Il Conte Ory
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Il Conte Ory | |
Titolo originale: | Le Comte Ory |
Lingua originale: | francese |
Musica: | Gioachino Rossini |
Libretto: | Eugène Scribe, Charles-Gaspard Delestre-Poirson (libretto online) |
Fonti letterarie: | Eugène Scribe e Charles-Gaspard Delestre-Poirson, il vaudeville Le Comte Ory (1816). |
Atti: | due |
Prima rappresentazione: | 20 agosto 1828 |
Teatro: | Opéra di Parigi |
Prima rappresentazione italiana: | 2 luglio 1829 in traduzione italiana di un anonimo (libretto online) |
Teatro: | Teatro San Benedetto di Venezia |
Personaggi:
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Autografo: | Biblioteca dell'Opéra, Parigi (solo il Prélude) |
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Il Conte Ory (Le Comte Ory nella versione originale francese) è la penultima opera di Gioachino Rossini, composta su libretto di Eugène Scribe e Charles-Gaspard Delestre-Poirson tratto dal vaudeville omonimo (1816) degli stessi autori.
La prima rappresentazione ebbe luogo il 20 agosto 1828 all'Opéra di Parigi.
Indice |
[modifica] Genesi
Nel 1828 Rossini è a Parigi da cinque anni ma – a parte la partitura celebrativa del Viaggio a Reims, composta per festeggiare l'incoronazione di Carlo X e rappresentata solo per poche sere – non ha ancora offerto ai teatri francesi un'opera nuova. I due rifacimenti del Maometto secondo e del Mosè in Egitto (Le siège de Corinthe e Moïse et Pharaon) hanno suscitato l'entusiasmo del pubblico parigino ma il vero banco di prova che lo attende è scrivere un'opera originale in lingua francese, da rappresentare nel massimo teatro parigino.
L'incarico di approntare velocemente un libretto per la nuova partitura è affidato al più esperto uomo di teatro del tempo, Eugène Scribe – autore di circa quattrocento lavori: drammi, farse, commedie, vaudevilles, scherzi comici e libretti d'opera – e ad un suo collaboratore, Charles Gaspard Delestre-Poirson. Secondo l'uso del tempo, Scribe propone a Rossini di riciclare, ampliandolo, un soggetto già utilizzato: un vaudeville rappresentato a Parigi nel 1816, per il quale il drammaturgo si era ispirato ad una ballata medievale, tratta a sua volta da una leggenda piccarda, in cui venivano celebrate le avventure boccaccesche di un libertino – il Conte Ory – entrato nel convento di Formoutiers con un gruppo di cavalieri mascherati da suore, «per far piacere alle monache e scacciare la noia». Le ultime righe della divertente ballata avvertono maliziosamente il lettore che nove mesi dopo ogni suora ebbe «il suo piccolo cavaliere».
Allo scopo di non incorrere negli strali della censura e non essere accusato di vilipendio della religione, nel vaudeville Scribe era tuttavia ricorso ad un gioco di allusioni più sottile e meno esplicito, trasformando le monache in una castellana e nelle sue dame ed eliminando il finale licenzioso; il libretto si conclude infatti con la sconfitta degli aspiranti seduttori, costretti a rinunciare all'impresa e a lasciare frettolosamente il castello per effetto del ritorno improvviso e inatteso del feudatario e dei suoi uomini. I pezzi musicali del vaudeville alternavano canti popolari francesi e arie d'opera di vari autori (tra cui Mozart).
La stesura del libretto pone alcuni problemi: dall'esiguo materiale dell'atto unico del vaudeville si deve trarre una vicenda che occupi i due atti dell'opera e occorre tener conto dell'intenzione del compositore di riciclare alcuni brani del Viaggio a Reims (in lingua italiana e quindi con accenti musicali impostati su valori metrici diversi), creando gli spazi e le occasioni per un loro plausibile inserimento. L'operazione non è né facile né indolore e i rapporti fra il musicista e il drammaturgo sono così tesi che questi, abituato ad imporre i propri prodotti ai maggiori operisti del tempo, d'accordo con il suo collaboratore rifiuta di far apporre al libretto i nomi degli autori (salvo farli aggiungere precipitosamente dopo il trionfo dell'opera).
In realtà quello de Le Comte Ory è un libretto di piacevole lettura, ben costruito intorno ad una serie di colpi di scena in grado di tener desta l'attenzione dello spettatore e di offrire allo spirito caustico di Rossini preziosi stimoli e suggerimenti. L'ironia che lo pervade e l'ambiguità evocata dalle situazioni e dalle parole fu un vero invito a nozze per il compositore pesarese.
La rielaborazione del vaudeville riguardò il solo atto dell'opera. Il primo fu costruito su una precedente impresa del libertino, che nella pièce teatrale è solo raccontata da Madame Ragonde. Nella nuova veste, Le Comte Ory si presenta come una spassosa pochade, non priva di sottintesi morali e di costume, basata su un intreccio ricco di situazioni farsesche, colpi di scena, travestimenti, e avvolto in una sottile trama di ambiguità e mistero.
Rossini – che ha già scelto il soggetto per la prossima opera (Guillaume Tell) – scrive il suo unico melodramma comico francese in soli quindici giorni, durante il soggiorno nella bella casa di campagna di un amico, il banchiere Alexandre Aguado. Per capire l'esatta prosodia della lingua francese, egli ricorre all'aiuto del grande tenore Adolphe Nourrit, destinato ad interpretare la parte del protagonista, e pone una cura particolare nell'orchestrazione: una delle più preziose che ci abbia lasciato, notevole in particolare per l'impiego dei legni.
La compagnia di canto messa a disposizione dall'Opéra è quanto di meglio si possa trovare sulla piazza parigina ed è particolarmente adatta ad affrontare gli spericolati virtuosismi di cui la partitura abbonda: al soprano Laure Cinti-Damoreau è affidato il ruolo della Contessa, a Nourrit quello del Conte, al basso Nicolas-Prosper Lavasseur quello del precettore, il mezzosoprano Constance Jawureck interpreta la parte en travesti del paggio Isolier, il baritono Henri Bernard Dabadie è Raimbaud.
La prima de Le Comte Ory all'Opéra di Parigi ha un esito trionfale. Il critico della «Revue Musicale» scrive: «Alla domanda se quest'opera esca dalla maniera dell'autore rispondiamo francamente no: è sempre Rossini, un Rossini cambiato in uomo di spirito sempre più fine, un musicista supremamente padrone degli effetti». La critica francese, compreso Hector Berlioz, che giudica il terzetto del secondo atto il capolavoro di Rossini, è unanime nel lodare la perfezione formale della partitura.
[modifica] Trama
L'azione si svolge nel feudo e nel castello di Formoutiers, in Turenna, verso il 1200, all'epoca della seconda Crociata.
[modifica] Atto primo
Approfittando dell'assenza del feudatario di Formoutiers, partito con i suoi uomini per liberare la Terrasanta, il Conte Ory, con l'aiuto dell'amico Raimbaud e di un gruppo di scapestrati, si traveste da eremita per attentare alla virtù di Adele, la giovane sorella del feudatario che, avendo fatto voto di non ricevere nessun uomo prima del ritorno dei valorosi crociati, vive chiusa nel castello con le sue dame, in preda alla malinconia.
Gli abitanti del villaggio si recano nel rifugio del pio eremita per chiedergli consiglio e conforto. Qui giungono anche il precettore di Ory, incaricato di ritrovare l'allievo fuggito di casa da otto giorni, e il paggio Isolier. Questi, tratto in inganno dal travestimento di Ory, gli confida il suo amore per la Contessa Adele e il suo proposito di introdursi nel castello dell'amata travestito da pellegrina. Il falso eremita, dopo essersi complimentato per l'ottimo piano, si prepara ad eseguirlo personalmente e, quando Adele – attratta dalla presenza carismatica del sant'uomo – si reca a consultarlo, le consiglia di tenersi alla larga da Isolier (per il quale la fanciulla confessa di avere un debole) e le chiede di entrare nel castello per poterle parlare con più tranquillità.
Ma proprio nel momento in cui si appresta a varcare il ponte levatoio, Ory viene smascherato dal suo precettore. Se non bastasse, un messo consegna ad Adele la lettera in cui il fratello le annuncia il prossimo ritorno dei Crociati. La Contessa e le sue donne beffeggiano il libertino che tuttavia non si dà per vinto: gli resta ancora un giorno per escogitare un altro stratagemma e sedurre Adele.
[modifica] Atto secondo
Le donne del castello, al sicuro nelle loro stanze, commentano con un misto di paura ed eccitazione lo scampato pericolo. Scoppia un violento temporale e dall'esterno si odono implorazioni di aiuto: quattordici povere pellegrine chiedono – e ottengono – asilo notturno per sfuggire alle insidie del demoniaco Conte e dei suoi ribaldi compagni.
Ma non appena rimangono sole, le pie pellegrine rivelano la loro vera identità: altri non sono che lo stesso Ory, questa volta nei panni di Suor Colette, e i suoi compagni, fra i quali a sorpresa troviamo anche il precettore, evidentemente convertito alla causa del discepolo. Raimbaud trova il modo di ovviare alla mancanza di vino e cibi adeguati scoprendo ottime bottiglie e abbondanti vettovaglie nella cantina del castello e, intonando un allegro canto da osteria, dà il via alla bisboccia nell'attesa che abbia inizio l'avventura notturna.
Ma anche questa volta le cose non vanno secondo il copione prestabilito. Il paggio Isolier, scoperto l'inganno, avverte la Contessa che le donne sono in pericolo, dal momento che i Crociati torneranno al castello soltanto fra un'ora. Con l'aiuto di Adele si prepara quindi a giocare un brutto tiro al suo signore e rivale.
Quando la finta Suor Colette entra nella stanza con il pretesto di non riuscire ad addormentarsi, la Contessa, approfittando dell'oscurità, si nasconde dietro al paggio. Il seduttore si rivela e, rivolgendole appassionate frasi d'amore, prende la mano dell'amata e la bacia con trasporto, senza accorgersi che è la mano di Isolier. Questi, nel frattempo, approfitta delle circostanze per baciare a sua volta la mano della Contessa, la quale lo lascia fare volentieri. L'equivoco si chiarisce di colpo al suono delle trombe che annunciano il ritorno dei Crociati e l'arrivo del padre di Ory, venuto a riprendersi il figlio scapestrato. La scena si illumina: il Conte evita i rimbrotti paterni fuggendo precipitosamente con i suoi compari attraverso un passaggio segreto, mentre tutti inneggiano al felice ritorno dei valorosi cavalieri.
[modifica] Caratteri generali
Dopo aver suddiviso equamente la produzione operistica italiana tra i generi comico e serio, anche per le due opere francesi che egli compose al termine della sua carriera teatrale, Rossini scelse un soggetto comico ed uno serio.
Con Guillaume Tell, la sua ultima opera, il compositore pesarese tagliò i ponti con la tradizione aulica e classica dell'opera seria italiana, aprendosi per un istante a quel romanticismo dal quale si sarebbe immediatamente ritratto, spaventato dall'assenza di confini di quella concezione estetica.
Benché all'apparenza meno collegabile alla stagione romantica - se non altro per il soggetto trattato - Le Comte Ory segna un distacco non meno profondo dalla tradizione italiana dell'opera buffa, della quale non riprende né i tipi psicologici (la donna scaltra, il tutore burbero, gli innamorati sospirosi, la servetta petulante, il soldato smargiasso), né la tipica inquadratura morale che abbinava il lieto fine della commedia ad una ricomposizione dell'ordine sociale, e dove spesso le tanto sospirate nozze fra gli innamorati venivano a costituire una sorta di catarsi comica.
Soggetto moderno nel suo deliberato non sense e nella sua spudorata amoralità, Le Comte Ory è invece la storia di un seduttore tanto ostinato quanto perdente, accompagnato nelle sue bravate da un'accolita di allegri crapuloni sospinti da una sorta di furore goliardico (tra i quali si colloca un improbabile precettore che, dopo aver smascherato il Conte nel primo atto, si converte alla sua causa nell'atto secondo, senza alcuna giustificazione plausibile) e di un gruppo di donne i cui ripetuti proclami di virtù si coniugano ad una scoperta sensualità. È evidente che per queste moraleggianti fanciulle la demoniaca figura del Conte Ory - circondata da una fama di seduttore che appare in verità alquanto immeritata - è oggetto di un terrore che sconfina in una sorta di eccitazione, destinata a sfociare nel formidabile acme emozionale dell'uragano (uno dei più belli che siano mai stati messi in musica), quando il prorompere delle forze della natura, ben di più dell'improbabile seduttore, sembra davvero travolgere, fisicamente, le pie donne del castello.
Tutto questo susseguirsi di slanci amorosi, ambiguità, equivoci, desideri repressi trova il suo culmine in quel sublime terzetto d'amore (forse l'unico della storia dell'opera) che costituisce il vero finale, prima della veloce conclusione – potremmo dire – a deus ex machina invertito, col ritorno dei crociati che, riportando l'ordine, dà fine al divertimento.
In questo contesto il personaggio del giovane paggio Isolier, affidato ad un mezzosoprano en travesti, nella sua ambigua innocenza di adolescente (così vicina a quella del Cherubino delle Nozze di Figaro), fornisce la chiave per scoprire, almeno in parte, il significato di un'opera per molti versi inafferrabile, carica di una sensualità e di un pathos che la trama farsesca riesce solo in parte a camuffare.
Quello di Ory appare dunque un mondo di mascherate e finzioni in cui il vero significato della musica - osserva Philip Gosset - «è altrettanto difficile da cogliere quanto lo sono i suoi personaggi. In quale altra opera la confusione di identità e il conseguente vortice erotico arrivano al punto di presentare un tenore mascherato da donna che pensa di fare all'amore con un soprano, mentre invece lo sta facendo con un contralto che interpreta il ruolo di un uomo che prende il posto del soprano? In quale altra una parte così cospicua della musica deriva, praticamente senza alterazioni, da quella di un'opera la cui sostanza è totalmente diversa, pur sembrando adattarsi perfettamente ad entrambi i drammi? Si potrebbero riferire a Rossini le parole che Ory usa per il paggio Isolier, appena prima della fine dell'opera: C'est lui qui nous a joués tous (È lui che ci ha giocati tutti), senza timore di sbagliare.»
[modifica] Fortuna
A Parigi, Le Comte Ory rimase in repertorio per vent'anni consecutivi. Poi, quando l'affermarsi di una nuova scuola di canto basata sull'appoggio di petto e sul canto spiegato creò difficoltà quasi insormontabili a trovare un tenore in grado di affrontare il ruolo del protagonista, iniziò il suo declino.
L'opera fu tradotta e presentata al pubblico italiano con il titolo Il Conte Ory, ma l'accoglienza di pubblico e critica furono sin dall'inizio tutt'altro che calorose, tanto che nel 1830 un critico bolognese scrisse: «Se in Francia piace, lasciamolo pure ai francesi: l'Italia ha altro gusto, molto più fondato e sodo». La leggerezza, la grazia francese, ma soprattutto l'ambiguità e l'amoralità di quest'opera non furono apprezzate dal pubblico italiano dell'Ottocento e ancora oggi Le Comte Ory, pienamente rivalutata dalla critica ed entrata a pieno titolo nei repertori teatrali, non è tra le opere più famose di Rossini.
[modifica] Organico orchestrale
La partitura dell'opera prevede l'utilizzo di:
- ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti
- 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni
- timpani, grancassa, piatti, triangolo
- archi
[modifica] Brani adattati da opere precedenti
Atto primo
- Parte della vasta introduzione («Jouvencelles, venez vite») proviene dall'introduzione del Viaggio a Reims.
- La cavatina di Ory «Que les destins prospères» deriva dalla cavatina di Madama Cortese «Di vaghi raggi adorno» del Viaggio a Reims.
- Il successivo ensemble «Moi, je réclame» è tratto da «I forestieri presto sen vanno» del Viaggio a Reims (scena terza).
- Il tempo di mezzo («Vous, notre appui») e la cabaletta («Cette aventure») dell'aria del precettore derivano dall'aria di Milord del Viaggio a Reims (rispettivamente «Come dal cielo» e «Dell'alma diva»).
- La marcia del corteo deriva dal preludio della dodicesima scena del secondo atto di Edoardo e Cristina.
- L'aria di Adele, «En proie à la tristesse», deriva dall'aria della Contessa «Partir, oh ciel, desìo» del Viaggio a Reims.
- Il concertato finale «Ciel! Oh terreur» proviene dal «Gran Pezzo Concertato» del Viaggio a Reims («Ah, a tal colpo inaspettato»).
Atto secondo
- Il duetto tra Ory e Adele, «Ah, quel respect, madame», è tratto da quello tra Corinna e Belfiore, «Nel suo divin sembiante», del Viaggio a Reims.
- L'aria di Raimbaud, «Dans ce lieu solitaire», deriva dall'aria di Don Profondo «Medaglie incomparibili» nel Viaggio a Reims.
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