun luogo potrebbe contenerlo, e non può essere finito poiché gli stessi eleati lo negano come tale;

  • se anche esistesse, non sarebbe conoscibile:

chi è all'interno dell'Essere, dello Sfero parmenideo, non può conoscerlo;

  • se anche fosse conoscibile, non sarebbe dicibile né comunicabile ad altri:

mancherebbero le parole per esprimerlo e anche se fosse esprimibile non si potrebbe comunicare se non ciò che è oggetto d'esperienza,

per Gorgia appare un mondo fatto di ombre: la verità non esiste, ogni sapere è impossibile, tutto è falso perché tutto è illusorio: è questo il punto d'arrivo del nichilismo


Se la verità non è raggiungibile né con i sensi ingannatori né con la ragione su quali principi certi si reggerà la morale dell'uomo?

Gorgia risponde che non esistono valori, principi immutabili di comportamento ma ognuno di noi dovrà affrontare la situazione in cui si trova e semplicemente reagire ad essa.

È questa la morale della situazione per cui il dovere di comportarsi varierà a seconda del soggetto, della sua età, della sua cultura, delle circostanze.

Quando Gorgia fu incaricato dal governo ateniese di celebrare i caduti nella guerra del Peloponneso egli disse che questi non furono eroi, ma sono da onorare perché accettarono la situazione in cui si trovarono e seppero agire come le circostanze richiedevano, seppero cioè rispondere all'apparenza della situazione.

Di fronte al dramma della vita l'unica consolazione è la parola, che acquista valore proprio perché non esprime la verità ma l'apparenza. La parola crea un mondo di sogno dov'è bello vivere.

La parola è magica: pur avendo un corpo piccolissimo è la grande dominatrice dell'uomo.

La parola esprime al meglio le passioni che guidano la vita dell'uomo oppure è il caso che domina ogni vicenda umana.

[modifica] Bibliografia

  • Su la voce Gorgia secondo Pseudo-Aristotele" (Dizionario Enciclopedico Italiano, ed. Treccani).
  • "Sofisti. Testimonianze e frammenti", a cura di M. Untersteiner, 4 voll. Firenze;
  • Mario Untersteiner - "I sofisti", Milano 1996;
  • W. Jaeger, "Paideia", Firenze,(vol. I);
  • Domenico Musti - "Democratìa. Origini di un'idea", Bari 1995;
  • Fritz M. Heichelheim - "Storia economica del mondo antico", Bari 1972

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni


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