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Seconda guerra sino-giapponese - Wikipedia

Seconda guerra sino-giapponese

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Seconda guerra sino-giapponese

Territorio cinese controllato dal Giappone nel 1940
Data: 7 luglio 1937 - 9 settembre 1945
Luogo: Cina
Esito: Vittoria cinese, resa incondizionata giapponese
Casus belli: Incidente del Ponte di Marco Polo
Modifiche territoriali: Perdita (giapponese) della Manciuria, delle isole Pescatores e di Taiwan
Schieramenti
Repubblica di Cina Impero giapponese
Comandanti
Chiang Kai-shek,
Yan Xishan,
Feng Yuxiang,
He Yingqin
Hirohito,
Hideki Tojo,
Hajime Sugiyama,
Kotohito Kan'in,
Yoshijiro Umezu,
Iwane Matsui,
Shunroku Hata,
Toshizo Nishio,
Yasuji Okamura
Effettivi
5.600.000 (incluse le truppe sotto il controllo del Partito Comunista Cinese) 4.100.000 (inclusi collaborazionisti)
Perdite
3.200.000 militari,
17.530.000 civili
2.100.000 militari

La Seconda guerra sino-giapponese (7 luglio 1937 - 9 settembre 1945) fu il principale conflitto tra la Repubblica di Cina e l'Impero giapponese. Combattuta prima e durante la seconda guerra mondiale terminò con la resa incondizionata del Giappone il 9 settembre 1945, che mise fine alla seconda guerra mondiale.
L'invasione della Cina costituiva parte del progetto strategico complessivo giapponese per assumere il controllo dell'Asia Le prime avvisaglie di questo piano sono comunemente conosciute come incidenti cinesi, fatti che la propaganda giapponese attribuì alla Cina in modo da legalizzare le successive invasioni. L'incidente di Mukden nel 1931 fu il casus belli dell'occupazione della Manciuria da parte del Giappone mentre l'incidente del ponte Marco Polo segnò l'inizio dello scontro totale tra i due stati.
Dal 1937 al 1941 la Cina combatté da sola mentre dopo l'attacco di Pearl Harbor la seconda guerra sino-giapponese entrò a far parte della seconda guerra mondiale e la Cina divenne alleata di Stati Uniti e Gran Bretagna.

Indice

[modifica] Terminologia

In cinese questa guerra è nota principalmente come guerra di resistenza contro il Giappone (抗日戰爭 抗日战争 - Kàng Rì Zhànzhēng) ma è anche conosciuta con il nome di guerra degli otto anni di resistenza (八年抗戰) o semplicemente guerra di resistenza (抗戰).
In Giappone è usato il termine guerra sino-giapponese (日中戦争 - Nicchū Sensō) in quanto ritenuto maggiormente neutrale.
Quando la guerra ebbe inizio nel luglio 1937 nei pressi di Pechino il governo del Giappone usò il termine incidente della Cina del Nord (北支事変, Hokushi Jihen) e con il suo estendersi ai dintorni di Shanghai, mei mesi successivi, mutò la denominazione in incidente cinese (支那事変 -Shina Jihen).

La parola incidente (事変, jihen) fu scelta dal Giappone in quanto nessuno dei due stati aveva dichiarato guerra all'altro. Il Giappone voleva evitare l'intervento di altri stati come gli USA o la Gran Bretagna mentre la Cina sperava di evitare l'embargo sulle forniture militari da parte degli USA che il presidente Roosevelt avrebbe voluto imporre in base all' Atto di neutralità.
Quando , nel dicembre 1941, i due contendenti si dichiarono formalmente lo stato di guerra il Giappone utilizzò il termine grande guerra asiatica del Pacifico (大東亜戦争, Daitōa Sensō).
Malgrado ciò il governo giapponese continuò ad usare incidente cinese nei documenti ufficiali mentre i media giapponesi parafrasarono spesso la versione ufficiale in incidente Giappone-Cina(日華事変 - Nikka Jihen, 日支事変 - Nisshi Jihen) forma già usata nei giornali durante gli anni '30.
La definizione seconda guerra sino-giapponese non è mai stata utilizzata in Giappone in quanto la prima guerra sino-giapponese tra Giappone ed Impero Qing del 1884 non viene riconosciuta avere una legame diretto con la seconda combattuta tra Giappone e Repubblica di Cina.

[modifica] Prodromi

Le origini della seconda guerra sino-giapponese possono essere fatte risalire alla prima guerra sino-giapponese del 1884 - 1885 in cui la Cina governata dalla dinastia Qing fu sconfitta dal Giappone e costretta a cedere l'isola di Taiwan ed a riconoscere l'indipendenza della Corea nel Trattato di Shimonoseki. Il governo imperiale cinese era alla vigilia del suo collasso, che sarebbe stato favorito, di lì a poco, dalle rivolte interne e dalla pressione esercitata dalle potenze straniere; nello stesso periodo, il Giappone stava invece assurgendo a livello di grande potenza grazie alla politica di forzata modernizzazione intrapresa nell'epoca Meiji.
In questo quadro, ed in seguito alla rivolta di Xinhai, che rovesciò la dinastia Qing, fu fondata la Repubblica Cinese (1912). La giovane repubblica nacque debole a causa della presenza di forti poteri locali, al cui vertici stavano i cosiddetti signori della guerra, che spartirono il territorio in tanti microgoverni; per tale ragione, la possibilità di riunificare effettivamente la nazione e resistere alla pressione dell'imperialismo straniero sembrò per lunghi anni una semplice chimera.
Alcuni signori della guerra erano loro stessi alleati e sostenuti da potenze straniere interessate ad avere influenza in Cina. Ad esempio Zhang Zuolin, signore della Manciuria, aprì il suo territorio al Giappone sia in termini economici che militari. Fu proprio in virtù di tali accordi coi regoli locali, durante i primi anni della repubblica cinese, che il governo Giapponese cominciò ad esercitare ed estendere la sua influenza in Cina.
Nel 1915 il governo Giapponese pubblicò le ventuno domande per definire i suoi interessi politici e commerciali in Cina ed al termine della prima guerra mondiale subentrò alla sconfitta Germania nel controllo politico e militare dello Shandong.
IL governo cinese di Beiyang rimase incapace di resistere alle pressioni esterne fino alla spedizione verso il nord lanciata nel 1925 dal governo rivale del Kuomintang (KMT o governo nazionalista) con base a Canton.
La spedizione attraversò la Cina fino a giungere nello Shandong dove il signore della guerra di Baiyang, Zhang Zongchang, appoggiato dai giapponesi, cercò di bloccare il tentativo nazionalista di unificare la Cina. I fatti culminarono con l'incidente di Jinan del 1928 quando l'esercito del Kuomintang ebbe un breve conflitto con truppe giapponesi.
Nello stesso anno il signore della guerra della Manciuria Zhang Zuolin fu assassinato a causa della sua diminuita disponibilità alla collaborazione con il Giappone.
Nel 1928 il governo del Kuomintang, diretto da Chiang Kai-shek, dopo aver rotto l'alleanza con il Partito Comunista Cinese, riuscì infine a riunificare tutta la Cina.
La persistenza di numerosi conflitti tra Cina e Giappone fu evidenziata del nazionalismo cinese in uno degli obbiettivi del documento I tre principi del popolo che incitava al rifiuto delle influenze straniere. In realtà la spedizione verso il nord unificò solo in modo formale la Cina ed i conflitti tra signori della guerra e diverse fazioni rivali del Kuomintang continuarono a rendere instabile la situazione interna. A ciò si aggiunse lo scontro con il Partito Comunista Cinese che aveva inizialmente appoggiato la spedizione contro il nord ma che nel 1927 era stato fatto segno di un tentativo di annientamento da parte del Kuomintang. In effetti questo scontro divenne una vera e propria guerra civile (che finirà solo nel 1949) con il lancio di una serie di campagne di annietamento da parte del Kuomintang che culmineranno con la famosa Lunga Marcia, che avrebbe permesso alle truppe controllate dal Partito Comunista di ritirarsi nel nord della Cina.
In questa situazione il governo nazionalista concentrò la massima attenzione alla situazione interna definendo la politica della pacificazione interna prima della resistenza esterna.
L'estrema instabilità della situazione cinese permise al Giappone di perseguire i suoi piani di aggressione con l'invazione della Manciuria nel 1931 a seguito dell'incidente di Mukden.
Nel 1932 lo stato-fantoccio del Manchukuo venne insediato in Manciuria sotto la guida dell'ultimo imperatore della dinastia Qing Puyi. Il nuovo stato mancese, nell'ambito della politica estera giapponese, rappresentava una riserva di preziose materie prime ed uno stato-cuscinetto ai confini dell'Unione Sovietica. Incapace di reagire militarmente la Cina si rivolse alla Società delle Nazioni per ottenere aiuto. L'indagine che ne seguì fu pubblicata nel rapporto Lytton che condannava il Giappone, con l'unico effetto di provocare il ritiro del Giappone stesso dalla Società delle Nazioni.
D'altronde questo era lo spirito degli interventi della comunità internazionale, che negli anni del primo dopoguerra preferiva, in generale, la politica dell'accomodamento nei confronti dei conflitti bellici, limitandosi a dichiarazioni di censura ma senza nessun intervento diretto nei confronti degli stati aggressori.

All'incidente di Mukden seguì una lunga sertie di altri conflitti tra i due stati. Nel 1932, in seguito all'incidente del 28 gennaio, vi fu un breve scontro bellico, che portò alla smilitarizzazione della città di Shanghai con il divieto per la Cina di detenere truppe nella regione. Nel 1933 il Giappone condusse un attacco nella regione della Grande Muraglia che portò al controllo della privincia di Rehe ed alla smilitarizzazione della regione di Pechino-Tiensin. Il tentativo giapponese fu quello di creare una serie di regioni cuscinetto tra il Manchukuo ed il governo nazionalista di Nanchino Le possibilità di manovra del Giappone furono ulteriormente incrementate dai conflitti interni tra le varie fazioni cimesi. Pochi anni dopo la spedizione contro il nord il governo nazionalista contrallava solamente la regione intorno al delta del Fiume Giallo mentre il resto della Cina era sotto il controllo di signori regionali.
Il Giappone sfruttò appieno queste possibilità stringendo patti locali con i poteri regionali e favorendo una politica definita di specializzazione della Cina del Nord (華北特殊化 - húaběitèshūhùa) ossia un movimento fortemente autonomista nelle province di Chahar, Suiyuan, Hebei, Shanxi e Shandong.
Nel 1935, sotto la pressione del Giappone, la Cina firmò l' accordo He-Umezu che proibiva al governo nazionalista di eseguire operazioni militari nella provincia di Hebei perdendone così di fatto il controllo. Nello stesso anno fu anche sotoscritto l' accordo Chin-Doihara che alienava al governo cinese il controllo della provincia del Chahar. Di fatto al termine del 1935 il governo cinese aveva rinunciato a qualsiasi influenza nel nord della Cina dove furono insediati il Concilio autonomo del est-Hebei ed il Concilio politico dell'Hebei-Chahar di emanazione giapponese.

[modifica] Gli schieramenti

[modifica] Cina Nazionalista

Nel 1937 il governo di Nanchino poteva disporre di 80 divisioni di fanteria, ciascuna con un organico di circa 8000 uomini, nove brigate indipendenti, nove divisioni di cavalleria, 16 reggimenti di artiglieria e 3 battaglioni corazzati. La marina disponeva di un tonnellaggio complessivo di 59.000 tonnellate e l'aeronautica disponeva di circa 600 velivoli.
Le unità cinesi erano dotate di armamento prodotto principalmente in Cina presso gli arsenali di Hanyang e Guangdong. Solamente alcune unità addestrate da ufficiali tedeschi erano state riarmate con armi di produzione europea.
A queste unità bisogna aggiungere quelle dei signori della guerra locali e quelle sotto il controllo del Partito Comunista Cinese. Spesso si trattava di reparti scarsamente addestrati e con armamento sorpassato anche se vi erano notevoli eccezioni come le unità del Guangxi e quelle del Canton o le divisioni di cavalleria musulmana del nordovest.

[modifica] Esercito Imperiale giapponese

L'esercito giapponese, pur presentando una notevole capacità di movimento, non era preparato per sostenere una guerra di lunga durata.
All'inizio del conflitto le forze presenti in Cina erano costituite da 17 divisioni di fanteria composte ciascuna da 22.000 soldati e dotate di 5.800 cavalli, 9.500 fucili e mitragliatrici leggere, 600 mitragliatrici pesanti, 108 pezzi di artiglieria e 24 mezzi corazzati.
A queste andavano aggiunte alcune unità speciali.
La marina disponeva di un dislocamento di 1.900.000 tonnellate e l'aviazione di 2700 velivoli.
All'inizio del conflitto ciascuna divisione giapponese era considerabile pari, come potenza di fuoco, a quattro divisioni cinesi.

[modifica] L'invasione della Cina

[modifica] L'incidente del Ponte Marco Polo

Chiang Kai-shek annuncia la politica del Kuomingtang di resistenza al Giappone parlando a Lushan  il 10 luglio 1937, tre giorni dopo l'incidente del ponte Marco Polo
Chiang Kai-shek annuncia la politica del Kuomingtang di resistenza al Giappone parlando a Lushan il 10 luglio 1937, tre giorni dopo l'incidente del ponte Marco Polo

Molti storici collocano l'inizio della seconda guerra sino-giapponese il 7 luglio 1937 giorno dell'incidente del ponte Marco Polo (ponte Lugou) mentre alcuni storici cinesi ritengono retrodedere la data d'inizio della guerra al 18 settembre 1931 data dell'incidente di Mukden.
Dopo la battaglia del ponte Marco Polo l'avanzata giapponese proseguì con l'occupazione di Shanghai, Nanchino e dello Shanxi attraverso una serie di campagne che videro impegnati circa 350.000 soldati giapponesi contro un numero sicuramente maggiore di soldati cinesi. Negli scontri furono coinvolte anche le popolazioni e gli storici valutano a circa 300.000 i civili morti nel massacro di Nanchino seguito all'occupazione della città da parte del Giappone.

L'incidente del ponte di Marco Polo non solo segnò l'inizio di una, non dichiarata ( fino al dicembre 1941), guerra tra Cina e Giappone ma rinsaldò anche la debole tregua che nel 1936 era stata forzata tra Kuomintang e Partito Comunista in funzione anti-giappoense.
Nata appunto dalla forzatura dell'incidente di Xi'an, dove Chiang Kai-shek era stato rapito da un signore della guerra e rilasciato solamente dopo la stipula di un accordo con i comunisti, l'alleanza dette vita ad un fronte unito antigiapponese che portò alcune unità comuniste ad essere integrate nell'Esercito Rivoluzionario Nazionale (ottava armata di marcia, nuova quarta armata) pur mantenendo i propri comandanti.

Il Giappone non aveva le forze, e neppure l'intenzione, di occupare e gestire tutta la Cina ed in effetti nella fase della loro massima espansione i territori occupati consistettero nel nord (Manciura e regione di Pechino), nelle regioni e città costiere e nella valle dello Yangtze, per il resto il proposito era la creazione di una serie di stati fantoccio filogiapponesi.
A causa dell'atteggiamento di superiorità tenuto dai nipponici e delle atrocità (massacri di civili, campi di concentramento, utilizzo della popolazione come cavia per esperimenti medici, lavoro forzato) commesse dall'esercito l'amministrazione giapponese fu estremamente impopolare.
A differenza del Giappone, la Cina era del tutto impreparata ad una guerra totale priva di una industria pesante in grado di suppportare lo sforzo bellico e con pochi mezzi corazzati e veicoli per lo spostamento delle truppe. Fino alla metà degli anni 1930 la Cina aveva sperato che la Società delle Nazioni fosse in grado, ed avesse l'intenzione, di proteggerla dall'espansionismo del Giappone. In aggiunta a tutto ciò il governo nazionalista di Nanchino era maggiormente interessato al confronto interno con il Partito comunista che alla difesa dell'integrità territoriale della Cina, in proposito Chiang Kai-shek soleva affermare:

« I giapponesi sono un problema di pelle, i comunisti un problema di cuore. »

[modifica] Il Fronte Unito

La realizzazione di un fronte comune in funzione anti-giapponese, costituitosi già nel 1936, fu il risultato delle pressioni sia dei comunisti guidati da Mao Zedong che da una parte dei signori della guerra che vedevano nell'espansionismo nipponico un grave pericolo per la loro stessa sopravvivenza. Sebbene i comunisti avessero costituito la nuova quarta armata e l'ottava armata di marcia che erano nominalmente sotto il comando dell'esercito nazionalista, il fronte unito non fu mai veramente unificato e ciascuna parte era pronta a cercare vantaggi nel caso di una sconfitta giapponese. Tutti questi fatti costrinsero la Cina ad adottare una strategia difensiva che aveva come primo obiettivo il preservare la propria forza militare evitando quindi un confronto totale con l'invasore, confronto che avrebbe potuto essere considerato un suicidio.
Le tensioni tra nazionalisti e comunisti non cessarono mai del tutto ed ebbero momenti di recredescenza soprattutto nei territori dell'interno non soggetti al controllo dell'invasore. Partendo dalle loro basi nel nord della Cina i comunisti estesero il più possibile le zone sotto la loro influenza comportandosi come un vero e proprio stato applicando riforme amministrative e fiscali principalmente a favore della classe contadina.
Alcune unità continuarono a resistere anche in territori circondati del nemico rendendo l'effettivo controllo del terriorio molto difficoltoso per i giapponesi che si ritrovarono a controllare effettivamente le città e le ferrovie mentre le campegne erano spesso interessate alle azioni di gruppi di partigiani diretti soprattutto dal partito comunista.

[modifica] La prima fase della guerra

Subito dopo l'inizio dell'attacco giapponese Chiang Kai-shek comprese che per ottenere lo sperato aiuto degli USA e delle altre nazioni la Cina avrebbe dovuto mostrare di posserere almeno una certa capacità di resistenza. Dato che una ritirata troppo rapida dalle zone costiere avrebbe allontanato la possibilità di appoggio estero Chang decise di tentare la difesa di Shanghai e schierò le sue truppe migliori, le divisioni addestrate, organizzate ed armate dagli istruttori tedeschia difesa dei principali centri industriali.
La battaglia di Shanghai causò notevoli perdite su entrambi i fronti e finì con la ritirata cinese verso Nanchino, che cadde in mano giapponese pochi mesi dopo. Se da un punto di vista militare fu una sconfitta per i difensori essa raggiunse i suoi obiettivi politici mostrando al mondo la volontà della Cina di resistere.

La battaglia, che durò tre mesi, ebbe un effetto positivo sul morale dei cinesi, malgrado la sua conclusione, la cui capacità di resistenza era stata di molto sottovalutata dai giapponesi che avevano affermato per scherno di essere in grado di ...conquistare Shanghai in tre giorni e la Cina in tre mesi...

Soldati cinesi nei combattimenti casa per casa durante la battaglia di  Tai'erzhuang
Soldati cinesi nei combattimenti casa per casa durante la battaglia di Tai'erzhuang

Durante la fase di scontro frontale tra gli eserciti, fase che caratterizzò le prime fasi della guerra, i cinesi ebbero in effetti solo un limitato numero di successi a fronte di numerose sconfitte, vittorie quasi sempre ottenute grazie ad una strategia di attesa.
Il Giappone conquistò, durante le prime fasi dello scontro, vaste porzioni di territorio ma a partire dalla metà del 1938 la sua azione rallentò notevolmente anche a causa dell'allungamento delle linee di rifornimento che divennero sempre più vulnerabili.
La strategia cinese divenne quella di prolungare la guerra nell'attesa del momento in cui le forze sarabbero state sufficienti per sconfiggere l'avversario in campo aperto.

Le truppe cinesi iniziarono ad applicare la tecnica della terra bruciata allo scopo di ritardare l'avanzata nemica, distruggendo raccolti, dighe e argini in modo da provocare l'allagamento di vaste porzioni di territorio. Anche le installazioni industriali vennero trasportate dalle zone costiere a città dell'interno.

[modifica] Lo stallo nelle guerra e l'atteggiamento straniero

Nel 1940 la guerra entrò in una fase di stallo. Mentre il Giappone controllava la maggior parte delle zone costiere la guerra di guerrilla continuava nelle zone conquistate impedendo anche la loro espansione. Il governo nazionalista che nel frattempo aveva spostato la sua capitale nella città di Chunking, ben all'interno del territorio ancora sotto il suo controllo benché fosse formalmente alleato nel fronte unito con il partito comunista cinese, che aveva le sue basi nello Shansi, preferiva conservare ciò che rimaneva del suo esercito, evitando quindi di impegnarlo in battaglie campali, nella previsione di un futuro confronto proprio con i comunisti.
La Cina con la sua scarsa capacità industriale e la limitate esperienza nella guerra moderna non era in grado di lanciare una controffensiva in grande stile nei confronti del Giappone. Chang Kai-shek non aveva certo intenzione di giocare il tutto per tutto rischiando il suo esercito male armato e scarsamente addestrato in una azione che avrebbe potuto culminare in una cui ulteriore sconfitta che lo avrebbe lasciato indifeso sia verso i giapponesi che verso l'opposizione interna allo stesso Kuomintang.
Le truppe migliori erano state perse nella battaglia di Shanghai e ciò che ne restava costituiva il perno su cui si reggeva il resto dell'esercito.
D'altra parte il Giapppone aveva sofferto di perdite inaspettate a causa della resistenza interna nei territori conquistati ed aveva grossi problemi di amministrazione degli stessi in quanto costretta a destinare una grossa parte delle sue truppe, e tutte quelle collaborazioniste, nell'attività di guarnigione principalmente per proteggere le linee di rifornimento.
L'inizio della guerra in Europa e la caduta della Francia nel 1940, non ebbero alcun riflesso sulllo scenario cinese.
Molti analisti militari avevavo predetto che il Kuomintang non avrebbe potuto resistere a lungo con la maggior parte delle industrie collocate nelle aree più popolose conquistate o pericolosamente vicine alla linea del fronte e in assenza di sostanziali aiuti internazionali, che nessuno sembrava voler fornire vista l'alta probabilità di tracollo della Cina ed anche per evitare uno scontro diretto con il Giappone.
Negli anni 30 erano state solamente l'Unione Sovietica e la Germania a fornire alla Cina un certo aiuto militare.
L'Unione Sovietica, nel timore che il Giappone potesse tentare l'invasione della Siberia, e quindi, in caso di guerra in Europa di dover combattere su due fronti, aiutò il governo nazionalista benché sperasse che il conflitto tra Cina e Giappone permettesse al partito comunista cinese di avere un maggior peso nello scacchiere cinese. Nel settembre 1937 venne predisposta un'operazione segreta (Operazione Zet avente lo scopo di fornire al governo nazionalista sia l'aiuto di tecnici e militari, tra cui il generale Georgy Zhukov sia di fornire materiale bellico costituito da velivoli da caccia e bombardamento. L'Unione Sovietica inviò anche aiuti alle unità comuniste almeno fino a quando il suo ingresso in guerra, nel 1941, non assorbì del tutto le risorse disponibili.

Essendo Chiang Kai-shek apertamente anticomunista e confidando in una sconfitta finale del partito comunista cinese la Germania fornì alla Cina nazionalista una grande quantità di armi e di istruttori. Ufficiali appartenenti al Kuomintang, tra cui Chiang Wei-kuo secondogenito di Chiang Kai-shek, furono addestrati in Germania. Prima del 1939 la metà delle esportazioni tedesche di armi riguardò la Cina. Comunque il progetto di 30 nuove divisioni addestrate ed armate come quelle tedesche non giunse mai a piena realizzazione anche per il passaggio della Germania nel campo giapponese.

Ufficialmente Stati Uniti, Regno Unito e Francia rimasero neutrali riguardo al conflitto sino-giapponese fino al 1941 (l'attacco di Pearl Harbor). Dopo tale data fornirono materiale e personale per aumentare le possibilità di resistenza della Cina Nazionalista.

Seppur in maniera non ufficiale l'opinione pubblica statunitente, che all'inizio degli anni 30 era stata favorevole al Giappone, cominciò, anche a causa delle notizie sul comportamento dell'esercito giapponese nei confronti dei civili, ad orientarsi verso il Kuomintang. Nell'estate del 1941 gli Stati Uniti permisero la costituzione di un corpo di piloti volontari, detti poi le Tigri volanti, dotati di velivoli di fabbricazione statunitense, per potenziare la difesa aerea cinese. In effetti i volontari non entraronno in azione fino a dopo lo scoppio delle ostilità tra Stati Uniti e Giappone. Un'altra azione anti-giapponese fu l'inasprimento dell'embargo sull'acciaio e sul petrolio nei confronti del Giappone, azione questa che convinse che l'impero del sol levante che gli Stati Uniti non avrebbero permesso ulteriori azioni militari nel sud-est asiatico alla ricerca soprattutto di petrolio e che condusse all'attacco di Pearl Harbor.

[modifica] Gli anni dell'occupazione giapponese

A partire dal 1940 il fronte rimase praticamente stabile, i cinesi erano riusciti ad impedire la totale occupazione del loro territorio e le azioni di resistenza nelle parti occupate tenevano le truppe giapponesi in costante tensione logorandole lentamente e impedendo quindi l'organizzazione di nuove e vaste offensive anche se non erano in grado di lanciare una controffensiva per cercare di ricacciare l'invasore
Il tentativo giapponese di creare uno stato-fantoccio, come il Manchukuo, anche nei territori cinesi occupati non sortì praticamente alcun effetto sia sul piano politico che su quello militare, il "nuovo" stato, governato da una figura di spicco uscita dal Kuomintang, Wang Ching-wei non ottenne alcun riconoscimento internazionale, al di fuori degli alleati del Giappone.
La risposta giapponese a questa strategia della guerrilla fu la politica dell'uccidi tutti, depreda tutto, brucia tutto(三光政策 -Sānguāng Zhèngcè , in giapponese Sankō Seisaku. Fu in questo periodo che vennero commesse le maggiori atrocità verso la popolazione civile.

[modifica] La guerra mondiale

L'attacco giapponese a Pearl Harbor del dicembre 1941, che coinvolse gli USA nel conflitto mondiale, modificò anche la situazione del conflitto cinese facendolo diventare parte del conflitto generale.
IL governo della Cina Nazionalista che fino a quel momento aveva evitato di dichiarare apertamente guerra al Giappone al solo scopo di non vedersi chiusi del tutto gli aiuti dagli USA (in base alla politica di neutralità) formalizzò lo stato di guerra fin dall'8 dicembre.
La prospettiva cambiava completamente da una strategia di sopravvivenza si passò ad una strategia che operava per una vittoria definitiva.
L'esercito nazionalista ricevette consistenti aiuti sotto forma di materiali e personale per l'addestramento delle truppe e poté, in alcuni casi passare all'offensiva. Forze cinesi presero parte alla campagna della Birmania.

Nel 1942 Chang Kai-shek venne riconosciuto come comandante in capo delle forze alleate in Cina affiancato, per un certo tempo, dal comandante delle forze statunitensi nel teatro di guerra Cina, Birmania, India, Joseph Stilwell nel ruolo di capo dello stato maggiore. Le relazioni tra Stilwell e Chang si deteriorarono velocemente a causa dell'inefficenza e della corruzione che affliggevano il governo cinese. Stilwell criticò aspramente la condotta cinese della guerra sia sui media che presso il presidente USA Franklin Delano Roosevelt ma la sua speranza di ottenere il comando supremo delle truppe cinesi trovò la ferma opposizione di Chiang Kai-shek.
Il dittatore cinese era esitante, anche a causa delle gravissime perdite già subite dalla Cina, ad impegnare maggiormente le proprie forze in un conflitto che, al momento, non sembrava indicare chiaramente chi sarebbe stato il vincitore.
Gli alleati persero rapidamente quindi la fiducia nella capacità cinese di condurre operazioni offensive in Asia e preferirono opporsi al Giappone impiegando una strategia di confronto isola per isola.

Lo scontro di interessi tra Cina, USA e Regno Unito emerse chiaramente durante la guerra nel Pacifico. Il premier inglese Winston Churchill si dimostrò riluttante ad inviare nuove truppe in Indocina nel tentativo di riaprire la strada della Birmania ossia un corridoio attarverso l'Indocina appunto per fa affluire rifornimenti alla Cina i cui porti principali erano tutti in mano giapponese. Oltre alla prevedibile ostilità cinese verso la politica del premier britannico: l'Europa prima di tutto anche le richieste di ulteriore impegno militare cinese nella zona della Birmania vennero viste come un tentativo di usare la potenza cinese per difendere l'impero coloniale inglese nel sud est asiatico e proteggere l'India da un possibile attacco giapponese.
Chiang Kai-shek era invece convinto che la Cina avrebbe dovuto usare le sue truppe per proteggere le basi dei bombardieri statumitensi situate nel nordest del suo territorio, una strategia questa supportata anche da Claire Chennault.
Un ulteriore motivo di attrito tra Cina e Regno Unito fu l'appoggio cinese all'indipendenza dell'India, posizione rimarcata in un incontro tra Chiang Kai-shek e il Mahatma Gandhi nel 1942.

L'interesse statunitense per il teatro cinese era principalmente nella consapevolezza del'alto numero di trupe giapponesi che questo impiegava e dalla possibilità di posizionare in territorio cinese basi aeree.

Nel 1944, quando già la situazione del Giappone aveva cominciato a deteriorarsi questi lanciò una vasta operazione, operazione Ichigo, per attaccare appunto le basi aeree che avevano cominciato ad essere operative. Questa operazione portò all'occupazione del Hunan, del Henan e dello Guangxi.

Nell'ultima fase della guerra il Giappone prese in considerazione di ritirare parte delle truppe schierate in Cina per affrontare gli USA ma l'unico effetto di questo intendimento fu lo spostamento dell'armata del Guandong, operazione che finì per facilitare l'avanzata delle truppe dell'Unione Sovietica dopo la sua entrate in guerra contro il Giappone l'8 agosto 1945

Nel 1945 venne messo a punto un piano congiunto tra Cina ed USA per liberare del tutto il territorio occupato dal Giappone ma l'intervento dell'Unione Sovietica (Operazione tempesta d'Agosto) e resa del Giappone con la conseguente fine della guerra non permisero di renderlo operativo.

[modifica] La fine della guerra

Atto di resa giapponese
Atto di resa giapponese
Le truppe cinesi rientrano in Liuchow nel luglio 1945
Le truppe cinesi rientrano in Liuchow nel luglio 1945

Alla metà del 1945 tutti i contendenti erano convinti che la guerra sarebbe durata almeno fino all'ann e iniziando l'invasione della Manciuria conseguentemente agli accordi presi a Yalta che prevedevano tale azione entro tre mesi dalla fine della guerra in Europa.
L'attacco sovietico fu portato da tre gruppi d'armate che in meno di due settimane distrussero l'esercito giapponese della Manciuria forte di un milione di uomini. Questa sconfitta unita al lancio delle bombe atomiche sulle cittadine giapponesi di Hiroshima e Nagasaki costrinsero il Giappone alla capitolazione nell'agosto 1945.
Le truppe giapponesi in Cina si arresero ufficialmente il 9 settembre 1945 e concordemente agli accordi del Cairo del 1943 la Manciuria, Taiwan e le isole Pescatores, oltre ovviamente a tutto il territorio cinese occupato, ritornarono sotto la sovranità cinese. Solamente le isole Ryukyu rimasero assegnate al Giappone.

[modifica] le tre fasi del conflitto

Nel complesso la seconda guerra sino-giapponese può essere suddivisa, dal punto di vista strategico, in tre periodi.

  • Prima fase: 7 luglio 1937 (battaglia del Ponte di Marco Polo - 25 ottobre 1938 (caduta di Hankou). In questo periodo il concetto chiave della difesa cinese è spazio per (in cambio di) tempo (以空間換取時間). in pratica l'esercito cinese cercò di rallentare l'avanzata giapponese verso le città industriale del nord-est in modo da permettere di smontare le industrie per ritirale verso il Chongqing ove ricostruire una base produttiva.
  • Seconda fase: 25 ottobre 1939 - luglio 1944. In questa lunga fase della guerra la strategia cinese fu quella di colpire l'avversario attraverso azioni azioni improvvise miranti a tagliare le linee di rifonimento giapponersi bloccando così anche eventuali manovre offensive. Un esempio di questa tattica può essere esemplificata nella difesa di Changsha, attaccata numerose volte senza successo.
  • terza fase: Luglio 1944 - 15 agosto 1945. Questo periodo corrisponde a quallo del contrattacco generale mirante alla completa liberazione del territorio cinese.

[modifica] Le forze in campo

[modifica] Cina Nazionalista

Bandiera dell'Esercito Rivoluzionario Nazionale
Bandiera dell'Esercito Rivoluzionario Nazionale
Per approfondire, vedi la voce Esercito Rivoluzionario Nazionale (Cina).

L'esercito della Cina nazionalista impiegò nel conflitto circa 4.300.000 di soldati suddivisi in circa 515 divisioni di vario tipo. Non tutte queste unità furono operative nello stesso tempo e spesso, in seguito ad eventi bellici, nuove unità furono formate unendo i resti di formazioni messe fuori combattimento.
Nel 1937 le divisioni operative erano circa 170 ciascuna con una forza di 4000-5000 soldati ed in generale una potenza di fuoco inferiore, soprattutto nel campo delle artiglierie e dei corazzati, nettamente inferiore alle divisioni giapponesi.
Anche nella parte dei servizi ausiliari come rifornimenti, comunicazioni, sanità, intelligence l'esercito cinese si trovava in una condizione di netta inferiorità.
L'esercito nazionalista del periodo, può essere, a grandi linee, suddiviso in due gruppi di unità. Il primo detto dixi (嫡系 - discendente diretto) che comprendeva le divisioni guidate da ufficiali usciti dall'accademia militare di Whampoa direttamente fedeli a Chiang Kai-shek e considerate la parte principale (中央軍) dell'esercito. Il secondo gruppo di unità conosciute come zapai (雜牌, "unità miste") comprendeva tutte quelle comandate da ufficiali che non si erano formati all'accademia di Wamphoa e spesso era anche noto come "esercito regionale" o "esercito provinciale".
Benché entrambi i gruppi facessero parte dell'esercito nazionalista ciò che li distingueva principalmente era la fedeltà al governo centrale di Chiang Kai-shek. Molte unità controllare da signiri della guerra locali furono incorporate nell'esercito ma rimasero di fatto indipendenti dal comando centrale. Questi eserciti locali controllavano anche zone rilevanti della Cina come Guangxi, Shanxi, Yunnan
Nel corso del conflitto anche una parte delle forze controllate dal partito comunista vennero poste sotto il comando dell'esercito nazionalista; benché sia difficile stimare l'entità di tali reparti di guerrilla si valuta che le due principali armate (ottava arnmata di marcia e nuova quarta armata) più altre unità irregolari assommasero a circa 1.300.000 soldati.

[modifica] Giappone

Bandiera dell'Esercito Imperiale giapponese
Bandiera dell'Esercito Imperiale giapponese

Le forze giapponesi in Cina furono composte in parte da truppe regolari e in parte da truppe ausiliare fornite dagli stati fantoccio.
L'originario Esercito del Kwangtung che, in modo spesso semiautonomo dal governo di Tokyo, aveva gestito l'occupazione della Manciuria e le prime fasi dello scontro con la Cina venne via via integrata con ulteriori truppe. Nel momento del massimo impegno circa metà delle divisioni dell'Esercito Imperiale giapponese furono impegnate in Cina per un totale di circa 2.000.000 di soldati. L'esercito cinese collaborazionista (僞軍) (rifornito dagli stati fantoccio del Manchukuo e del Governo Riformatore della Repubblica Cinese) arrivò a contare fino a 2.100.000 unità e fu il solo esercito collaborazionista della Seconda Guerra Mondiale a superare, per entità, l'esercito invasore. In effetti la forza effettiva non superò mai i 900.000 soldati, impiegati prevalentemente per servizi di guarnigione e logistica nelle aree controllate oppure saldamente occupate dai governi fantoccio. Furono molto rari i casi in cui queste unità vennero usate al fronte a causa della loro scarsa combattività e fedeltà.

[modifica] Perdite

Shanghai 1937: Una delle prima immagini della guerra uscite dalla Cina. Pubblicata sulla rivista Life divenne un'icona della guerra stessa
Shanghai 1937: Una delle prima immagini della guerra uscite dalla Cina. Pubblicata sulla rivista Life divenne un'icona della guerra stessa

Il secondo conflitto sino-giapponese durò 97 mesi 3 tre giorni (calcolati dal 1937 al 1945).

[modifica] Perdite cinesi

L'esercito del Kuomintang fu coinvolto in 22 battaglie principali, molte delle quali videro impegnati pù di 100.000 uomini per parte, 1171 battaglie minori, molti delle quali con 50.000 uomini coinvolti, e 38.931 scontri di minore importanza.
Una valutazione del numero di azioni condotte dalle truppe sotto il controllo del Partito comunista cinese è invece decisamente problematica trattandosi principalmente di azioni di guerriglia svolte soprattutto nelle zone rurali della Cina.
I cinesi persero, approssimativamente, 3.220.000 soldati, 9.130.000 di civili morti per azioni di guerra dirette, ed altri 8.400.000 civili morti per cause riconducibili alla guerra. Alcuni storici cinesi valutano la cifra complessiva di morti in 35.000.000, cifra ridotta a 20.000.000 dagli storici occidentali.
I danni economici possono essere valutati a 383.301.000.000 $ Usa (al cambio del 1937) pari a circa 50 volte il Prodotto Interno Lordo annuale del Giappone nello stesso momento.
Come ulteriore conseguenza del conflitto si ebbero anche circa 9 milioni di rifugiati.

[modifica] Perdite giapponesi

Il Giappone dichiarò di aver avuto, nella guerra, 1.100.000 perdite tra morti, feriti e scomparsi. Secondo il ministero della difesa i morti sarebbero stati 200.000, cifra contestata dai cinesi che affermarono di aver ucciso circa 1.700.000 giapponesi. Una cifra considerata accettabile da molti storici è quella di 500.000 morti.

[modifica] Conseguenze

Nel 1945 la Cina uscì dalla seconda guerra mondiale facendo parte, almeno nominalmente, del gruppo delle grandi potenze che l'avevano vinta benché la nazione fosse prostrata da una grave crisi economica e travagliata di fatto dalla guerra civile. L'economia, messa in crisi dalla guerra entrò in una grave spirale inflazionistica qnche a causa delle attività speculative di molti menbri del governo nazionalista, subì ulteriori colpi a causa di fenomeni naturali aggravati dalla mancata manutenzione del sistema idrico dell valle del Fiume Giallo il cui straripamento provocò milioni ulteriori profughi e condizioni di vita precarie in molte regioni. Gli accordi di Yalta del febbraio 1945 che prevedevano l'ingresso delle truppe sovietiche in Manciuria furono presi con l'assenso del governo nazionalista che sperava così di diventare l'unico interlocutore cinese del governo di Mosca. Al termine della guerra l'Unione Sovietica, sempre secondo gli accordi di Yalta, stabilì una sua sfera d'influenza sulla Manciuria smantellando e trasportando sul proprio territorio più della metà delle industrie lasciate dai giapponesi. La presenza sovietiva nel nordest della Cina permise al partito comunista cinese una grande libertà di movimento ed anche di armamento utilizzando ciò che i giapponesi avevano abbandonato dopo la resa.
La guerra lasciò il governo nazionalista indebolito e scarsamente popolare mentre rafforzò il Partito Comunista sia dal punto di vista militare che come popolarità. Nelle zone liberate Mao Tze-tung fu abile nell'applicare i principi del marxismo-leninismo alla particolare situazione cinese. Egli ed i quadri dirigenti del partito si proposero alla guida delle masse contadine vibendo in mezzo a loro, mangiando lo stesso cibo e cercando di pensare alla stessa maniera. A queste tattiche si unirono anche campagna di indottrinamento politico, di alfabetizzazione e di corcizione nei confronti dele classi agiate. L'Esercito di Liberazione Popolare si costruì un immagine di fiero combattente della guerriglia in difesa del popolo cinese.
Per tutto il periodo della guerra il Partito Comunista Cinese continuò a rafforzarsi soprattutto nelle aree liberate passando dai 100.000 membri del 1937 a 1.200.000 del 1945.
Queste furono le condizioni che permisero a Mao Zetung, ormai capo indiscusso del partito, di portarlo nel 1949, alla vittoria nella guerra civile costrigendo il governo nazionalista a rifugiarsi nell'isola di Taiwan.

Mauseoleo della guerra presso il ponte Marco Polo a Pechino
Mauseoleo della guerra presso il ponte Marco Polo a Pechino

Le vicende delle guerra rimangono il maggior problema nelle relazioni diplomatiche tra Cina e Giappone. Da una parte la Cina accusa il Giappone, e spesso il suo governo, di cercare di cancellare la memoria dell'aggressione e delle azioni contrarie alle convenzioni belliche commesse da alcune unità giapponesi in Cina (Unità 731), dall'altra si accusa il governo cinese di enfatizzare il ruolo avuto dal Partito Comunista nella guerra.

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