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Collezionismo d'arte - Wikipedia

Collezionismo d'arte

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Indice

Lorenzo Lotto, Ritratto di Andrea Odoni, 1527, Hampton Court, Royal Art Collection
Lorenzo Lotto, Ritratto di Andrea Odoni, 1527, Hampton Court, Royal Art Collection
Wunderkammer Siciliana del XVII secolo, Palermo, Galleria Regionale della Sicilia
Wunderkammer Siciliana del XVII secolo, Palermo, Galleria Regionale della Sicilia
David Tenier, La galleria dell'Arciduca Leopoldo Guglielmo a Bruxelles, Vienna, Kunsthistorisches Museum
David Tenier, La galleria dell'Arciduca Leopoldo Guglielmo a Bruxelles, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Il collezionismo d'arte, cioè l'abitudine (di origine antica) di famiglie e soggetti privati di raccogliere opere d'arte, è strettamente connesso a motivazioni culturali ed estetiche, al fenomeno del mecenatismo ed al mercato dell'arte. Alcune delle più ricche collezioni del passato sono andate a costituire il nucleo originario di un museo.

[modifica] Storia

Il collezionismo, fiorente durante l'antichità greco-romana, decadde nel medioevo in quanto strettamente legato alla valutazione dell'opera d'arte: la Chiesa tendeva infatti a reprimere e condannare ogni forma di ostentazione di lusso e ricchezza. Alle raccolte di tesori conservate nelle chiese e nelle abbazie medievali non veniva attribuito valore storico o estetico, ma puramente strumentale (avevano il solo fine di avvicinare i fedeli alla sfera spirituale); lo stesso va detto per per i reperti classici verso cui mostrarono interesse numerosi sovrani (Carlo Magno, Federico II, i papi), che dovevano solo sottolineare il loro ruolo di eredi del potere imperiale.

Il valore storico e documentario dell'opera d'arte tornò ad essere ben compreso solo con Petrarca (13041374): grande raccoglitore di monete antiche (in gran parte poi donate all'imperatore Carlo IV di Boemia), l'umanista vedeva nei ritratti degli antichi su di esse effigiati dei sussidi insostituibili per la ricostruzione delle fattezze dei personaggi del mondo classico e degli incitamenti ad imitarne le vitù.

[modifica] L'età del Rinascimento e del Manierismo

Nel XV secolo i reperti classici smisero di essere considerati solo uno stimolo etico ed acquistarono valore di testimonianza visiva dell'antichità, che permetteva di stabilire un legame diretto con essa: accanto agli umanisti (Niccolò Niccoli, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini) anche le famiglie della nobiltà iniziarono a raccogliere pezzi antichi, nei quali vedevano soprattutto il sugello del prestigio politico e culturale acquisito. Cosimo il Vecchio de' Medici, ad esempio, fece del suo mecenatismo uno strumento di consenso alla conquista del potere a Firenze: in tal senso vanno intese le sue commissioni a Donatello e Brunelleschi, così come la sua passione per la glittica. I suoi eredi, Piero il Gottoso e Lorenzo il Magnifico, ampliarono notevolmente la collezione dinastica, che venne sistemata nel nuovo Palazzo di via Larga e nel Giardino di San Marco (dove avvenne la formazione di Michelangelo) in modo da fornire moniti politici e culturali ai visitatori. Il collezionismo della famiglia Medici si chiuse quando Firenze passò a Francesco di Lorena (1735): Anna Maria Luisa, figlia di Cosimo III, lasciò per sempre alla città le collezioni raccolte nel corso dei secoli dalla dinastia.

L'utilità del possesso di oggetti d'arte al fine di acquisire rinomanza venne ben compresa anche dagli artisti, desiderosi di sottolineare il carattere intellettuale della loro attività, di non essere più considerati solo semplici artigiani e di integrarsi tra gli umanisti. Le botteghe dello Squarcione, di Lorenzo Ghiberti, del Sodoma e di molti altri divennero delle vere gallerie d'arte che, oltre a fornire modelli agli allievi, dovevano documentare la fama e la cultura dei proprietari.

Per gran parte del '500 le raccolte conservarono in genere un carattere privato e di documentazione enciclopedica: accanto alle sculture classiche ed alle opere d'arte trovavano posto oggetti esotici, strumenti alchemici e curiosità naturali conservati in studioli (celebri quelli di Isabella d'Este a Mantova e quello di Francesco I de' Medici, in Palazzo Vecchio a Firenze), piccoli ambienti appositamente creati e destinati al raccoglimento intellettuale. Tipica del collezionismo dei paesi nordici è invece la Wunderkammer (camera delle Meraviglie), originatasi dal medievale tesoro dei castelli principeschi.

Negli anni '80 del XVI secolo si vide il nascere di una più precisa sensibilità storiografica, connessa anche alla pubblicazione delle Vite di Giorgio Vasari; con gli Uffizi si ebbe il primo caso di edificio appositamente creato per contenere le collezioni d'arte, che smettevano di costituire una sorta di arredamento del palazzo del principe e venivano ad assumere una fisionomia relativamente autonoma. Dappertutto le collezioni iniziano ad essere trasferite ed esposte in gallerie, vasti ambienti di passeggio coperti, dove dovevano esaltare la grandezza ed il gusto del committente.

[modifica] Il Sei-Settecento

All'aprirsi del '600, Roma, con la curia papale, era la capitale artistica d'Europa: grandi collezionisti furono i cardinali Scipione Borghese, Francesco Maria Del Monte, Pietro Aldobrandini, Maffeo Barberini, Marcantonio Colonna, Ludovico Ludovisi, Giovanni Battista Pamphilj e Bernardino Spada; in Francia, secondo il pensiero di Richelieu (collezionista egli stesso, che donò le sue grandiose raccolte alla Corona), il collezionismo invece fu essenzialmente di corte, espressione dell'autorità monarchica.

A cavallo tra i secoli XVI e XVII il collezionismò acquisì una ben individuata fisionomia: accanto agli antiquari, quegli studiosi dell'antichità che, in seconda istanza, potevano anche raccoglierne e conservarne testimonianze concrete, nella critica d'arte si affermò la figura del conoscitore dilettante, intenditore d'arte dal gusto raffinato in grado di mettere le proprie competenze al servizio di collezionisti "nuovi", di estrazione borghese: le personalità di Giulio Mancini, Francesco Angeloni e Cassiano dal Pozzo incarnano questa nuova figura, la cui competenza non derivava più dal possedere specifiche cognizioni tecniche e professionali, ma dalla grande familiarità con gli artisti e le loro opere.

Si affermò in tal modo l'autonomia della critica d'arte dalla pratica, ed iniziò ad allentarsi lo stretto legame tra artisti e committenti (fino ad allora prevalentemente nobili ed ecclesiastici). Iniziarono ad essere organizzate mostre d'arte a cui partecipavano pittori nuovi, soprattutto stranieri (i bamboccianti), che ponevano gli artisti e le loro opere di fronte al pubblico: in questo contesto la figura del dilettante acquistò straordinaria importanza, in grado com'era di condizionare con il peso della sua cultura gli acquisti dei collezionisti.

Anche i mercanti d'arte, il cui gusto era più libero da incrostazione ideologiche, assunsero un ruolo di primo piano, sia come talent-scout che come consiglieri riconosciuti della classe borghese. Venezia, ormai in piena crisi economica, divenne il principale centro di approvvigionamento per questi mercanti, che fungevano da intermediari tra le famiglie venete decadute e gli acquirenti, soprattutto stranieri: è proprio nella Serenissima che il mercante Daniele De Nijs importò la galleria dei Gonzaga, poi venduta in blocco a Carlo I d'Inghilterra.

[modifica] Gli ultimi secoli

Il collezionismo privato continuò a fiorire nel XIX secolo, determinato sia dalla passione per l'arte che dal desiderio di investire i capitali: fra le maggiori collezioni italiane del secolo vanno ricordate, tra le altre, quelle di Gaetano Filangieri a Napoli, di Giacomo Carrara a Bergamo, di Teodoro Correr a Venezia e di Federico Stibbert a Firenze; per quanto riguarda gli altri paesi europei, importanti furono la Wallace Collection (Londra) e la Jacquemart-André (Parigi).

Verso la fine del secolo iniziarono a formarsi anche le grandi collezioni americane, tra cui vanno ricordate quelle di Andrew W. Mellon, Isabella Stewart Gardner, John Pierpont Morgan e Samuel H. Kress.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia


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