Regionalismo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il regionalismo è la tendenza a concedere autonomia legislativa ed amministrativa alle regioni.
I suoi fautori sostengono che il decentramento regionale offra maggiori garanzie contro ogni attentato alla libertà: esso risponderebbe agli effettivi bisogni della vita del paese (autonomie amministrative che comportano una maggiore conoscenza dei problemi economici della singola regione), varia nella sua unità, e permetterebbe una struttura dello stato più articolata e democratica.
Indice |
[modifica] Il regionalismo in Italia
Il regionalismo trovò ampia espressione nel Risorgimento italiano; tuttavia, dopo l'unità, prevalse il criterio dell'accentramento, nonostante Cavour, Marco Minghetti e Luigi Carlo Farini fossero fautori del decentramento politico e di un'articolazione federale dello stato.
Tale tendenza si fece nuovamente viva nel primo dopoguerra, ma fu stroncata dal fascismo che, agendo nella direzione opposta, arrivò a sopprimere addirittura le autonomie locali, facendo dipendere i comuni e le province direttamente dall'esecutivo centrale. Ritornò, quindi, nel secondo dopoguerra e la nuova Costituzione conferì alle regioni ampio rilievo istituzionale. Tuttavia l'autonomia delle regioni, accolta nella Costituzione repubblicana (1948), venne applicata soltanto nel 1970 a causa delle dure opposizioni politiche del governo centrale alla possibilità di amministrazioni regionali rette da forze di opposizione, come in Emilia e in Toscana. [1]
[modifica] Il regionalismo dei partiti cattolici
Il regionalismo della Democrazia Cristiana porta la stessa data di nascita del movimento politico dei cattolici e si richiama al principio della sussidiarietà che, con sintesi efficace, fu espresso da Papa Pio XI:
« è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalla minore, inferiore comunità si può fare. » |
Il sesto punto dell'Appello ai liberi e forti che dava vita al Partito Popolare Italiano, affermava:
« Libertà ed autonomia degli enti pubblici locali. Riconoscimento delle funzioni proprie del Comune, della Provincia e della Regione in relazione alla tradizione della vita locale. Riforma della burocrazia, largo decentramento amministrativo ottenuto anche a mezzo della collaborazione degli organismi industriali, agricoli e commerciali del capitale e del lavoro. » |
Ma già ventanni prima, nel 1896, al secondo congresso cattolico di scienze sociali svoltosi a Padova, Giuseppe Toniolo aveva affermato:
« La funzione degli enti pubblici come mezzo per poggiare ed integrare gli interessi degli individui e della società, primieramente e massimamente deve distinguersi per mezzo di organismi locali che meglio si adattano alla varietà delle esigenze civili in ogni gruppo di popolazione in determinata sede; soltanto subordinatamente tale funzione deve essere assunta da un ente più remota [lo Stato] quando sia provato che essa non si adempia adeguatamente se non prescindendo dalle varietà locali ed esercitandola con uniforme azione sopra una più vasta sfera sociale. » |
Decentramento, autonomia e Regioni ritornano in primo piano nel Programma di Milano della Democrazia Cristiana che porta la data del 25 luglio 1943.
Al Congresso di Roma del 1946 Guido Gonella, nella sua relazione, precisava, come mai prima d'allora era stato fatto, il pensiero della Democrazia Cristiana:
«
|
.
Nell'appello del 1919 a tutti gli uomini liberi e forti il Partito Popolare Italiano sosteneva:
« l'autonomia comunale, la riforma degli enti provinciali e il più largo decentramento delle utilità regionali... » |
Nel primo programma del PPI si affermavano queste linee di azione:
« ...Libertà ed autonomia degli enti pubblici locali. Riconoscimento delle funzioni proprie del comune, della provincia e della regione in relazione alle tradizioni della Nazione ed alla necessità di sviluppo della vita sociale... » |
« Il regionalismo è un grido di vita contro la paralisi ed il grido degli italiani delle campagne e delle città contro il parassitismo della capitale o delle capitali che dominano, attraverso lo Stato e la burocrazia, tutta la vita del nostro Paese. » |
Alcide De Gasperi, nel suo primo discorso politico del dopoguerra tenuto a Roma il 23 luglio 1944:
« Vogliamo fondare il nostro nuovo Stato, la nostra nuova Italia... ma la base fondamentale deve essere il comune, deve essere la Regione... » |
« La Regione ha le sue radici nella natura, nel cuore e nella storia degli italiani » | |
Mario Scelba nel 1950:
« Sfateremo la leggenda di uno Stato che è l'antitesi della Regione. La Regione è lo Stato. » |
Alcide De Gasperi il 21 agosto 1952:
« La regione non è contro lo Stato ma lavora per lo Stato come un'articolazione dello Stato. » |
Alcide De Gasperi il 9 novembre 1952:
« Che cosa importa ai comunisti della Regione? Io che ho lavorato con loro ricordo bene l'antipatia, l'avversione dei socialisti nenniani e dei comunisti per la Regione. Essi pensavano che il decentramento attenua la forza del potere centrale che per essi è di assoluta necessità per preparare il grande rivolgimento, per attuare la grande conversione della struttura sociale e politica dello Stato. » |
[modifica] L'iniziale antiregionalismo del Partito Comunista Italiano
Per motivi prettamente ideologici, il PCI è stato in principio contrario all'istituzione delle Regioni in Italia. Ecco alcune opinioni espresse nell'immediato secondo dopoguerra.
Ruggero Grieco (da Rinascita n. 3 del 1943):
« Queste idee regionalistiche che potevano avere una base, un fondamento, giustificazioni nella realtà di una determinata epoca, non possono più essere avanzate e sostenute in un'epoca diversa, in una realtà diversa...attuando l'ordinamento regionale noi non potremmo più condurre a fondo l'azione per l'eliminazione del fascismo » |
Renzo Laconi (da Rinascita n. 7 del 1947):
« All'interno della Regione erano poste tutte le condizioni per ritardare lo slancio delle masse popolari ... l'orientamento della D.C. su questa questione aveva uno scopo, ma non confessabile: rifletteva l'attegiamento secolare della Chiesa nei confronti dell'unità d'Italia e la sua tendenza a stabilire le condizioni di una debolezza organica dello Stato ... le autonomie locali costituiscono per il popolo italiano una garanzia essenziale contro ogni possibilità di restaurazione della tirannide. » |
Ruggero Grieco (da Rinascita n. 7 del 1947):
« è ovvio che non possiamo accettare l'opinione di coloro i quali sostengono che il problema regionale avrebbe un carattere permanente ed immanente. Questa opinione è, in realtà, manifestazione di una triviale mitologia...diffusa è l'opinione che la sua più decisa decentralizzazione e la più larga autonomia regionale sarebbe l'antitodo contro ogni ritorno offensivo della reazione e del fascismo. Questa tesi è del tutto arbitraria...non si puo dire neppure che la creazione di un Ente Regione si presenti da noi come "questione", come una profonda rivendicazione popolare... » |