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Klemens von Metternich - Wikipedia

Klemens von Metternich

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il Principe di Metternich - particolare di un dipinto di sir Thomas Lawrence
Il Principe di Metternich - particolare di un dipinto di sir Thomas Lawrence
« Gli abusi del potere generano le rivoluzioni; le rivoluzioni sono peggio di qualsiasi abuso. La prima frase va detta ai sovrani, la seconda ai popoli. »
(Klemens von Metternich)

Klemens Wenzel Nepomuk Lothar von Metternich-Winneburg-Beilstein, conte e, dal 1813, principe di Metternich-Winneburg (Coblenza15 maggio 1773 – Vienna11 giugno 1859), è stato un diplomatico e statista austriaco, dal 1821 cancelliere di Stato e di Corte.

Indice

[modifica] Biografia

Nacque a Coblenza in una famiglia della media nobiltà della Westfalia che, già con il padre Georg, aveva lavorato al servizio della Casa d'Asburgo. Il 27 settembre 1795 sposò la nipote del potente cancelliere austriaco, il Conte Wenzel Anton von Kaunitz.

[modifica] La carriera politica

Appena venticinquenne partecipò come segretario particolare del padre Georg e poi come rappresentante del collegio comitale cattolico della Westfalia al Congresso di Rastatt (settembre 1797 - aprile 1799). La sua abilità nell'attività diplomatica ben presto gli permise di divenire ambasciatore a Dresda (Sassonia) nel gennaio 1801, a Berlino (Prussia) nel novembre 1803 e a Parigi (Francia) nell'agosto 1806, su richiesta diretta di Napoleone.

[modifica] Napoleone

Dopo la sconfitta austriaca da parte di Napoleone (battaglia di Wagram) e le conseguenti dimissioni del ministro degli Esteri austriaco Johann Philipp Stadion, l'8 luglio 1809 Metternich fu nominato al suo posto e dopo il disastroso Trattato di Schönbrunn non poté che perseguire una politica favorevole alla Francia, arrivando fino a pianificare nel 1810 il matrimonio fra Napoleone e l'arciduchessa Maria Luisa, la figlia di Francesco II.

Dopo la sconfitta di Napoleone in Russia nel 1812 Metternich perseguì una politica neutrale e tentò di mediare una pace fra Napoleone e i suoi nemici russi e prussiani, che non rafforzasse troppo questi ultimi. Il 26 giugno 1813 si incontrò con Napoleone a Dresda, incontro durante il quale disse all'imperatore che lo riteneva sconfitto e offrì la sua mediazione imparziale, che fu respinta. Dopo il fallimento della mediazione l'Austria dichiarò guerra alla Francia.

Verso la fine della guerra, nel 1814 Metternich giunse alla conclusione che una pace con Napoleone non era possibile e che purtroppo la restaurazione borbonica era inevitabile. Nello stesso tempo, occorrevano una federazione degli stati tedeschi per imbrigliare il regno di Prussia e un'alleanza continentale per imbrigliare l'impero russo. Ciò lo avvicinò a Castlereagh, il ministro degli esteri britannico. Il Trattato di Parigi, firmato il 30 maggio 1814, regolava la caduta di Napoleone (abdicazione a Fontainebleau il 6 aprile) e rinviava al futuro Congresso di Vienna per la nuova sistemazione territoriale e politica del continente.

[modifica] Il Congresso di Vienna

Metternich fu uno dei principali negoziatori durante il Congresso di Vienna (ottobre 1814 - novembre 1815), dove accettò il principio di legittimità e fece accettare il principio di equilibrio.

In quel periodo egli ebbe un aspro diverbio con lo zar Alessandro I di Russia, i cui piani per la Polonia impaurivano fortemente il ministro austriaco. I tentativi di Metternich di creare un fronte compatto con Castlereagh e Hardenberg, il cancelliere prussiano, per opporsi ai piani di Alessandro I fallirono a causa dell'opposizione della Prussia che non voleva attriti con la Russia. Metternich sorprese la Prussia firmando un'alleanza con Castlereagh e Talleyrand, l'inviato francese, il 3 gennaio 1815, per dissuadere, anche a costo della guerra, l'annessione della Sassonia da parte della Prussia che era prevista come compensazione in cambio di terre polacche che sarebbero state date ad Alessandro I. Se ciò salvò il regno di Sassonia non impedì ad Alessandro I di ottenere quasi tutto ciò che desiderava della Polonia.

Nel contempo Metternich negoziò con la Prussia, la Baviera, il Württemberg e Hannover, la creazione della Confederazione Tedesca, che contava 39 stati, contro i 300 che facevano parte del Sacro Romano Impero sciolto dieci anni prima.

Metternich, inoltre, fu l'artefice della Santa Alleanza, che pure deve l'idea e il nome allo zar Alessandro: un accordo per governare i popoli conformemente alla carità cristiana, ma di fatto per reprimere le rivolte popolari. Se uno stato subiva disordini rivoluzionari, infatti, gli altri erano autorizzati ad intervenire militarmente per prevenire il contagio e ristabilire il potere legittimo. Tutti gli stati vi aderirono tranne l'Impero Ottomano (non cristiano), lo Stato Pontificio (il Papa disapprovava questo ecumenismo ante litteram) e il Regno Unito, ma di fatto fu un'alleanza reazionaria tra Austria, Prussia e Russia, allargata alla Francia.

Il Congresso approvò i suoi verbali finali il 9 giugno 1815, nove giorni prima della battaglia di Waterloo. Il Trattato di Parigi, siglato il 20 novembre 1815, sostituì quello di 18 mesi prima, recependo i verbali del Congresso.

Negli anni successivi al Congresso di Vienna l'impegno maggiore di Metternich fu quello di mantenere gli equilibri raggiunti, e di difendere i diritti delle monarchie e degli imperi in contrasto con i nascenti sentimenti democratici dell'epoca. Il Congresso della Santa Alleanza si riunì periodicamente fino al 1822, ma con la morte di Alessandro il 1 dicembre 1825 e le rivoluzioni francese e belga del luglio e agosto 1830 perse di rilevanza.

[modifica] Il declino

I moti del 1848 e le ribellioni in Ungheria segnarono la sua fine: movimenti sovversivi a Vienna chiesero la sua rimozione e la ottennero il 18 marzo; Metternich e la sua terza moglie lasciarono il paese. Tornò tre anni dopo e benché non avesse alcun titolo restò consigliere dell'Imperatore Francesco Giuseppe d'Austria. Morì a Vienna l'11 giugno 1859.

[modifica] L'uomo politico

Metternich fu uno dei padri della corrente del realismo diplomatico, o Realpolitik, fautore di una politica dell'equilibrio, nonché un maestro della tecnica e dello stile diplomatico. Al tempo stesso, mise questa sua maestria al servizio di una visione reazionaria.

La visione conservatrice di Metternich riguardo alla natura dello stato influenzò le conclusioni del Congresso di Vienna. Egli credeva che dal momento in cui la gente fosse stata informata delle antiche istituzioni, le rivoluzioni nazionali come quelle in Francia e in Grecia sarebbero state illegittime. Il principio di legittimità giocò un ruolo vitale nella restaurazione degli antichi stati come lo Stato Pontificio in Italia e la resurrezione della monarchia borbonica in Francia sotto Luigi XVIII. Attraverso il decreto di Carlsbad (1819), Metternich introdusse misure che limitavano fortemente il processo liberale, con una politica, ad esempio, di controllo delle attività di professori e studenti, che lui considerava tra i responsabili della diffusione di idee liberali radicali.

[modifica] Metternich e l'Italia

Il 2 agosto 1847 Metternich scrisse, in una nota inviata al conte Dietrichstein, la famosa e controversa frase «L'Italia è un'espressione geografica»[1]. Tale frase venne ripresa l'anno successivo dal quotidiano napoletano Il Nazionale, riportandola però in senso dispregiativo: «L'Italia non è che un'espressione geografica»'; nel pieno dei moti del '48 i liberali italiani si appropriarono polemicamente di questa interpretazione utilizzandola in chiave patriottica per risvegliare il sentimento anti-austriaco negli italiani.

Gli storici sono abbastanza concordi nel riconoscere in tale affermazione la constatazione di uno stato di fatto invece di una connotazione negativa: dal punto di vista politico infatti, lo statista austriaco vedeva come l'Italia fosse «composta da Stati sovrani, reciprocamente indipendenti» (così proseguiva nel testo della nota), così come lo era la Germania. Più che un arrogante disprezzo nei confronti dell'Italia e di coloro che puntavano alla sua unificazione, a muovere Metternich era il calcolo politico di mantenere divisa la penisola, permettendo al suo paese di esercitare una stretta influenza (diretta e indiretta) sugli stati italiani.

[modifica] Note

  1. ^ La frase esatta fu: «La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle.»

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