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Monte San Giorgio - Wikipedia

Monte San Giorgio

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Monte San Giorgio
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Paese bandiera Svizzera
Regione Ticino
Provincia
Contea {{{contea}}}
Altezza 1.097 m s.l.m.
Catena Alpi
Cratere {{{diametrocratere}}} m
Prima eruzione {{{primaeruzione}}}
Ultima eruzione {{{ultimaeruzione}}}
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Altri nomi e significati
Data prima ascensione {{{dataprimasalita}}}
Autore/i prima ascensione {{{alpinistaprimasalita}}}

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SOIUSA
Grande Parte: Alpi Occidentali
Grande Settore Alpi Nord-occidentali
Sezione Prealpi luganesi
Sottosezione Prealpi varesine
Supergruppo: Catena Piambello-Campo dei Fiori-Nudo 
Gruppo Gruppo Sette Termini-Piambello-San Giorgio
Sottogruppo Gruppo San Giorgio-Pravello 
Codice I/B-11-II-B.2.c
Visita il Portale della Montagna

Il Monte San Giorgio è un monte nel Sud del Canton Ticino in Svizzera. Raggiunge un'altezza di 1097 metri e giace circondato da due lembi del lago Ceresio (lago di Lugano). Esso è completamente in territorio elvetico, ma fa parte di un piccolo gruppo montuoso incuneato nel lago che comprende il Prasacco (poco più di un colle), che fa ancora parte della Svizzera, il Pravello (1.001 metri) su cui passa la linea di confine e il Monte Orsa (998 metri) in territorio italiano. Nell'estate del 2003 le rocce triassiche del Monte San Giorgio sono state iscritte nel Patrimonio mondiale dell'UNESCO. Decisivi per la scelta del Comitato UNESCO preposto sono stati gli eccezionali ritrovamenti paleontologici distribuiti su cinque livelli fossiliferi distinti d'età compresa tra 230 e 245 Ma, fatto che ha permesso di studiare l'evoluzione di alcune specie animali e vegetali nell'arco di alcuni milioni di anni. Fin dal XIX secolo sono venute alla luce migliaia di scheletri di sauri marini e pesci, tra cui anche specie rare o addirittura uniche alle quali sono stati attribuiti nomi che ricordano toponimi locali come Daonella serpianensis, Serpianosaurus mirigiolensis, Serpianotiaris hescheleri, Tanystropheus meridensis, Ceresiosaurus, Ticinosucus ferox, Besanosaurus, Lariosaurus oppure nomi che ricordano i ricercatori che hanno lavorato sul Monte come Ichthyosaurus cornalianus, Neusticosaurus Peyeri, Ceresiosaurus calcagnii, Tintorina meridensis, ecc.

Bene protetto dall'UNESCO
Patrimonio dell'umanità
Monte San Giorgio
Monte San Giorgio
Tipologia Naturalistico
Criterio N(i)
Pericolo Nessuna indicazione
Anno 2003
Scheda UNESCO inglese
francese
Patrimoni dell'umanità in Svizzera

Indice

[modifica] Vie d'accesso

La regione del Monte San Giorgio comprende i comuni di Meride, Tremona, Arzo, Besazio, Riva San Vitale e Brusino Arsizio in territorio svizzero e i comuni di Porto Ceresio, Saltrio, Viggiù e Besano in territorio italiano. È possibile accedere al Monte da Mendrisio seguendo la strada che porta al Serpiano (frazione di Meride). Una seconda via d'accesso parte da Riva San Vitale, costeggia le rive del lago Ceresio sino a Brusino Arsizio, dove una funivia conduce sino al Serpiano (650 m). Da qui parte un sentiero che, passando per l'Alpe di Brusino, porta alla vetta con un tempo di percorrenza di circa 1 ora e 30 minuti. Il comodo percorso escursionistico che da Meride porta alla vetta del Monte richiede poco meno di 2 ore, lungo una mulattiera di selciato. Salendo dal Serpiano (località Funivia) il sentiero di montagna è più impervio.

[modifica] Storia degli scavi paleontologici

La prima pubblicazione sui fossili del Monte San Giorgio risale al 1854 e fu redatta da E. Cornalia. Nel 1866 e 1878, sotto la direzione di E. Cornalia, allora direttore del Museo Civico di Storia Naturale a Milano, iniziarono i primi scavi scientifici nella regione di Besano in territorio italiano. Tra gli iniziatori di questi scavi v'è il geologo e paleontologo A. Stoppani, che nel 1882 prende la direzione del Museo di Milano. La prima pubblicazione riguardante questa campagna di scavo risale a F. Bassani (1886). Alcuni anni più tardi, durante i lavori d'estrazione a scopo industriale degli scisti bituminosi, dai quali si ricavava tramite distillazione a freddo il Saurolo, vennero alla luce ulteriori resti fossili di pesci e rettili. Nel 1919 il paleontologo e zoologo B. Peyer, sul lato svizzero del Monte nei pressi di Meride, s'interessò per la prima volta di questi ritrovamenti. Dal 1924 sino al 1975 l'università di Zurigo condusse una cinquantina di campagne sistematiche di scavo a cielo aperto che portarono al ritrovamentio di numerosissimi fossili. Nel 1925 E. Kuhn-Schnyder, allora assistente di B. Peyer, prese per la prima volta parte agli scavi; nel 1956 venne poi promosso a direttore dell'Istituto di paleontologia dell'Università di Zurigo. Tra le campagne di scavo più significative dal profilo scientifico v'è quella condotta da E. Kuhn-Schnyder nella località Mirigiolo (Punto 902) tra il 1950 e il 1968. H. Rieber, professore di paleozoologia al Politecnico federale e all'Università di Zurigo, iniziò nel 1983-1984 in località Val Stelle a Meride un'altra campagna di scavo e si dedicò allo studio dei fossili invertebrati tra cui le daonelle e le ammoniti, che si rivelarono poi eccezionali "fossili guida" utili alla datazione degli strati sedimentari. A. Tintori, professore presso l'Università di Milano, tra il 1996 e il 2003, condusse varie campagne di scavo sia su territorio svizzero sia su quello italiano, contribuendo in particolar modo allo studio dei pesci fossili risalenti al Triassico medio. Parallelamente l'Università di Zurigo, sotto la direzione di H. Furrer, curatore dal 1994 sino ad oggi del Museo paleontologico dell'Università di Zurigo, iniziò varie campagne di scavo negli strati sedimentari della Kalkschieferzone in località Val Mara e Acqua del Ghiffo. Il dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Milano e il Museo di storia naturale di Milano s'affiancarono al gruppo di ricercatori di Zurigo e indagarono gli strati sedimentari delle rocce della Formazione di Besano. Attualmente i ricercatori dell'Università di Zurigo e dell'Università e Museo di Milano conducono annualmente ulteriori scavi scientifici.

[modifica] Geologia e litostratigrafia

Profilo geologico Nord-Sud del Monte San Giorgio
Profilo geologico Nord-Sud del Monte San Giorgio
Profilo litostratigrafico del Monte San Giorgio
Profilo litostratigrafico del Monte San Giorgio

La litostratigrafia del Monte San Giorgio comprende varie unità rocciose che si suddividono in due gruppi distinti, lo zoccolo o basamento cristallino e il ricoprimento sedimentario. Muovendosi verso la vetta del Monte s'incontrano formazioni rocciose più recenti. Qui di segguito presenteremo velocemente le singole unità rocciose facendo riferimento, dove possibile, alle condizioni paleogeografiche vigenti durante la formazione delle singole formazioni.

  • Basamento cristallino: (pre Carbonifero, > 359 Ma; Ma = milioni d'anni) il basamento cristallino insubrico è costituito da una roccia metamorfica. È costituito da gneis d'origine sedimentatria (paragneis) e magmatica (ortogneis). Questa unità non è comunque visibile in quanto affiora unicamente ad un livello assai basso, incontrando la topografia sotto il livello del lago Ceresio.
  • Rocce magmatiche vulcaniche, andesiti, rioliti e tuffi: (Permiano, 260-299 Ma) salendo da Riva San Vitale in direzione del Serpiano la prima litologia che si incontra è costituita da un'andesite assai degradata chiamata porfirite mentre più in alto affiora una roccia riolitica detta porfido quarzifero. Queste rocce sono d’origine vulcanica; esse si sono formate grazie alla rapida cristallizzazione del magma a livello della superficie terrestre. La presenza di queste rocce indica che il Sottoceneri del remoto Permiano faceva parte di una terra emersa interessata da fenomeni vulcanici. Ad occhio nudo è assai facile distinguere le due rocce vulcaniche. Le porfiriti presentano un colore di degradazione rosso-violaceo e una tessitura microcristallina omogenea. Il profido quarzifero mostra invece un colore di degradazione marroncino chiaro ed una tessitura leggermente porfirica (vi sono almeno due generazioni di minerali con granulometria diversa). I minerali più grandi sono costituiti da feldspato (bianco) e da biotite (nera) immersi in una matrice assai fine. Mineralogicamente le due rocce si differenziano essenzialmente per un maggiore contenuto in quarzo all’interno dei porfidi.
  • Servino: (Permiano superiore, 260 Ma) questa litologia di spessore assai inferiore rispetto alle due precedenti risulta sovente nascosta dal ricoprimento quaternario ed è difficilmente osservabile. Si tratta di una breccia riolitica, quindi vulcanica, che mostra una granulometria variabile e componenti spigolose immerse in una matrice sempre d‘origine vulcanica a granulometria assai più fine.

Rocce sedimentarie: (Triassico, 203-251 Ma) questo periodo geologico fu caratterizzato dall’apertura di numerose fratture all’interno del supercontinente Pangea. Tra il continente africano a sud e quello euroasiatico a nord si formò un bacino nel quale si insinuò partendo da Est un braccio di mare chiamato Tetide. Il bacino della Tetide continuò poi ad allargarsi sino a raggiungere la sua estensione massima nel Giurassico inferiore (183-200 Ma). Questo fatto spiega il passaggio nella sequenza litostratigrafica del Monte San Giorgio dalle rocce magmatiche vulcaniche del basamento) a quelle del ricoprimento sedimentario in cui sono visibili le stratificazioni originarie e numerosi fossili.


  • Formazione di Bellano (Anisico inferiore[1]): depositi silico-clastici conglomeratici e arenacei. Si tratta di depositi alluvionali che indicano un incremento dell'attività tettonica con emersione e fenomeni erosivi.
  • Dolomia del San Salvatore(Anisico medio-superiore-Ladinico): si tratta di depositi marini di piattaforma carbonatica, che indicano una nuova trasgressione marina. La dolomia che troviamo al San Giorgio è ciò che resta di un'antica barriera corallina che separava il bacino del San Gorgio dal mare aperto. Essa è quindi formata dalle componenti calcitiche poi dolomitizzate degli organismi marini che vivevano sulla barriera, tra cui bivalvi (organismi a doppia conchiglia), coralli e alghe rosse. Facendo delle sezioni sottili di questa roccia è possibile osservare al microscopio i resti fossili di questi organismi.
  • Calcare di Meride (Ladinico[2]): i processi estensionali che all’inizio del Triassico avevano portato alla spaccatura della Pangea continuano ingrandendo ulteriormente il bacino della Tetide che diventa sempre più profondo. La crescita dela barriera corallina s’arresta a causa del suo sprofondamente al di sotto della zona fotica del mare. Sopra gli scisti bituminosi della laguna del San Giorgio si deposita un’altra unità sedimentaria carbonatica, il calcare di Meride. Il calcare costituisce un’unità geologica assai omogenea con stratificazioni di spessore variabile interrotte da aulcuni sedimentari ricchi in scisto bituminoso e da altri costituiti da bentonite giallastra. La bentonite è una roccia tufacea di struttura plastica derivante dalla compattazione di ceneri vulcaniche sui fondali del mare triassico. Gli scisti bituminosi comprendono gli strati della Cava inferiore (pesci della classe Actinopterygii, Saurichtys, Paddelsaurier), della Cava superiore (pesci della classe Actinopterygii, Paddelsaurier) e della Cassina (Saurichtys, Tanystropheus, Paddelsaurier).
  • Scisti bituminosi (Anisico terminale-Ladinico basale[3]): la Zona limite bituminosa pure chiamata Formazione di Besano è l’unità sedimentaria che ha reso famoso il Monte San Giorgio dal punto di vista geologico e soprattutto paleontologico. Essa costituisce infatti uno fra i migliori esempi al mondo di un particolare giacimento fossilifero chiamato giacimento di conservazione (sottotipo: stagnazione; tipo di biofacies: letalpantostrato). La laguna del San Giorgio era nel lontano triassico un lembo di mare della Tetide protetto dal mare aperto grazie alla barriera corallina del San Salvatore. La profondità massima della laguna si situava tra 50 e 100 metri, le acque erano calde e relativamente calme, tanto da rappresentare un ambiente favorevole per la vita di numerosi anfibi e pesci. Negli scisti bituminosi sono stati ritrovati resti fossili tipici della terraferma come rami di conifere primitive, pollini di conifere ed altre gimnosperme, e resti di rettili tipicamente terrestri. Questo fatto testimonia quindi che la laguna era paleogeograficamente situata nei pressi della terra emersa. Gli scisti bituminosi sono dei sedimenti di colore nero assai ricchi in bitume derivante dall’alto contenuto in sostanze organiche. Normalmente è difficile ottenere dei sedimenti ricchi in sostanze organiche perché queste in presenza d'ossigeno vengono rapidamente degradate. Si pensa quindi che le condizioni sul fondale della laguna fossero anossiche e abiotiche. Quindi gli strati d’acqua vicini al fondale non presentavano alcuna forma di vita e le carcasse di pesci ed anfibi si conservavano a lungo. La zona limite bituminosa ha uno spessore di 16 metri ed è costituita da un’alternanza di strati chiari di dolomia proveniente dalla barriera corallina del San Salvatore (30 cm) e strati scuri più sottili di scisto bituminoso che presentano una stratificazione assai fine detta laminazione. Il processo di deposizione di questi ultimi sedimenti richiede un lasso di tempo assai lungo, tanto che in pochi millimetri sono racchiusi migliaia di anni. Principali ritrovamenti fossili di vertebrati: pesci della classe Actinopterygii, sauri della specie Cyamodus hildegardis (Placodontia), pesci ossei della famiglia Latimeriidae (Latimeridi), Saurichthys, Ticinosucus, squali (Chondrichthyes), Tanystropheus, Paddelsaurier, Fischsaurier.
  • Calcare di Meride superiore (Kalkschieferzone degli autori svizzeri) (Ladinico superiore): comprende una serie di stratificazioni calcaree scistose dove sono stati ritrovati resti di pesci della classe Actinopterygii e di Paddelsaurier.
  • Marna del Pizzella (Carnico): marne grigie fogliettate, marne bituminose nerastre, talora con resti di pesci e crostacei, con intercalazioni di strati più carbonatici di spessore da centimetrico a decimetrico. L'unità costituisce un orizzonte spesso poche decine di metri, di solito caratterizzato morfologicamente per la maggiore erodibilità rispetto alle unità sotto- e soprastanti, assai più competenti.
  • Dolomia principale (Norico[4]): la trasgressione marina continuò nel tardo Triassico. In quel periodo si depositò uno spesso pacchetto di roccia carbonatica poi dolomitizzata, la cosiddetta dolomia principale che affiora oggi sul Poncione d’Arzo.

Durante la massima estensione della Tetide, nel Giurassico si depositarono rocce sedimentarie prevalentemente pelagiche. Il sistema estensionale a questo punto cambiò orientamento e assunse un trend Est-Ovest portando alla formazione di numerose fessure orientate Nord-Sud. Nel Mendrisiotto è possibile osservare sedimenti di mare profondo vicino a sedimenti tipici di zone d’acqua bassa. La sequenza sedimentaria del Monte Generoso e della Breggia fa parte del primo gruppo mentre la breccia d’Arzo del secondo.

  • Breccia d’Arzo [5]: si tratta di una breccia sedimentaria a tessitura porfirica con clasti macroscopici dolomitici spigolosi, provenienti dalla Dolomia principale, immersi in una matrice sedimentaria a grana fine e colore rosato. La colorazione della matrice è d'origine secondaria, quindi successiva alla deposizione, e va ricondotta all'ossidazione dei minerali d'ematite presenti nel sedimento. Questa roccia fa parte della cosiddetta Serie di Tremona. Movimenti estensionali portarono alla fessurazione delle rocce carbonatiche già solidificate. Queste fessure sotto la spinta idrostatica dell'acqua vennero rapidamente riempire con i sedimenti più giovani depositatisi sopra la dolomia e con pezzi frantumati della dolomia stessa, si parla in questo caso di fessure d'iniezione. Nella regione d'Arzo, la breccia mostra in alcuni punti ben sei generazioni distinte di fessurazione e conseguente riempimento. I resti fossili comprendono brachiopodi, crinoidi e ammoniti.
  • Rosso Ammonitico (Toarciano medio-superiore[6]): all’interno del Bacino Lombardo cessarono alla fine del Toarciano i processi tettonici estensionali e una fase regressiva del livello del mare seguì il massimo trasgressivo del Toarciano inferiore. I tassi di sedimentazione si ridussero da alcune centinaia di metri a soli 10 metri per milione d'anni. In aree rialzate all’interno di bacini poco profondi si depositarono i calcari marnosi nodulari e le marne rossastro-verdognole ad alto contenuto fossilifero (ammoniti e bivalvi) della serie condensata Rosso Ammonitico (Concesio). Durante la deposizione si verificarono eventi di non-sedimentazione o di erosione del sedimento molle superficiale (riesumazione) che veniva colonizzato da organismi di infauna e epifauna.

[modifica] Condizioni paleogeografiche di deposizione

Luogo deposizionale dei sedimenti della Zona limite bituminosa (Anisico-Ladinico). In nero gli strati di scisto bituminoso
Luogo deposizionale dei sedimenti della Zona limite bituminosa (Anisico-Ladinico). In nero gli strati di scisto bituminoso

Più di 200 Mio d'anni or sono sul fondo di una laguna subtropicale profonda sino a 100 m si depositarono le rocce sedimentarie del Monte San Giorgio. Le condizioni climatiche della remota laguna del Monte San Giorgio ricordano le condizioni presenti attualmente ai Caraibi con una temperatura dell'acqua compresa tra i 22 e i 25 °C. Tra zone d'acqua bassa, banchi sabbiosi e isole v'erano alcune lagune isolate dal mare aperto, poco profonde e dai fondali caratterizzati da acque poco ossigenate. Gli animali morti finivano sui fondali della laguna e venivano successivamente ricoperti da fango. Per questo motivo si ritrovano al giorno d'oggi scheletri fossili completi. Se i fondali marini avessero costituito un ambiente favorevole alla vita, le carcasse sarebbero ben presto state divorate e gli scheletri si sarebbero inesorabilmente degradati. All'interno della fanghiglia i batteri distrussero lentamente la pelle e le parti molli delle carcasse. Si conservarono invece gli scheletri pressati degli animali che permisero di ricostruire con precisione l'aspetto dell'animale. Il clima tropicale era contrassegnato da periodi di piogge monsoniche. Col trascorrere del tempo si passò da un ambiente acquatico salino, tipico della Zona limite bituminosa bassa e media, ad un regime d'acqua sempre meno salina nella parte alta della Zona limite bituminosa.

[modifica] Flora e fauna fossile

Pachypleurosaurus (20 cm)
Pachypleurosaurus (20 cm)

Sino ad oggi sono stati ritrovati oltre 10'000 esemplari fossili tra cui 30 specie distinte di rettili, 80 specie di pesci, 100 specie d'invertebrati e numerosi fossili microscopici. Tra i ritrovamenti più recenti v'è uno tra i primi insetti fossili a livello mondiale d'origine triassica (Tintorina meridensis, una "Zanzara" lunga 17 mm). La maggior parte dei ritrovamenti proviene dalla Zona limite bituminosa. Particolarmente ricca di fossili è la parte centrale di questo pacchetto roccioso che originariamente veniva cavata nelle cave della Val Porina e delle Tre Fontane. Tra i ritrovamenti principali s'annoverano gli ittiosauri (grandi sauri marini), i placodonti e numerosi pesci come i Chondrichthyes. Provenienti dagli stessi strati sedimentari vi sono Paranothosaurus, altri Sauropterygi, vari esemplari di Tanystropheus e l'unico sauro di grandi dimensioni esclusivamente terrestre, il Ticinosuchus. Nelle rocce argillose i fossili vertebrati presentano un grado di conservazione assai buono e scheletri completi. Nei banchi di dolomia è possibile ritrovare resti di invertebrati, alcune alghe calcaree e rare piante come conifere (Volzia). Grazie alla presenza di numerosi fossili guida come Ammoniti e conchiglie del genere Daonella è stato possibile datare con precisione l'età della Zona limite bituminosa che risale al Trias intermedio, tra l'Anisico e il Ladinico. Datazioni assai precise dei minerali di zircone contenuti in uno strato di cenere vulcanica (bentonite) hanno permesso di stabilite un'età di 241-242 Mio d'anni. Negli strati più recenti del Trias intermedio del Monte San Giorgio appaiono fossili di rettili e pesci, comunque il numero ridotto di tali ritrovamenti indica un peggioramento delle condizioni di vita. Negli strati sedimentari della Cassina sono stati ritrovati grandi fossili di Neusticosaurus edwardsii (noto anche con il nome desueto di Pachypleurosaurus), esemplari di Ceresiosaurus, Macrocnemus e Tanystropheus nonché vari pesci ossei del genere Saurichthys. Negli strati più giovani del Calcare di Meride sono stati trovati piccoli pesci, granchi, resti di piante e un Lariosaurus.

[modifica] Le cave di pietra

  • Gli strati di scisti bituminosi ricchi in sostanze fossili, sono stati sfruttati in passato per l'estrazione di combustibile (1774-1790) e di gas destinato all'illuminazione della città di Milano (1830). Più tardi a partire dal 1902 su territorio italiano, e dal 1909, data di fondazione della Società anonima "Miniere Scisti Bituminosi di Meride e Besano", su territorio svizzero, venne estratto dalle rocce bituminose un olio dalle grandi proprietà terapeutiche e curative, il Saurolo (Ammonium sulfosaurolicum). In località Serpiano, a Tre Fontane e in Val Porina videro la luce numerose miniere i cui cunicoli nel 1948 raggiunsero 2 km. Dalla roccia era possibile estrarre l'8% di olio, 8-9% di gas impuri e 2-3% di fluidi ricchi in ammoniaca. Durante la seconda guerra mondiale si studiò la possibilità di estrarre carburante da queste rocce. Ulteriori studi dimostrarono però che i costi di produzione avrebbero superato di ben 10 volte il prezzo dei prodotti allora in commercio. La produzione andò comunque avanti e in quegli anni vennero trattate da 36 a 626 tonnellate di scisti, che permisero la produzione di 3-50 tonnellate di olio. Si calcolò che le riserve sicure di materia prima s'aggiravano attorno a 1.6 milioni di tonnellate, corrispondenti a 128'000 tonnellate d'olio. La roccia veniva trasportata nella fabbrica dello Spinirolo a Meride dove, seguendo un brevetto della Società Anonima, veniva in una prima fase "distillata a secco". Successivamente l'olio veniva purificato con acido solforico seguendo un processo detto di solfonazione e assumeva così una maggiore consistenza che lo rendeva simile ad un altro unguento chiamato ittiolo. Il Saurolo aveva grandi poteri asettici, era perlopiù utilizzato per curare malattie della pelle e conobbe una grande diffusione tra le truppe italiane durante le campagne militari d'Africa. Poco dopo la seconda guerra mondiale la concorrenza sempre più agguerrita di prodotti esteri impose la chiusura degli stabilimenti di Meride.
  • Nel comune di Arzo si estrae tutt'oggi una breccia sedimentaria comunemente chiamata Marmo d'Arzo. L'inizio dell’attività estrattiva presso le cave risale attorno al 1300 mentre da oltre 200 anni, le cave sono gestite dalla famiglia Rossi, la quale si occupa dell’estrazione e della lavorazione del "marmo". A partire dagli anni ’20, grazie a moderni strumenti di lavoro quali il monolama e la fresa, la ditta Rossi di ha reso efficace e produttiva l’attività nelle cave. La Breccia ha origine come detto all'inizio del Giurassico (Lias), dove movimenti estensionali della crosta portarono alla fessurazione subacquea della roccia e al conseguente riempimento delle fessure con brecce sedimentarie (fessure d'iniezione). La roccia si presenta perlopiù in un affascinante mosaico di colori e compare in 6 differenti varietà. La Macchiavecchia è una roccia eterogeneo composta da frammenti di granulometria variabile di rocce del Trias superiori o del Lias inferiore. Presenta un aspetto screziato e vivace e tonalità variabili tra rossa, gialla, e grigia. Il Rosso di Arzo si contraddistingue per il colore rosso intenso e la struttura omogenea, mentre il Broccatello ha una colorazione rossastra sino a grigiastra. Il Venato, infine, è percorso da venature e sfumature (viene per questo chiamato, in dialetto, Vinaa). Il "marmo" di Arzo viene impiegato in ambiti fra i più disparati: per la decorazione di opere importanti quali chiese, cappelle, palazzi pubblici e ville, oppure come materiale per l’arredamento o per la realizzazione di oggetti di varia forma e natura.
  • Le rocce facenti parte della zona porfirica sono tagliate da numerose intrusioni di tipo filoniano. Nella regione del Serpiano è presente un arricchimento filoniforme ricco in barite, fluorite e ankerite che venne sfruttato tra il 1942 ed il 1944 per l'estrazione di tali minerali. L'estrazione di 746 tonnellate di roccia ricca in barite si concentrò dapprima in superficie e poi in galleria per concludersi poi a soli 10 metri di profondità a causa di una faglia. Questo giacimento non ha più alcun significato commerciale.
  • Cosparse omogeneamente su tutto il territorio del Monte vi sono varie cave di calcare e di tufi calcarei da tempo cadute in disuso.

[modifica] Note

  1. ^ parte inferiore del Triassico Medio
  2. ^ Triassico medio-superiore (230-245 Ma)
  3. ^ Triassico medio (237 Ma)
  4. ^ Triassico superiore (216 Ma)
  5. ^ erroneamente chiamata "Marmo d'Arzo" (Giurassico inferiore)
  6. ^ Giurassico inferiore (183 Ma)

[modifica] Musei e esposizioni

I ritrovamenti più significativi sono conservati nei seguenti musei:

  • Museo dei Fossili di Meride (direttamente ai piedi del Monte San Giorgio);
  • Museo di Storia Naturale di Lugano;
  • Museo dell'istituto di paleontologia dell'Università di Zurigo;
  • Museo civico dei fossili di Besano;
  • Civico Museo Insubrico di Storia Naturale di Induno Olona;
  • Museo Civico di Storia Naturale di Milano

[modifica] Letteratura

  • Aa.Vv.: Geo-Guida del Monte San Giorgio (Ticino/Svizzera – Provincia di Varese/Italia) – Carta escursionistica scientifico-didattica 1:14'000;
  • Aa.Vv.: Introduzione al paesaggio naturale del Cantone Ticino. 1. Le componenti naturali. Dipartimento dell'Ambiente, Dadò editore, Locarno 1990;
  • (DE) Aa.Vv.: Paläontologie in Zürich. Fossilien und ihre Erforschung in Geschichte und Gegenwart. Zoologisches Museum der Universität Zürich, Zürich 1999;
  • Markus Felber: Il Monte San Giorgio. Dai fossilli alla lavorazione artistica della pietra. Edizioni Casagrande, Bellinzona 2005;
  • (DE) Emil Kuhn-Schnyder: Die Fossilien des Monte San Giorgio. Führer zum Paläontologischen Museum Meride. Paläontologisches Institut und Museum der Universität Zürich, Zürich 1979

[modifica] Produzioni televisive

  • Televisione della Svizzera italiana (TSI), Redazione T. Gamboni. "La Laguna di Pietra – Storie del Monte San Giorgio". Durata 53 minuti, 2003;
  • (DE) Schweizer Fernsehen (SF1), Redazione H. Issler. "Das UNESCO-Weltnaturerbe Monte San Giorgio". Durata 8 minuti, 2003

[modifica] Collegamenti esterni


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